Adela giocava con Baffetto sulle scale del patio quando Palafox tornò finalmente a casa. Erano quasi le tre del pomeriggio, e un vento caldo da est impregnava le strade di un odore salmastro. Il cielo era ancora limpido, ma il suo blu somigliava sempre meno al colore che Palafox ricordava da bambino. La nebbia sarebbe arrivata presto, portandosi dietro un calore e un’umidità ancora più asfissianti.
Quando vide comparire il suo padrone sul portone socchiuso, Adela saltò in piedi e gli andò incontro con i lineamenti alterati dall’indignazione.
«Vi pare bello, padrone?»
Palafox si richiuse il portone alle spalle e porse alla domestica la sua valigetta.
«Una mattinata complicata», si giustificò.
«Stavo quasi per uscire a cercarvi. Non vi vergognate?» lo rimproverò Adela, con lo sguardo acceso per l’agitazione. «Avevate promesso di avvisarmi se facevate più di un’ora di ritardo. E adesso sono cinque ore che non abbiamo vostre notizie! Stavamo per uscire a cercarvi!»
Quell’uso del plurale doveva includere Adela e il suo gatto, che adesso li osservava dal terzo gradino della scala con espressione insonnolita.
«Ti ricordo che non sono più un bambino, Adela», protestò Palafox. «E tu non sei mia madre, e neanche mia moglie. Sei la mia domestica. Non credo di doverti delle spiegazioni se ho un contrattempo, o se un giorno decido di concedermi qualche ora di libertà.»
Per tutta risposta, la ragazza si avvicinò al suo padrone e lo strinse in una specie di abbraccio goffo e rapidissimo.
«Non fatelo più», bisbigliò, e un attimo dopo salì le scale con le trecce che le dondolavano sulle spalle dell’abito blu.
Il pranzo era già in tavola, accanto ai giornali del mattino e alla posta che l’anatomista aveva l’abitudine di controllare tra una portata e l’altra. Tuttavia, era evidente che quel pomeriggio Adela non gli avrebbe mai permesso di finire da solo il suo piatto di legumi, né tantomeno di leggere in santa pace. Come gli ebbe versato un bicchiere di vino e tagliato due fette di pane, la domestica gli trascinò una sedia accanto, si accomodò con le gambe raccolte e piantò i gomiti sul tavolo.
«Allora?» gli chiese, guardandolo con aria trepidante.
«Non mi vuoi lasciar mangiare in santa pace, vero?»
«Cosa voleva l’agente Lafita?»
Palafox si portò alla bocca il primo cucchiaio di lenticchie disfatte e bevve un sorso di vino per cercare di rendere l’esperienza più sopportabile. Per l’ennesima volta nel corso dell’ultimo anno, pensò che doveva cercarsi una cuoca vera, una che non fosse cresciuta nutrendosi degli scarti delle bancarelle della Boqueria e non considerasse un pugno di riso bollito con il cavolo un cibo soddisfacente per un uomo di venticinque anni. Insomma, una cuoca che sapesse cucinare.
«L’ispettore Reigosa aveva richiesto la mia presenza», rispose, lasciando il cucchiaio nel piatto. E dopo essersi concesso un altro sorso di vino, aggiunse: «Questa mattina presto c’è stato un altro omicidio in una pensione del paseo de la Aduana, e voleva che vedessi il cadavere».
«E perché?»
«Perché il morto era inglese e nella stanza c’era un biglietto da visita interessante.»
«In che senso, interessante?»
«C’era scritto sopra il mio nome.»
«Davvero?» chiese Adela, sgranando gli occhi.
