La madre

Sono viva e in mutande e la mia pelle è gialla. Sono un gomitolo sul letto, le lenzuola sporche. Alla fine mi alzo, ho la pelle d’oca. Apro l’armadio, mi metto una vestaglia e mi trascino in cucina. Armando sta preparando il caffè. Si muove flemmatico, non brilla per destrezza. Come tiene la caffettiera, come gira la manopola del gas, come accende il fiammifero e lo avvicina al fornello. È così lento che tutte le sue azioni contengono in sé la propria ripetizione.

Mi guarda, sorride e qualcosa nel suo sorriso mi destabilizza. Mi chiede se voglio del caffè. Gli dico di sì, un po’. Gli chiedo come ha dormito e mi dice meglio di altre notti. Gli chiedo se ha fatto qualche sogno e mi dice di no. Lo dice come se io già lo sapessi, ma come posso sapere qualcosa che non avrei modo di sapere? Non faccio altre domande.

Mi porge il caffè. Andiamo insieme in salotto e ci sediamo sulle poltrone di mogano. Una ha lo schienale rotto. Accendo la televisione, mi piace guardarla anche quando non ne ho voglia o non c’è niente da vedere. Alla mia tazza di caffè manca il manico. È piccola, è una di quelle tazze nel cui manico entra solo un dito e le persone con le dita grasse si limitano a sostenere da fuori, con l’indice e il pollice a mo’ di pinza.

Armando si dondola con delicatezza, ma la poltrona scricchiola. Quando gli sembra che io abbia finito, mi chiede la tazza per andare a lavarla. Gli dico che lo faccio io. Va in sala da pranzo, prende le scarpe, i calzini scuri, la camicia stirata e torna in salotto. Indossa già i pantaloni da lavoro. Come quasi tutti gli uomini che vogliono sembrare informati, ogni mattina Armando, mentre si veste, guarda la televisione. Non sono ancora le sette. Hanno già iniziato a trasmettere le stesse notizie che trasmetteranno per il resto della giornata, le stesse notizie di sempre. Mi piacciono, a dire la verità.

Porto le due tazze nel lavandino in cucina. Armando va in camera di nostra figlia e la sveglia. Le fa le coccole. Diego lo svegliava in modo più brusco, ma non privo di tenerezza. Per scherzo fingeva che fosse una recluta di poco conto e lo tirava giù dal letto con ordini marziali. L’ho chiesto a Diego e lui mi ha detto che al servizio militare non li svegliano in quel modo, non sa suo padre dove lo abbia visto fare.

Asciugo il piano di lavoro, sistemo la caffettiera in un angolo, dietro il sapone per i piatti. Guardo la mia cucina. Guardo le mie cose. Faccio ordine, anche se il neurologo me l’ha sconsigliato. Nelle mansioni di una casalinga si nasconde un potere segreto. Non è vero che abbrutiscono, come dicono. Mi calma sistemare i piatti in ordine di grandezza, mettere ad asciugare i bicchieri a testa in giù.

Mia figlia mi dice buongiorno e mi dà un bacio sul collo. Poi va in bagno. Armando prende la valigetta, le chiavi della macchina e si avvicina per salutare. Mi cinge le spalle, e io mi faccio piccola piccola. È un uomo attraente. Ha i capelli brizzolati, i baffi folti, la voce grossa. Il naso è un po’ largo, ma gli occhi sono limpidi e di un nero profondo. La sua è una pelle meticcia, una liscia pelle d’estate.

Armando mi dice che durante la notte ho avuto una crisi tonico-clonica. Gli chiedo se è stato lui a calmarmi. Non risponde. Mi dice di riposare e, per favore, di riattaccare subito se arriva qualche telefonata strana. Non so che faccia ho, ma Armando mi prende per mano e mi porta a letto.

María esce dal bagno, viene verso di me e mi passa la mano sulla fronte. Dopo un po’ dico di stare bene. Armando va al lavoro. Mi calmo. María entra ed esce dalla stanza e mi porta un bicchiere d’acqua e delle pasticche. Mi guardo i piedi pallidi e rugosi e poi mi specchio. Ho una faccia impervia, desertica.

C’è una ruga che mi percorre il bordo del naso, si addentra sulle labbra e le taglia. Le labbra, che sembrano un frutto secco, il soffio pesante della bocca, il collo tremolante, il grido spento della pelle. Gli occhi bovini, carichi di umida rassegnazione.

In fondo allo specchio, immobile, pochi metri dietro di me, la sagoma silenziosa di mia figlia. Torno in cucina, afferro la tazza col manico rotto e la butto nella spazzatura. Prendo la caffettiera, verso il caffè nel lavello. Apro il rubinetto dell’acqua. In questa mezz’ora le notizie del telegiornale sono rimaste, disciplinate, come rumore di fondo.