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La carrozza della signorina Urbach aveva appena lasciato calle del Regomir, diretta a Trentaclaus, quando la testa di Patricio si affacciò all’angolo del Correo Viejo. Adela represse un sorriso vedendo l’espressione incerta che aleggiava sul viso del ragazzo e si fermò sulla soglia di casa.

«Pensavo che a quest’ora stessi cantando in gattabuia», la salutò quando le fu vicino.

«E io pensavo che tu stessi ancora correndo. A proposito, grazie per avermi aspettato.»

«Da quando in qua vedi un poliziotto e non ti metti a correre?»

«Da quando il poliziotto in questione è amico del mio padrone.» Adela si fece da parte e lasciò entrare Patricio nel patio di casa. «Ah, tra l’altro, scappare via di corsa quando ti beccano accanto a un morto è il modo migliore per ritrovarsi a cantare in gattabuia.»

Il ragazzo sorrise con aria conciliante.

«Io non conosco la polizia bene come te», le concesse. «Io so solo che se vedi sbucare un’uniforme, devi dartela a gambe.»

Adela richiuse il portone del patio e prese in braccio Baffetto, che se ne stava raggomitolato sul secondo gradino della scala.

«Era l’ispettore Reigosa», spiegò, sedendosi su quello stesso gradino e invitando Patricio a fare altrettanto. «È uno dei capi del Corpo di Vigilanza, sai? Secondo lui il signor Palafox è un genio.»

«Cosa ti ha detto?»

«Niente. Sono stata io a dirgli cos’abbiamo scoperto, chi è il morto e cosa faceva nella vita, e lui mi ha ordinato di venire a cercare il signor Palafox.» Adela notò compiaciuta che Patricio accarezzava delicatamente il dorso di Baffetto. «Gli ho anche detto che sappiamo già chi è la Dama del Pozzo.»

«Allora vorrà di sicuro parlare con me.»

«Sicuro.»

«Ma io non voglio parlare con lui.»

«Non vuoi sapere chi era quella ragazzina?» chiese infastidita Adela. «E neanche chi l’ha ammazzata? E perché è finita dentro un sarcofago romano?»

Patricio continuò ad accarezzare il pelo morbido del micio.

«Alla polizia non importa un bel niente delle prostitute», disse alla fine. «Appena capiranno chi era la Dama del Pozzo, si dimenticheranno di lei.»

«No, non si dimenticheranno di lei», protestò con decisione Adela. «Il signor Palafox non glielo permetterà. E poi quella ragazza è solo una parte del mistero su cui lui e l’ispettore stanno indagando. Devono sapere chi era la Dama del Pozzo se vogliono sapere chi ha ucciso quell’inglese nella pensione del porto, e devono sapere chi ha ucciso l’inglese se vogliono sapere chi è l’Uomo in Nero che ha ucciso il protettore. Oppure alla rovescia.»

Patricio sorrise.

«Sei diventata una detective», disse.

«È perché adesso leggo i romanzi.»

«Leggi i romanzi?» ripeté il ragazzo con aria ammirata. «Hai imparato a leggere?»

«Un pochino, ma non ancora abbastanza per leggere un romanzo. Me li legge il signor Palafox. Hai visto la donna che era insieme a lui sulla carrozza?»

«Una signora elegante», annuì Patricio.

«Si chiama Teresa Urbach e scrive libri. È la figlia di...»

«Eliseo Urbach», terminò Patricio, sgranando l’unico occhio sano. «Il padrone del magazzino in cui il tuo padrone ha visto entrare stamattina l’Uomo in Nero.»

Adela seguì con un dito il contorno delle minuscole labbra di Baffetto, che russava sulle sue gambe con un occhio aperto e uno chiuso. Come Patricio.

«Interessante, vero?»

«Per te quella donna c’entra in qualche modo con...?»

Adela non lo lasciò finire.

«Certo che no!» lo rimproverò. «La signorina Urbach è una dama rispettabile. Scrive libri. E vuole molto bene al signor Palafox.»

Patricio fece una smorfia strana.

«Sono amanti?» chiese con una disinvoltura che alla domestica parve forzata e fuori luogo.

«Credo di no, ma il signor Palafox è innamorato di lei.»

«Mi sa che a Eliseo Urbach non piacerebbe molto avere un genero mezzo matto. Figuriamoci poi uno che è stato a un passo dal far fuori una donna!» Patricio sostenne lo sguardo severo di Adela. «Con rispetto parlando.»

«Il signor Palafox non è matto.»

«Sì, questo l’hai già detto. Però vede cose che non esistono e persone che non ci sono.» Il ragazzo fece un’altra smorfia delle sue. «E pensandoci bene, come facciamo a essere sicuri che quest’Uomo in Nero esiste davvero?»

