NOTE

CANZONI

I.

Il 24 giugno 1513 a Firenze, nel corso dei solenni festeggiamenti in onore del santo patrono Giovanni Battista (e in onore anche di Giovanni de’ Medici da poco eletto al soglio pontificio con il nome di Leone X), l’Ariosto dichiarò il proprio amore alla gentildonna Alessandra Benucci Strozzi. «L’Ariosto aveva conosciuto la Strozzi a Ferrara, ove ella abitava col marito Tito (da non confondersi con il poeta Tito Vespasiano Strozzi), addetto anch’esso alla corte estense, ma o per l’inespugnabile onestà di lei o per l’amicizia ch’egli aveva cogli Strozzi o per altre ragioni che qui non importa rilevare, l’Ariosto frenò la sua nascente simpatia, la quale però non poté più contenere quando, qualche anno dopo, i due ebbero agio di trovarsi con maggiore libertà a Firenze; da questo anno e più fortemente, dopo la morte di Tito (ottobre 1515), incomincia in Ludovico un affetto che solo la morte potrà troncare, e al quale, sia pure velatamente, il poeta allude nelle Satire, nelle Rime, nel Furioso, e senza sottintesi, perché ormai sua legittima moglie, nel testamento del 1532» (Fatini). Questo componimento, che fu scritto — non molto dopo il 1513 — su richiesta della stessa Alessandra (cfr. v. 8), rievoca appunto il giorno e le circostanze dell’innamoramento, secondo l’esempio petrarchesco di poesie come il son. Era il giorno ch’al sol si scoloraro (III) e la canz. Nel dolce tempo de la prima etade (XXIII). — Schema metrico: AbC.AbC/cDdEE con cong. XxYyZZ (schema delle strofe identico a Petrarca, RVF, CCLXVIII, Che debb’io far? che mi consigli, Amore?).

 

1. Non so…rima: cfr. Petrarca, Tr. Pud., 127-28: «I’non poria le sacre e benedette / vergini ch’ivi fur chiudere in rima»; e RVF, XXIX, 50-52: «So io ben ch’a voler chiuder in versi / suo laudi, fôra stancho / chi più degna la mano a scriver porse»; e XCV, 1-2: «Così potess’io ben chiudere in versi / i miei pensier’, come nel cor gli chiudo».

 

2. in parole sciolte: in prosa.

 

3. ricontarvi a pieno: raccontarvi compiutamente, in modo disteso. Per l’uso del verbo, che registra molte occorrenze nel Furioso, cfr. soprattutto Petrarca, RVF, LXXXIX, 3-4: «…lungo fôra a ricontarve / quanto la nova libertà m’increbbe»; CXXVII, 88: «novo penser di ricontar mi nacque»; CCXCIV, 8: «ma non è chi lor duol riconti o scriva»; e Tr. Cup., II, 2-3: «…guardando / cose ch’a ricontarle è breve l’ora».

 

4. come…libertà: «Il tópos della perdita della libertà per effetto della passione amorosa torna nella tematica amorosa ariostesca, misurato e sperimentato sulla più ampia prospettiva del valore inalienabile della libertà: si pensi ad esempio al carme De diversis amoribus [LIV]. L’amore si configura, articolato in un largo ventaglio di varianti, come “pazzia”, come defezione dalla ragione; ma la “pazzia” amorosa, in tutta la poesia ariostesca, si connota costantemente di ambiguità, deplorata e, insieme, accettata (o perfino idoleggiata) come un irrinunciabile valore del vivere» (Santoro).

 

6. il freno: il governo del mio cuore.

 

8. farne il poter: di fare quanto è nelle mie possibilità. — vi agrada: vi piace.

 

9. che ne vada: che se ne diffonda.

 

11. chiare palme: locuzione petrarchesca: cfr. Tr. Pud., 96: «mille vittoriose e chiare palme».

 

12-17. Le sue vittorie…disio: qualcuno ha eternato negli scritti le proprie vittorie, traendole così dall’oblio, ma nessuno ha mai voluto celebrare le proprie sconfitte (li perduti esserciti e gli adversi conflitti).

 

19. prigion: prigioniero.

 

20-22. ché…mi essalto: poiché, anche se perdei, solo per il fatto di avere sostenuto l’assalto di Amore (di man sì forte), mi vanto più che se avessi vinto mille altri avversari.

 

24. non fu il primo: in quanto l’Ariosto aveva già conosciuto e frequentato Alessandra a Ferrara.

 

25. li real costumi: cfr. Petrarca, RVF, CCXLVIII, 10: «ogni bellezza, ogni real costume».

 

27. aviso: accorto.

 

28. che…lumi: «che io non potea contemplare occhi più belli e (per estensione) volto più bello del suo» (Fatini).

 

30. dipinsi: immaginai. — desire: «Nel lessico ariostesco relativo alla tematica amorosa il vocabolo si carica di un più specifico significato psicologico, in rispondenza al dibattito in corso, da diverse angolazioni, sulle teorie dell’amore, un dibattito che costituisce, come si sa, un capitolo di gran momento nella cultura del primo Cinquecento» (Santoro).

 

32-33. d’entrarforse: «di concepire la speranza d’essere corrisposto e vivere poi nell’ansia d’essere appagato» (Fatini).

 

34. Quinci: di qui, cioè dalla via (v. 32) che portava ad Alessandra. — lo: il desire (v. 30). — escluso: lontano, distante.

 

35-36. più sicura strada: allude probabilmente all’amore per Orsolina Sassomarino, dalla quale l’Ariosto ebbe nel 1509 il figlio Virginio. Orsolina fu poi maritata dal poeta, che le procurò la dote, ad uno dei propri servitori, Antonio Cattinelli, detto «Malacisio» o «Malagigi» (cfr. M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto, Genève, Olschki, 1930, I, pp. 300 sgg.). Ma Santoro è del parere che «il riferimento riguarda più un diverso genere d’amore che una donna in particolare».

 

37. l’uso: l’abitudine di star lontano dalla donna.

 

38. di lui: sempre del desire.

 

39-40. tosto che…sentissi: appena da me sentito di nuovo libero, senza freno (senza morso).

 

40. ebbe ricorso: fece ritorno.

 

42. nel labirinto: «È, nei suoi valori metaforici (come condizione di ansia, di incertezza, di timore, di angosciosi andirivieni), un vocabolo chiave del lessico ariostesco, dal riferimento allo stato dell’uomo catturato dalla passione amorosa a quello, più generale, della condizione umana segnata dall’insicurezza e dal fortuito. Qui il labirinto esprime la condizione complicata e contraddittoria dell’amore» (Santoro). Rapportata alla condizione amorosa, la metafora è già in Petrarca, RVF, CCXI, 14: «nel laberinto intrai, né veggio ond’esca»; e CCXXIV, 4: «un lungo error in cieco laberinto». Per labirinto come espressione di una condizione umana disagevole, cfr. Satira IV, 169-71: «Dimandar mi potreste chi m’ha spinto / dai dolci studi e compagnia si cara / in questo rincrescevol labirinto» (il richiamo è agli anni trascorsi dall’Ariosto in Garfagnana).

 

45-46. Né il dì…preso: cfr. Petrarca, RVF, LXI, 1-4: «Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, et l’anno, / et la stagione, e ’l tempo, et l’ora, e ’l punto, / e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui giunto / da’ duo begli occhi che legato m’ànno».

 

47. gli altri trofei: «i tanti altri successi» (Innamorati).

 

48. apo: in confronto a. Cfr. Fur., XXXIII, 105, 3-4: «…e poca parte / n’ebbe appo questi mai Ierusalemme».

 

49-50. da che…celeste: perifrasi che indica il momento in cui avvenne la nascita di Gesù Cristo dal seno integro (chiuso ventre) di Maria. Per Re celeste (Dio), cfr. Petrarca, RVF, CCCXLVIII, 10: «il Re celeste, i Suoi alati corrieri».

 

51-55. avean..estate: le ruote veloci (preste) del carro del Sole (identificato con Apollo, lucido, cioè luminoso, uccisore di Achille, il quale fu infatti colpito a morte nel tallone nudo da un dardo avvelenato scagliatogli dal dio attraverso la mano di Paride) avevano ripetuto il loro moto 1513 volte (fiate) nel giorno sacro a san Giovanni Battista (24 giugno). Il Battista è il santo protettore di Firenze, la tósca città del v. 56.

 

58. la fama: delle celebrazioni tributate annualmente dalla città al santo.

 

59. raccôr. raccogliere.

 

61. ancor io: pure io. — vago di mirar: desideroso di mirare. Per l’espressione, cfr. Petrarca, Tr. Fame, II, 86-87: «quando mi fece una leggiadra vista / più vago di mirar ch’i’ ne fossi anco».

 

67-68. dove… traete: Alessandra era nata a Barletta, dove il padre Francesco Benucci, fiorentino di nascita, si era trasferito.

 

70. di vostra gente: della famiglia Benucci, o forse della famiglia del marito (nel 1513 il padre di Tito, Leonardo, viveva infatti ancora a Firenze).

 

73. con li doni: di bellezza e di grazia («…’l viso / pien di dolcezza e li real costumi / …affabili e cortesi», vv. 24-26).

 

74. in ch’ad ogn’altra…inanzi: grazie ai quali il cielo vi ha distinto da ogni altra donna.

 

75. erate: forma sincopata di eravate.

 

77. il re de’ fiumi: il Po, definito da Virgilio «fluviorum rex» (Georg., I, 482); e quindi, estensivamente, Ferrara, nei cui pressi scorre il fiume.

 

78 sgg. Tutta la stanza, che descrive la folla delle donne convenute alle celebrazioni fiorentine, è da raffrontare, secondo l’indicazione di Fatini, alla rappresentazione delle feste di Damasco nel Furioso: cfr. XVII, 20, 5-8, e 21, 1-2: «Adoma era ogni porta, ogni finestra / di finissimi drappi e di tapeti, / ma più di belle e ben ornate donne / di ricche gemme e di superbe gonne. // Vedeasi celebrar dentr’alle porte, / in molti lochi, solazzevol balli».

 

80. sacrifici: «cerimonie religiose; più propriamente: le messe» (Innamorati).

 

87. d’onestà, cortesia: cfr. Petrarca, RVF, XXXVII, 110-11: «di mai non veder lei che ’l ciel honora, / ov’alberga Honestate et Cortesia».

 

89 sgg. «Descrive la leggiadra acconciatura dei capelli che Alessandra aveva belli e copiosi, come ci appare da alcune rime di cui essi formano spesso l’oggetto principale [sonn. XXVII-XXIX, mad. I], specialmente quando per una sciagurata malattia furono in parte tagliati» (Fatini).

 

90. l’artificio discreto: la sapiente disposizione dei capelli, del biondo e spesso crine (v. 91).

 

91. ch’in aurei… crine: cfr. Petrarca, RVF, CCCLIX, 56: «Son questi i capei biondi, et l’aureo nodo».

 

92. rete: «la rete o reticella, detta anche cappellina o cappella, serviva a tener raccolta la chioma, ma essa era rara, non fitta, perché ponesse in maggiore evidenza lo splendore dei capelli» (Fatini).

 

94. alle confine: ai confini, ai margini estremi (è femminile, come in Fur., XIX, 86, 1-2: «Lo partì, dico, per dritta misura, / de le coste e de l’anche alle confine»; e XXXV, 62, 5-6: «Bradamante si ferma alle confine / quasi de’ borghi et alle sbarre estreme»).

 

96. all’avorio bianco: al color candido, come quello dell’avorio.

 

97. del destro… manco: cfr. Petrarca, RVF, CXCVIII, 11: «or su l’omero dextro et or sul manco».

 

98. Amori: sono gli Amorini, i figli di Amore. Cfr. Fur., VI, 75, 1-3: «Per le cime dei pini e degli allori, / degli alti faggi e degl’irsuti abeti, / volan scherzando i pargoletti Amori». E si veda anche, ad esempio, Poliziano, Stanze, I, 123, 1-2 (ed. Pernicone, Torino, Loescher, 1954): «Sovra e d’intorno i piccioletti Amori / scherzavon nudi or qua or là volando».

 

99. preson: presero.

 

101. serico: di seta.

 

103. fece… negletto: fece sì che ogni altro abito rimanesse inosservato.

 

104-5. se lece… spiar: «se è lecito spiare le vostre segrete intenzioni» (Fatini).

 

105. implicate: intrecciate.

 

108. ditemi… ascoso: era gusto dell’epoca ingegnarsi a scoprire il significato nascosto delle «imprese» o «divise»: e infatti, come se rivolgesse la propria attenzione ad un’«impresa», il poeta cerca qui di penetrare la simbologia, di interpretare il senso recondito dei due tralci di vite ricamati sul serico abito nero di Alessandra.

 

109-10. Sì ben… vinse: si è molto discusso sul significato di questi versi, ma in definitiva l’ipotesi di lettura più plausibile è quella che induce ad intendere porpore ed oro non i colori del ricamo dello stesso abito, ma i colori degli abiti delle altre donne, tutti vinti in bellezza da quello; si veda, in proposito, Fur., XLII, 93, 3-8, dove la donna cui si allude è ancora la Benucci: «… una gran donna / era di tanto e si sublime aspetto, / che sotto puro velo, in nera gonna, / senza oro e gemme, in un vestire schietto, / tra le più adorne non parea men bella, / che sia tra l’altre la ciprigna stella». — aco: ago. — finse: raffigurò. Cfr. mad. X, 1: «Fingon costor che parlan de la Morte».

 

111. Senza misterio non: non senza un significato misterioso.

 

112. il drappo: è il fazzoletto di seta per il capo.

 

113. non senza: sottinteso: misterio (cfr. v. 111). — fu: da collegare ad assunto (v. 114), “fermato”. — quel gemmato alloro: quel diadema a forma di alloro con gemme.

 

114. serena fronte: è sintagma petrarchesco: cfr. RVF, CCXX, 7-8: «onde tante bellezze, et sì divine, / di quella fronte, più che ’l ciel serena?»; CCLXXXIV, 10-11: «scacciando de l’oscuro et grave core / co la fronte serena i pensier’ tristi»; CCCLVII, 14: «et non turbò la sua fronte serena»; e Tr. Fame, II, 27: «con dolce lingua e con fronte serena». — calle: la scriminatura che divide in parti uguali la chioma d’oro (cfr. vv. 115-16).

 

117-21. Senza fine… dica: questa dichiarazione, da parte del poeta, di essere incapace di descrivere compiutamente la bellezza della sua donna è un motivo retorico convenzionale della lirica amorosa, e torna in altri componimenti ariosteschi: cfr., ad esempio, son. X, 1-4: «Com’esser può che dignamente io lodi / vostre bellezze angeliche e divine, / se mi par ch’a dir sol del biondo crine / volga la lingua inettamente e snodi? ». — quando… dica: «anche se a cotesto lavoro consacro tutta la vita» (Fatini).

 

123. peregrina: sconosciuta.

 

124-27. sì che… ormai: sì che io pensavo di resistere al vostro sguardo, ai vostri occhi luminosi e saettanti come folgore, e alla vostra virtù altera, in quanto avevo saputo resistervi già prima. Ripete il concetto espresso ai vv. 29-33.

 

129. quei pargoletti: si tratta ovviamente degli Amori di cui al v. 98.

 

129-30. l’auree crespe chiome: cfr. Petrarca, RVF, CCXCII, 5: «le crespe chiome d’òr puro lucente».

 

130. qual vespe: per la similitudine, cfr. Petrarca, RVF, CCXXVII, 5-6: «tu stai nelli occhi ond’amorose vespe / mi pungon sì, che ’nfin qua il sento et ploro». Ma qui, nota Santoro, «la similitudine trasferita dagli occhi agli insidiosi Amori raccolti nelle bionde chiome, se forse diventa più artificiosa, acquista una misura più insolita e sorprendente, a specchio dell’improvviso e imprevisto innamoramento».

 

131. a chi le attizza: a chi le molesta. — s’aventâro: s’avventarono.

 

132. lo legâro: lo legarono, legarono il cuore. Per l’immagine del cuore del poeta legato dai capelli della donna, cfr. Petrarca, RVF, CXCVIII, 1-4: «L’aura soave al sole spiega et vibra / l’auro ch’Amor di sua man fila et tesse / là da’ belli occhi, et de le chiome stesse / lega ’l cor lasso, e i lievi spirti cribra»; e cfr. tutto il son. Di que’ bei crin, che tanto più sempre amo del Bembo (Rime, IX).

 

136-38. chi possa… viene: «non riesco ad immaginare chi mai possa venire a liberarmi da questo vincolo, se non viene a sciogliermi la Morte» (Santoro). Cfr. Petrarca, RVF, CXCVI, 13-14: «et strinse ’l cor d’un laccio sì possente, / che Morte sola fia ch’indi lo snodi».

 

140. privo: privato.

 

141. captivo: prigioniero.

 

142-43. né più… ria: né mi dolgo di questa prigionia più di quanto alcun altro si dorrebbe, una volta liberato da una prigionia lunga e dolorosa; in altri termini: «gioisco della mia servitù come altri della recuperata libertà» (Innamorati). Cfr. Petrarca, Tr. Mort., I, 136-37: «Nesun di servitù già mai si dolse / né di morte quant’io di libertate».

 

144-47. Mi dolgo… seppi: «mi dolgo bensì di non aver saputo per tempo, cioè fin dalla prima volta che la conobbi, apprezzare l’indicibile dolcezza di cotesta prigionia (soavi ceppi) e di non aver subito compreso quanto fosse meglio esser prigioniero di voi che re di altri» (Fatini). — soavi ceppi: cfr. Petrarca, RVF, LXXXIX, 10-11: «… il giogo et le catene e i ceppi / eran più dolci che l’andare sciolto». — l’inefabil dolcezza: cfr. Petrarca, RVF, CXVI, 1: «Pien di quella ineffabile dolcezza»; e cfr. qui son. XVII, 2: «per dolcezza inefabil ch’io ne sento».

 

152. sempre… scioglia: anche se si libera.

 

154. le voci: di richiamo del padrone.

 

157. pianamente: in modo umile.

 

160. culta: dotta ed elegante.

II.

«Troppo alto l’oggetto del suo amore. Il poeta, consapevole del divario tra l’ardire e la speranza, ha pietà di se stesso; ma pur se non può sembrare degno dell’amore della donna la prega di avere almeno pietà di lui. Assai probabilmente la canzone è ispirata dall’amore per Alessandra, anche se il motivo autobiografico è solo un pretesto per una elegante prova letteraria» (Santoro). Sullo stesso tema vertono sostanzialmente i sonn. VIII e XVI e il mad. II. Schema metrico: abC.abC/cdeeDfF con cong. YzZ (identico a Petrarca, RVF, CXXVI, Chiare, fresche et dolci acque).

 

1. Per la mossa iniziale, cfr. Petrarca, RVF, CCLXXXI, 1: «Quante fiate, al mio dolce ricetto».

 

5-6. che inanti… ite: che sopravanzate, superate tutte le altre donne.

 

8-11. a ferire… venire: «quando la ragione lascia la contemplazione di qualche nobile oggetto, non può volgersi immediatamente ad altro vile» (Segre).

 

13. via: distanza.

 

16. ma sol… stesso: cfr. Petrarca, RVF, CCLXIV, 2: «una pietà si forte di me stesso»; e CCLXXII, 7: «se non ch’i’ ò di me stesso pietate».

 

19. sì inanzi: così in alto.

 

21. di tanti… dono: persino la qualità meno importante tra le tante che avete.

 

24. ne sono: di doni.

 

25-26. da l’Indo… Gade: dal fiume Indo, che rappresenta qui il confine orientale del globo, a Gade, Cadice, confine occidentale; in pratica: da una parte all’altra del mondo. Cfr. Fur., IV, 61, 7-8: «… il fior di quante belle donne / da l’Indo sono all’Atlantee colonne».

