13

Quando Teresa e Andreu giunsero a Trentaclaus, gli agenti del Corpo di Vigilanza avevano già delimitato un ampio cordone di sicurezza attorno alla parte bassa del teatro della Santa Cruz. Tre uomini in uniforme sorvegliavano l’arco dal lato della Rambla e altrettanti impedivano l’accesso dalle strade laterali. Quel dispiego di polizia era un po’ ostentato, sembrava quasi una provocazione, ma agli occhi di Palafox la modesta curiosità suscitata tra la gente del quartiere dava l’idea di quanto fosse strana Barcellona quell’estate: neanche un picchetto di agenti di guardia davanti alla casa di un protettore sgozzato poteva competere con la spaventosa successione di scioperi, incendi, sabotaggi ed epidemie con cui la città aveva deciso negli ultimi tempi di distrarre i suoi abitanti.

La carrozza degli Urbach si fermò di fronte alla porta principale del teatro. Teresa saltò giù dalla vettura, si coprì la testa con un cappello color ciliegia e ordinò al cocchiere di tornare subito a casa e avvertire il padre che avrebbe fatto tardi. Appena le circostanze glielo avessero permesso, sarebbe tornata a piedi con il signor Palafox.

«Sei sicura di volerti far coinvolgere anche in questa storia?» le chiese di nuovo l’anatomista, quando la carrozza si fu avviata verso calle del Dormitorio de San Francisco.

«Quante volte te lo devo ripetere?»

Palafox sorrise per la smorfia esagerata della sua amica.

«Nella vita reale, i cadaveri degli assassinati sono molto più sgradevoli che nei romanzi, sai? Puzzano di più, soprattutto. E quasi sempre ci sono sangue e viscere dappertutto.»

«Non devi convincermi, ti ho già detto che voglio vederlo», insistette Teresa porgendogli il braccio con un sorriso. «Andiamo?»

Uno dei tre agenti che piantonavano l’arco de Trentaclaus era lo stesso che quel mattino si era occupato di sorvegliare l’ingresso nella stanza dell’inglese alla Locanda del Nuovo Mondo, l’agente Antúnez, uno spilungone allampanato con i capelli rossi che era il primo a non trovarsi particolarmente attraente.

«Non credo proprio», esclamò, alzando una mano con aria autorevole e guardando Teresa in maniera marcatamente offensiva.

Una donna, diceva quello sguardo. Una donna ricca. Una donna ricca che cerca di mettere il naso nel territorio rigidamente maschile e popolare del Corpo di Vigilanza.

Teresa non si perse d’animo.

«Invece io credo di sì», rispose, prima che Palafox potesse azzardare una protesta.

«Scusate?»

«Fatevi immediatamente da parte e lasciateci passare, ragazzino. Oppure andate a cercare l’ispettore Reigosa e aspettatevi le conseguenze.»

L’agente Antúnez guardò Palafox con aria perplessa.

«L’ispettore ha chiamato solo voi, signor Palafox», protestò.

«E io sono venuto con la signorina Urbach, agente Antúnez», ribatté l’anatomista. «Ma non credo che scambiare ovvietà sia molto utile in queste circostanze.»

Le sopracciglia rosse dell’agente si inarcarono ancora di più quando sentì il cognome della signorina.

«Perdonate il malinteso», si scusò, facendosi da parte.

Una serie di lampade portatili rischiaravano il passaggio coperto che dava accesso a calle de Trentaclaus. La nebbia spessa e il crepuscolo imminente cominciavano a riempire la realtà di ombre e miraggi, e persino la porta socchiusa dello squallido edificio verso cui si dirigevano, lo stesso che aveva piantonato Palafox quel mattino, suggeriva adesso la presenza di chissà quali entità sinistre al suo interno.

Illuminato dalla sua lanterna, l’agente Lafita li accolse nell’androne del palazzo con un’espressione molto simile a quella che aveva assunto in un primo momento il suo collega dai capelli rossi. Eppure Lafita conosceva bene l’identità della signorina in compagnia di Palafox.

«Buonasera, signorina Urbach, che sorpresa vedervi qui!»