«L’ha visto anche l’ispettore Reigosa», rispose pronta Adela.

«L’ha visto nel sotterraneo del convento.»

«Cosa intendi dire?»

«E se quella di stamattina è stata solo una delle sue tante visioni?» chiese Patricio. «E se si è solo sognato di vedere l’Uomo in Nero che entrava nella casa di Trentaclaus e nel magazzino di Montcada?»

«No, non ha nessun senso», protestò Adela scrollando vigorosamente la testa.

«È solo un’idea.»

«No, non è un’idea», scrollò ancora la testa la ragazza con aria serissima. «È un’accusa di omicidio. Se il signor Palafox si è sognato che l’Uomo in Nero entrava stamattina nella casa di Trentaclaus, chi ha ucciso Leandro Moreira? E se è stato lui a ucciderlo perché sapeva che la Dama del Pozzo era una delle prostitute con cui quel tipo faceva affari, chi ha ucciso lei? E chi ha ucciso l’inglese della pensione?»

Patricio alzò entrambe le mani in segno di resa.

«Io dico solo che quell’Uomo in Nero mi pare una figura un po’ troppo misteriosa», commentò. «Di sicuro i romanzi saranno pieni di personaggi così.»

Adela aprì la bocca, ma non riuscì a dire niente. Rimase semplicemente a fissare il vuoto con l’aria imbambolata.

Dopo qualche secondo, il suo amico le tirò la manica del vestito.

«Cosa fai, hai le visioni pure tu?»

Solo in quel momento la domestica di Palafox tornò in sé.

«Tu sei un genio, Patricio», mormorò, sfoggiando all’improvviso un gran sorriso felice e schioccando un bacio inaspettato sulla guancia del ragazzo.

«Accidenti, grazie!» sorrise anche Patricio. «Cos’ho fatto?»

Adela si alzò in piedi e posò Baffetto sul pavimento del patio.

«Ti sei accorto che l’Uomo in Nero è un personaggio da romanzo», rispose, dirigendosi verso il portone. «Ecco cos’hai fatto.»

Anche Patricio si alzò, fece scrocchiare le nocche e guardò con aria triste la strada buia che si affacciava dietro la porta che Adela aveva appena aperto.

«E per questo mi cacci via?»

«Adesso ho bisogno di stare da sola, devo pensare», si giustificò la ragazza addolcendo lo sguardo. «Ma domani veniamo a chiamarti.»

«Veniamo?»

«Il signor Palafox e l’ispettore Reigosa vorranno sicuramente parlare con te. E tu vorrai avere informazioni nuove da dargli, perciò cerca di indagare un altro po’ sulla Dama del Pozzo e su Leandro Moreira.» Adela si fece da parte, lasciando che Patricio uscisse con aria afflitta. «Ti troviamo nel Born, giusto?»

«Io non voglio parlare con la polizia», protestò il ragazzo.

«Però con me ci vuoi parlare, giusto? E mi vuoi anche aiutare.»

Patricio si sfiorò con una mano la guancia che la ragazza gli aveva appena baciato e aggrottò la fronte.

«Mi sa che stanotte farò dei sogni strani», borbottò.

I lampioni della Rambla diffondevano i loro cerchi di luce giallastra nella spessa cappa di nebbia che si era definitivamente depositata sulla città. Le campane di Santa Maria del Pino non avevano ancora suonato le nove, ma il buio sempre più fitto e il coprifuoco imminente avevano svuotato le strade di perditempo e commercianti. Taverne chiuse, strade deserte, teatri senza spettacoli né spettatori, vetture militari parcheggiate un po’ ovunque, finestre aperte e illuminate dalla fioca luce delle lanterne: l’inizio di una nuova notte di reclusione per quella Barcellona insonne, agitata da venti nuovi di cambiamento e asfissiata da nebbie antiche almeno quanto il Mediterraneo.

«Non serve che ci offriate una carrozza, ispettore», insistette Teresa, vedendo che Reigosa chiamava con un cenno un veicolo fermo davanti all’ingresso di calle de Escudilleros. «Andreu mi scorterà a casa.»

«Non è la serata migliore per fare una passeggiata, signorina Urbach. Certe volte i militari diventano nervosi con il coprifuoco. E con questa nebbia non è sempre facile distinguere una dama da un operaio in rivolta.»

La scrittrice si arrese agli argomenti dell’ispettore e chinò il capo con aria docile.