 

29. mirare… basso: cfr. Petrarca, RVF, XXI, 4: «mirar sì basso colla mente altera».

 

30. diffidenza: «qui diffidenza è “mancanza di fiducia”, per il riconoscimento della propria umiltà» (Santoro).

 

33-35. non posso… audace: non posso fare che la speranza voglia seguire il mio audace desiderio di voi anche di un solo passo. Per il concetto, cfr. in particolare il son. XVI.

 

36. La misera: la speranza.

 

38. di lui: del desiderio, del desir audace del v. 35.

 

42. prima che… il cuore: cfr. canz. I, 133-43.

 

43-45. e qual… Amore: cfr. ancora canz. I, 29-33 (sulla lunga resistenza opposta in un primo tempo all’amore per Alessandra). — fêssi: facessi.

 

46. il debole vigore: si noti l’oxýmoron, il voluto accostamento di due termini tra loro antitetici.

 

53. Non serìa già ragione: non sarebbe ragionevole, giusto.

 

58. sforzo: «potenza, particolarmente militare, in accordo col resto dell’espressione» (Segre).

 

64. vi stringa: cfr. Petrarca, R VF, CXXVIII, 19: «di che nulla pietà par che vi stringa»; e Tr. Mort., II, 75: «se non che mi stringea di te sol pièta».

 

65. senza mercé: inutilmente.

III.

Sulla crudeltà della donna, con numerosi prestiti petrarcheschi (tra cui le metafore topiche dell’amo, v. 10, e dell’esca, v. 11, quali strumenti del dominio di Amore) e «con una accentuazione (forse non casuale) dei motivi irrazionali della “servitù amorosa”, specialmente nella terza strofe» (Santoro). Schema metrico: ABB.AAC/cDD con cong. YyZZ (identico a Bembo, Rime, LXXII, Gioia m’abonda al cor tanta e sì pura).

 

3. impetre: ottenga.

 

6. disposta: favorevole.

 

7. Ahi dolorosa sorte: è la stessa espressione di lamento che ricorre in Petrarca, RVF, LXXI, 40.

 

9. di pietà ribella: nemica di pietà. Cfr. Petrarca, RVF, XXIX, 18: «rubella di mercé…».

 

10. dolci ami: cfr. Petrarca, RVF, CCLXXX, 14: «preghi ch’i’ sprezzi ’l mondo e i suoi dolci hami».

 

11. ove… preso: cfr. Petrarca, RVF, CCLXX, 55: «… gli ami ov’io fui preso, et l’ésca».

 

12. perché: per quanto.

 

14. ch’io tema… speri: temere e sperare costituiscono una coppia verbale antinomica assai frequente in Petrarca: cfr. RVF, CXXXIV, 2: «e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio»; CCLII, 2: «et temo et spero; et in sospiri e ’n rime»; CCXCV, 4: «forse or parla di noi, o spera, o teme»; ecc.

 

15. al bel lampo: alla bellezza accecante, abbacinante di lei. — strugge: distrugge, consuma.

 

17. libera e sciolta: sintagma petrarchesco: cfr. RVF, XCVI, 12: «allor corse al suo mal libera et sciolta»; e CCXIV, 34-35: «rendimi, s’esser pò, libera et sciolta / l’errante mia consorte…». — d’ogni noia scarca: priva d’ogni dolore.

 

21. sì dolce… venen: cfr. Petrarca, RVF, CLII, 7-8: «per quel ch’io sento al cor gir fra le vene / dolce veneno…»; e CCVII, 84: «che di dolce veleno il cor trabocchi».

 

23. scosso: «disgiunto» (Segre).

 

31. acciò… anni: «perch’io muoia del desiderio che consuma i miei anni» (Santoro).

IV.

Filiberta di Savoia, sorella di Carlo III duca di Savoia, perse il marito Giuliano de’ Medici il 17 marzo 1516 dopo una lunga malattia. In questa canzone, scritta forse in quello stesso anno, l’Ariosto finge che sia la donna a rivolgersi all’anima dell’amato consorte: al lamento per non essere stata anch’ella strappata alla vita per ricongiungersi a lui in cielo, e alla celebrazione delle due fondamentali virtù dell’estinto, la cortesia e il valore, segue la sconsolata constatazione del grave danno arrecato dalla morte di Giuliano a tutto il mondo e a Roma in particolare. Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e duca di Nemours, restaurò il potere mediceo a Firenze nel 1512 con l’aiuto del papa Giulio II e della Lega Santa. L’Ariosto lo ricorda anche nella Satira III, 88-90, e nella Satira VII, 97; e cfr. naturalmente la canz. V, composta a pendant della presente. Per l’intonazione complessiva, il modello del componimento, oltre che nella canz. Spirto gentil, che quelle membra reggi (LIII) del Petrarca, è da identificare nella celebre canzone del Bembo in memoria del fratello Carlo, Alma cortese, che dal mondo errante (CXLII), scritta nel 1506-7. — Schema metrico: ABbC.BAaC/CDEeDFF con cong. XYyXZZ (schema delle strofe identico a Petrarca, RVF, CCLXX, Amor, se vuo’ ch’i’ torni al giogo anticho, e CCCXXV, Tacer non posso, et temo non adopre).

 

1 sgg. Per tutta la stanza, cfr. il lamento di Orlando per la morte di Brandimarte in Fur., XLIII, 170-72. L’attacco è esemplato su Petrarca, RVF, LIII, 1 (vd. sopra). — nel terzo giro: nel cielo di Venere, dove risiedono le anime degli amanti virtuosi (com’è detto al v. 5, Giuliano visse d’onesto amore). È lo stesso cielo in cui è collocata dal Bembo l’anima del fratello Carlo: cfr. Rime, CXLII, 161-63: «E guidemi per man, che sa ’l camino / di gir al ciel, e ne la terza spera / m’impetri dal Signor appo sé loco». Per i riferimenti, in Petrarca, al cielo di Venere, cfr. RVF, CCLXXXVII, 9-11: «Ma ben ti prego che ’n la terza spera / Guitton saluti, et messer Cino, et Dante, / Franceschin nostro, et tutta quella schiera»; e CCCII, 3-4: «ivi, fra lor che ’l terzo cerchio serra, / la rividi più bella et meno altera».

 

3. scarco… peso: liberato dal peso del corpo. Cfr. Petrarca, RVF, XXXII, 6-7: «… ’l duro et greve / terreno incarco…».

 

5. vivendo… acceso: «In effetti (soprattutto se intendiamo amore in senso assai lato) Giuliano spiccò per le doti di amabilità, socievolezza e magnificenza, oltre che per le doti intellettuali e culturali con cui si assicurò grande prestigio e larghe simpatie in tutti gli ambienti nei quali si trovò a vivere ed operare, dalla corte di Urbino alla sfarzosa vita romana nella Roma di Leone X. Assai significativa la sua inclusione tra gli interlocutori nelle Prose della volgar lingua del Bembo e nel Cortegiano del Castiglione» (Santoro).

 

6. del tuo… sospiro: non già mi dolgo della beatitudine celeste che ti sei guadagnato dopo la morte.

 

7. spiro: vivo (come, ad esempio, in Dante, Inf., XXVIII, 131: «tu che, spirando, vai veggendo i morti»).

 

10. angosciosa vita: cfr. Petrarca, RVF, CXLIX, 8: «la mia angosciosa et desperata vita».

 

12-13. ch’al pianto… uscita: cfr. Petrarca, RVF, III, 10-11: «et aperta la via per gli occhi al core, / che di lagrime son fatti uscio et varco».

 

16. La infinita… bellezza: di Dio.

 

17. non ti distorni: non ti distolga. Cfr. Fur., XXX, 81, 7-8: «… che non distorni / alcun tanto Ruggier…»; e cfr. Petrarca, RVF, XXVII, 7: «sì che s’altro accidente noi distorna».

 

18. torni: rivolgi. Il verbo è usato in funzione transitiva, per cui cfr. soprattutto Dante, Purg., XXVIII, 148: «poi a la bella donna torna’il viso».

 

19. che già mirando: che solo contemplando. È qui il principale nodo tematico di tutta la trattatistica amorosa primo-cinquecentesca di ispirazione neoplatonica (Bembo, Castiglione, Firenzuola, ecc.).

 

22. vaghezza: desiderio.

 

24. pietà: affetto, benevolenza. — cortese mi ti presti: «ti faccia cortese verso di me» (Fatini).

 

26. segno: prova.

 

28. la fontana: la fonte, la sorgente. Cfr. Petrarca, RVF, CCCLI, 7: «fior di vertù, fontana di beltate».

 

31. lo sono… dessa: per l’iterazione, cfr. Dante, Purg., XXX, 73: «… Ben son, ben son Beatrice».

 

34. riconoscenza: riconoscimento.

 

37-38. quella… di beltà: «Veramente la bellezza di Filiberta non era gran che, se il Sanudo [M. Sanudo, Diarii, XX, 22] la dice “dona grande, palida, magrissima, gobissima, con un naso longo a grizo molto; dil resto la è bella donna”. Curioso il giudizio sintetico! “Nec pulchra, nec venusta”, la dicono i contemporanei» (Fatini).

 

40. partisse: scomparisse.

 

41. non… noia: non mi procura dolore.

 

46 sgg. Per questa stanza e la seguente, cfr. Bembo, Rime, CXLII, 141-60: «… restai morto in quel punto, / ch’io sentì’ morir lui, che fu’ ’l suo core; / né son buon d’altro, che da tragger guai. / Tregua non voglio aver col mio dolore, / infin ch’io sia del giorno ultimo giunto; / e tanto il piangerò, quant’io l’amai. / Deh perché inanzi a lui non mi spogliai / la mortal gonna, s’io men’ vestì’ prima? / S’al viver fui veloce, perché tardo / sono al morir? un dardo / almen avesse et una stessa lima / parimente ambo noi trafitto e roso; / che sì come un voler sempre ne tenne / vivendo, così spenti ancor n’avesse / un’ora et un sepolcro ne chiudesse. / E se questo al suo tempo o quel non venne, / né spero degli affanni alcun riposo, / aprasi per men danno a l’angoscioso / carcere mio rinchiuso omai la porta, / ed egli a l’uscir fuor sia la mia scorta».

 

48. sì breve ora: così breve tempo. Il matrimonio era infatti durato meno di un anno (aprile 1515 - 17 marzo 1516). Non si allude certo alla malattia di Giuliano, che invece fu lunga.

 

51. all’ostro… gemme: consuete metafore adoperate per indicare il color purpureo (ostro) delle labbra e delle guance, e i denti (gemme).

 

52. avara: avida.

 

53. distinto: adorno. Cfr. Fur., XXIII, 100, 6-8: «… un bel pratel fioria, / di nativo color vago e dipinto, / e di molti e belli arbori distinto».

 

57. contamina e dissolve: soggetti sono, rispettivamente, empio sepolcro e invidiosa polve.

 

58. alabastrine: bianchissime come l’alabastro (per l’età ancor giovane di Giuliano, che morì a soli 37 anni). Cfr. Fur., XXXV, 2, 5-6: «Ne’ bei vostri occhi e nel sereno viso, / nel sen d’avorio e alabastrini poggi»; e cfr. Petrarca, RVF, CCCXXV, 16: «Muri [le membra] eran d’alabastro…». E si vedano qui son. XXV, 9: «o di terso alabastro il collo e il seno», e son. XXVII, 6: «vivi alabastri e vivo minio…».

 

61. carcer tetro: il corpo, identificato in oscura prigione dell’anima. L’espressione è la stessa usata da Petrarca in Tr. Cup., IV, 164: «tanti spirti e si chiari in carcer tetro»; ma per una più puntuale corrispondenza semantica, cfr. RVF, CCCVI, 4: «chiuse ’l mio lume e ’l suo carcer terrestro»; e CCCXLIX, 9-11: «O felice quel dì che, del terreno / carcere uscendo, lasci rotta et sparta / questa mia grave et frale et mortai gonna».

 

62. ignuda anima: cfr. Petrarca, RVF, CXXVI, 19: «e torni l’alma al proprio albergo ignuda». — sciôrme: sciogliermi.

 

64. santi piedi: cfr. Petrarca, RVF, CCLXVIII, 26: «né d’esser tocco da’ suoi sancti piedi».

 

64-65. e teco… forme: «e divenire con te una delle beate forme celesti» (Fatini).

 

67. Pietro: san Pietro, custode del Paradiso.

 

69. che le sue porte… negarme: che non potrebbe impedirmi di varcare le sue porte, le porte appunto del Paradiso.

 

72. maggior: più intenso della stessa febbre.

 

75. che senza te… cieco: cfr. Petrarca, RVF, CCCXXXVIII, 1-2: «Lasciato ài, Morte, senza sole il mondo / oscuro et freddo…»; e cfr. Bembo, Rime, CXLII, 81: «Tu m’hai lasciato senza sole i giorni».

 

76. La cortesia e il valor: cfr. Bembo, Rime, CXLII, 87-89: «Valor e cortesia si dipartiro / nel tuo partir, e ’l mondo infermo giacque, / e virtù spense i suoi più chiari lumi».

 

77. latebrosi lustri: tenebrose caverne (lustro è latinismo).

 

78. lustri: quinquenni. Si noti la rima equivoca con il verso precedente.

 

81. pareggiassi: eguagliassi. — Publi e Gnei: Scipione l’Africano (235 - 183 a.C.) e Gneo Pompeo (106 - 48 a.C.), che si distinsero per la loro virtus nella storia civile di Roma. 83-84. l’estreme genti: i popoli delle più lontane parti del mondo.

 

84. di Marte il seme: la stirpe di Marte, cioè i Romani. Per la perifrasi, cfr. Petrarca, RVF, LIII, 26: «… ’l popol di Marte» ; e Tr. Fame, II, 2: «… il buon popol di Marte». Annota Fatini che Giuliano, «per il patriziato romano conferitogli nel settembre 1513, per la sua nomina a capo delle truppe pontificie, si poteva considerare come un legittimo figlio di Roma».

 

85. non veggio: regge la cortesia e il valor del v. 76 e la speme del v. 79.

 

86. lungo oscuro: lunga oscurità.

 

89-90. congiuraron… bando: «s’accordarono, mosse dal dispetto contro il mondo e la sorte che aveva fatto morir Giuliano, di non ritornare più sulla terra» (Fatini).

 

95. per sacra… colli: trascinare per la via Sacra (quella che portava al Campidoglio) i prigionieri incatenati (catenati colli). Rima equivoca con il v. 93.

 

96. l’altre piaghe: «le sventure in genere dell’Italia, e in particolare quelle che avvennero dal 1494 in poi» (Fatini). Cfr. Petrarca, RVF, CXXVIII, 1-3: «Italia mia, benché ’l parlar sia indarno / a le piaghe mortali / che nel bel corpo tuo sì spesse veggio».

 

100. il Tibro: il dio Tevere, che aveva sposato Rea Silvia (Ilia, v. 101), figlia di Numitore re di Alba Longa. Questa, per aver generato con Marte i gemelli Romolo e Remo e non aver dunque osservato l’obbligo di castità imposto dalla sua condizione di vestale, era stata gettata nel fiume dallo zio Amulio. Per l’immagine qui espressa, cfr. Orazio, Carm., I, 2, 13-18: «Vidimus flavum Tiberim, retortis / litore Etrusco violenter undis, / ire deiectum monumenta regis / templaque Vestae, / Iliae dum se nimium querenti / iactat ultorem…».

 

104-5. Le sante… lei: cfr. Virgilio, Aen., IV, 168: «summoque ulularunt vertice nymphae». — boscarecci dèi: i Satiri, divinità dei boschi. — trassero: accorsero.

 

107. donne… matri: cfr. canz. I, 79-81: «… donne / … / e mature ed acerbe, e figlie e matri».

 

108. purpurei patri: i cardinali, ma potrebbero essere anche i senatori con la toga pretesta, orlata di porpora.

 

110-11: fra li atri… Canne: accanto ai giorni nefasti di Allia e di Canne. Sia ad Allia (affluente del Tevere), che a Canne (nell’antica Apulia), l’esercito romanó fu gravemente sconfitto ad opera rispettivamente dei Galli (18 luglio 390 a.C.) e di Annibale (2 agosto 216 a.C.).

 

112. captiva: prigioniera (appunto dei Galli e dei Cartaginesi).

 

117. non trarrà… occaso: non farà tramontare, non cancellerà (occaso: tramonto).

 

118. il vïolento fato ingordo: sogg.

 

119. mentre: finché.

 

121. Pon’: poni, aggiungi.

 

123. sì… ragione: affinché ascolti le tue parole.

 

125. piacesse… rapportarli: cfr. Virgilio, Ecl., III, 72-73: «O quotiens et quae nobis Galatea locuta est! / partem aliquam, venti, Divum referatis ad aures!». — rapportarli: riferirgli.

 

126. che di lui: quanto io di lui. Tutto il verso ricorda Petrarca, RVF, CXXIX, 52: «in guisa d’uom che pensi et pianga et scriva».

V.

L’Ariosto finge qui che Giuliano de’ Medici risponda alle commosse parole a lui rivolte dalla moglie Filiberta nella canz. IV. Il componimento, secondo Santoro, «si può dividere in due parti: nella prima (che risponde più puntualmente ai temi e ai sentimenti espressi nella canzone precedente) Giuliano, contrapponendo al mondo “folle e pien d’error” le “sante contrade” della beatitudine celeste, esorta la moglie a volgere il dolore in allegrezza e la loda della scelta, nella sua condizione di vedovanza, della difficile ma fruttuosa via della virtù contro le fallaci seduzioni del mondo; nella seconda egli esalta la virtù di lei, che sovrasta tutti i pur prestigiosi titoli delle illustri famiglie a cui appartiene». — Schema metrico: ABbC.BAaC/CDEEDdFfGG con cong. VWXxWwYy ZZ. Si osservi che il dodicesimo verso delle strofe settima, ottava e nona (ed il quarto del congedo) è settenario anziché endecasillabo (lo schema regolare è in Petrarca, RVF, CCLXIV, I’ vo pensando, et nel penser m’assale). Su questa anomalia metrica cfr. R. Fedi, Petrarchismo prebembesco in alcuni testi lirici dell’Ariosto, in AA. VV., Ludovico Ariosto: lingua, stile e tradizione, Atti del Congresso organizzato dai comuni di Reggio Emilia e Ferrara, 12-16 ottobre 1974, a cura di C. Segre, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 300-1 (il saggio è ora, con rielaborazioni e con il titolo Preistoria di un canzoniere: le Rime di Ludovico Ariosto, in Id., La memoria della poesia. Canzonieri, lirici e libri di rime nel Rinascimento, Roma, Salerno Editrice, 1990, pp. 83-115).

 

 

1-2. Anima… error: ricorda Bembo, Rime, CXLII, 1: «Alma cortese, che dal mondo errante»; e cfr. Petrarca, RVF, CCCLXVI, 45: «il secol pien d’errori oscuri et folti».

 

2-4. quelle… reggi: cfr. Petrarca, RVF, LIII, 1: «Spirto gentil, che quelle membra reggi».

 

4. l’alto disegno: il disegno di Dio (Re degli elementi e de le stelle, v. 5) di lasciarti sulla terrà, come specchio di virtù (cfr. vv. 6 sgg.).

 

7. molle: incline a cedere alle tentazioni terrene.

 

9. potessi: potesse. — lucidi: luminosi, fulgidi.

 

10. in verd’etade: alla morte di Giuliano, Filiberta aveva solo 18 anni.

 

12-13. giunťesser… beltade: per la correlazione tra castità e beltade, cfr. Petrarca, Tr. Pud., 90: «v’era con Castità somma Beltate». E cfr. Petrarca, RVF, CCCLI, 5-6: «gentil parlar, in cui chiaro refulse / con somma cortesia somma honestate»; e Bembo, Rime, V, 12: «giunta a somma beltà somma onestade».