«Accompagnare il signor Palafox quando collabora con il Corpo di Vigilanza è un privilegio a cui non rinuncerei per nulla al mondo», si schernì lei con modestia.

Il poliziotto annuì bofonchiando qualcosa d’incomprensibile.

«Primo piano, seconda porta», annunciò, guardando Palafox con la testa inclinata mentre gli porgeva la lanterna. «State attenti a non mettere i piedi nella pozza di sangue in corridoio.»

I due si avviarono verso la rampa di scale che partiva in fondo all’androne buio, Palafox per primo con la lanterna alzata sopra la testa e Teresa dietro, con una mano posata sul suo fianco.

«Lo senti questo odore?» le chiese l’anatomista a metà della scala.

«Odore di sporco. Sporco e umido. E di qualche cibo non proprio appetitoso.»

Palafox guardò Teresa da sopra la spalla, ma tutto ciò che vide fu l’ombra tremula del proprio corpo proiettata sulla sagoma della figlia di Eliseo Urbach.

«Odore di morte», sentenziò, «decomposizione recente.»

«Ci avviciniamo al mio primo cadavere in carne e ossa.»

Il tono allegro con cui Teresa pronunciò questa frase non era del tutto convincente.

«Il cadavere che siamo venuti a vedere non è il cadavere di cui si sente l’odore.» Palafox salì l’ultimo gradino e aspettò che la sua amica lo raggiungesse. «Il morto che ci ha descritto Adela risalirà al massimo a dieci ore fa.»

«Mentre la puzza di cadavere che sentiamo adesso...»

L’anatomista non fece in tempo a completare la frase di Teresa, perché all’improvviso un bagliore spettrale esplose in una stanza del corridoio e Palafox si trovò di fronte la Dama del Pozzo. La vide con la stessa chiarezza con cui continuava a vedere Teresa al suo fianco. I capelli biondi raccolti sopra la testa, la pelle bianchissima e lievemente bluastra, gli occhi azzurri fissi in un vuoto senza tempo né forma e quel corpo snello, giovane, coperto dalla stoffa bianca di una tunica che le fluttuava attorno come una nuvola aggrappata alla cima di una montagna innevata.

La Dama del Pozzo.

La ragazza del sarcofago di Santa Clara.

Una povera bambina morta che adesso gli andava incontro per annunciargli...

«Grazie di essere venuto, Palafox», disse l’ispettore Reigosa, emergendo dal centro del bagliore e dissolvendo all’istante l’ammaliante fantasmagoria che il cervello dell’anatomista aveva appena allestito. «E grazie anche per la splendida compagnia che ha scelto per l’occasione.»

Teresa Urbach si avvicinò a Reigosa porgendogli la mano.

«Cominciavate già a mancarmi, ispettore.»

«È una frase che non sono abituato a sentire, signorina Urbach», ribatté Reigosa baciandole la mano. «Come sempre, vogliate perdonare le circostanze.»

«Non avete nulla da farvi perdonare», rispose Teresa. «Non ne vado fiera, ma vi confesso che mi sto gustando l’occasione.»

Neppure stavolta il tono allegro della donna parve convincente alle orecchie di Palafox, che aveva raggiunto in quel momento la porta da cui erano usciti l’ispettore e la Dama del Pozzo, e adesso cercava di localizzare sul pavimento la pozza di sangue di cui aveva parlato l’agente Lafita.

«Il cadavere del protettore è dentro la stanza, ma non è qui che l’hanno ucciso», spiegò l’ispettore, cancellando dalle labbra il sorriso che aveva appena rivolto a Teresa e guardando fisso il suo amico.

«L’hanno ucciso in fondo al corridoio. Il sangue è laggiù, se volete vederlo», disse l’ispettore, facendo oscillare la lanterna verso il lato opposto delle scale. «Secondo i miei calcoli, ce n’è abbastanza per riempire due tinozze belle grandi.»

Palafox esaminò brevemente la pozza di sangue, poi tornò accanto a Reigosa e Teresa.

