La ragazza era adagiata all’interno di un grande sarcofago di pietra dall’aria antica almeno quanto la galleria in cui si trovavano. In quel feretro imponente il suo corpicino esile sembrava doppiamente indifeso, contro la morte e contro la solitudine. Con la tunica bianca quasi dissolta, le trecce raccolte all’altezza delle tempie e le mani intrecciate sul grembo, l’immagine che il cadavere restituiva ricordava quasi la bella addormentata delle favole. Una povera ragazza sotto incantesimo abbandonata al suo destino in fondo a un sonno da cui nessuno l’avrebbe più risvegliata.
«Affascinante», sussurrò Palafox, tastando alla cieca la cinghia della sua valigetta, «davvero affascinante.»
La ragazza aveva i capelli biondi e la pelle bluastra. Due monete d’oro le chiudevano delicatamente gli occhi, e una terza moneta era posata sulle sue labbra. Lo scheletro di una ghirlanda di fiori le cingeva la fronte, e ai polsi due strisce di cuoio mostravano una certa simmetria con il ciondolo che le adornava il collo nudo. La stoffa bianca della tunica sembrava consumata almeno quanto la pietra del sarcofago, così logora che rischiava di dissolversi al minimo contatto, e in vari punti si era già lacerata a rivelare una carne soda e bluastra. Ai piedi indossava due semplici sandali, piccoli e di buona fattura, con dieci unghie scure e un unico neo, a destra, sul collo del piede.
«I lavori sono cominciati due settimane fa», stava spiegando la madre superiora, «su ordine dell’episcopato. I sotterranei di questo edificio sono un labirinto di gallerie mai esplorate da quando l’Ordine si è trasferito qui all’inizio del secolo scorso. Come vedete, i locali sono tutti in rovina e al massimo li usiamo per depositare le macerie, ma in curia hanno deciso che vanno recuperati e restaurati a uso del convento.»
«E i lavori in questa sala sono cominciati... quando di preciso?»
La madre superiora non si prese il disturbo di girarsi verso l’ispettore Reigosa.
«Gli operai sono arrivati in questa galleria tre giorni fa», rispose, guardando fissa la monaca che le stava accanto, una donna di mezz’età che si era presentata come sorella Olivia, responsabile dell’intendenza. «Questa mattina hanno trovato il sarcofago e ci hanno chiamato subito. Come saprete, l’edificio che oggi ospita il nostro Ordine è stato in altri tempi il palazzo dei re d’Aragona. In precedenza era stato residenza dei conti catalani e molti secoli prima anche dei governatori della città romana.» La madre superiora distolse finalmente lo sguardo dalla sua consorella e si decise a osservare il sarcofago che conteneva il corpo della ragazza che Palafox, nella sua testa, aveva appena battezzato la Dama del Pozzo. «L’edificio che conosciamo oggi si erge sulle rovine di molti altri edifici scomparsi, che sopravvivono sepolti sotto le fondamenta del nostro convento. Qui si sono avvicendati serbatoi per l’acqua e saloni del regno, giardini, stalle e refettori... e anche cimiteri. E questa ne è la prova.»
L’ispettore seguì lo sguardo della monaca e increspò d’istinto i baffi.
«Non dubito, madre Pietà, che questo sarcofago si trovi qui sotto chissà da quanti secoli, ma temo che per il cadavere al suo interno non si possa dire altrettanto.»
La madre superiora si rivolse finalmente all’uomo che aveva di fronte.
«Io ero presente quando gli operai hanno sollevato il coperchio, signore», affermò, indicando con la destra la lapide di pietra che giaceva su un lato del sarcofago. «E ho visto i fiori della sua ghirlanda avvizzire e le sue unghie farsi nere d’un tratto. E ho visto anche gli indumenti e le monete che vedete voi ora.»
«Posso confermarlo», intervenne la seconda monaca con un filo di voce, «sono stata testimone anche io del miracolo.»
«Il miracolo», ripeté l’ispettore con aria solenne. Quindi si girò verso Palafox e cercò inutilmente nei suoi occhi uno sguardo di complicità.
Il giovane era terreo in viso quanto la novizia che gli aveva aperto la porta del convento.
«Palafox?»
Anziché rispondergli, l’anatomista si rivolse alla madre superiora con il tono più ossequioso che riuscì a trovare.
«Mi permettete di porvi una domanda, madre Pietà?»
La monaca inclinò appena la testa verso il suo interlocutore.