«In tal caso, sarà un onore tornare a casa con una vettura ufficiale del Corpo di Vigilanza», ringraziò, cercando lo sguardo di Palafox. «Spero solo che mio padre non sia affacciato alla finestra del suo studio al vostro arrivo.»

«Sarebbe un modo perfetto per preparare la conversazione che vuoi intavolare con lui stasera...»

Teresa arricciò le labbra in modo comico, quindi portò la mano al viso dell’anatomista e gli aggiustò gli occhiali sul naso.

«Ti chiederei di farmi compagnia nella conversazione, ma...»

«Ma sappiamo tutti e due che ti conviene non farlo», proseguì Palafox.

La carrozza chiamata da Reigosa si fermò davanti all’arco di Trentaclaus con un grande strepito di nitriti e scalpiccii irrequieti. L’ispettore si appoggiò alla cassetta e scambiò due parole con il cocchiere, che indossava anche lui l’uniforme e sembrava particolarmente afflitto alla prospettiva di un’altra notte di guardia. Poi guardò di nuovo Teresa e Palafox con la sua solita aria da comandante.

«Allora, domani vado a trovare il dottor Carrera alla Neothermas e voi il vescovo Riera al palazzo episcopale», annunciò, rivolgendosi all’anatomista. «Io scoprirò quello che c’è da scoprire sulla misteriosa paziente smemorata di cui vi hanno parlato oggi pomeriggio, e voi scoprirete chi diavolo è quel signore vestito di nero e che cosa ci faceva ieri sera nel convento di Santa Clara. Quanto a voi, signorina Urbach...» aggiunse, chinando la testa verso la donna, «scegliete pure il modo migliore per affrontare vostro padre. Ci vediamo a mezzogiorno all’obitorio degli Arsenali per aggiornarci. Intesi?»

Palafox annuì.

«Se la conosco bene, per quell’ora Adela sarà riuscita a ottenere qualche informazione in più sulle impiegate e sui clienti del defunto signor Moreira», disse con un certo disagio. «E ho il sospetto che anche la signorina Urbach avrà fatto qualche mossa in tal senso.»

«Sarà un vero piacere sorprendervi, signori. E spero anche che voi possiate sorprendere me», concluse Teresa sbattendo appena le palpebre nelle tenebre della Rambla. Quindi, con un piede già sul gradino della carrozza, aggiunse: «Buonanotte, ispettore, non lavorate fino a tardi».

Reigosa chinò di nuovo la testa, le augurò la buonanotte e quando fu salita si girò verso Palafox con un misto sincero di ammirazione e curiosità nello sguardo.

«Il vostro criterio nel circondarvi di compagnia femminile è francamente originale», sussurrò. «La signorina Urbach, Adela... Anche la mia Carlota vi sarebbe piaciuta.»

Palafox abbozzò un sorriso circospetto. Che l’ispettore nominasse la sua defunta moglie era una vera rarità, come del resto quel tono di inattesa complicità con cui gli aveva appena parlato.

«Ne sono certo», affermò. «Buonanotte, ispettore.»

Un paio di minuti più tardi, mentre procedevano di buon passo per il dedalo di viuzze che li separava dalla bajada de los Leones, Teresa prese la mano di Andreu e lo rassicurò.

«Scopriremo chi era la Dama del Pozzo, vedrai. E scopriremo anche chi è la donna del sanatorio.»

Palafox sentì la mano calda della donna posarsi sulla sua e fu pervaso all’istante da una profonda inquietudine.

«La seconda Dama del Pozzo», disse.

«La seconda Dama del Pozzo», ripeté Teresa. «Scopriremo chi è e come è arrivata nel patio del convento di Santa Teresa. E scopriremo anche che relazione esiste, sempre che ne esista una, con quella povera ragazza del convento di Santa Clara.»

Un intenso chiarore filtrò all’improvviso dai finestrini della carrozza mentre si avvicinavano alla chiesa di San Miguel. Il bagliore di un nuovo incendio nel porto, pensò per un attimo Palafox. L’inizio di un’altra notte di ceneri e campane. Poi guardò Teresa e comprese che quel chiarore era solo nel suo cervello.

Quasi a conferma, la musica di un organo altrettanto immaginario riempì il silenzio seguito alle parole della donna.

«Nessuno ha pronunciato quel nome nel convento di Santa Clara», replicò, posando a sua volta la mano libera sulla mano di Teresa e concentrando la sua attenzione sull’interno dell’abitacolo. «La clarissa che ci ha ricevuto sulla porta del convento ci ha raccontato la storia del pianto che si sentiva da generazioni nel cosiddetto pozzo dell’Annegata prima di farci strada dove si trovava il cadavere, e la madre superiora ci ha ripetuto quella stessa storia quasi con le stesse parole. Ma nessuna delle due ha usato questa espressione, la Dama del Pozzo. Sono stato io a darle quel nome quando l’ho vista adagiata all’interno del sarcofago, con la tunica e la ghirlanda di fiori avvizziti. Sono stato io a inventare la Dama del Pozzo.» Palafox fissò lo sguardo sugli occhi nerissimi della sua amica. «Capisci?»