 

14. da le sante contrade: del cielo. Cfr. Bembo, Rime, CXLII, 4: «da le sempre beate alme contrade».

 

16-17. salute ti manda: ti saluta. Giuliano risponde così alla richiesta di Filiberta di ricevere da lui almeno un segno di affetto («la pietà almen cortese mi ti presti», canz. IV, 24).

 

20. al tuo parer: «La vita prima della morte di Giuliano poteva sembrare felice a lui, con l’ottica terrena; ma felice, con l’ottica della realtà soprannaturale, è ora per Giuliano solo la vita eterna» (Santoro).

 

23. se non quanto: se non fosse che.

 

24. querele: lamenti.

 

26. ogni affetto rio: ogni sentimento di dolore. — tolto: impedito.

 

28. sentendo tu: se tu sentissi, avvertissi.

 

28-29. di millel’una: anche soltanto la millesima parte.

 

30-31. ch’amando… rallegrarti: cfr. Petrarca, RVF, CCCLIX, 18-22: «sì forte ti dispiace / che di questa miseria sia partita, / et giunta a miglior vita; / che piacer ti devria, se tu m’amasti / quanto in sembianti et ne’ tuoi dir’ mostrasti».

 

32-33. tanto più… fortune: tanto più che quando, morendo, ti allontanerai salva dalle amare vicende del mondo terreno.

 

34-35. commune… meco: avrai da godere del mio stesso gaudio (v. 31).

 

37 sgg. «Comincia di qui l’exhortatio che si stenderà fino alla sesta strofe, una exhortatio caratterizzata dalla indicazione della giusta via contro le fallaci seduzioni del mondo, e insieme dalla ferma fiducia nelle alte e incorruttibili virtù della donna» (Santoro).

 

40. altra: via. — torni: conduca.

 

43. partita: partenza.

 

45. e se… soggiorni: dopo la morte del marito, Filiberta si trasferì in Francia, dove trascorse in pia solitudine il resto della sua brevissima vita (morì a 25 anni nel 1523 a Virieu, nel Bugey).

 

46. mortale: corpo. Cfr. Dante, Purg., XXVI, 60: «per che ’l mortai per vostro mondo reco». — caldo e verno: cfr. Satira VII, 83-84: «… poi che al caldo e al gielo / con tutti i vènti trenta anni contesi»; e Fur., III, 51, 7-8: «la gente crederà che sia dal cielo / tornata Astrea dove può il caldo e il gielo». E cfr. Dante, Inf., III, 87: «ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo»; e Petrarca, RVF, XI, 13: «… et al caldo et al gielo»; e LXXVII, 13: «che fu disceso a provar caldo et gielo». E si veda qui son. VII, 4: «e lieto e verde al caldo e al giaccio vive».

 

48. verso: a paragone di.

 

50-51. Volga… aggira: per l’immagine, cfr. Fur., XL, 65, 5-8: «Fur le gente africane e rotte e sparte / …e da la cima / de la volubil ruota tratte al fondo, / come piacque a colei ch’aggira il mondo». E cfr. son. VI, 13-14: «perché Fortuna la sua ruota volga, / com’a lei par…»; e cap. XIII, 2: «alto o basso Fortuna che mi ruote».

 

53. declinando: deviando.

 

55-57. Non abbia… spalle: «il ritrovare lo stretto calle impedito di spine e di sassi non abbia forza di farti dar le spalle, cioè la difficoltà della via, piena di sassi e ingombra di spine, non t’induca a ritrarti indietro» (Fatini).

 

58. santo monte: della virtù. — poggi: sali. Per l’uso di questo verbo, cfr. Fur., XX, 144, 3: «né per o poggiar monte o scender valle»; e son. Vili, 10: «temo non poggi sì, ch’arrivi in loco». Tutta questa quarta stanza è visibilmente percorsa da rinvii ed echi danteschi.

 

59. valle: mondo terreno. È la «valle di lacrime» di biblica memoria («gementes et flentes in hac lacrymarum valle»); qui è «infida, perché è piena d’insidie, mal sicura, perché difficile a percorrersi» (Fatini). Cfr. Petrarca, RVF, XXVIII, 11: «… questa oscura valle».

 

61-62. le piagge… poggi: le allettanti bellezze della natura.

 

63. non t’allentino: non ti inducano a rallentare il cammino.

 

65. trita: battuta.

 

67. se forse… discerpi: se pure non vi laceri (discerpi, da «discerpere», latinismo) il fragile, mortale corpo (fragil ve/). Per velo = corpo, cfr. Petrarca, RVF, CCLXIV, 114: «… lo corporeo velo»; e CCCII, 11: «e là giuso è rimaso, il mio bel velo»; ecc.; e Tr. Et., 143: «che poi ch’avrà ripreso il suo bel velo».

 

68. velenosi serpi: le insidiose tentazioni mondane. 69-70. per le verde… campagne: cfr. Petrarca, Tr. Cup., IV, 122-23: «… et eran le sue rive / bianche, verdi, vermiglie, perse e gialle».

 

72. tra’ fiori… ascosi: cfr. Dante, Inf., VII, 84: «… occulto come in erba l’angue»; e Petrarca, RVF, XCIX, 5-8: «Questa vita terrena è quasi un prato, / che ’l serpente tra’ fiori et l’erba giace; / et s’alcuna sua vista agli occhi piace, / è per lassar più l’animo invescato»; e Tr. Cup., III, 157: «so come sta tra’ fiori ascoso l’angue». Ma si ricordi ovviamente Virgilio, Ecl., III, 93: «… latet anguis in herba».

 

75. dolci risi: sintagma petrarchesco: cfr. RVF, XLII, 1: «Ma poi che ’l dolce riso humile et piano»; CXXIII, 1: «Quel vago impallidir che ’l dolce riso»; CXXVI, 58: «e ’l volto e le parole e ’l dolce riso»; ecc.

 

77-78. sì che… mondo: «al punto da essere ancora prigioniera (captiva) degli interessi e delle passioni del mondo» (Santoro).

 

78. e il fervor… gelo: e il desiderio intenso (c’hai di salir al cielo, v. 79) si tramuti in gelo, si raffreddi.

 

83-85. tesor… inganno: «un tesoro per il quale nessun dubbio avrai che ti sia tolto dal tempo o dall’inganno della fortuna» (Fatini). 86-87. un anno… sei: cfr. Petrarca, RVF, CCVI, 53: «tre volte et quattro et sei».

 

93. altra teda: altro matrimonio; in latino taeda indica letteralmente la fiaccola nuziale.

 

102. arrogi: aggiungi. Cfr. Petrarca, RVF, L, 53: «et duolmi ch’ogni giorno arroge al danno».

 

103. l’oro e l’ostro: cfr. Petrarca, RVF, CCCXLVII, 4: «et d’altro ornata che di perle o d’ostro».

 

104. culti: onori.

 

106-8. di costanzia… raro: per questa apologia delle “rare” qualità della «costanzia», della «fede» e della «castità» femminili, cfr. in Fur., XXIX, 26, 5-8, l’elogio di Isabella morta per difendere la memoria di Zerbino: «Alma, ch’avesti più la fede cara, / e ’l nome quasi ignoto e peregrino / al tempo nostro, de la castitade, / che la tua vita e la tua verde etade».

 

109 sgg. «In questa seconda parte della canzone il poeta concilia, con sottile artificio compositivo, due diversi, e distanti, motivi strutturali: l’esaltazione della “virtù” di Filiberta nella solenne “consolatoria” di Giuliano, e, insieme, la celebrazione dei congiunti più potenti e gloriosi delle famiglie dei Medici e dei Savoia» (Santoro).

 

110. Ottoni: «perché i Savoia si facevano derivare, specialmente nel sec. XVI, da Ottone II di Sassonia» (Segre).

 

113. Filippi… Amidei: nomi propri di principi di casa Savoia (con Ami sono designati ancora gli Amidei, gli Amedei).

 

114-16. la robusta… Gallia: la Francia aveva infatti mostrato sempre molta ostilità nei confronti dei propri vicini; sulle guerre combattute dai Francesi in Italia vd. le dure considerazioni dell’Ariosto in Fur., XXXIII, 7-12.

 

118. Alobrogi: gli Allobrogi, antico popolo montanaro stanziato tra il Rodano, l’Iser e il lago di Ginevra.

 

119-21. e de’ lor… Calpe: ampia perifrasi per significare quanto la fama dei Savoia si fosse diffusa in tutto il mondo: dall’estremo limite meridionale (Nilo) all’estremo limite settentrionale (Boristene, odierno Dnepr, fiume tributario del Mar Nero), dall’estremo limite orientale (Idaspe, fiume indiano) all’estremo limite occidentale (il mar di Calpe: Calpe è un alto monte sullo stretto di Gibilterra).

 

122. ti palpe: ti tocchi, ti lusinghi.

 

124-26. di veder… congiunto: di vedere elevato al trono di Francia un tuo congiunto, cioè Francesco I (1494-1547), figlio di Carlo d’Angoulême e di Luisa di Savoia, che era sorella di Filiberta. La proclamazione avvenne nel gennaio 1515. — fiore.. d’oro: il fiordaliso, o fiore dei gigli d’oro, compariva nello stemma regale francese già nel sec. XII.

 

128-30. quel tempo… monti: Francesco I concesse il titolo di duca di Nemours (Namorse) a Giuliano, dando il ducato in dote a Filiberta.

 

131-33. il freno… diffende: governò la Toscana (allorché Giuliano tenne la signoria di Firenze). La perifrasi risente di Petrarca, RVF, CXLVI, 13-14: «… il bel paese / ch’Appennin parte, e’l mar circonda et l’Alpe».

 

134-37. Né tanto… ti fu: «né ha tanta importanza da giungere al valore della tua virtù il fatto che ti sia stato suocero quel toscano Lauro (Lorenzo de’ Medici), onore delle fronti erudite» (Segre). Il Magnifico (1449-92), padre di Giuliano, fu — com’è noto — grande mecenate e letterato.

 

137-39. le cui mediche… ristauro: la cui azione politica, ispirata alla conservazione della pace (come sarà detto ai vv. 142 sgg.), riuscì spesso a sanare le piaghe dell’Italia (lotte, ambizioni, contrasti interni), a causa delle quali essa sarebbe poi morta politicamente.

 

140. all’Indo e al Mauro: al fiume Indo (confine orientale) e al Marocco (confine occidentale): cioè a tutto il mondo. Cfr. Petrarca, RVF, CCLXIX, 4: «… dal mar indo al mauro»; e cfr. qui cap. III, 6: «o fusse all’Indo o fusse al lito mauro».

 

143. il tempio de le guerre: il tempio di Giano, che restava aperto solo in caso di guerra.

 

144. ’l serre: lo chiuda.

 

145 sgg. «Qui, a differenza delle strofe precedenti, la strofe si apre con il riconoscimento dell’onore che viene a Filiberta dalla parentela con Leone X; ma poi, nella seconda metà della strofe, viene riaffermata, con vigore, l’impareggiabile eccellenza della virtù» (Santoro).

 

145-46. cognata… dica: Leone X (1475-1521) era fratello di Giuliano e quindi cognato di Filiberta. «Il matrimonio fu voluto per ragioni politiche dal pontefice, il quale, appena eletto, aveva perfino troncato le trattative di matrimonio di Giuliano con la figliola del Marchese di Massa, per esser libero nella ricerca e nella conclusione d’un parentado più illustre e più utile alla sua politica» (Fatini).

 

147-48. che fa… tremar: che incute terrore alle nazioni abitate dai popoli infedeli. Cfr. Petrarca, RVF, XXVIII, 30: «fa tremar Babilonia, et star pensosa».

 

149. l’Afro: il sultano ottomano Selim I (1467-1520), contro il quale il papa aveva ordito il progetto, per altro mai portato a compimento, di organizzare una crociata. Per questo motivo, il sultano è qui raffigurato in procinto di rifugiarsi dall’Europa nella calda (aprica) Etiopia, con il proprio esercito e con la corte impaurita (col gregge e con la pallida famiglia, v. 150).

 

153. verso… remugge: verso le cateratte del Nilo. Remuggere è verbo intensivo di muggire, “produrre un rumore assordante”.

 

155. affinità: parentela.

 

157. pareggi: eguagli.

 

163-64. Quel cortese… Bibiena: il cardinale Bemardo Dovizi (1470-1520), detto il Bibbiena dal nome della località toscana, sita nel Casentino, che gli dette i natali. Amico di Giuliano e servitore tra i più stretti e fidati di casa Medici (a Leone X dovette il conferimento del cardinalato), fu letterato assai noto, soprattutto per la commedia Calandria. Su di lui cfr. il profilo di C. Dionisotti, Ricordo del Bibbiena [1970], in Machiavellerie. Storia e fortuna di Machiavelli, Torino, Einaudi, 1980, pp. 155-72. Il Bibbiena venne celebrato dall’Ariosto nel Furioso: cfr. XXVI, 48, 5-8: «Quivi un Bernardo tra’ primi si lesse, / che Merlin molto nel suo scritto apprezza. / — Fia nota per costui (dicea) Bibiena, / quanto Fiorenza sua vicina e Siena — »; tuttavia, giudizi completamente diversi si leggono nella Satira III, 181-83, e nella Satira VII, 40-42 e 98-99, da cui si ricava che l’Ariosto dovette trarre dal comportamento dell’amico più di un motivo di delusione, dopo aver confidato invano nel suo aiuto disinteressato.

 

171. rapporti: riferisca (come nella canz. IV, 125: «piacesse ai venti almen di rapportarli»).

SONETTI

VI.

Interpretazione simbolica di due fiori, il giglio e l’amaranto, che abbelliscono la veste di una «vergine illustre». Su questa elegante inclinazione ariostesca a ricercare il significato nascosto di elementi figurativi, cfr. canz. I, 100-10, dove il poeta tenta di scoprire il «senso ascoso» dei due tralci di vite ricamati sul «serico abito nero» di Alessandra. Fatini ricorda che dagli antichi commentatori questo sonetto viene riferito «ad una Vergine d’illustre famiglia, travagliata dalla Fortuna d’intorno alla sua honestà. Et perché fu costante et invitta vestiva di color di Giglio et d’Amaranto, cioè di bianco e di rosso, per significare la purità et la costanza dell’ammo suo». — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDE.EDC.

 

 

1. Non senza causa: non senza motivo. — giglio: simbolo di purezza. — amaranto: sta ad indicare la costanza. I due fiori sono qui descritti come se insieme costituissero un’«impresa» (vd. nota a canz. I, 108).

 

4. sacro: perché, secondo Salza, il sonetto fu dedicato ad una giovane gentildonna (forse una Gonzaga) che aveva deciso di farsi monaca.

5. altro tanto: altrettanto.

 

9. egli: l’amaranto.

 

9-10. fuor… germe: diversamente dalla consuetudine di ogni altra qualità di fiore.

 

11. dal natio umor: dal terreno nativo.

 

13. perché… volga: per quanto la Fortuna giri la sua ruota. Cfr. canz. V, 50-51: «Volga Fortuna il perno / alla sua ruota in che i mortali aggira»; e cap. XIII, 2: «alto o basso Fortuna che mi ruote».

VII.

Per una donna di nome Ginevra: forse Ginevra Malatesta, ricordata in Fur., XLVI, 5, 5-6: «Ecco Genevra che la Malatesta / casa col suo valor sì ingemma e inaura»; o forse Ginevra Rangoni, moglie di Giangaleazzo da Correggio, anch’essa lodata nel Furioso: cfr. XLVI, 3, 5: «Mamma e Ginevra e l’altre da Correggio»; o forse ancora la fiorentina Ginevra Lapi. Nell’ultimo verso è il senhal «genebro», sulla falsariga della celeberrima equivalenza petrarchesca Laura-lauro. — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDC.DCD.

 

2. orridi: latinismo per “ispidi”, “appuntiti”.

 

3. i pin… mirti: cfr. Petrarca, RVF, CXLVIII, 5: «non edra, abete, pin, faggio o genebro».

 

4. al caldo e al giaccio: in estate e in inverno (il ginepro, com’è noto, è un arbusto sempreverde). La forma giaccio è frequentissima nell’Ariosto, allo stesso modo di forme tipo cingial (cinghiale), cingie (cinghie), giande (ghiande), ecc.

 

7-8. da curi.. l’estive: dal seguire le quali prescrizioni (termine e leggi, v. 6) non potrebbero ritrarmi gli ostacoli più gravi: né Scilla, né Sirti, né il freddo dell’inverno, né il caldo dell’estate (o le brumali ore o l’estive ). — Scille: Scilla è una scoscesa rupe della costa càlabra, a poco oltre 70 metri sullo stretto di Messina. — Sirti: banchi di sabbie mobili, di grande insidia per i naviganti.

 

9. di pianeta: delle stelle.

 

10. lunghe… sproni: i faticosi studi letterari o gli stimoli amorosi.

 

11. ad onorata meta: alla gloria dell’arte poetica.

 

13. lor frondi: le fronde di alloro, segni distintivi tanto di Febo quanto di Bacco.

VIII.

«Teme del suo pensiero che, mirando a troppo alto oggetto, non s’infiammi fino a consumarsi» (Fatini). Il sonetto «potrebbe forse essere attribuito alla fase più “giovanile” del poeta», poiché al radicale (e tutto tardo-quattrocentesco) sfruttamento di artifici tecnici come l’assonanza e l’allitterazione «corrisponde la scelta della “materia”, vicina all’intricato e peregrino concettismo “cortigiano” nella fusione di due metafore tipiche di quella poesia: il paragone con Icaro, lungamente protratto secondo la più minuta casistica erotico-mitologica, ed il tópos del fiume e delle lacrime, posto a suggello del componimento, con l’allitterazione finale che scandisce il tono paradigmatico della conclusione. “Forma” e “materia” si accordano così per limitare il sonetto entro l’area del virtuoso impegno intellettualistico, secondo una disposizione lirica che ancora rinvia alla tecnica ed alle ardite proposte concettuali della officina di un Tebaldeo» (Fedi). Per Santoro, la stesura del sonetto è da ritenersi invece cronologicamente più prossima alla composizione della canz. II, quasi sicuramente per la Benucci. — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDC.DCD.

 

 

2. angue: serpe.

 

3. egli: il pensiero, paragonato ad Icaro, il leggendario figlio di Dedalo. Icaro saldò con la cera al proprio corpo due ali di piume di uccello, ma, volando poi troppo vicino al sole (che liquefece la cera), precipitò in mare.

 

4. face: fiamma.

 

5. quelle: le ali (ogg. di spiega, v. 6). — del desir… seguace: seguendo il desiderio.

 

7-8. duolmi… tace: «mi duole che poco importa alla ragione che dovrebbe opporsi ad esso, e invece lo sopporta in silenzio» (Santoro).

 

9. vaghezza: desiderio. — celeste lume: <do splendore della sua donna» (Fatini).

 

10. poggi: salga. Cfr. canz. V, 58: «al santo monte per cui al ciel tu poggi».

IX.

Nucleo tematico del sonetto è l’identificazione amore-prigione, di ascendenza petrarchesca, ma con una notevole accentuazione dei risvolti più strettamente erotico-sensuali (su questa linea si muovono pure altri compunimenti, come i sonn. XII, XIII e XXXIII). Secondo Georges Güntert, il laccio, il nodo e il carcere sono, «più che un motivo erotico legato alla poesia d’amore, le immagini fondamentali per l’Ariosto, che concepisce l’umana esistenza come un continuo alternarsi di liberazioni e restrizioni, secondo la legge fatale di un tempo-fortuna alterno, cioè circolare (“la ruota”), antico, pagano». Cfr. G. Güntert, Per una rivalutazione dell’Ariosto minore: le Rime, in «Lettere italiane», XXIII (1971), p. 39. — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDC.CDC.