«L’hanno ucciso lì, hanno aspettato che si dissanguasse del tutto, e poi, passata qualche ora, l’hanno portato in strada per annunciare il suo omicidio. Ma perché, mi chiedo io.»

«Bella domanda», annuì Reigosa. «Perché?»

«Un cadavere in strada dà meno fastidio di un cadavere dentro casa», osservò Teresa. «Ma ovviamente un cadavere in una strada qualsiasi darebbe ancora meno fastidio di un cadavere nella propria strada.»

«Già, perché lasciarlo proprio qui, a Trentaclaus, e non in un qualsiasi altro punto della città? Perché non portarlo fuori dalle mura? Perché non gettarlo in mare?»

Palafox rispose alle tre domande retoriche dell’ispettore esattamente come lui si aspettava, e come forse si era già risposto mentalmente.

«Perché qualcuno voleva che il cadavere non ci sfuggisse.» E allungando il braccio verso la porta aperta lì accanto, aggiunse: «Entriamo?»

La stanza in cui gli uomini di Reigosa avevano depositato il corpo del protettore era stretta e lunga, e puzzava di tabacco economico. Un lettino basso occupava quasi tutto lo spazio, mentre uno sgabello con il catino e un pitale completavano l’intera mobilia. Palafox sfiorò con la punta delle dita il lembo del lenzuolo che copriva il materasso e un torrente di immagini oscene gli invase la mente. Decine, centinaia di corpi antichi aggrovigliati nella triste meccanica dell’amore mercenario, illuminati da candele di sebo e lampade a olio, con i visi congelati in smorfie feroci, silenziosi e concentrati come i cadaveri che sarebbero diventati. Palafox ritrasse la mano e strinse forte gli occhi. Immaginare la Dama del Pozzo costretta al ripetersi di quella pratica desolante gli rivoltava lo stomaco quasi quanto il sottile fetore di decomposizione che continuava a sentire sotto la puzza di tabacco. Per un attimo avrebbe voluto credere nel miracolo che il vescovo Riera e le monache di Santa Clara gli avevano servito su un piatto d’argento la sera prima. Che quella ragazza fosse davvero una fanciulla romana incorrotta. Che la sua carne non fosse stata umiliata dalla sudicia carne degli uomini di questo tempo.

Che la sua storia fosse una bella favola, e non un racconto dell’orrore.

«L’abbiamo sistemato qui di sopra perché le stanze del pianterreno sono infestate di insetti», spiegava Reigosa quando l’anatomista riuscì faticosamente a tornare alla realtà. «Non c’era nessuno in casa, e non sembra che qualcuno l’abbia occupata di recente. Niente abiti, niente cibo, niente carte. Se non sapessimo che fino a un paio di giorni fa serviva da bordello, potremmo pensare che sia abbandonata da anni. Non abbiamo neanche dovuto buttar giù la porta: l’avevano lasciata aperta per facilitarci la vita.»

Palafox avvicinò la lanterna al cadavere adagiato sul letto e studiò il profondo taglio che gli aveva aperto la gola. Un taglio netto e profondo, identico a quello che da poco aveva visto nella gola dell’inglese del paseo de la Aduana. Un taglio eseguito da sinistra verso destra con una tale forza che la lama del coltello aveva segato la laringe e scalfito persino la colonna vertebrale.

«Non ci sono dubbi, ispettore. A tagliare la gola a quest’uomo e a Oliver Manning è stata la stessa mano», sentenziò, tastando la camicia che copriva il petto del protettore. «Ma almeno a lui non hanno inferto altri colpi, a parte quello mortale. Non volevano torturarlo, com’è capitato al povero signor Manning. Il signor Moreira volevano solo ammazzarlo, tutto qui.»

Reigosa abbozzò un sorriso tra le ombre della stanza.

«Vedo che Adela ha avuto modo di aggiornarvi.»

«Conosciamo solo il suo nome e la sua professione. Leandro Moreira, protettore.»

«Sicuramente saprete anche che una delle sue dipendenti coincide con la descrizione della defunta che abbiamo visto ieri notte nel convento. Se fosse vero, si spiegherebbe come mai nessuno ha notato l’assenza o denunciato la scomparsa della ragazza.» L’ispettore scrollò la testa. «Quando una di queste poverette sparisce dalla strada, nessuno si prende il disturbo di fare troppe domande.»