«La sorella Olivia e io siamo qui appositamente per adempiere alle vostre richieste, signor Palafox», rispose. «Sua Eccellenza il vescovo è stato molto esplicito al riguardo.»
L’ispettore emise una specie di borbottio sottovoce e si girò verso il sarcofago, mentre Palafox sfoggiò un sorriso compiaciuto.
«Sua Eccellenza è molto magnanimo», precisò. «Quello che mi chiedo, madre Pietà, è se la galleria in cui ci troviamo adesso sia per caso ubicata nei pressi del famoso pozzo che avete nel patio.»
La fronte increspata della superiora non mostrò alcuna reazione di fronte a quella domanda.
«Avete sentito parlare del pozzo dell’Annegata», si limitò a osservare.
«È una storia vera? Avete davvero sentito piangere quella povera anima in fondo al pozzo?»
La donna non ebbe un attimo di esitazione neppure stavolta.
«Ma certo che l’abbiamo sentita», disse. «E la risposta alla vostra prima domanda è sì: gli operai hanno verificato la posizione esatta questo pomeriggio. Il pozzo scende proprio dietro a questo muro.» La monaca alzò la mano e sfiorò la pietra della parete con la punta delle dita ricurve e ossute come quelle di un cadavere. «Secoli fa scorreva un fiume sotterraneo sotto questa parte della città, il fiume di Santa Eulalia. Un giorno il fiume si è seccato, e con lui il pozzo. Adesso è cieco e nessuno ci si avvicina, ma abbiamo tutte sentito piangere la povera creatura che abitava al suo interno.»
Palafox notò con interesse l’uso del tempo passato da parte della madre superiora.
«Forse non la sentirete più da adesso in poi», azzardò. «Pensate di seppellirla al più presto, a quanto ho saputo.»
«Ma certo», rispose la donna. «Anche se questa creatura non era cristiana, merita di riposare in terra consacrata.»
A questa frase, l’ispettore si girò verso la madre superiora e abbozzò un’espressione conciliante ben poco persuasiva.
«Voi capite, madre Pietà, che questo cadavere non può ricevere sepoltura finché il signor Palafox non avrà scartato ogni ragionevole possibilità di trovarci in presenza di un evento meno... miracoloso del corpo incorrotto di una fanciulla romana che piange chiedendo riposo dal fondo di un pozzo.» Reigosa ignorò la mano che il giovane medico gli aveva appena posato sull’avambraccio e proseguì: «E nel caso più che probabile che le cose stiano effettivamente così, il mio dovere come ispettore del Corpo di Vigilanza di Sua Maestà è richiedere la salma e procedere alle indagini di quello che a prima vista, signora, sembra un crimine particolarmente originale e inspiegabile».
Il silenzio che seguì alle parole dell’ispettore permise a Palafox di sentire nitidamente il gorgoglio del fiume sotterraneo che scorreva sotto i loro piedi, il fiume di Santa Eulalia. Un fiume immaginario, inesistente, antico e segreto almeno quanto la città stessa di Barcellona.
«Quello che l’ispettore intende dire...» cercò di smorzare i toni il medico, ma la madre superiora lo interruppe con un cenno lievissimo della mano destra.
«Sua Eccellenza è stato del tutto chiaro al riguardo», affermò senza alzare la voce. «Lo è stato quando ha parlato con voi questo pomeriggio, signor ispettore del Corpo di Vigilanza di Sua Maestà, e lo è stato anche quando ha parlato con noi. Se voi siete qui, è solo per un atto di cortesia da parte sua; una cortesia, a quanto so, dovuta unicamente alla relazione personale che Sua Eccellenza mantiene con il signor Palafox. La legge di Sua Maestà, signor ispettore, non si applica all’interno di queste mura, e se vi ho aperto le porte del nostro convento è stato esclusivamente in considerazione della persona con cui vi siete presentato. Questa sventurata avrebbe potuto ricevere sepoltura oggi stesso, senza che nessuno del vostro Corpo di Vigilanza lo venisse mai a sapere, e nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. Quando si manifesta il prodigio, le vostre armi e i vostri paroloni non valgono più dei balocchi di un bambino.»
Un vero e proprio sorriso affiorò, adesso sì, sulle labbra dell’ispettore.
«Quando si manifesta il prodigio», ripeté.