 

1. La rete: formata di fila d’oro, cioè dei biondi capelli della donna (forse Alessandra).

 

2. pensier vago: pensiero vagante, errante. L’espressione è petrarchesca: cfr. RVF, LXII, 13: «reduci i pensier’ vaghi a miglior luogo».

 

3-4. e queste… fôro: «le ciglia della sua donna furono l’arco, onde scoccò il dardo (isguardi) il feritor, cioè gli occhi» (Fatini). Cfr. Petrarca, RVF, CXXXIII, 5: «Dagli occhi vostri uscio ’l colpo mortale».

 

5. per loro: a causa loro.

 

7. forte: dura, rigorosa.

 

8. chi ferimmi: gli occhi. — chi mi prese: la donna.

 

11. languendo godo: ricorda Petrarca, RVF, CLXXV, 7: «acceso dentro sì ch’ardendo godo». — di morirdisio: cfr. Petrarca, RVF, LXXIII, 44: «et quando a morte disiando corro».

 

12-13. il piacer… morir: cfr. Petrarca, RVF, CCXXIX, 12-13: «Viva o mora o languisca, un più gentile / stato del mio non è…».

 

14. pio: pietoso.

XIII.

Sullo stesso tema del precedente. «La vita, così come l’amore, è essenzialmente servitù, carcere, prigionia: ma allietata da amore diventa un “carcere soave”, e si noti qui tutto il peso del “ma” ariostesco, concessivo, antitetico, come lo è appunto quella sua liberazione solo temporanea, entro i muri di una prigionia a vita. Il sonetto […] è tutt’altro che una poesia d’occasione, da leggere in chiave autobiografica […]. Come gran parte delle Rime, escluse forse solo quelle encomiastiche, il sonetto XIII meriterebbe il titolo di poesia esistenziale poiché di rado ci è dato percepire così il “Lebensgefühl” dell’Ariosto, più che affermativo, esuberante, ma senza che trabocchi» (Güntert). Inaccettabile dunque la fantasiosa interpretazione “autobiografica” del Turchi, commentatore cinquecentesco, secondo cui «quando il poeta fece questo sonetto era stato rinchiuso dalla sua donna quasi che in prigione in una stanza, per fuggir qualche dubbioso accidente (come sovente avviene a gli innamorati) insino a tanto ch’Amore portasse a’ loro desideri comodità più tranquilla» (in Rime et Satire di M. Lodovico Ariosto da lui scritte nella sua gioventù con l’annotationi intorno a’ concetti et brevi dichiarationi d’alcune historie che in esse si contengono di M. Francesco Turchi Trevigiano , Venezia, Giolito, 1567; cit. da L. Baldacci nella sua ant. Lirici del Cinquecento, Milano, Longanesi, 19752, p. 196). — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDE.CDE.

 

1. Aventuroso: fortunato, felice.

 

3. distretto: rinchiuso.

 

4. dolce mia nemica: cfr. Petrarca, RVF, CCII, 13: «di quella dolce mia nemica et donna»; CCLIV, 2: «de la dolce et amata mia nemica»; ecc. E cfr. Boiardo, Amorum Libri, I, 36, 9-10: «Perdon m’ha dato ed hami dato pace / la dolce mia nemica…».

 

5. gli altri prigioni: gli altri prigionieri, i prigionieri comuni.

 

8. grave: severa.

 

9-10. complessi licenzïosi: «abbracci liberissimi, incuranti d’ogni limite» (Innamorati).

 

12-13. ma dolci… volte: ovvio il rimando a Catullo, Carm., V, 7-9: «Da mi basia mille, deinde centum, / dein mille altera, dein secunda centum, / deinde usque altera mille, deinde centum».

 

14. e, se potram… pochi: e, fintanto potranno contarsi, saranno ancora pochi. Cfr. Properzio, El., II, 15, 50: «omnia si doderis oscula, pauca dabis».

XVII.

«Gli occhi della sua donna lo inebriano di dolcezza; ma quando non può vederla, il dolore lo assale togliendogli anche il ricordo del passato piacere. […] È uno dei pochi sonetti dell’Ariosto veramente belli in cui il poeta par che si culli in un mare di beatitudine anche quando dice di essere afflitto» (Fatini). — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDC.DCD.

 

1. Occhi… miro: lo spunto è da Petrarca, RVF, XIV, 1: «Occhi miei lassi, mentre ch’io vi giro»; la rielaborazione investe lo spostamento dell’oggetto tematico dagli occhi del poeta stesso a quelli di Madonna. Seguendo Fatini, Segre collega il concetto espresso ai vv. 1-8 a Petrarca, RVF, XVII (Piovonmi amare lagrime dal viso).

 

2. dolcezza inefabil: cfr. canz. I, 145: «l’inefabil dolcezza».

 

3. c’ha seco il vento: che è sospinto da vento favorevole. La similitudine del falcone è in Petrarca, Tr. Temp., 32-33: «… più veloce assai / che falcon d’alto a sua preda volando». Ma cfr. anche Dante, Inf., XVII, 127: «Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali»; XXII, 131: «quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa»; Purg., XIX, 64: «Quale ’l falcon, che prima a’ piè si mira» ; e Par., XVIII, 45: «com’occhio segue suo falcon volando». L’immagine del falcone è anche, qui, in canz. I, 149 sgg.

 

5. luci: occhi.

 

6. amaricato: afflitto. Per l’arcaismo Santoro rimanda a lacopone, Gaudi , XLI, 47: «dame tua entenzione con pianto amaricato».

 

8. ne va: se ne va, si dilegua.

 

9. vago: desideroso.

 

10-11. s’io sentissi… imago: «se il fatto di tenervi scolpita in cuore fosse a me di tanto giovamento che uguagliasse il bene di vedervi» (Baldacci).

 

12. Invidia… vi attrista: è certo segno di invidia se il mio godere nel mirare voi vi crea molestia.

 

13. quello… m’appago: il contemplarvi, dalla qual cosa io traggo appagamento.

 

14. a voi perde: vi toglie.

XX.

Descrive l’apparizione di Alessandra su una riva del Po in un giorno di tempesta, allorché dia si trovava in una villa degli Strozzi (forse quella di Reccano): l’apparizione fu tanto luminosa da recare subito, prodigiosamente, il sereno. Più di una analogia corre tra questo componimento e il son. Fiume, onde armato il mio buon vicino bebbe del Bembo (CII), in cui «la donna, mentre risale in barca il fiume, è sorpresa e involta da uno scroscio temporalesco; poi subito il cielo su di lei si rifà chiaro e puro» (Dionisotti). Ma il raffronto «vale a misurare la diversa tecnica compositiva (e la diversa resa poetica) del sonetto ariostesco, strutturato sul deciso contrasto tra paesaggio tempestoso (le due quartine) e la rasserenante apparizione di lei; gli stessi riferimenti mitologici (Fetonte, Leandro) qui sembrano assunti con la funzione di una suggestiva proiezione della realtà evocata su uno schermo favoloso» (Santoro). Secondo il giudizio, giustamente definito iperbolico, di Paolo Antonio Rolli (in Delle Satire e Rime di M. Ludovico Ariosto […], Londra, Pickard, 1716), non fu mai scritta «poesia più sublime» di questa. — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDE.EDC.

 

1 sgg. Per le due quartine, cfr. Fur., XVIII, 142: «Stendon le nubi un tenebroso velo / che né sole apparir lascia né stella. / Di sotto il mar, di sopra mugge il cielo, / il vento d’ogn’intomo, e la procella / che di pioggia oscurissima e di gelo / i naviganti miseri flagella: / e la notte più sempre si diffonde / sopra l’irate e formidabil onde».

 

5. di pioggia… gelo: dubbioso se attendermi una pioggia o una grandinata.

 

7-8. del fiume… Delo: del Po, che nel proprio letto nasconde il sepolcro di Fetonte, figlio del Sole-Apollo (figlio audace del signor di Velo) e fratello delle Eliadi. Fetonte volle guidare il carro del padre, ma per imperizia incendiò cielo e terra, finendo punito da Giove che fulminandolo lo fece precipitare nel fiume (cfr. Ovidio, Met., II, 1-400). Il mito è ricordato dall’Ariosto anche in Fur., III, 34, 2-6: «… sul fiume / dove chiamò con lacrimoso plettro / Febo il figliuol ch’avea mal retto il lume, / quando fu pianto il fabuloso elettro, / e Cigno si vesti di bianche piume». Cfr. pure Satira III, 109-11: «Una stagion fu già, che sì il terreno / arse, che ’l Sol di nuovo a Faetonte / de’ suoi corsier parea aver dato il freno»; e cfr. qui cap. I, 47-48: «le Eliade proprio gli parea vedere / in ripa al fiume richiamar Fetonte».

 

11. che Leandro… giorno: che avrebbero potuto spingermi quel giorno ad attraversare a nuoto il Po, allo stesso modo del giovane Leandro di Abido che si tuffava ogni notte nell’Ellesponto per raggiungere a Sesto, sull’altra sponda dello stretto, l’amata Ero, sacerdotessa di Venere (cfr. Ovidio, Her., XVIII, Leander Heroni).

 

12-14. E tutto… fiume: cfr. Boiardo,, Amorum Libri, I, 6, 9-14: «Dovunque e’ passi move on gira il viso / fiamegia un spirto sì vivo d’ainore / che avanti a la stagione el caldo mena. / Al suo dolce guardare, al dolce riso / l’erba vien verde e colorito il fiore / e il mar se aqueta e il ciel se raserena». — tutto a un tempo: repentinamente.

XXIII.

«Prega Iddio perché lo sciolga dai lacci amorosi e, accogliendo il suo pentimento, lo sottragga all’inferno. Appartiene al così detto gruppo di rime spirituali e di pentimento, che su l’esempio del Petrarca ogni poeta doveva mischiare con le poesie amorose. […] Essendo l’unica poesia spirituale scritta dall’Ariosto, vi fu chi pensò a dare un simile carattere al Furioso e a qualche sonetto» (Fatini). Non può sfuggire, comunque, l’accento posto sulla irresistibilità della passione («tu vedi quanto il cor nel laccio goda?», v. 4) e dunque, in ultimo, sull’impossibilità umana della redenzione («… sol trarlo [il cuor pentito] da l’inferno, / mal grado suo, puoi tu, Signor, di sopra», vv. 13-14). Nota molto bene Santoro, al riguardo, che il sonetto «è un’ulteriore prova dell’uso spregiudicato e realistico, da parte del poeta, del modello petrarchesco». — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDC.DCD.

 

3. gridando… sleghi: mentre la mia lingua grida che tu mi strappi dai lacci d’amore.

 

4. quanto… goda: cfr. son. IX, 9-11: «Per la dolce cagion del languir mio / o del morir, se potrà tanto ’l duolo, / languendo godo, e di morir disio».

 

5 sgg. «La preghiera continua, nella seconda quartina, con una più spiccata protesta di mondanità: il v. 6 risulta, nel contesto, senz’altro più marcato del precedente, ponendo l’ulteriore antitesi in posizione non più bilanciata ma singolarmente risolta verso il rifiuto della proposta di salvezza» (Fedi).

 

6. non mirar… nieghi: non badare al fatto che i miei sensi rifiutino ciò.

 

7-8. ma prima… proda: ma esaudisci questo mio desiderio prima che io muoia, prima che Caronte volga (pieghi) la sua barca (legno), carica della mia anima, verso la riva infernale dell’Acheronte (alla dannata proda ). Per il riferimento a Caronte, cfr. naturalmente Dante, Inf., III, 82 sgg.

 

10. l’usanza ria: la cattiva abitudine dei piaceri terreni. Per l’espressione, cfr. Petrarca, RVF, LXXXI, 1-2: «Io son sì stanco sotto ’l fascio antico / de le mie colpe et de l’usanza ria».

 

10-11. che par… discerno: cfr. Petrarca, RVF, CCCXXIX, 12-13: «ma ’nnanzi agli occhi m’era post’un velo / che mi fea non veder quel ch’i’ vedea». — discerno: distinguo.

 

14. mal grado suo: contro il suo volere. «Il conflitto dell’esistenza, basilare dello spirito petrarchesco dal Secretum alla canzone alla Vergine, viene per così dire disciolto nella pacata accettazione dell’antitesi del peccatore salvato contro volontà, e nell’immagine ben poco emblematica del Signor di sopra, che toglie gravità al componimento, trasferendo il travaglio spirituale in una sfera umanizzata e terrena» (Fedi).

XXXI.

«Non avendo ricavato alcun vantaggio dalle sue rime, comprende esser meglio per lui tacere che continuare a dilettare gli altri con la descrizione delle sue pene» (Fatini). — Schema metrico: ABBA.AB BA.CDC.DCD.

 

1. di mercé: di essere contraccambiato.

 

5. arguti: armoniosi. Cfr. Fur., VIII, 29, 1-2: «Signor, far mi convien come fa il buono / sonator sopra il suo instrumento arguto».

 

6. lor cor: i cuori delle alte bellezze del v. 4, cioè delle donne (v. 9) amate e cantate.

 

8. valor: forza.

 

10. poi che… altr’uso: poiché i miei versi non hanno ricavato altro guadagno. Uso nel significato di “utile”, “guadagno”, è anche in Fur., XVII, 34, 7-8: «Ai tempi suoi gli apriva e tenea chiuso, / per spasso che n’avea, più che per uso».

 

12. Falare: a Falaride (VI sec. a.C.), tiranno di Agrigento, Perillo, un abile artefice ateniese di metalli, costruì un toro di rame per potergli permettere di udire trasformate in melodiosi muggiti le grida di sofferenza dei condannati rinchiusi nel suo ventre arroventato; per propria disgrazia, Perillo fu il primo a collaudare l’orribile marchingegno. Cfr. Dante, Inf., XXVII, 7-12: «Come ’l bue cicilian che mugghiò prima / col pianto di colui, e ciò fu dritto, / che l’avea temperato con sua lima, / mugghiava con la voce de l’afflitto, / sì che, con tutto che fosse di rame, / pur el pareva dal dolor trafitto». E cfr. Ovidio, Trist., III, XI, 41-54; e Orosio, Adv. pag., I, XX, 1-4. — mi v’escuso: mi scuso con voi.

 

13. quel: Perillo.

 

13-14. per udire dolce doler: affinché fosse udito il suo dolore, dolce per Falaride e per coloro che erano fuori del toro.

XXXV.

Quasi sicuramente composto durante il soggiorno in Garfagnana, mette l’accento sulla sofferenza del poeta per la lontananza da Alessandra: sullo stesso motivo sono imperniati, oltre che il sonetto precedente, anche il son. XIX e il cap. V; e cfr. Satira IV, 20-24: «… maraviglia / abbi che morto io non sia ormai di rabbia / vedendomi lontan cento e più miglia, / e da neve, alpe, selve e fiumi escluso / da chi tien del mio cor sola la briglia». Il componimento fu attribuito da Girolamo Baruffaldi a Gabriele Ariosto, fratello di Ludovico, nella raccolta Rime scelte de’ poeti ferraresi antichi e moderni, Ferrara, Pomatelli, 1713, p. 81; tale attribuzione è stata riaffermata in tempi più recenti da Roberto Chittolina nel suo studio Sulle Rime dell’Ariosto: problemi di attribuzione, in «Studia Ghisleriana», serie II, III (1967), pp. 296-311. — Schema metrico : ABBA.ABBA.CDE.CDE.

 

1. fuor d’ogni ben: cfr. son. XXXIV, 1: «Privo d’ogni mio ben…».

 

2. aspri… sassi: cfr. Satira VII, 118-19: «Più tosto di’ ch’io lascierò l’asprezza / di questi sassi…».

 

3. dubbiosi passi: il sintagma è anche in Petrarca, Tr. Cup., 111, 110: «seguendo lei per si dubbiosi passi»; e cfr. RVF, CXXVI, 21-22: «se quella spene porto / a quel dubbioso passo».

 

4. d’empia, ardente voglia: cfr. Petrarca, RVF, CCXC, 13: «… et l’empia voglia ardente».

 

7. gli occhi umidi e bassi: cfr. ancora Petrarca, RVF, CCCVI, 7: «porto’l cor grave et gli occhi humidi et bassi».

 

12. querele: lamenti.

 

13. atre: oscure.

XXXVII.

In memoria di Pandolfo Ariosto, cugino e amico del poeta, morto tra il 1506 e il 1507 in età ancor giovane («per cui sì verde in sul fiorir si schianta / sì gentil ramo…», vv. 6-7). Il cugino fu dedicatario di due carmi latini (Ad Pandulphum, II, e Ad Pandulphum Areostum, VI); la sua scomparsa venne rievocata anche nella Satira VI, 217-25: «Quel, la cui dolce compagnia nutrire / solea i miei studi, e stimulando inanzi / con dolce emulazion solea far ire, / il mio parente, amico, fratello, anzi / l’anima mia, non mezza non, ma intiera, / senza ch’alcuna parte me ne avanzi, / morì, Pandolfo, poco dopo: ah fera / scossa ch’avesti allor, stirpe Ariosta, / di ch’egli un ramo, e forse il più bello, era!». Per notizie su Pandolfo, cfr. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto, cit., I, pp. 144 sgg. — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDE.CDE.

 

2. svelta: sradicata, strappata.

 

2-3. una più santa… pianta: «L’immagine della pianta con quei tre aggettivi “santa, amica, dolce” si appesantisce di un che di artificioso, che fortunatamente, sotto l’amarezza del cuore, diventa più agile nei versi seguenti, la cui eco più tardi risuonerà maggiormente affettuosa nel passo della satira» (Fatini).

 

5. torte: ingiuste.

 

9. secretario antico: confidente da lungo tempo. Cfr. Petrarca, RVF, CLXVIII, 1-2: «Amor mi manda quel dolce pensero / che secretario anticho è fra noi due»; e cfr. anche, in prospettiva, Tasso, Gerus. Lib., VI, 103, 5-8 (ed. Caretti, Torino, Einaudi, 1971): «L’innamorata donna iva co ’l cielo / le sue fiamme sfogando ad una ad una, / e secretari del suo amore antico / fea i muti campi e quel silenzio amico».

XXXVIII.

Questo sonetto caudato, ancora di genere encomiastico (come i sonn. VI-VII, XXXVI e XLI), «fu scritto dal poeta in occasione d’un duello seguito fra un soldato ferrarese, nominato Rosso della Malvasia, e un soldato spagnuolo, eletti dalle due parti a sostenere l’onore delle due nazioni, per aver detto un soldato italiano che gli Spagnuoli erano traditori dell’infelice duca d’Urbino. In questo duello, accaduto nel regno di Napoli [il 29 settembre 1517], il soldato spagnuolo rimase ucciso» (Molini). — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDC.DCD.dEE.eFF.

 

3-4. c’ha chiarito… Urbino: che ha dimostrato l’errore commesso, cioè il tradimento compiuto dalla Spagna nei confronti di Francesco Maria della Rovere (1490-1538), allorché questi fu spogliato da Leone X del ducato di Urbino (1516-17).

 

5. pellegrino: di rare virtù.

 

8. gli Orazi: i tre Orazi di Roma vinsero in un famosissimo duello i tre Curiazi di Alba Longa, durante il regno di Tullo Ostilio (sec. VII a.C.). — populo sabino: i Romani, «perché la fusione delle due genti era già avvenuta al tempo di Romolo e di Tito Tazio re dei Sabini» (Fatini).

 

9. cor: ardimento, coraggio (come al v. 2). Il verso ricorda Petrarca, Tr. Fame, I, 28: «gente di ferro e di valore armata».

 

14. cónte: conosciute.

 

16-17. le voglie… foco: «la iattanza di coloro (gli Spagnoli) che prima del fatto sfoggiavano un cuor di leone in vista del duello» (Segre).

 

19. dispone: pone, colloca.

 

20. parangone: esempio, modello. Cfr. Fur., IV, 62, 7-8: «costei, che per commune opinione, / di vera pudicizia è un paragone».

XXXIX.