«C’era anche annotato il nome della casa di cura in cui mi hanno internato tre anni fa, quando è successo l’incidente che non nomineremo. E l’indirizzo sul biglietto era quello della casa in cui abitavano il signore e la signorina Urbach quando hanno soggiornato a Londra nell’estate di quello stesso anno. Quando abbiamo soggiornato a Londra quell’estate», si corresse Palafox, sostenendo con una certa soddisfazione lo sguardo sconcertato della sua domestica. «Io ero appena stato dimesso dalla casa di cura, mentre Eliseo Urbach, in onore alla memoria di mio padre, aveva insistito perché lo accompagnassi all’Esposizione Universale che si teneva a Londra quell’estate.» Palafox affondò di nuovo il cucchiaio nel piatto e sollevò all’altezza degli occhiali il suo contenuto verdastro e molliccio. «In questo senso, era interessante il biglietto da visita nella stanza del morto», concluse. «Adela, queste lenticchie sono immangiabili. Non possiamo andare avanti così.»
Come al solito, Adela ignorò le ultime due frasi e riempì di nuovo il bicchiere del suo padrone.
«E voi, lo conoscevate il morto?» chiese.
Palafox scrollò la testa.
«Non che io sappia.»
«Che voi sappiate?»
«Dei mesi che ho trascorso a Londra non ricordo quasi nulla. So che gli Urbach mi hanno presentato tantissima gente, e che in qualche modo sono riuscito a stabilire i contatti necessari ad avviare la professione che oggi ci dà da mangiare. Ma sinceramente dubito che sarei capace di ricordare uno solo dei visi che mi sono passati davanti in quei mesi.»
«Chissà, magari eravate troppo occupato a guardare il viso della signorina Urbach», azzardò Adela, con un sorrisetto malizioso che le si spense subito sulle labbra. «Ma il morto potrebbe anche essere uno che vi aveva conosciuto a quei tempi, non vi pare? O uno che aveva saputo di voi tramite uno dei vostri clienti spagnoli. Forse il morto aveva un orologio o un ingranaggio da riparare e qualcuno gli aveva parlato di voi. Aveva un orologio addosso?»
«L’unica cosa che aveva addosso erano le mutande e i calzini», rispose Palafox. «Si erano portati via tutto il resto. Niente abiti, niente valigia, niente effetti personali di alcun tipo. Nella stanza c’era solo quel biglietto da visita.»
Adela ci pensò su qualche secondo.
«Non ha senso», disse alla fine. «Se quel tizio fosse stato un vostro cliente, perché mai avrebbe segnato sul biglietto il nome del sanatorio?»
«Chi lo sa, magari per essere sicuro di non lasciare il suo prezioso orologio nelle mani di un pazzo...»
La ragazza rispose al sorriso mesto del suo padrone con una smorfia severa.
«Voi non siete pazzo, padrone, non scherziamo. E mangiate le lenticchie, su!»
Palafox si portò un’altra cucchiaiata alla bocca e masticò con rassegnazione.
«L’ispettore Reigosa viene alle quattro», annunciò dopo un paio di minuti di silenzio. «E alle cinque passa a prendermi la signorina Urbach. Vogliamo andare insieme alla casa di cura, per cercare di scoprire qualcosa.»
Il viso di Adela si illuminò sentendo quell’ultima notizia.
«Eravate insieme a lei?» chiese.
«Sono andato a trovarla quando ho lasciato la pensione. Speravo che potesse gettare un po’ di luce sul contenuto del biglietto.»
«E...?»
«Purtroppo il nome e la descrizione del defunto non le hanno ricordato nulla, ma chiederà anche al padre. Se quell’uomo ha avuto qualche contatto con noi a Londra, di sicuro il signor Urbach se ne ricorderà.»
Adela annuì con entusiasmo.
«Posso vederla anch’io?» chiese con un tono così stranamente remissivo che Palafox rischiò quasi di intenerirsi. «O intendete rinchiudermi in cucina come quando vengono a trovarvi i vostri clienti?»
«Magari potessi, ma la verità è che la signorina Urbach ha detto che voleva salutarti. Perciò forse vorrai approfittare della visita dell’ispettore per sistemarti un po’ quei capelli.»
La ragazza si tastò le trecce con la mano destra e fece un’espressione di perfetta felicità.
«Ho una gran voglia di rivedere la signorina Urbach», esclamò. «È per questo che siete tornato così tardi? Siete stato con lei tutta la mattina?»