«Domani mattina presto, questa creatura riposerà per sempre in terra consacrata.» La monaca indicò con il mento la valigetta già aperta che Palafox teneva in mano. «Se volete profanare adesso il suo riposo con i vostri coltelli e la vostra mancanza di fede, fatelo con rispetto. Avete dieci minuti, poi dovrò chiedervi di lasciare il convento.»
La madre Pietà si avviò verso l’ingresso della galleria con passo da anziana feroce, e la sorella Olivia la imitò dopo aver raccolto da terra una delle lucerne che illuminavano il luogo.
Quando finalmente si ritrovarono soli, Palafox rivolse un’occhiata di rimprovero al collega.
«Non sarò certo io a giudicare i vostri metodi, ispettore, ma ritengo che non abbiate dimostrato molto tatto con quella povera donna.»
L’ispettore emise un altro borbottio, stavolta più forte.
«Quella povera donna...»
«In ogni caso, la madre superiora ha ragione. Non vi pare interessante? Se avessero sepolto il cadavere senza notificarne il ritrovamento, nessuno l’avrebbe mai saputo al di fuori dell’autorità episcopale. Perché vi hanno chiamato, ispettore?»
Reigosa scrollò la testa con fare impaziente.
«E chi lo sa, con questi baciapile? Forse cercano solo di proteggere il poco potere che ancora possiedono, adesso che tutto sembra crollarci sotto i piedi. In fin dei conti, un miracolo senza testimoni non è un miracolo, non vi pare?»
L’anatomista rimase a fissare il collega inclinando leggermente la testa.
«Interessante osservazione», disse, «un miracolo senza testimoni non è un miracolo. Come del resto un omicidio senza cadavere non è un omicidio, giusto?»
«Perché questo è un omicidio.»
«E cos’altro potrebbe essere?» Palafox infilò la sinistra nella valigetta socchiusa ed estrasse un bisturi lucido come una moneta d’argento. «Guardate questo, ispettore.»
I due uomini si chinarono sul cadavere. Palafox avvicinò la punta del suo bisturi al lembo sinistro della tunica e sfiorò appena la stoffa. Il tessuto si disintegrò sotto i loro occhi in una miriade di granellini polverosi e al di sotto comparve la carne bluastra di una spalla ancora integra. Il giovane affondò allora la punta del bisturi sotto la pelle e tracciò una sottile riga di colore scuro. Alla fine lasciò il bisturi sul bordo del sarcofago e tolse una delle monete che coprivano gli occhi della ragazza per poterle sollevare con garbo la palpebra.
Un occhio dalla pupilla azzurra osservò i due uomini con lo stupore della morte.
«Ebbene?» chiese incuriosito l’ispettore, sottraendosi allo sguardo del cadavere e concentrandosi sul viso esangue del suo collega.
«Non lo vedete, ispettore?» chiese a sua volta Palafox. «Queste monache chiamano miracolo un fatto che è stato ampiamente documentato nel corso dei secoli, e che non racchiude in realtà alcun mistero: l’esistenza di certi cadaveri che sembrano immuni alla corruzione che colpisce qualsiasi corpo dopo la morte. Si tratta, in tutti i casi, di un’illusione prodotta dalle condizioni di sepoltura: temperatura giusta, mancanza di umidità, assenza di insetti necrofagi... Niente che la scienza anatomica non possa spiegare, nonostante gli effetti siano piuttosto sconcertanti. Ma niente che somigli al caso che ci troviamo di fronte adesso», proseguì Palafox, seguendo con l’indice la curva del naso della ragazza. «Non esiste processo naturale in grado di spiegare come mai un cadavere incorrotto conservi freschi i globi oculari o possa essere perforato da un bisturi senza decomporsi. Per non parlare della lucentezza che conserva ancora la pelle. Per quanto fossero favorevoli le condizioni termiche di contorno, e qui sotto di sicuro non lo sono, i tessuti interni del corpo si sarebbero tramutati nel migliore dei casi in una specie di sapone di sego più o meno consistente, e la pelle avrebbe preso l’aspetto del cuoio conciato. Un cadavere incorrotto è una finzione e nulla più, la facciata ingannevole di un edificio marcio all’interno.»
L’ispettore Reigosa annuì con un certo sollievo.
«Questo cadavere è recente», ne concluse.
«Questo cadavere è diventato tale meno di settantadue ore fa, eppure...»
«Eppure?»
Palafox richiuse l’occhio della ragazza e tornò a coprirlo con la moneta d’oro.
«Ve ne intendete di numismatica, ispettore?»