Acre sfogo polemico contro il fattore ducale Alfonso Trotti, il quale avversò duramente l’Ariosto nel corso della disputa sorta tra il poeta e gli Estensi per il possesso dei beni del cugino Rinaldo Ariosto, morto nel luglio 1519. Sulla disputa, cfr. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto, cit., I, pp. 503 sgg. Si tratta di un altro sonetto caudato che, al pari del precedente, segna, «rispetto a tutti gli altri della raccolta, una esperienza del tutto diversa, collocandosi sulla linea della tradizione comicorealistica, rappresentata principalmente, nell’area ferrarese, dal Pistoia» (Santoro). — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDC.DCD.dEE.

 

1. Magnifico: è in senso ironico.

 

4. ti lasci di sotto: superi per eccellenza (il tono è sempre, ovviamente, sarcastico: vd. anche il sublime ingegno del v. 16).

 

5. Cosmico: nato a Padova attorno al 1420 e morto nel 1500, fu autore di numerosi componimenti di genere amoroso e morale, scritti secondo i canoni della lirica “cortigiana”. Fu citato dal Bembo come difensore di Dante nelle Prose, II, XX: «il Cosmico molto parea che si fondasse sopra la magnificenza e ampiezza del suggetto […], e sopra lo aver Dante molta più dottrina e molte più scienze per lo suo poema sparse, che non ha messer Francesco». Su di lui ci restano 23 poesie denigratorie (In Cosmicum patavinum carmina maledica) che Fatini, nella sua edizione delle Rime, considera di dubbia attribuzione ariostesca (cfr. Appendice I). Se è vero che l’Ariosto dedicò al Cosmico un commosso epitaffio (Hospes, siste parumper, hocque munus, XVI), è però anche vero che egli lo coinvolse, irridendolo non lievemente, tra quegli umanisti che per moda usavano latinizzare o grecizzare i propri nomi di battesimo (il Cosmico si chiamava in realtà Niccolò Lelio de la Comare): cfr. Satira VI, 58-61: «Il nome che di apostolo ti denno / o d’alcun minor santo i padri, quando / cristiano d’acqua, e non d’altro ti fenno, / in Cosmico, in Pomponio vai mutando». Sull’umanista veneto, cfr. V. Rossi, Niccolò Lelio Cosmico poeta padovano del XV secolo, in «Giornale storico della letteratura italiana», voi. XIII (1889), pp. 101-58; e R. Ricciardi, Niccolò Lelio Cosmico, in AA.VV., Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1984, XXX, pp. 72-77. — giotto: ghiotto. Cfr. Satira IV, 15: «de le cui frondi io fui già così giotto» ; e Satira V, 19-20: «e chi s’usa a beccar de l’altrui carne, / diventa giotto…». E si veda qui egl. I, 71-72: «più giotto a’ latronecci ed omicidi, / ch’al pampino le mie capre o le tue».

 

6. non creder sopra il tetto: non credere a Dio.

 

7-8. quel difetto… Lotto: la sodomia. Si narra nella Genesi, XIX, che dalla distruzione di Sodoma si salvò solo Lot (Lotto), mentre la moglie fu convertita in una colonna di sale per essersi voltata a guardare la città in fiamme. Sul vizio sodomitico, caratteristico di molti umanisti, l’Ariosto insiste nella Satira VI, 25-33: «Senza quel vizio son pochi umanisti / che fe’ a Dio forza, non che persüase, / di far Gomorra e i suoi vicini tristi: / mandò fuoco da cicl. ch’uomini e case / tutto consumpse; et ebbe tempo a pena / Lot a fugir, ma la moglier rimase / Ride il volgo, se sente un ch’abbia vena / di poesia, e poi dice: — È gran periglio / a dormir seco e volgierli la schiena — ».

 

9. Benedetto Bruza: il precedente fattore ducale degli Estensi.

 

10. asinesche: supponenti, arroganti. Cfr. Satira VII, 52-54: «Vi si vede anco che ciascun che ascende / comincia a inasinir le prime membre, / e resta umano quel che a dietro pende».

 

17. mitra: gioca sul doppio significato di “mitra” come copricapo cardinalizio e come cappello di carta appuntito che veniva posto sulla testa dei condannati alla gogna (cfr. Satira III, 307-9: «Quello altro va se stesso a porre in gogna / facendosi veder con quella aguzza / mitra acquistata con tanta vergogna»).

XLI.

Forse indirizzato a Vittoria Colonna (1490-1547), marchesa di Pescara, apprezzata poetessa e donna di profonda cultura e fede, molto vicina all’ambiente dei riformatori religiosi che operavano in Italia (Juan de Valdés, Bernardino Ochino, Pietro Carnesecchi, ecc.). Cfr. F. Alicarnasseo, Vita di Vittoria Colonna, in V. Colonna, Carteggio, a cura di E. Ferrero eG. Müller, 2a ed. con Supplemento a cura di D. Tordi, Torino, Loeschér, 1892, pp. 487-518; A. Reumont, Vittoria Colonna. Vita, fede e poesia nel secolo XVI, Torino, Loescher, 1883; A. Greco, Vittoria Colonna, in AA. VV., Letteratura italiana. I minori, Milano, Marzorati, 1961, II, pp. 977-86. Qui consolata dall’Ariosto per la morte del marito Ferrante Francesco d’Avalos (1490-1525), capitano dell’esercito imperiale, la Colonna fu ampiamente celebrata in Fur., XXXVII, 16 sgg. — Schema metrico: ABBA.ABBA.CDE.CED.

 

1-2. di valore ferma colonna: cfr. Petrarca, Tr. Mort., I, 3: «e fu già di valore alta colonna». Ferma colonna è pure, ma in altro senso, nel cap. I, 117: «riman’ del popul tuo ferma colonna».

 

5. furato: portato via. — ’l vostro primo amore: Ferrante, in morte del quale Vittoria compose un numero notevolissimo di poesie (cfr. ora l’edizione critica delle Rime, a cura di A. Bullock, Roma-Bari, Laterza, 1982).

 

6. fral suo velo: il corpo, fragile perché mortale. Cfr. canz. V, 67: «se forse il fragil vel non vi discerpi».

 

7. anzi il cangiar del pelo: prima che i suoi capelli diventassero bianchi, prima cioè di invecchiare. Ferrante morì a soli 35 anni nel dicembre 1525. in seguito alle ferite riportate nel corso della battaglia di Pavia. Per l’espressione, cfr. Petrarca, R VF, CCCXIX, 12: «et vo, sol in pensar, cangiando il pelo».

 

9. i vostri… rami: «non i figli (dal matrimonio di Vittoria Colonna con Ferrante d’Avalos non nacquero figli), bensì i discendenti delle due famiglie Colonna e d’Avalos che avevano in Vittoria un alto esempio di virtù» (Santoro).

MADRIGALI

CAPITOLI

I.

Pubblicato per la prima volta nel 1741 da Giovanni Andrea Barotti nella sua edizione Opere in versi e in prosa, italiane e latine, di Lodovico Ariosto […] (Venezia, Pitteri), il capitolo fu composto per la morte di Eleonora d’Aragona, moglie di Ercole I d’Este, avvenuta l’l1 ottobre 1493. Secondo alcune testimonianze storiche, sembra che Eleonora fosse stata uccisa proprio da Ercole I, il quale era venuto a conoscenza del fatto che la moglie intendeva avvelenarlo per conto del cognato Ferrante re di Napoli (cfr. J. Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia [1876], trad. it. di D. Valbusa, intr. di E. Garin, Firenze, Sansoni, 19806 p. 47). La morte della duchessa fu pianta anche da Battista Guarini (Funebris oratio in Excellentissimam Reginam Eleonoram Aragoniam), dallo storico Benvenuto da San Giorgio, da Battista Mantovano e da Ercole Strozzi (Pro diva Lianora Duce Ferr.). L’Ariosto celebrò la sua figura pure in Fur., XIII, 68: «De l’alta stirpe d’Aragone antica / non tacerò la splendida regina, / di cui né saggia sì, né sì pudica / veggio istoria lodar greca o latina, / né a cui Fortuna più si mostri amica: / poi che sarà da la Bontà divina / elletta madre a parturir la bella / progenie, Alfonso, Ippolito e Isabella». Tra i componimenti ariosteschi che possono essere datati in termini non approssimativi, il capitolo è quasi certamente quello di datazione più antica (l’Ariosto aveva allora appena 19 anni). Esiste, d’altra parte, tutta una tradizione critica che nega, in modo più o meno deciso, l’attribuzione del testo al poeta: cfr., ad esempio, G. Bertoni, L’«Orlando Furioso» e la Rinascenza a Ferrara, Modena, Orlandini, 1919, p. 297; M. Catalano, Autografi e pretesi autografi ariosteschi, in «Archivum romanicum», IX (1925), pp. 33-48; e Id., Vita di Ludovico Ariosto, cit., I, pp. 129-32. Anche Emilio Bigi, in un primo tempo, non ha avuto dubbi sul carattere apocrifo di questi versi, ritenendo che per ammetterne l’autenticità «occorrerebbe supporre, ed è supposizione certo non molto verosimile, che il redattore (sicuramente non identificabile, per ragioni calligrafiche, con l’Ariosto) del manoscritto in cui l’epicedio è conservato, abbia copiato da un ipotetico e perduto autografo ariostesco anche le correzioni che figurano nel manoscritto stesso», e concludendo che, più generalmente, non sono rintracciabili nell’opera «elementi tematici e stilistici che confermino davvero l’attribuzione al giovane Ludovico» (cfr. E. Bigi, Vita e letterutura nella poesia giovanile dell’Ariosto, in «Giornale storico della letteratura italiana, vol. CXLV [1968], p. 29; Io studio è ora in Id., Poesia latina e volgare nel Rinascimento italiano, Napoli, Morano, 1989, pp. 153-88). Ma successivamente Bigi si è mostrato più “possibilista” (cfr. Le liriche volgari dell’ Ariosto, in AA.VV., Ludovico Ariosto, Atti del Convegno Internazionale ecc., Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1975, p. 50; vd. ora lo studio in Id., Poesia latina e volgare nel Rinascimento italiano, cit., pp. 189-228), dopo che Roberto Chittolina ha considerato più che probabile l’autenticità del componimento (cfr. Sulle Rime dell’Ariosto: problemi di attribuzione, cit., pp. 296 sgg.). «L’epicedio esibisce lo schema e i più comuni motivi codificati dalla tradizione retorica del genere: dall’esordio alla visione del pubblico dolore, ai signa che presagiscono e accompagnano l’evento, alle lodi della scomparsa, e, quindi, alla distinzione tra il dolore della città, privata della sua protezione, e l’allegrezza di lei, ascesa alla beatitudine celeste, alla perorazione finale» (Santoro). — Schema metrico (lo stesso per tutti i capitoli): ABA.BCB.CDC… XYX.Y.

 

3. in altro…tempre: in uno stile diverso da quello usato nelle rime di genere amoroso. Per tempre, “accenti”, “note”, cfr. Petrarca, RVF, XXIII, 64: «né mai in sì dolci o in sì soavi tempre».

 

10. l’insegne: le bandiere di casa d’Este. «L’insegna principale degli Estensi era un’aquila bianca volante, in campo azzurro, originariamente, secondo alcuni, un falco […], simbolo della gagliardia e della potenza, emblema di Roma e dell’impero romano e germanico; una seconda insegna importante era rappresentata da due leoni con elmo alato, col motto Vuorbas, scritto in una fascia svolazzante tramezzo ai due animali […]; altre insegne erano i diamanti, simbolo dello splendore e della resistenza, il compasso, forse simbolo della ponderazione ed esattezza di chi tutto misura, l’alicomo o il liocorno, ecc.» (Fatini). Per tutto il verso, cfr. Petrarca, Tr. Mort., I, 30: «quando vidi una insegna oscura e trista».

 

14. di sua adorneza: di sua bellezza, di suo ornamento. Eleonora fu descritta dai contemporanei come «tanto adorna, gentile, gratiosa, humana, piacevole, riverente, ridente, peregrina, tuta apta, bene proportionata, cum duo occhij radianti in vixo che vengono dall’umbilico del paradiso».

 

16 sgg. L’immmagine dello straripamento del Po che presagisce ed accompagna il triste avvenimento riecheggia la celebre descrizione degli impressionanti prodigi che si verificarono in occasione della morte di Giulio Cesare, quale si legge in Virgilio, Georg., I, 466 sgg., e in Orazio, Carm., I, 2.

 

19. studio: cura.

 

20. all’infelice terra: dall’infelice terra.

 

22. opposto: ostacolo. — atterra: abbatte.

 

23-24. pur con ingegno…serra: «Il Po, con le opere di arginatura e di palificazione di fortuna, fu costretto nel letto consueto, impedendogli d’andare per le campagne; e fu costretto particolarmente là dove, dopo un mese circa e mentre durava tuttora la piena, si faceva guardia e si lavorava a tenerlo serrato dentro l’argine, sulla rotta insomma» (Bacchelli).

 

26. famoso cive: Giulio Cesare (100 - 44 a.C.).

 

29. quest’àltro: il Po.

 

29-30. di questa stella: di Eleonora.

 

32. ondârno: inondarono.

 

33. feron: atterrirono.

 

36. le feste e canti: «L’anno 1493 si distinse in Ferrara per le feste solenni che nel maggio si fecero per la venuta di Lodovico il Moro con Beatrice d’Este: giostre, tornei per vari giorni, rappresentazioni drammatiche, nonché per le altre feste del settembre quando il quindicenne Ippolito, allora in Ungheria, fu elevato al seggio cardinalizio» (Fatini).

 

37-39. Più segno…pianeta: un segno funesto ancora più preoccupante dell’apparizione di una cometa preannunciò quel giorno doloroso: un’eclissi solare. — lucido pianeta: il sole («omicida lucido d’Achille» è detto nella canz. I, 52).

 

40. per cui…allume: in virtù del quale il cielo ci illumina.

 

47. le Eliade: le Eliadi, sorelle di Fetonte, fatto precipitare nel Po da Giove che volle così punirlo per le conseguenze disastrose della sua incauta guida del carro del Sole. Le Eliadi piansero tanto il fratello, in riva al fiume, da essere trasformate dagli dei in pioppi, mentre le loro lacrime furono convertite in ambra (cfr. Ovidio, Met., II, 340-66). Si veda qui anche son. XX, 7-8: «del fiume altier che ’l gran sepolcro asconde / del figlio audace del signor di Delo».

 

52. si rinforzi: prenda ancora più forza. Cfr. Fur., XL, 20, 1-2: «Da tutti i canti risforzar l’assalto / fe’ il conte Orlando e da mare e da terra». 53-54. che, assai…tanto: «che per quanto si cerchi di renderlo pari alla grandezza della sventura, non sarà mai abbastanza grande» (Segre).

 

55. creschino…mortale: cfr. Petrarca, RVF, CCCI, 2: «fiume che spesso del mio pianger cresci».

 

56. croflino…fiequente: cfr. Petrarca, RVF, CCXXXVII, 23-24: «sospir’ del petto, e de li occhi escono onde / da bagnar l’erbe, et da crollare i boschi».

 

59. tu: Ferrara.

 

64. Non eri…presaga: cfr. Petrarca, RVF, CCXLII, 8: «o del mio mal participe et presago».

 

66. vaga: desiderosa. Eleonora «contribuì molto all’opera civile e artistica promossa da Ercole I, principalmente col suo mecenatismo e la sua bontà; così Niccolò da Correggio, Battista Guarini, Pandolfo Collenuccio ed altri scrittori furono da lei protetti» (Fatini).

 

68. lassando…spoglia: cfr. Petrarca, RVF, CCCI, 14: «lasciando in terra la sua bella spoglia».

 

70-72. sì che di noi.. voglia: per il concetto qui formulato, cfr. canz. V, 19-36. Per il v. 71, cfr. Petrarca, RVF, CCC, 7: «lo spirto da le belle membra sciolto».

 

76. si disacerba: si attenua. Cfr. son. V, 13: «ove ’l bel lume morte disacerba».

 

78. quasi in erba: l’espressione è anche in Petrarca, RVF, XXIII, 2: «…et anchor quasi in herba». Eleonora morì a 43 anni, essendo nata nel 1450.

 

79-81. Qual man…crine: richiama Petrarca, Tr. Mort., I, 113-15: «Allor di quella bionda testa svelse / Morte co la sua man un aureo crine: / così del mondo il più bel fiore scelse». Osserva Santoro: «Nel testo ariostesco notiamo due modifiche significative: la sostituzione della rosa a “il più bel fiore” (con la preferenza del referente concreto) e l’indicazione delle “pongenti spine” (in cui affiora simbolicamente la solita cognizione ariostesca di una realtà aspra ed amara)».

 

83. ché degno…mondo: cfr. Petrarca, RVF, CCCLIV, 8: «il mondo, che d’aver lei non fu degno».

 

87. a cui…confondo: con il pensare alla cui eccellenza, alla cui grandezza, io mi confondo.

 

90. per iusticia: perché ti era in diritto. — per clemenzia: per dono.

 

91. sideree: celesti.

 

92. anonci: annunzi, presagi funesti.

 

93. tremebonda: che incute spavento.

 

94. usota: solita. La raffigurazione tradizionale della Morte è, ad esempio, in Petrarca, Tr. Mort., I, 30-33: «quando vidi una insegna oscura e trista; / et una donna involta in vesta negra, / con un furor qual io non so se mai / al tempo de’ giganti fusse a Flegra».

 

96. Libitina: era la dea romana che presiedeva ai funerali; in questo caso è, tout court, la Morte.

 

102. tôrti: toglierti, rapirti.

 

103. O glorïoso…beata: cfr..Petrarca, RVF, XXVIII, 1-2: «O aspectata in ciel beata et bella / anima…».

 

104. corporeo velo: corpo. Cfr. canz. V, 67: «se forse il fragil vel non vi discerpi».

 

110. nui: noi (esprime il dolore dei Ferraresi).

 

111, a panni negri: in segno di lutto.

 

115. madonna: signora.

 

117. ferma colonna: «ferma protezione» (Santoro). In altra accezione il sintagma è usato anche nel son. XLI, 1-2: «Illustrissima donna, di valore / ferma colonna…».

II.

Conosciuto anche con il titolo di Obizzeide, questo capitolo costituisce il primo tentativo, per altro incompiuto, di poesia eroico-cavalleresca, sperimentato dall’Ariosto (forse nel 1504) dietro là suggestione dell’Innamorato boiardesco ed in vista del ben più ampio e maturo disegno del Furioso. Già nel carme De diversis amoribus (LIV), del 1503, compare un verosimile accenno a quella esperienza poetica: «meque ad Permessum vocat Aoniamque Aganippem, / aptaque virgineis mollia prata choris; / meque iubet docto vitan producere cantu, / per nemora illa, avidis non adeunda viris. / Iamque acies, iam facta ducum, iam fortia Martis / concipit aeterna bella canenda tuba» (vv. 23-28). Nel componimento è celebrato Obizzo d’Este, un antenato degli Estensi, che combattè nell’esercito del re di Francia Filippo IV il Bello contro gli Inglesi di Edoardo I durante la guerra del 1294-98 (ma sui problemi che sorgono circa l’identificazione storica del personaggio, cfr. qui nota al v. 61).

 

1 sgg. Il proemio si suddivide in proposizione (vv. 1-3) ed invocazione (vv. 4-9): a questo riguardo nota Santoro che, «eliminando l’invito all’uditorio che, già largamente in uso nella tradizione canterina, era stato ripreso dal Boiardo nel proemio dell’Orlando Innamorato, l’Ariosto restaura, già in questo primo tentativo, come poi farà nel proemio del Furioso, lo schema classico proposizione-invocazione. Un esempio in tal senso gli era offerto dal proemio delle Stanze del Poliziano» (cfr. pure, sempre di Santoro, Letture ariostesche, Napoli, Liguori, 1973, pp. 10 sgg.).