«Sono rimasto con lei meno di mezz’ora. In realtà, quello che mi ha fatto perdere tempo è stato molto meno... piacevole.»
Adela tirò su la testa come un cane che annusa un incendio lontano.
«Raccontate.»
«Ricordi cosa ti ho raccontato ieri sulla nostra visita a Santa Clara? Quell’uomo vestito di nero che è comparso all’improvviso insieme alle monache?»
La domestica annuì con una certa agitazione.
«L’ha visto anche l’ispettore», spiegò, «non era una delle vostre visioni.»
«Ebbene, quando sono uscito dalla casa della signorina Urbach, sono andato in plaza del Rey e l’ho rivisto. Stava uscendo dalla cappella di Santa Agueda.»
Adela lasciò che il padrone prendesse un altro sorso di vino prima di chiedere:
«E ci avete parlato?»
«Lui non mi ha visto. E io non ho ritenuto opportuno presentarmi.»
«Lui vi conosce già», obiettò Adela. «In questa città voi siete un uomo famoso, non ve ne dimenticate. E se il vescovo ieri ha ordinato all’ispettore Reigosa di portare anche voi a vedere la Dama del Pozzo, chi sa del miracolo sa anche chi siete voi.»
Palafox non trovò nulla da eccepire nel ragionamento della ragazzina.
«In ogni modo, ho preferito seguirlo di nascosto da lontano.»
La domestica sgranò gli occhi e la bocca insieme.
«Avete seguito l’Uomo in Nero?»
«Ho pensato che poteva essere utile scoprire un paio di cose su di lui», annuì Palafox. «Magari è solo un prete a cui hanno dato ordine di sorvegliare la faccenda del miracolo, come lo chiami tu. Il problema è che i suoi abiti non corrispondono a nessun Ordine di mia conoscenza, e neppure a un incarico ecclesiastico riconoscibile. Nessun membro regolare della Chiesa cattolica si infagotta in quel modo al giorno d’oggi, lasciando scoperti a stento gli occhi e il naso, e coprendo tutto il resto come un delinquente di strada. E questa cosa mi incuriosisce.»
Adela guardò il suo padrone con evidente approvazione.
«E cos’avete scoperto?»
«Niente di interessante. L’ho seguito per un quarto d’ora, dalla cattedrale al pla della Boqueria, poi ha percorso la Rambla fino a calle del Carmen. Qui è entrato nella chiesa di Betlem, e non si è scoperto la testa neanche all’interno: una trascuratezza, anche questa, che mi incuriosisce. È uscito dopo una decina di minuti ed è sceso fino a calle de Trentaclaus, ha bussato alla porta di una casa sotto l’arco ed è entrato.»
A quest’ultima notizia, Adela fece una smorfia oscena che restituì ai suoi lineamenti l’aria di strada che un anno di servizio in una casa rispettabile non era riuscito a sradicare del tutto.
«Trentaclaus», ripeté pronunciando il nome della famigerata strada del Raval con un accento altrettanto volgare. «Strano posto per un prete...»
«Non possiamo giudicare senza prima...»
«Pensateci bene, padrone», lo interruppe Adela con aria spazientita. «La gente del vostro lato della Rambla attraversa l’arco di Trentaclaus solo per tre cose. E di sicuro il catechismo non insegna nessuna delle tre.»
Palafox mise definitivamente da parte il piatto di lenticchie e guardò la ragazza con il disagio che gli suscitava sempre quel genere di allusioni indirette alla sua vita passata. Per un istante ricordò la sera in cui l’aveva trovata accovacciata accanto al portone di casa, denutrita e cenciosa, con le braccia piene di ferite e il viso coperto di lividi tumefatti. Un corpicino secco e tremante, una mano tesa con il palmo all’insù e due occhi stupiti quando si era chinato su di lei.
«È rimasto lì dentro più di mezz’ora», proseguì Palafox. «Quando è uscito, teneva in mano un pacchetto. È sceso fino agli Arsenali, e qui ha imboccato il paseo de la Muralla e l’ha percorso per intero. Ha attraversato plaza del Palacio in direzione della Ribera, ha girato attorno a Santa Maria del Mar e ha raggiunto calle de Montcada. E qui è entrato in uno di quei vecchi palazzi e non ne è più uscito.»