Il bagliore giallastro che avvolgeva la carrozza verso la bajada de los Leones si fece ancora più intenso.

La musica dell’organo spettrale svanì in un silenzio crepitante e carico di sussurri.

I volti morti di milioni di fantasmi si dissolsero per l’ennesima volta nell’aria e nella nebbia di quella città millenaria in cui il passato, come la colpa, non riusciva a mai a sparire del tutto.

«Ieri notte, nel convento di Santa Clara, dopo aver ascoltato una leggenda dalle labbra di quelle monache spaventate, ti sei inventato questo nome», fece il punto Teresa. «E adesso sappiamo che le infermiere della Neothermas si prendono cura da due settimane della loro Dama del Pozzo, e che le hanno dato questo stesso nome per via di un’altra leggenda che gira tra le monache del convento di Santa Teresa.» La donna azzardò un sorriso di rassicurazione. «Tutto qua.»

«Tutto qua», ripeté Palafox.

«Le leggende di fantasmi e di pozzi incantati sono moneta corrente tra le monache di clausura», precisò Teresa. «Come lo sono le favole e le superstizioni. E del resto non c’è da stupirsi: se vivessi rinchiusa tra le quattro pareti di un convento e non avessi altro contatto con il mondo se non le mie consorelle e le mie superiori, finirei anch’io per credere alle annegate che piangono e ai cadaveri incorrotti.»

«Ma quel nome...»

«Non molto originale, se mi posso permettere: la Dama del Pozzo. Se mi fosse servito per un romanzo, avrei scovato di meglio.»

Palafox si decise finalmente a sorridere.

Fuori dal finestrino, la sagoma mezza diroccata del palazzo della Contessa emerse dalle nebbie come il castello di un racconto tedesco.

«Non so cosa farei senza di te.»

Teresa ritrasse la mano e ricambiò il suo sorriso.

«Invece io so benissimo cosa farei senza di te», disse quando la carrozza si fermò in fondo alla bajada de los Leones. «Parlerei con mio padre e cercherei di scoprire chi era il signor Oliver Manning, che cosa ci faceva a Barcellona con un biglietto da visita di Berkeley Square e cosa cercava stamattina il tuo Uomo in Nero nel suo magazzino di calle de Montcada.» Teresa gli diede una carezza fugace sulla guancia, poi aggiunse: «Un nome, tra l’altro, ancora meno fantasioso della Dama del Pozzo. L’Uomo in Nero».

La donna smontò dalla carrozza con un incantevole sorriso sulle labbra.

«Passo a prenderti domani?» le chiese Palafox.

«No, vengo io a casa tua. Abbiamo appuntamento con l’ispettore a mezzogiorno all’obitorio, ricordi? Lungo la strada potresti ragguagliarmi sul comportamento che ci si aspetta da una signorina come me in un posto come quello...»

Teresa gli fece l’occhiolino e scomparve dietro il cancello di casa Urbach, le cui alte mura si ergevano nella penombra come rupi inespugnabili. Palafox contò cinque finestre illuminate nella torre principale, ma in nessuna riuscì a riconoscere la sagoma di Eliseo Urbach. Meglio così, si disse; e pensò che erano esattamente due anni che non parlava con il padre di Teresa, né aveva altre notizie su di lui se non quelle derivanti dalla sua fama di grande magnate dell’industria. Forse quella strana avventura poteva essere l’occasione per riprendere quello che una volta, non tanto tempo prima, era stato qualcosa di simile a un rapporto di amicizia tra i due uomini. Palafox ripensò per un istante ai giorni felici di Londra: lo splendore del Crystal Palace e dell’Esposizione Universale, l’intimità crescente con Teresa, il timore e l’euforia della sua libertà riconquistata da poco. E poi la scoperta inattesa delle sue capacità nel campo della meccanica e il progressivo superamento dell’incidente che a Barcellona l’aveva ridotto a uno stato di umiliazione e di discredito senza pari.

La scomparsa apparente delle sue visioni.

Palafox si scrollò di dosso quei ricordi, batté due volte sul soffitto dell’abitacolo e la carrozza ripartì di slancio verso calle del Regomir, avvolta nuovamente nella musica spettrale di un organo che esisteva, come tante altre cose, solo nel suo cervello.