 

6. avete ambe le chiavi: cfr. son. XI, 8: «non so, né seppi mai volger la chiave»; e cap. XXIV, 4: «E voi, che avete del mio cor la chiave».

 

7-9. Altri…disegno: a differenza di coloro che si rivolgono al Parnaso, il mitico monte delle Muse, o a Cirra, la sua vetta più alta, io mi rivolgo ai vostri dolci occhi di donna, traendone ispirazione. Sulle due cime (Cirra e Nisa) del Parnaso, cfr. Lucano, Phars., V, 72; e Ovidio, Met., I, 316-17. — disegno: intendo.

 

11. Filippo Bello: Filippo IV il Bello (1268-1314), re di Francia. — Odoardo: Edoardo I (1239-1307), re di Inghilterra, che scese in guerra per arginare l’avanzata dei Francesi nelle Fiandre. Causa di tale guerra furono dunque le mire espansionistiche della Francia, contrariamente a quanto è detto al v. 12.

 

15. il mar picardo: il mare della Piccardia, regione settentrionale della Francia che si affaccia sulla Manica.

 

16. dal campo pellegrino: dal campo straniero, cioè degli avversari inglesi.

 

18. al successor…Pipino: a Filippo il Bello, appunto, successore di Pipino III il Breve (715-768) e del di lui figlio Carlo Magno (742-814).

 

22. si proferia: si offriva.

 

30. metti sua possa: metta, dimostri la sua potenza, il suo valore.

 

31. l’arme espedisca: prepari le armi.

 

33. ch’altra… diffinisca: che dopo quel giorno la battaglia si risolva.

 

36. Aramon di Nerbolanda: Aramone di Northumberland. Il nome Aramon ricorre anche in Fur., XVIII, 52, 7-8: «…e apresso taglia / il capo ad Aramon di Cornovaglia».

 

37. spessi: frequenti, ripetuti.

 

44. andò: si propagò, si diffuse.

 

51. prono: disposto.

 

52. si ritruova: si presenta.

 

55. generoso: nobile. — sorte: condizione.

 

56. produtto al mondo: nato.

 

58-60. del paese…Scoltena: perifrasi per indicare la Marca emiliana, in cui scorrono l’Adige, il Po, il Santerno (Veterno, lat. Vatrenus), il Secchia (Gabel, lat. Gabellus), l’Enza (Niccia, lat. Nicius) e lo Scoltenna, primo tratto del Panaro.

 

61. Obizzo: Obizzo fu nome proprio di molti Estensi: Fatini ritiene che si tratti di Obizzo III d’Este, ma dimentica che egli nacque nel 1294, anno in cui ebbe principio la guerra (un precedente Obizzo II morì invece nel 1293). L’Obizzo qui celebrato è pertanto da considerare frutto di invenzione letteraria, per quanto l’Ariosto ne abbia collocato la figura su uno sfondo storico ben definito.

 

62. feroce: ardito.

 

63. la contraria liga: la lega avversaria, l’esercito nemico.

 

72. commessa: affidata. — incauta: inesperta.

 

73. repetendo: è latinismo per “ripensando”, “richiamando alla memoria”.

 

75. non men ch’ereditarie: «come se gli Estensi si tramandassero in eredità la forza di vincere» (Segre).

 

80. espedia: preparava.

 

82. robba: veste, che Obizzo dona all’araldo inglese prima che questi torni dai suoi (cfr. vv. sgg.).

 

88. premea: umiliava.

 

91. figer: latinismo per “conficcare”.

 

93. Invidia: sogg.

 

94-99. non quella…morse: non è insomma l’Invidia descritta da Ovidio, Met., II, 708-832: quella cioè che, istigata da Minerva, uccise con il veleno Aglauro, della cui sorella Erse si era innamorato Mercurio.

 

100. caterva: schiera.

 

101. ecceder: superare.

 

104. Vienna: Vienne, città francese sulla sinistra del Rodano, non lontana da Lione.

 

106. morto: ucciso.

 

108. Barbatini: brabantini, del Brabante, regione storica posta alla sinistra della Mosa, oggi suddivisa tra il Belgio e i Paesi Bassi.

 

115. piastra e maglia: l’armatura difensiva dei soldati.

 

116. a gran bisogni: in occasione di grandi imprese. — francesca: francese.

 

118-20. A un capitan…riesca: a un capitano della fanteria tedesca, che qui si trova, sembra che sopportare in silenzio l’affermazione di Carbilano torni a suo grande disonore.

 

123. conduttor: condottiero, duce.

 

126. tôrre: scegliere.

 

127. si proferiva: cfr. v. 22.

 

128. parangone de l’arme: prova delle armi.

 

130. avaro: geloso.

 

132. più ch’assenzo amaro: cfr. Petrarca, Tr. Mort., II, 45: «parer la morte amara più ch’assenzio».

 

133. morto: cfr. v. 106.

 

141. capitale: mortale.

 

149. prevaglia: prevalga, sia superiore.

 

154. mai non s’oda: mai non si debba udire.

 

156. soda: salda.

 

161. per ragion: per giuste ragioni.

 

164. volge la guancia: si mostra favorevole.

 

171. credenza: sicumera.

 

196. greggia: popolo. Cfr. Satira IV, 7-8: «per custodir, come al signor mio piacque, / il gregge grafagnin…». Il termine significa più propriamente “esercito” in Fur., XIV, 10, 4: «per dar buon reggimento alla sua greggia»; e in canz. V, 149-50: «…già l’Afro in l’Etiopia aprica / col gregge e con la pallida famiglia».

 

198. fra questo…cheggia: entro questa data (la fine di aprile) mi venga a sfidare.

 

205. querela: motivo della gara. «Si noti la saggezza politica di questa decisione del re di dare alla gara un carattere di competizione individuale» (Santoro).

 

210. piazza franca: campo libero.

 

211. partir: sospendere.

III.

Il capitolo fu composto dopo il viaggio che l’Ariosto fece ad Urbino, il 21 febbraio 1519, per visitare il giovane duca Lorenzo de’ Medici che si era gravemente ammalato (la morte avvenne di lì a poco, il 4 maggio). Lorenzo è, forse, il Laurin ricordato nella Satira IV, 94: «Laurin si fa de la sua patria capo». Si finge che a parlare sia Firenze, afflitta per il crudele destino che si è avventato sul giovane.

 

1. Ne la stagion…rimena: cfr. Petrarca, RVF, L, 1: «Ne la stagion che ’l ciel rapido inchina»; e CCCX, 1: «Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena».

 

2. posi: piantai. — Lauro: è Lorenzo (evidente il calco del noto gioco di parole petrarchesco Laura-lauro). Lauro è anche, sempre metaforicamente, Lorenzo il Magnifico nella canz. V, 136: «quel tósco in terra e in ciel amato Lauro».

 

3. a mezo…amena: cfr. Fur., XVII, 57, 8: «tra verdi colli in una piaggia amena».

 

6. Indo: il fiume lndo, ossia — genericamente — l’Oriente. — lito mauro: il Marocco (= Occidente). Cfr. canz. V, 140-41: «che fece all’Indo e al Mauro / sentir l’odor de’ suoi rami soavi».

 

7. traendo: preferiamo alla spiegazione di Segre, che interpreta “vagando”, quella di Santoro, che interpreta “derivando”. I vv. 7-10, che «esprimono i modi con cui Firenze, personificata, ha coltivato il lauro», sono così spiegati: «ora derivando, cioè incanalando, attraverso la riva erbosa, la tepida onda, ora versandola [rorando] con la mano (ossia con l’annaffiatoio), ora smuovendo la zolla incolta, ora ricomponendola più fertile e feconda».

 

16. Dolci ricetti: dolci rifugi. Cfr. Petrarca, RVF, CCLXXXI, 1: «Quante fiate, al mio dolce ricetto».

 

19. citerei: Citera era l’isola dove Venere era giunta subito dopo la nascita, e suo principale luogo di culto.

 

21. Gnido: Cnido, antica città della Caria, conservava la famosa statua della dea scolpita da Prassitele. — Amatunte: città di Cipro, altro luogo sacro a Venere. — de’ Sabei: della Sabea, ovvero dell’Arabia Felice, nota per la sua produzione di incensi.

 

24. pargoletti Amori: gli Amorini, per cui cfr. canz. 1, 98-99: «Con queste reti insidiosi Amori / preson quel giorno più di mille cori», e 129-30: «quei pargoletti, che ne l’auree crespe / chiome attendean…».

 

26. prepose: preferì.

 

27. d’Eurota e d’Erimanto: luoghi sacri a Diana, entrambi nel Peloponneso.

 

33. a’ danni…presta: cfr. Petrarca, RVF, CCLIII, 14: «Fortuna, ch’al mio mal sempre è sì presta».

 

35. bella spoglia: cfr. Petrarca, RVF, CCCI, 14: «lasciando in terra la sua bella spoglia».

 

37. un ramo…foglia: per Santoro, più che allusione all’unica figlia di Lorenzo, Caterina (Ia futura regina di Francia), nata il 13 aprile di quello stesso 1519, l’espressione è da intendere, come il «nudo stelo» del verso precedente, quale «metafora del giovane logorato dal male».

 

38. e fra téma…suspesa: cfr. Petrarca, RVF, CCLIV, 4: «sì ’l cor tema et speranza mi puntella». 46-48. Febo…regni: «Febo, identificato col Sole, e perciò “governatore delle costellazióni”, dato che regola il corso dei mesi, si corona di lauro in Tessaglia, perché la regione, e in ispecie la valle di Tempe, gli era cara; di là era tornato, con le insegne divine, a Delfo» (Segre).

 

49. Bacco, Vertunno e Pomona: divinità protettrici dei campi, dei giardini e dei frutti.

 

50. driade: driadi, ninfe dei boschi. — napee: ninfe delle valli.

 

51. ripona: rimetta.

IV.

«Questa volta parla un’“impresa” ricamata sulla veste della donna amata; o, forse meglio, parla la donna stessa che, nel rifiutare la spiegazione del “senso occulto” del disegno, si sofferma a condannare l’importunità e la “discortesia” degli indiscreti. Un modo scherzoso per accentuare il carattere misterioso del “senso occulto” e per riprovare nel tempo stesso la pettegola curiosità, contraria ad un modello di comportamento “cortese”» (Santoro). Si vedano anche la canz. I, 100-10, e tutto il son. VI.

 

1. la mia negra…oro: per il significato dei colori di questa penna nera con fregio dorato, Segre rinvia alle Stanze intorno il significato dei colori dell’Accolti, 1-2: «Mostra… / fermezza eterna il ner, l’oro gran fede».

7. magisteri: opere.

 

12. curïose: impertinenti.

 

16-17. a quel effetto…portar: a quale fine ho scelto di portarla.

 

18. di dolor compunta: cfr. Petrarca, RVF, CCI, 7: «ch’i’ non sia d’ira et di dolor compunto».

 

24. esser vorrian digiuni: non vorrebbero aver provato (regge d’aver disiato al v. 23). Cfr. Dante, Inf., XXVIII, 86-87: «e tien la terra che tale qui meco / vorrebbe di vedere esser digiuno»; e cfr. anche, qui, cap. I, 12: «da mover l’alme di pietà digiune».

 

25. L’uccel..nere: il corvo, la cornice del v. 26.

 

26. fu prima donna: fu originariamente una donna. Si allude ad Aglauro, la quale, spinta dalla curiosità, contravvenne all’ordine di Minerva di non aprire la cassa che conteneva il giovane Erittonio: per punizione, ella fu così trasformata dalla dea in corvo (cfr. Ovidio, Met., II, 551-95).

 

27. vaga: desiderosa.

 

30. Tiresia: l’indovino che, secondo la leggenda, fu accecato da Minerva (Pallade, v. 32) perché l’aveva spiata mentre si bagnava nella sorgente Ippocrene (cfr. Properzio, El., IV, 9, 57). — Atteon: Atteone, colui che fu tramutato in cervo da Diana e divorato dai suoi levrieri per aver visto la dea nuda prendere il bagno (cfr. Ovidio, Met., III, 138-252).

 

32. ultrice: vendicatrice (dal lat. ulcisci, “vendicare”).

 

35. ad esse: alle dee.

 

36. acerba e strana: spietata ed inaudita. La dittologia è pure in Petrarca, RVF, XXV, 3: «mirando per gli effecti acerbi et strani».

 

37. non fôra oltra ragion: non sarebbe irragionevole.

 

39. cercasse: cercaste.

 

40. Non son… valor: non ho la potenza.

 

43. ’l dritto: «qui dritto assai probabilmente indica la facoltà, la liceità concessa dal codice di comportamento della società “cortese”: costoro con la loro indiscreta curiosità danno prova di discortesia» (Santoro).

 

46. questa…oro: ripete quasi alla lettera, chiudendo simmetricamente il capitolo, l’incipit: «De la mia negra penna in fregio d’oro».

V.

Il capitolo risale con buona probabilità all’epoca del primo viaggio in Garfagnana (febbraio 1522), anche se Santoro preferisce datarlo a dopo il 1523, anno della Satira IV, che, per dichiarazione dello stesso Ariosto, fu il primo componimento scritto nel periodo del governatorato: «E questo in tanto tempo è il primo motto / ch’io fo alle dee che guardano la pianta / de le cui frondi io fui già così giotto» (vv. 13-15). Il poeta svolge qui, come anche nei sonn. XIX e XXXIV-XXXV, il motivo del doloroso distacco da Alessandra, raffigurando uno stato di malessere ed inquietudine accentuato ulteriormente da una violenta tempesta incontrata lungo il viaggio (se accettiamo l’ipotesi di Santoro: lungo uno dei frequenti viaggi di ritorno da Ferrara).

 

1-3. Meritamente…donna: eco di Properzio, El., I, 17, 1: «Et merito, quoniam potui fugisse puellam». — dipartirmi: allontanarmi.

 

4. altrui preci: l’invito del duca Alfonso ad accettare l’incarico di governatore.

 

6. al mio desirproprio: al mio desiderio di restare accanto alla mia donna.

 

9. essempio: «punizione esemplare» (Baldacci).

 

10. che spero: quale buona cosa spero.

 

13. Arroge: aggiungi. Cfr. canz. V, 102: «arrogi un ornamento che più onora».

 

18. mal consiglio: l’avere accettato, cioè, l’incarico del duca.

 

21. licito…promesso: mi sarebbe più lecito mantenere l’impegno preso. «L’Ariosto non può più fermarsi a considerare quanto gli sia utile o dannoso il nuovo ufficio, perché ormai non è più in tempo. Prima dunque era stato esitante e forse aveva ceduto solo alla promessa di Alfonso che la sua carica sarebbe stata di breve durata» (Fatini).

 

22. austro: vento meridionale.

 

23. verno: tempesta. — sciolto: abbondante.

 

24. liquor: acqua, pioggia.

 

26. mi tarda: mi rende difficile il cammino.

 

30. poggia: sale. Cfr. canz. V, 58: «al santo monte per cui al ciel tu poggi».

 

31. perch’io: per quanto io. — punga: sproni.

 

33. alpestre: dura da percorrere, impraticabile.

 

34. ciò ch’intorno spira: il vento impetuoso.

 

35. premer: opprimere.

 

38. me ne dilungo: cfr. Satira IV, 50-51: «…se ben mi dolgo / che da chi meco è sempre io mi dilungo». — fusse speme: potessi sperare.

 

40. fresche brine: cfr. Petrarca, RVF, CCXX, 3-4: «…le brine / tenere et fresche…».

 

41. avidi lumi: occhi insaziabili.

 

42. de le bellezze alme e divine: cfr. Petrarca, RVF, CCVII, 15: «de le divine lor alte bellezze».

 

43. loti: fango.

 

44. mi darian noia: mi infastidirebbero.

 

45. e più che prati…cacumi: e più molli che prati mi parrebbero salite e cime.

 

47. l’amene…orti: i luoghi più deliziosi, come la ridente Tempe, valle della Tessaglia bagnata dal fiume Peneo, e gli splendidi giardini di Alcinoo, re dell’isola di Corcira (cfr. Cicerone, Ad Att., IV, 15,5; e Stazio, Silv., I, 3, 81).

 

48. strani: sgradevoli.

 

53. ’l fin: alla fine, al termine.

 

55-57. Altre…moleste: «In cambio aspetta altre piogge in casa (al coperto ), piogge di sospiri e di pianto, ininterrotte e più angosciose della presente; perché la tempesta del suo cuore doveva scuoterlo e abbatterlo più degli elementi meteorologici infuriati in quel momento contro di lui» (Fatini).

 

59. tornar… via: ripercorrere indietro tutta questa strada.

 

62. stimolosi: pungenti, tormentosi.

 

63. penitenzia: pentimento.

 

66. aver tarpato i vanni: avere le proprie ali recise.

 

67. che: si riferisce al tempo del verso precedente (ogg. di vedea fuggir del v. 70).

 

70. vedea…strale: cfr. Dante, Inf., XVII, 136: «si dileguò come da corda cocca».

VI.

Chi parla è una donna, forse Alessandra, per lamentarsi delle maldicenze che si sono diffuse sul suo conto. «Significativo nel contesto il ricorso a famosi esempi della tradizione classica per avvalorare la condanna della maldicenza e il giudizio sull’inalienabile pregio dell’onore» (Santoro).

 

1-3. Era candido… vero: il corvo in cui fu trasformata Aglauro (su questa metamorfosi, cfr. cap. IV, 25-27) aveva rivelato ad Apollo che Coronide, da lui amata, lo aveva tradito. Coronide fu uccisa dal dio, che però volle punire anche il corvo, trasformandone il primitivo colore bianco in nero (cfr. Ovidio, Met., II, 542-632). — espedita: pronta.

 

4. Ascalafo: figlio di Acheronte e della ninfa Orfne, denunciò Proserpina da lui veduta mangiare una melagrana nell’Ade e rompere così il digiuno impostole da Giove per consentirle di ritornare tra gli dei. La madre di Proserpina, Cerere, punì allora Ascalafo tramutandolo in un orrendo gufo (cfr. Ovidio, Met., V, 533-50).

 

5. testimonio: testimonianza. — stigio fiume: Flegetonte.

 

11. da costoro: dal corvo e da Ascalafo.

 

14-15. né riguardò…loro: «la punizione li colpì solo perché avevano fatto la spia, non perché avessero detto il falso» (Santoro).

 

27. l’estati…occasi: «il succedersi regolare delle albe (orti) e dei tramonti (occasi) d’estate e d’inverno dimostra che ancora esistono gli dei» (Segre).

 

28. sofferto: permesso.

 

31. debito: compito.

 

33. falsi rumor: calunnie (come falsi gridi al v. 35).

 

43. Tuccia: la vestale Tuzia, accusata di aver perduto la verginità, volle dimostrare la propria innocenza portando acqua in un crivello (cribro) dal Tevere al tempio di Vesta. Cfr. Petrarca, Tr. Pud., 148-51: «Fra l’altre la vestal vergine pia / che baldanzosamente corse al Tibro, / e, per purgarsi d’ogni fama ria, / portò del fiume al tempio acqua col cribro».

 

44. cedo: mi ritengo inferiore. — Claudia: altra vestale che, per mostrare infondata l’accusa di non esser più illibata, trainò lungo il Tevere, con una leggera fune, la nave sacra alla dea Cibele (la madre di dèi, v. 45). Cfr. Ovidio, Fast., IV, 305-48.

 

46. tòsco: veleno.

 

48. ho da portar…ciglio: cfr. cap. XI, 55: «se sempre ho il viso mesto e il ciglio basso».

 

50. così importuna macchia: il disonore. Macchia è però intesa anche in senso materiale: cfr. vv. sgg.

 

55-56. non pur…fallo: non soltanto proporzionalmente alla gravità della mia colpa.

VIII.