Palafox annuì serissimo.

«Adela cercherà di convincere il suo amico a parlare con noi», disse. «Magari ci può fornire qualche altra informazione in merito.»

«Dal modo in cui se l’è data a gambe quel verme, dubito fortemente che avrà voglia di parlare con la polizia. Magari a voi andrà meglio.» Reigosa si girò verso Teresa e notò che la donna non distoglieva lo sguardo dal corpo senza vita che giaceva nel letto. «Magari preferite proseguire questa conversazione in un posto un po’ meno sgradevole...»

La scrittrice non fece in tempo a rispondere.

«La signorina Urbach e io ce ne andiamo, ispettore», annunciò Palafox. «A meno che non mi chiediate di eseguire adesso un esame completo del cadavere. Ovviamente sarebbe preferibile rimandarlo a domani, in un ambiente più luminoso.»

Reigosa lo guardò di sbieco, ma non protestò.

«Ovviamente.»

«E non sarebbe inutile poter avere accesso anche al corpo del signor Manning. Adesso che sappiamo che l’hanno torturato per estorcergli delle informazioni, magari il suo cadavere potrebbe avere qualcosa di nuovo da dirci.»

I denti dell’ispettore si affacciarono sotto i suoi baffetti alla francese.

«L’hanno torturato per estorcergli delle informazioni», ripeté.

«Uno stesso assassino uccide due uomini», proseguì Palafox. «A entrambi taglia la gola esattamente nello stesso modo. Ma uno prima lo tortura in maniera feroce, mentre l’altro no. Evidentemente, uno possedeva delle informazioni che gli interessavano, mentre l’altro era solo un intralcio di cui disfarsi quanto prima.»

L’ispettore soppesò quelle parole per alcuni istanti.

«O forse in un caso c’era un odio personale di mezzo e nell’altro solo la necessità di far fuori un testimone scomodo», ribatté alla fine.

Palafox si strinse nelle spalle.

«Può darsi. Domani mattina all’obitorio degli Arsenali?»

Reigosa annuì.

«Usciamo di qui», aggiunse subito dopo. «Dovete ancora raccontarmi com’è andata al sanatorio, ma meglio farlo di fuori. Questa puzza di tabacco rancido e di protettore morto comincia a darmi il vomito.»

«Non incolpate questo signore per il fetore di morte che si respira in questa casa, ispettore.»

«Cosa intendete dire?» gli chiese incuriosito l’ispettore.

«Andreu intende dire che il signor Moreira è morto da troppo poco tempo per puzzare in questo modo», si intromise Teresa, che era già uscita dalla stanza e osservava i due uomini dal corridoio.

«In questa casa è passato di recente un altro cadavere», annuì Palafox. «Un cadavere che è rimasto qui solo un paio di giorni.»

«La ragazza del sarcofago?»

«Può darsi. In quel sotterraneo era così umido che si faceva fatica a sentirlo, ma di sicuro l’odore della...» Palafox trattenne appena in tempo le parole «Dama del Pozzo», «della ragazza del sarcofago quadrava con il grado di decomposizione iniziale che suggerisce l’odore di questa casa.»

«L’hanno uccisa qui.»

«È morta qui, direi. Ricordate che non abbiamo visto segni di violenza sul corpo?»

Reigosa annuì pensieroso.

«Domani ordinerò una perquisizione completa della casa. Non vale la pena di provarci al buio. E adesso, se non vi dispiace...»

Palafox diede un’ultima occhiata al corpo senza vita del protettore, annusò ancora l’aria e si decise finalmente a uscire dalla stanza in compagnia dell’ispettore Reigosa, così pallido che il suo colorito terreo si notava persino alla fioca luce delle lanterne.

In fondo al corridoio, una nuova esplosione di luce spettrale acquisì per un istante la forma di una giovane bionda, pallida, bluastra, prima di scomparire di nuovo e per sempre nella penombra di quella casa infernale...