«Quanto voi di caccia grossa, presumo.» L’uomo si chinò nuovamente sul viso del cadavere. «Le monete sono romane?»
«Sì, le monete sono romane, ma è la prima volta in vita mia che vedo una moneta romana così ben conservata. Guardate quanto brillano, ispettore, sembrano monete nuove di zecca.»
«Un collezionista molto scrupoloso. Be’, se non altro sappiamo già da dove incominciare.» L’ispettore raccolse le tre monete e le mise nella tasca della finanziera, pronto a sostenere l’occhiata perplessa del suo collega. «Qualche problema?»
Palafox vacillò visibilmente.
«Non so se...»
«Questa ragazza non ne avrà più bisogno», lo interruppe l’ispettore. «E il vostro amico il signor vescovo potrà pure rifiutarsi di consegnarmi il cadavere, ma non mi impedirà di fare indagini su un omicidio. Altro?»
Il giovane si schiarì la voce.
«La tunica», rispose dopo un po’.
«Una tunica antica», annuì l’ispettore. «La nostra vittima è stata travestita a dovere da antica romana.»
Palafox scrollò vigorosamente la testa.
«La stoffa di questa tunica non è solo antica, ma si disfa al minimo contatto, come se davvero fosse stata infilata dentro un sarcofago duemila anni fa.»
«Una tunica romana autentica. Oltre che scrupoloso, il nostro collezionista è anche ben fornito.»
«E possiede un’abilità manuale degna di miglior causa. Francamente, ispettore, non capisco come possano aver fatto indossare questa tunica al cadavere senza ritrovarsi con un pugno di polvere in mano.»
«Cosa cercate di dirmi, Palafox?» chiese l’ispettore Reigosa con aria accigliata.
Senza perdere del tutto il lieve sorriso di curiosità che gli era affiorato alle labbra appena visto il cadavere, l’anatomista riprese il bisturi dal bordo del sarcofago e lo lasciò cadere dentro la valigetta.
«Cerco di dirvi, ispettore, che un miracolo autentico vi avrebbe causato meno problemi di un omicidio come questo», sentenziò. «Un omicidio che include un sarcofago di pietra riesumato da poco, tre monete romane luccicanti e una tunica che si disfa al minimo contatto. Per non parlare, ovviamente, di quella ghirlanda di fiori che le nostre amiche hanno visto ridursi in polvere sotto i loro occhi appena hanno aperto il sarcofago.» Palafox si chinò sul lato destro del sarcofago e tastò il coperchio che vi era appoggiato. «Secondo voi quanto pesa questa lastra?»
Reigosa la sfiorò appena con le dita inguantate.
«Non sappiamo se copriva davvero il sarcofago quando l’hanno trovato», rispose. «Non sappiamo se questa ragazza si trovava davvero dentro il sarcofago, o se il suo cadavere è stato rinvenuto altrove e poi depositato qui dentro per qualche misteriosa ragione. Non sappiamo quando è stato scoperto il corpo, e neppure chi l’ha scoperto, né tantomeno conosciamo la sua identità. Non sappiamo niente.»
«Sappiamo quello che la madre superiora e la sorella Olivia ci hanno raccontato», ribatté Palafox. «Io non credo che mentano, e voi?» Reigosa non rispose, ma si limitò a sfiorare per la seconda volta la ruvida superficie della lastra che giaceva accanto al sarcofago con aria sempre più nervosa. E così fu l’anatomista ad aggiungere: «Io credo che queste monache abbiano assistito davvero a un miracolo, ispettore. Anche se questo miracolo non regge all’esame di un semplice bisturi».
I due uomini rimasero a guardarsi in silenzio.
Lo sciabordio dell’inesistente fiume sotterraneo tornò a risuonare nelle orecchie di Palafox, ricordandogli per un istante il Tamesis che scorreva di notte nel cuore di un’altra città millenaria e traboccante di fantasmi.
Oltre le ombre che circondavano la galleria, un rumore di passi sempre più vicini costrinse l’ispettore Reigosa a ritrovare l’abituale compostezza professionale.
«La causa della morte, Palafox», ordinò a voce bassa.
«Impossibile dirlo senza eseguire un esame completo del corpo. E queste non sono cose che si possano fare in cinque minuti... né tantomeno nei sotterranei di un convento di monache.»
«Non ci sono ferite visibili, in ogni caso.»