Scritto attorno al 1513 (Salza) su ispirazione dall’elegia II, 15 di Properzio, questo capitolo è da annoverare tra i componimenti amorosi dell’Ariosto dove maggiore risalto è dato alla componente erotico-sensuale: cfr. anche sonn. III e XIII.

 

1-2. O più… notte: cfr. Properzio, El., II, 15, 1: «O me felicem! o nox mihi candida»; e cfr. son. III, 11: «a goder d’ogni sol notte più chiara». — aventurosa: felice, fortunata. Cfr. son. XIII, 1: «Aventuroso carcere soave».

 

4. furti d’amor: amori furtivi. — dotte: abili.

 

5. minuisti: diminuiste. — per vui: a causa vostra.

 

8. vigili: svegli.

 

15. e fu…inserta: cfr. Boiardo, Orl. Inn., I, XIX, 61, 5-8 (ed. Fòffano, Bologna, Romagnoli-Dall’Acqua, 1906-7): «come ciascun sospira e ciascun geme / de alta dolcezza, non saprebbi io dire; / lor lo dican per me, poi che a lor tocca, / che ciascaduno avea due lingue in bocca»; e cfr. Fur., VII, 29, 7-8: «Del gran piacer ch’avean, lor dicer tocca; / che spesso avean più d’una lingua in bocca».

 

18. m’affidi: mi ospiti confortevolmente.

 

19. complessi iterati: amplessi ripetuti. Cfr. son. XIII, 9-10: «ma benigne accoglienze, ma complessi / licenzïosi…».

 

20-21. cingete…acanti: cfr. Orazio, Ep., XV, 5-6: «artius atque hedera procera adstringitur ilex / lentis adhaerens brachiis». E cfr. Fur., VII, 29, 1-3: «Non così strettamente edera preme / pianta ove intorno abbarbicata s’abbia, / come si stringon li dui amanti insieme»; e XXV, 69, 5-8: «Non con più nodi i flessuosi acanti / le colonne circondano e le travi, / di quelli con che noi legammo stretti / e colli e fianchi e braccia e gambe e petti».

 

26-27. che non porta…more: ogni 500 anni l’araba fenice muore bruciando tra preziosi incensi, per rinascere poi dalle proprie ceneri. Cfr. Ovidio, Met., XV, 391-402. — Indi: indiani. — Sabei: arabi, della Sabea (cfr. cap. III, 21).

 

28. O letto…miei: cfr. Properzio, El., II, 15, 2: «lectule deliciis facte beate meis».

 

33. distratto: spostato.

 

36. quanto è il mio poter: secondo le mie possibilità. Cfr. canz. I, 7-8: «tenterò nondimeno / farne il poter…».

 

37. lucerna: cfr. Properzio, El., II, 15, 3: «Quam multa adposita narramus verba lucerna».

 

39. discerna: distingua.

 

40. contento: contentezza. Cfr. cap. VII, 41: «sì colmo di letizia e di contento»; e cap. IX, 51: «O aspettato in vano almo contento».

 

41-42. né veramente…spento: cfr. Properzio, El., II, 15, 11-12: «Non iuvat in caeco Venerem corrumpere motu: / si nescis, oculi sunt in amore duces».

 

45. eburneo: candido come l’avorio.

 

57. lutti: dolori.

 

58-59. Perché…antico: Aurora riuscì ad ottenere da Giove il dono dell’immortalità per lo sposo Titone, ma non quello dell’eterna giovinezza; si pensava così che ella, separandosi presto dal compagno e portando l’alba, invidiasse i piaceri notturni degli amanti. Per l’immagine ariostesca, cfr. Virgilio, Aen., IV, 584-85: «Et iam prima novo spargebat lumine terras / Tithoni croceum linquens Aurora cubile».

IX.

«Si accompagna strettamente al capitolo precedente; se non che, invece che lode, suona accusa alla notte che con i suoi indiscreti lumi gli ha proibito l’accesso alla donna amata» (Baldacci).

 

4. cimerie grotte: i Cimmeri erano un popolo stanziato sulla riva del Ponto, presso il Bosforo, in una zona sempre oscura e nebbiosa: di qui gli antichi ritenevano sorgesse la notte. Cfr. Ovidio, Met., XI, 592-95.

 

8. al pastor: al giovane Endimione, di cui la dea Selene o Luna (v. 9) fu amante. Per tutto il verso, cfr. Fur., XVIII, 185, 1-4: «La Luna a quel pregar la nube aperse / (o fosse caso o pur la tanta fede), / bella come fu allor ch’ella s’offerse, / e nuda in braccio a Endimïon si diede».

 

13. il tuo: piacere.

 

16. la mercé d’un vello: il dono di un agnello. «Il poeta allude ad una diversa versione della leggenda: Selene non sarebbe stata sedotta dalla bellezza del giovane, ma dal dono di un agnello; il poeta tuttavia non esclude l’altra versione, quella dell’innamoramento, lasciando sospeso il giudizio (vv. 19-20)» (Santoro).

 

20. avarizia: avidità.

 

21. lieva: togli.

 

23. dolci furti: cfr. cap. XII, 65-66: «…ai dolci furti / le dolci notti a ritornar son scarse». — che: poiché.

 

24. si richiama: si duole.

 

25. per te: da te.

 

27. suspesa: bilicata. Cfr. cap. III, 38: «e fra téma e speranza sto suspesa».

 

30. vanni: ali. Cfr. cap. V, 66: «che parrà, il tempo, aver tarpato i vanni».

 

32. tuo bastardo lume: luce non tua, perché derivata da quella del sole.

 

39. d’Amor servo: cfr. Petrarca, RVF, CCVII, 97: «Servo d’Amor, che queste rime leggi».

 

41. Questi Lincei, questi Argi: si riferisce simbolicamente a Linceo e ad Argo, due personaggi mitologici noti per la loro vista acuta e penetrante. Linceo fu uno degli Argonauti che navigarono verso la Colchide alla conquista del Vello d’oro; Argo è invece il celebre gigante dai cento occhi, custode della ninfa Io trasformata da Giunone in giovenca (cfr. Ovidio, Met., I, 583 sgg.).

 

45. mi lievo: mi allontano.

 

51. contento: contentezza (cfr. cap. VII, 41, e cap. VIII, 40).

 

52. o disegni…incerte: ricorda Petrarca, RVF, CCXC, 5: «O speranza, o desir sempre fallace».

X.

Il capitolo è indirizzato al cardinale Ippolito con il quale l’Ariosto si era messo in viaggio per Roma nell’ottobre 1514. Sorpreso dalla febbre, il poeta dovette interrompere il cammino a Fossombrone e tornare, una volta guarito, a Ferrara. Si ripresenta nel componimento il tema della sofferenza per la lontananza da Alessandra, cui si unisce il rammarico che, se egli si fosse ammalato a Ferrara, avrebbe almeno ricevuto il conforto di lei.

 

1. Del bel…vostro: del séguito di Ippolito. — un manco: una persona di meno.

 

2-6. qui…Barchino: è, perifrasticamente, il Passo del Furlo (Forulum), nei pressi di Fossombrone, che fu aperto nell’Appennino dall’imperatore Tito Flavio Vespasiano, a poca distanza dal fiume Metauro, dove Asdrubale Barca (un capitan Barchino), accorso in aiuto di Annibale, venne sconfitto dal console Gaio Claudio Nerone (207 a.C.). In realtà non del Metauro si tratta, ma del Candigliano: l’imprecisione topografica è anche in Fur., XLIII, 149, 3. — in ripa l’onda: in riva all’onda. Per il costrutto, cfr. Petrarca, Tr. Et., 139: «A riva un fiume che nasce in Gebenna»; e si veda pure, qui, cap. XI, 73: «…a ripa l’onda vaga».

 

9. sciôr: mantenere.

 

13-14. l’una mia luce: Alessandra.

 

14. l’altra: Ippolito. «È un complimento cui fa contrasto quanto leggemmo nelle Satire e che si può solo in parte giustificare col fatto che la poesia è diretta all’Estense, del quale forse l’Ariosto non era ancora così malcontento come avverrà più tardi» (Fatini).

 

16-17. quando… trasse: quando la Fortuna poteva esimermi dall’obbligo di accompagnare Ippolito con una giustificazione più degna.

 

20. tra via: lungo la via.

 

21. lasse: lasci, abbandoni.

 

24. m’avesse…balìa: avesse avuto il potere di trattenermi.

 

25-27. Io so…vegna: «Ecco un secondo complimento che forse l’Ariosto accompagnava con un risolino un po’ canzonatorio, perché Ippolito ben sapeva quanto volentieri Ludovico avrebbe fatto a meno di certi accompagni» (Fatini).

 

28. mi fido: confido.

 

29. noticia: esperienza.

 

34. s’avria mal assunto: se sosterrebbe un duro compito.

 

35. ch’egli accenna: che Amore ordina.

 

36. aggiunto: posto.

 

37. caricar d’antenna: issare tutte le vele dell’antenna della nave.

 

39. che…penna: che Amore non ci raggiunga velocemente, in un solo batter d’ali.

 

42. verso quella: a paragone di quella.

 

43. tiran: è ancora Amore.

 

46. contesa: impedita.

 

54. m’appanni: «da panno, che, qualche volta, come le reti, si spiega per prendere gli uccelli, quindi mi prenda» (Fatini).

 

55. chi: quale santo.

 

59. in tavola: in un quadro ex-voto raffigurante il miracolo compiuto.

 

61-66. Ché, se qui moro…patre: cfr. Tibullo, El., I, III, 5-9: «Abstineas, Mors atra, precor; non hic mihi mater, / quae legat in maestos ossa perusta sinus, / non soror, Assyrios cineri quae dedat odores / et fleat effusis ante sepulcra comis, / Delia non usquam…». — franga: strappi. — atre: nere, in segno di lutto. — che l’ossa…patre: il sepolcro dell’Ariosto, «secondo il desiderio espresso anche nel testamento del 1522, doveva essere accanto a quello del padre, che trovavasi nella chiesa di San Francesco» (Fatini).

 

67. Madonna: Alessandra.

 

73. esanimata: esanime.

 

75. ch’esser…giaccia: «che non sia più possibile che il corpo giaccia inerte, ossia il corpo dovrà rianimarsi: un miracolo dell’amore, dunque» (Santoro).

 

76-78. Se del figliuol…diede: Prometeo, figlio di Iapeto, creò l’uomo dalla creta animandolo con il fuoco rubato agli dei (cfr. Ovidio, Met., I, 80-86). Su Prometeo si veda anche son. XXX, 8. — febeo: di Febo, identificato con il Sole.

 

80. susciti: resusciti. — del mio sol: della mia donna.

 

81. troverà…luoco: «troverà il cuore ancora tiepido dell’ardore amoroso» (Segre).

 

82. sì dubbiose prove: i miracoli.

 

85. Se pur è mio destin: cfr. Petrarca, RVF, CXXVI, 14: «S’egli è pur mio destino».

 

88. signor: si rivolge ad Ippolito.

 

94. talpe: talpa, come in Fur., XXXIII, 18, 7-8: «…e come talpe / lo riportano i suoi di qua da l’Alpe».

XI.

Elogio delle bellezze naturali, storiche ed artistiche di Firenze riconquistata dai Medici (1512), chiuso tuttavia con lo svolgimento del tema, ben noto, del lamento per la lontananza da Alessandra. Il capitolo fu scritto in occasione di un viaggio dell’Ariosto nella città toscana: si è incerti se si tratta di quello del settembre 1516 o di quello del febbraio 1519.

 

2-3. dal monte…mira sì: dal monte di Fiesole, le cui origini sono più remote di quelle di Firenze: «per questo egli la guarda così (mira sì) con sdegno, essa che discende da lui» (Segre).

 

4. del meglio di Toscana: di gran parte della Toscana, in quanto solo Siena e Lucca non erano sottomesse alla signoria fiorentina.

 

7. diserto: eloquente.

 

8. corressi: percorresse.

 

9. un così…aperto: da collegare a de le laudi tue (v. 8).

 

10. Mugnon: Mugnone, torrente che scorre sotto Firenze (cfr. Boccaccio, Dec., VIII, 3).

 

11. dir a pieno: dire compiutamente. Cfr. canz. I, 2-3: «quel che in parole sciolte / fatica avrei di ricontarvi a pieno».

 

13. più presto: piuttosto.

 

16. lo riga e fende: lo attraversa e taglia in due parti.

 

18. scorta: guida, «perché tutti questi ruscelli par che vadano a porsi sotto la custodia del gran fiume per versare le loro acque al mare» (Fatini).

 

21. vermene: arbusti. — rampolli: germogli di pianta.

 

24. non ti sarian…Rome: «ci vorrebbero due Rome per esserti alla pari» (Segre).

 

25. Una: una sola Roma.

 

28. da quel furor: l’espressione, atta a rievocare il dramma delle invasioni barbariche, risente di Petrarca, RVF, CXXVIII, 78: «ché’l furor de lassù…».

 

30. all’italica…lima: «aspra tribolazione benefica per l’antica grandezza coperta di ruggine di Roma» (Santoro).

 

31. se non qui: se non a Firenze.

 

32. di fuor: fuori delle mura.

 

33. oblazion: doni votivi.

 

34. tetti: palazzi.

 

35. de’ tuoi primati: dei tuoi governanti, e più in genere dei tuoi cittadini più insigni.

 

38. questi monti: i monti vicini con le loro ricche cave di pietra.

 

39. sino alli angiporti: fino ai vicoli.

42. getti: lavori di getto. Cfr. Fur., XLII, 77, 5: «pitture e getti, e tant’altro lavoro». — impronti: «figure in rilievo» (Fatini).

 

51. ’vena: avena, zampogna, simbolo della poesia pastorale.

 

52-54. Ma che…sono: inizia l’amara constatazione, dopo l’estasiata enumeratio delle bellezze fiorentine, della lontananza da Alessandra.

 

55. ciglio basso: cfr. cap. VI, 47-48: «…per mostrar ch’a torto / ho da portar per questo basso il ciglio».

 

57. muto il passo: cammino.

 

58. penitenzia: pentimento (per essere partito da Ferrara). Cfr. cap. V, 63: «percosso ognor da penitenzia ria».

 

62. chi… venni: probabilmente il duca Alfonso (secondo Fatini, invece, il cugino Rinaldo).

 

64. e me: e anche me stesso bestemmio.

 

66. e più…m’attenni: cfr. cap. V, 4-6: «…ch’all’altrui preci, / … / più ch’al mio desir proprio satisfeci».

 

71. salda: guarita, rimarginata.

 

73. a ripa l’onda: in riva all’onda. Cfr. cap. X, 5: «…in ripa l’onda…».

 

74. re de’ fiumi: il Po. Cfr. canz. I, 76-77: «lasciato avendo lamentar indarno / il re de’ fiumi, ed invidiarvi ad Arno».

 

75. cantando…maga: «A me pare che l’Ariosto abbia voluto poeticamente rappresentarci l’Alessandra come una maga con la sua veste bianca da sacerdotessa […] in atto di cantare cosi armoniosamente da fermare il sole, mentre il suo innamorato è costretto a star lontano» (Fatini). Si ricordi anche, nel son. XX, la “magica” apparizione di Alessandra sulla riva del Po in un giorno di tempesta, con il conseguente, immediato ritorno del sereno. Su questi ultimi versi del capitolo, cfr. A. Salza, Ancora la «bianca stola» di una «bella maga» misteriosa [1910], in Studi su Ludovico Ariosto, Città di Castello, Lapi, 1914, pp. 91-98.

XII.

Fu forse composto per Alessandra in un periodo di freddezza verso il poeta; tuttavia, osserva Santoro, «anche se non si può escludere uno spunto autobiografico, questo è assorbito e risolto nella raffinata letterarietà delle corrispondenze tra situazione sentimentale e i partecipi e suggestivi elementi della natura». Per il tópos della donna “ingrata” ed “altera”, cfr. particolarmente Fur., XXXIV, 11: «…Signor, Lidia sono io, / del re di Lidia in grande altezza nata, / qui dal giudicio altissimo di Dio / al fumo eternamente condannata, / per esser stata al fido amante mio, / mentre io vissi, spiacevole et ingrata. / D’altre infinite è questa grotta piena, / poste per simil fallo in simil pena». A proposito di questo componimento, Antonia Tissoni Benvenuti rinvia al giovanile capitolo del Bembo, Fiume, che del mio pianto abondi e cresci (Rime rifiutate, II).

 

2. mi difendi: mi ripari. Per tutto il verso, cfr. Fur., II, 34, 5-6: «un culto monticel dal manco lato / le difende il calor del mezzo giorno».

 

7. driade: ninfa dei boschi. Cfr. cap. III, 50: «satiri, fauni, driade e napee».

 

10. arruota: vaga (rota nell’altra redazione XII bis del capitolo).

 

16. olive: olivi.

 

31-33. Io son… scritto: cfr. Fur., XIX, 36: «Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto / vedesse ombrare o fonte o rivo puro, / v’avea spillo o coltel subito fitto; / così, se v’era alcun sasso men duro: / et era fuori in mille luoghi scritto, / e così in casa in altritanti il muro, / Angelica e Medoro, in varii modi / legati insieme di diversi nodi».

 

42. secretari: confidenti. Cfr. son. XXXVII, 9: «Or poi che ’l nostro secretario antico».

 

44. resteran con vui: resteranno segreti.

 

54. che ad essermi… torse: per il fatto di essersi un tempo mostrata cortese nei miei confronti (per avermi un tempo, insomma, amato).

 

57. il mio contento… prolunga: «la mia contentezza per l’incontro amoroso differisce per mesi» (Santoro).

 

61. crudel aspide: era antica convinzione che l’aspide portasse in capo una pietra preziosa, che cercava di difendere dalle insidie degli incantatori mettendo un’orecchia in terra e turandosi l’altra con la coda.

 

64. Non pur: non solo.

 

65. dolci furti: cfr. cap. IX, 22-23: «Chi ha provato amor, scoprir non brama / suoi dolci furti…».

 

69. secchi e curti: poco intensi e brevi. Per curto, cfr. Petrarca, RVF, CCVII, 49: «quinci et quindi alimenti al viver curto»; e cfr. qui cap. XV, 37: «…’l vostro attener curto».

 

78. e me… schivo: e non disprezzi me stesso, per apprezzare voi.

 

79-80. sì che… crediate: cosicché non crediate che io mi dolga di voi per il danno che me ne deriva. — mi richiami: cfr. cap. IX, 23-24: «…che non d’altra offesa / più che di questa, amante si richiama».

 

82. di voi: sul vostro conto.

 

87. mal… luogo: «è inopportuno (mal ha luogo) prendere una deliberazione dopo l’evento» (Santoro).

 

88. presto: sollecito.

 

89. d’ogni tempo: in qualsiasi momento.

 

96. d’accôr: di cogliere.

 

97. lutti: dolori. Cfr. cap. VIII, 57: «perché sì lunghi e senza fine i lutti?»; e cap. XXVII, 13: «Del mio servir è ’l premio doglia e lutto».

 

98. n’ho fatto il saggio: li ho già assaggiati (i frutti del v. 95).

 

100. dar nota: dar fama.

 

103. querele: lamenti.

XIII.

Il capitolo potrebbe essere considerato risposta a quello precedente: chi parla è infatti una donna che rivendica la costanza e la fermezza del proprio amore. I versi, rimaneggiati e ridisposti in ottave, furono utilizzati dall’Ariosto nel Furioso: cfr. XLIV, 61-66 (le sei ottave sono riportate integralmente al termine di queste note). Il componimento fu imitato, tra gli altri, dal Ronsard negli Amours, I, LXXXI.

 

1. Qual… voglio: cfr. Petrarca, RVF, CXLV, 13: «sarò qual fui, vivrò com’io son visso»; e cfr. Boiardo, Amorum Libri, I, 57, 1: «Io sono e sarò sempre quel ch’io fui». Fatini e Santoro allegano anche l’incipit di un sonetto tradizionalmente attribuito a Niccolò da Correggio, Io son quel che fui sempre et esser voglio: si ricordi però che tale sonetto è stato riconosciuto apocrifo da Antonia Tissoni Benvenuti nella sua edizione delle Opere del Correggio, Bari, Laterza, 1969 (cfr. Nota filologica, p. 546).

 

2. alto… ruote: per l’immagine, cfr. canz. V, 50-51: «Volga Fortuna il perno / alla sua ruota in che i mortali aggira»; e son. VI, 13-14: «perché Fortuna la sua ruota volga, / com’a lei par…».

 

3. o m’usi orgoglio: o si dimostri sprezzante verso di me.

 

4. cote: è propriamente una pietra che serve per affilare, ma qui sta, metaforicamente, per “scoglio”. Non a caso, nel rifacimento del verso nel Furioso l’Ariosto sostituì scoglio a cote: cfr. Fur., XLIV, 61, 5: «immobil son di vera fede scoglio». E cfr. sempre Fur., XVIII, 6, 3-4: «Sparge de l’uno al campo le cervella; / che lo percuote ad una cote dura».

 

7. verno: tempesta.

 

8. di là… prima: dal mio primo amore.

 

10-12. Vedrò… lima: è una sequela di artifici retorici detti adýnata, attraverso cui sono espresse cose impossibili da verificarsi nella realtà fisica. Un esempio è anche nel cap. XI, 10.12: «Del tuo Mugnon potrei, quando è più asciutto, / meglio i sassi contar che dir a pieno / quel ch’ad amarti e riverir m’ha indutto». E cfr. Fur., XXXIII, 60, 5-6: «Tu vedrai prima all’erta andare i fiumi, / ch’ad altri mai, ch’a te, volga il pensiero». Tra le referenze classiche, cfr., ad esempio, Virgilio, Ecl., I, 59-63: «Ante leves ergo pascentur in aethere cervi, / et freta destituent nudos in litore pisces; / ante, perreratis amborum finibus, exsul / aut Ararim Parthus bibet, aut Germania Tigrim, / quam nostro illius labatur pectore vultus».

 

13. che: prima che.

 

17-18. so ben… stato: Fatini ritiene che si alluda al medievale giuramento di fedeltà dei vassalli al re appena eletto, ed interpreta: «so che fede maggiore di questa che io vi ho giurata non fu data mai a principe creato di nuovo».

 

19. avete: il dominio su di me.

 

22. Quel: il mio cuore.

 

23. assoldar persona: pagare dei soldati.

 

26. sprovista: disarmata. Continua, come si nota, l’uso metaforico di termini tratti dall’espugnazione delle fortezze.

 

30. sciocco vulgo: è sintagma ricorrente nel Furioso: cfr., ad esempio, VII, 1, 5: «che ’l sciocco vulgo non gli vuoi dar fede». E cfr. Petrarca, RVF, LI, 11: «pregiato poi dal vulgo avaro et scioccho».

 

31. vaghezza: desiderio.

 

32. quella prova: quell’effetto.

 

36. per altra forma nova: «per causa d’altra bellezza, a me nuova, cioè sconosciuta» (Fatini).

 

38. sugello: impronta.

 

40-42. Amor… martello: lo sa Amore che per riuscire a scolpire la vostra immagine nel mio cuore, dovette ripetutamente usare il martello. La donna fa insomma intendere che tutt’altro che immediato fu in lei l’innamoramento.

 

 

Da Fur., XLIV, 61-66:

— Ruggier, qual sempre fui, tal esser voglio
fin alla morte, e più, se più si puote.
O siami Amor benigno o m’usi orgoglio,
o me Fortuna in alto o in basso ruote,
immobil son di vera fede scoglio
che d’ogn’intomo il vento e il mar percuote:
né già mai per bonaccia né per verno
luogo mutai, né muterò in eterno.

 

Scarpello si vedrà di piombo o lima
formare in varie imagini diamante,
prima che colpo di Fortuna, o prima
ch’ira d’Amor rompa il mio cor costante;
e si vedrà tornar verso la cima
de l’alpe il fiume turbido e sonante,
che per nuovi accidenti, o buoni o rei,
faccino altro viaggio i pensier miei.

 

A voi, Ruggier, tutto il dominio ho dato
di me, che forse è più ch’altri non crede.
So ben ch’a nuovo principe giurato
non fu di questa mai la maggior fede.
So che né al mondo il più sicuro stato
di questo, re né imperator possiede.
Non vi bisogna far fossa né torre,
per dubbio ch’altri a voi lo venga a tôrre.

 

Che, senza ch’assoldiate altra persona,
non verrà assalto a cui non si resista.
Non è ricchezza ad espugnarmi buona,
né sì vil prezzo un cor gentile acquista.
Né nobiltà, né altezza di corona,
ch’al sciocco volgo abbagliar suol la vista,
non beltà, ch’in lieve animo può assai,
vedrò, che più di voi mi piaccia mai.

 

Non avete a temer ch’in forma nuova
intagliare il mio cor mai più si possa:
sì l’imagine vostra si ritrova
sculpita in lui, ch’esser non può rimossa.
Che ’l cor non ho di cera, è fatto prova;
che gli diè cento, non ch’una percossa,
Amor, prima che scaglia ne levasse,
quando all’imagin vostra lo ritrasse.

 

Avorio e gemma et ogni pietra dura,
che meglio da l’intaglio si difende,
romper si può; ma non ch’altra figura
prenda, che quella ch’una volta prende.
Non è il mio cor diverso alla natura
del marmo o d’altro ch’al ferro contende.
Prima esser può che tutto Amor lo spezze,
che lo possa sculpir d’altre bellezze. —

XIV.

Polidori (cfr. Opere minori in verso e in prosa di Lodovico Ariosto ordinate e annotate per cura di F.L. Polidori, Firenze, Le Monnier, 1857, I, p. 253) è del parere che si tratti di una testimonianza dei gravi disagi incontrati dall’Ariosto durante un servizio di corte. Noi concordiamo invece con Santoro sul fatto che in questo caso l’ambito tematico è ancora quello amoroso: il «gran peso» (v. 22) di cui il poeta si rammarica è da interpretare, in altri termini, come riferimento ad un momento particolarmente difficile del “servizio d’amore”.

 

1. dosso: dorso.

 

3. l’odorato indo: l’indo è infatti noto per la sua consuetudine di spargersi sul corpo profumati incensi. — adusto: bruciato dal sole. L’espressione etïope adusto è pure in Fur., XXXVIII, 12, 4: «dal bianco Scita all’Etiope adusto».

 

4. mutar le piante: camminare.

 

5-6. poi… patir: «quando l’ha già nella misura massima per lui sopportabile» (Segre).

 

7. legno: nave. — da Gade ai liti eoi: da Cadice (cfr. canz. II, 26), cioè da Occidente, ai lidi eoi, ad Oriente. Cfr. Fur., I, 7, 3: «Quella che dagli esperii ai liti eoi».

 

9. li termini suoi: i suoi limiti, la sua capacità di tenuta.

 

11. si rigrava: si appesantisce.

 

14. roine: crolli.

 

17. Nesso: il centauro ucciso con l’arco da Ercole per aver abusato della bellissima Deianira, sua sposa (cfr. Ovidio, Met., IX, 101 sgg.).

 

19-21. non è Atlante… oppresso: i giganti Atlante, Tifeo ed Encelado si ribellarono agli dei, ma, sconfitti, furono severamente puniti da Giove: ad Atlante toccò la condanna di portare sulle spalle la sfera celeste (Ovidio, Met., IV, 631 sgg.), mentre Tifeo ed Encelado furono fulminati e quindi sepolti sotto l’Etna (Ovidio, Met., V, 321 sgg.). Tifeo, secondo l’Ariosto, fu sepolto sotto l’isola di Ischia, come vuole un’altra tradizione della leggenda: cfr. Virgilio, Aen., IX, 715-16; Orazio, Carm., III, 4, 53; Petrarca, Tr. Pud., 113; ecc. — defesso: affaticato.

 

25. con quel: con il gran peso del v. 22.

 

26. l’accrebbe: sogg. stella o destino (v. 23).

 

29. sol una dramma leve: anche solo una leggera dramma. La dramma era un’antica misura di peso che corrispondeva ad un ottavo di oncia (cfr. Isidoro, Etym., XVI, 2, 13: «Dragma octava pars unciae est»).

 

30. verrò… manco: cederò, sarò costretto a cedere.

 

37. Meta: soglia, limite.

 

41. intolerando: intollerabile, insopportabile.

XV.

Ancora il tema della donna “ingrata” ed “altera” (cfr. cap. XII) e, insieme, la ribadita asserzione circa il carattere sacro ed incorruttibile della vera «fede» amorosa («La fede mai esser non dee corrotta, / o data a un sol o data ch’odan cento, / data in palese o data in una grotta», vv. 43-45).

 

1-3. Ben è dura… priega: cfr. cap. XII, 91-93: «e voi non potevate se non rea / esser d’ingratitudine, se tanta / servitù senza premio si perdea».

 

5. attenga: mantenga.

10. radice: causa.

 

11-12. se ben… vendicatrice: sebbene al fallo non segua subito la pena utile a punirlo.

 

17. dicesti: diceste.

 

25-27. Dogliomi… fronde: cfr. cap. XII, 37-39: «S’io porto chiusa la mia doglia fiera, / morir mi sento, e, s’io ne parlo, acquisto / nome di donna ingrata a quell’altiera», e 80-81: «…più mi spiace / che questo troppo il vostro nome infami».

 

28-30. Ma se… chiostra: ma se nei recessi più segreti (ne le secrete chiostra ) del vostro cuore stava altro da ciò che diceste promettendo.

 

31-32. tocca di tradimento: sfiora il tradimento.

 

33. per questo: per il tradimento. — per quel: per l’inganno.

 

34. cede: diventa minore.

 

36. chi crede: chi si fida. «In questa terzina il poeta esprime una sentenza che riflette uno dei fondamentali motivi della sua etica: la condanna incondizionata del tradimento, come il contrario della più alta qualità morale dell’uomo, la fede» (Santoro).

 

37. ’l vostro attener curto: il vostro scarso impegno a mantenere le promesse.

 

43-48. La fede… sacramento: cfr. Fur., XXI, 2: «La fede unqua non debbe esser corrotta, / o data a un solo, o data insieme a mille; / e così in una selva, in una grotta, / lontan da le cittadi e da le ville, / come dinanzi a tribunali, in frotta / di testimon, di scritti e di postille, / senza giurare o segno altro più espresso, / basti una volta che s’abbia promesso».

 

57. luci: occhi.

 

58. cónte: ordinate (lat. comptum, da comere, “ordinare”, “disporre”).

 

61. spare: dispare.

 

62. prodiga non fôra: non sarebbe prodiga, cioè non la dissiperebbe.

 

63. se voi... avare: se voi foste più fedeli.

 

67-69. E chi serà… froda: ricorda Dante, Inf., XI, 52-54: «La frode, ond’ogne coscienza è morsa, / può l’omo usare in colui che ’n lui fida / e in quel che fidanza non imborsa».

 

73-75. S’al merito… scarsi: «Toma in questa e nella terzina seguente l’alternanza tra la riflessione sentenziosa e l’esperienza» (Santoro).

 

85. c’ha saper… chero: che desidero che solo voi sappiate.

XVI.

«Ferito gravemente d’amore, non riesce a trovare alcun conforto, neppure davanti allo spettacolo straziante d’un campo di battaglia, coperto di morti e di feriti, tra lamenti e urla angosciose; la sua piaga lo martoria anche di più perché non è alleviata in lui dalla speranza della morte, nella quale soltanto spera di trovare l’estremo ristoro e conforto» (Fatini). La battaglia cui si allude è quella, sanguinosissima, di Ravenna (11 aprile 1512), che vide in campo, da una parte, i Francesi capitanati da Gaston de Foix e affiancati dagli Estensi, e dall’altra, le truppe spagnole, tedesche e pontificie. L’Ariosto, che non partecipò alla battaglia, fu tuttavia testimone dell’orrendo saccheggio della città perpetrato dai Francesi nei giorni successivi. La battaglia di Ravenna è ricordata pure in Fur., III, 55, XIV, 2-9, XXXIII, 40-41, e XLIII, 146.

 

3. in la piaga: sulla piaga.

 

7. Vuol.. guerra: ricorda, sebbene solo come coincidenza letterale ma non semantica, la nota antitesi petrarchesca in R VF, CXXXIV, 1: «Pace non trovo, et non ò da far guerra».

 

9. chiude e serra: cfr. Petrarca, RVF, CCC, 5: «Quanta ne porto al ciel, che chiude et serra».

 

14. chi: cosa che.

 

16. partita: partenza. Cfr. canz. V, 42-43: «che, s’io vivessi ancor, t’incresceria / d’una partita mia». È svolto in questi versi l’argomento del son. XIX.

 

18. potessi: potesse.

 

19-21. quando… presente: «dopoché avevo sperimentato che lo star presente, senza ricavare alcun vantaggio, era di tanta forza da trascinarmi a rovina irreparabile» (Fatini).

 

22. un contrario: un antidoto.

 

24. non dechina: non diminuisce.

 

25. non s’ammorza: non si affievolisce.

 

30. si notrisce: si alimenta (di riso, festa e gioco del verso precedente).

 

34-36. Il ferro… arte: «Si recò in un campo di battaglia, perché pensò che la vista della strage compiuta da fiera lotta in danno d’altri potesse essere bon’arte, efficace mezzo per risanare il suo cuore» (Fatini).

 

38. barbaro: non latino, cioè dei Tedeschi e dei mercenari svizzeri al soldo degli Spagnoli.

 

39. che: il sangue barbaro e latino del verso che precede.

 

41-42. che, senza… camino: che era impossibile per molte miglia camminare senza doverli calpestare.

 

43. da chi… Reno: dai Francesi (nel fiume Garonna e nel Reno la perifrasi individua i termini di delimitazione del territorio francese). Per la circonlocuzione, cfr. Petrarca, RVF, XXVIII, 31: «Chiunque alberga tra Garona e ’l monte». Sulle crudeltà commesse dai Francesi durante il sacco di Ravenna, cfr., ad esempio, Guicciardini, Storia d’Italia, X, XII sgg. E cfr. Fur., in part. XIV, 8-9: «Bisogna che proveggia il re Luigi / di nuovi capitani alle sue squadre, / che per onor de l’aurea Fiordaligi / castighino le man rapaci e ladre, / che suore, e frati e bianchi e neri e bigi / violato hanno, e sposa e figlia e madre; / gittato in terra Cristo in sacramento, / per torgli un tabemaculo d’argento. // O misera Ravenna, t’era meglio / ch’al vincitor non fêssi resistenza; / far ch’a te fosse inanzi Brescia speglio, / che tu lo fossi a Arimino e a Faenza. / Manda, Luigi, il buon Traulcio veglio, / ch’insegni a questi tuoi più continenza, / e conti lor quanti per simil torti / stati ne sian per tutta Italia morti».

 

49 sgg. «Il confronto tra i morti nella battaglia (per i quali la morte pose termine al martirio) e il poeta, il cui dolore è lungo e crescente, serve a dare una misura iperbolica della pena d’amore» (Santoro).

 

55. mio: male. — su le porte: della morte.

 

60. mieto: raccolgo.

 

63. indutto: indotto, spinto.

 

67-69. E son… rivaglia: secondo il mito, la Tessaglia, regione settentrionale della Grecia, era abitata da maghe note per i loro incredibili sortilegi. — mi rivaglia: riacquisti forza.

XVII.

«Invoca la pietà celeste per la guarigione della sua donna, che da due mesi è oppressa da fiero malore; la perdona per la crudeltà dimostratagli e si dichiara, se necessario, pronto a morire, in cambio di lei. Forse per la Benucci, in preda a quel malore che le portò via una parte della sua magnifica chioma [cfr. sonn. XXVII-XXIX e mad. I], alla quale però — e ciò rende non troppo certa l’identificazione — non fa alcuna allusione» (Fatini).

 

1. qual: qualunque dei santi.

 

2. rilievi: risollevi.

 

3. quantunque: chiunque.

 

5. patir: tollerare.

 

8-9. due volte… tace: la luna, il pianeta che più a lungo nasconde il suo splendore (tace; cfr. Dante, Inf., I, 60: «mi ripigneva là dove ’l sol tace»), ha perduto e riacquistato (ricovrato) due volte la luce. Fuor di perifrasi: sono trascorsi due mesi.

 

10. sul vivo avorio: sul bianco volto. — si consume: si affievolisce.

 

11. quell’ostro: il color rosso, indice di salute rigogliosa.

 

12. la dea… spume: Venere, che nacque dalla schiuma del mare di Cipro.

 

17-18. che ’l ciel.. mortale: da generare spesso negli uomini un senso di dispetto e di forte odio verso il cielo.

 

27. a vendicar mi toglia: si prenda l’incarico di vendicarmi.

 

30. dipenno: depenno, cancello.

 

32. per un: per un solo danno.

 

36. quel Curzio… aperto: poiché l’oracolo aveva predetto che la voragine apertasi nel Foro non si sarebbe mai richiusa se i Romani non vi avessero gettato dentro ciò che stava loro più a cuore, il nobile Marco Curzio si offrì di precipitare armato nella fenditura per il bene della patria. cfr. Petrarca, Tr. Fame, I, 70-72: «Curzio venia con lor, non men devoto, / che di sé e dell’arme empié lo speco / in mezzo il Foro orribilmente voto».

 

37-39. Decio… some: durante la guerra latina (338 a.C.), il console Pubtio Decio Mure morì eroicamente gettandosi tra i nemici, presso il lago Veseri, dopo che era stato profetizzato che dallo scontro tra gli opposti eserciti sarebbe risultato vincitore quello il cui comandante fosse morto combattendo. Il figlio di Decio Mure, che aveva lo stesso nome del padre, agì in modo analogo, procurando con la propria morte la vittoria ai Romani nella battaglia di Sentino (295 a.C.), combattuta contro i Galli e i Sanniti. Cfr. ancora Petrarca, Tr. Fame, I, 67-69: «L’un Decio e l’altro, che col petto aperse / le schiere de’ nemici: o fiero voto, / che ’l padre e’l figlio ad una morte offerse!». — tolse: prese. — tremebonda: terrorizzata.

 

40. seconda: asseconda, esaudisci.

 

42. torna lei gioconda: restituiscile la serenità.

 

47. messo all’elezïon: messo nella condizione di scegliere.

 

48. un Gracco… Ferei: a Tiberio Sempronio Gracco (m. verso il 150 a.C.), che aveva scoperto in casa due serpenti, fu detto dagli indovini che avrebbe dovuto ucciderne uno, e che se avesse ucciso il maschio sarebbe morto lui, mentre se avesse ucciso la femmina sarebbe morta la moglie Cornelia (la figlia di Scipione l’Africano); per salvare la vita di

 

Cornelia, Tiberio decise di uccidere il serpente maschio. Admeto, re de li Ferei (di Fere, in Tessaglia), essendosi ammalato gravemente, ebbe dall’oracolo il responso che sarebbe guarito soltanto nel caso in cui un’altra persona si fosse sacrificata per lui; la moglie Alcesti non esitò allora ad offrirsi di morire al suo posto. Ricorda Segre che i due esempi di Tiberio Sempronio Gracco e di Admeto si trovano uniti in Valerio Massimo, Fact. et dict. mem., IV, 5, 6.

 

49. ’l miglior… seguito: avrei seguito Tiberio Sempronio Gracco. 50-51. quel… invito: «quello a cui, per farlo andare a morte al posto di Cornelia, non occorse se non la sua stessa volontà» (Segre).

 

53. ingratissimo Admeto: «perché le preghiere della moglie che, offrendosi per lui, gli dimostrava il suo profondo affetto, dovevano spingerlo a morire, per non rispondere a cotanto affetto con la più nera ingratitudine» (Fatini).