«La testa e il collo sono intatti.» Palafox si chinò sul cadavere e posò due dita sulla mandibola. «Non ci sono segni di contusioni o di violenza. Neppure le zone che la tunica lascia allo scoperto mostrano tracce di aggressione. Per quello che riusciamo a vedere, questa ragazza potrebbe anche essere morta per cause naturali, ma non avrebbe alcun senso.»
L’ispettore annuì con aria pensosa.
«Avvelenamento?»
«Potrebbe essere, e così forse si spiegherebbe la tonalità bluastra della pelle.» Il giovane separò con grande attenzione le labbra del cadavere e lasciò allo scoperto una dentatura perfetta, che rivelò a sua volta, dopo una breve pressione, una lingua di colore blu scuro. «Ma a dire la verità non conosco nessun veleno che produca un effetto simile. Anzi, le confesso che se avessimo trovato questa sventurata dentro un letto, avrei pensato sicuramente a una morte naturale.» Palafox richiuse la bocca del cadavere. «Ma in tal caso, il collezionista che voi avete in mente deve avere un senso dell’umorismo davvero bizzarro.»
Reigosa annuì di nuovo.
«Perché mai trasformare una morte naturale in un falso miracolo assurdo come questo?»
«Esatto. Ma a pensarci bene, perché mai farlo anche in caso di omicidio?»
Il rumore di passi aumentò evocando l’immagine di tre paia di sandali che colpivano ritmicamente la pietra umida.
Ancora un istante di silenzio precedette la domanda che era ovvio aspettarsi.
«Cosa vedete, Palafox?»
L’anatomista chiuse gli occhi e lasciò che i duemila anni di storia di quella galleria sotterranea si spalancassero sotto i suoi occhi. La luce violenta del tempo, il suo rombo assordante, la confusione ingovernabile di tutte le voci e di tutti i volti e di tutte le vite vissute in quel luogo preciso. Un arazzo di forme e colori infiniti, di suoni e sensazioni, steso sulla realtà come una nebbia translucida, soffocante. Posò la mano sulla pietra del sarcofago e avvertì la stessa vibrazione che già lo aveva percorso da capo a piedi all’arrivo. La vibrazione del tempo sacro. La vibrazione della materia intrisa di memoria e carica di messaggi cifrati.
Poi sfiorò la carne senza vita della Dama del Pozzo, e calò l’oscurità.
«Niente che possa esservi di aiuto, ispettore», disse, riaprendo gli occhi e guardando Reigosa con aria fosca. «Questa ragazza è un mistero per me come per voi.»
L’ispettore strinse il braccio dell’amico.
«Un mistero, ma non un miracolo. Per adesso mi basta questo.»
Non ebbero modo di dirsi altro. Proprio in quell’istante le due monache sbucarono dalle tenebre con i volti simili a due maschere di cera.
Dietro di loro, un uomo vestito a lutto, alto e magrissimo, con la testa coperta da un gigantesco cappello circolare e le mani infilate in un paio di guanti di seta, si materializzò sulla frontiera esatta in cui il chiarore delle lucerne si fondeva con la penombra della galleria sotterranea.
«Ispettore, voi lo...» mormorò Palafox.
«Sì, lo vedo anch’io», lo confortò l’uomo in tono serafico. E alzando la voce, si rivolse alla madre superiora: «Non c’è modo di convincervi a farci portare fuori di qui il cadavere, vero, madre Pietà?»
La monaca non si prese neppure il disturbo di scrollare la testa.
«Lasciate riposare i morti, ispettore. E siate adeguatamente riconoscenti alla buona volontà di Sua Eccellenza.»
L’ispettore Reigosa abbozzò un sorriso forzato e rivolse lo sguardo all’uomo in lutto.
In quel punto regnava adesso il vuoto più assoluto.
«Lo siamo, madre Pietà, lo siamo, non dubitatene mai.»
Tutto qui. Le due monache li accompagnarono in silenzio in cima ai gradini che davano accesso a quello strano mondo sommerso sotto le fondamenta del vecchio palazzo reale, e qui la sorella Martina li accolse altrettanto in silenzio e li condusse all’uscita del convento con la stessa espressione di stupore infantile congelata nei grandi occhi neri.
Tre minuti dopo, Andreu Palafox e Octavio Reigosa erano di nuovo in plaza del Rey, a osservare i bagliori dell’incendio lontano riflessi nella nebbia e chiedendosi, ognuno a suo modo, il significato profondo di quell’assurdo spettacolo a cui avevano appena assistito.