«Non è più uscito?»
«O forse è uscito dal retro, non saprei. Io sono rimasto più di un’ora e mezzo ad aspettarlo per strada e non l’ho più visto. Perciò ho deciso di dare per conclusa la mia mattinata di spionaggio e sono tornato a casa.»
Adela balzò in piedi e si avvicinò alla libreria che occupava la parete ovest della sala. Prese da uno scaffale un taccuino e una matita e li porse all’anatomista con il viso d’un tratto serissimo.
«Scrivetemi qui i numeri delle due case, padrone. Ci penso io.»
Palafox emise un gemito di sorpresa.
«Ma sei impazzita?»
«Chi meglio di me può scoprire cosa ci faceva il vostro Uomo in Nero in calle de Trentaclaus?»
«L’ispettore Reigosa, tanto per dire.»
«Un poliziotto a Trentaclaus?» sbuffò Adela sprezzante. «Non fatemi ridere! A Trentaclaus, la polizia serve quasi quanto un chirurgo di congegni automatici, padrone. Con tutto il rispetto.»
«Non voglio che ti cacci nei guai, Adela», rispose Palafox scrollando la testa. «Tu ormai non c’entri più niente con quelle strade.»
«Quello che si è cacciato nei guai siete voi, padrone. Ma stavolta io posso esservi d’aiuto.»
«Io mi sono cacciato nei guai?»
«Ieri sera vi portano a vedere un fantasma nei sotterranei di un convento e un uomo misterioso vi spia senza lasciarsi vedere in faccia. Oggi sbuca un biglietto da visita con il vostro nome accanto a un inglese morto. E subito dopo l’uomo misterioso di ieri sera si mette a passeggiare per Barcellona facendo cose sospette.»
Palafox scrollò di nuovo la testa.
«Non c’è alcuna relazione tra gli episodi di ieri sera e il cadavere di questa mattina», obiettò. «Se mi sono preso la briga di seguire l’Uomo in Nero, come lo chiami tu, è stato solo per aiutare l’ispettore Reigosa nelle sue indagini sulla morte della giovane nel sarcofago.»
«E avete fatto benissimo: adesso sappiamo da dove incominciare a cercare uno che conosceva la Dama del Pozzo.» Adela tornò a porgere taccuino e matita al padrone. «Ma è ovvio che esiste una relazione tra l’episodio di ieri sera e quello di stamattina, e voi per primo l’avete scoperta.»
«Io l’avrei scoperta?» ripeté Palafox, sempre più perplesso.
«I palazzi di calle de Montcada, padrone. Sono anni che vengono usati come magazzini. E lo sapete a chi appartengono?» La ragazza non attese la risposta di Palafox. «Alle fabbriche tessili. Come quella del padre della signorina Urbach. Scaricano le merci al porto e le conservano in quei magazzini prima di portarle nelle fabbriche, e viceversa. Mi sbaglio, forse?»
L’anatomista non rispose. Si scolò d’un sorso il suo secondo bicchiere di vino e se ne versò da solo un terzo prima di chiedere a sua volta, in tono retorico:
«E cosa c’entra un sacerdote con un magazzino di calle de Montcada?»
«E con una casa di Trentaclaus?» ribatté all’istante Adela. «Ve lo dico io, un bel niente. Ecco perché è interessante. E per questo dovete scrivermi gli indirizzi precisi e lasciarmi uscire un momento stasera. Non mi caccerò nei guai, state tranquillo», lo rassicurò guardandolo con aria adulta. «Ho un amico che ci metterà dieci minuti a scoprire chi vive in quella casa di Trentaclaus e a quale fabbrica appartiene quel magazzino. Devo solo trovarlo e dirgli che è un favore per il mio padrone. E magari scopriremo cos’hanno in comune la Dama del Pozzo e l’inglese nella pensione del porto... a parte voi.»
«Forse hai ragione», annuì pensieroso Palafox.
«Quanto tempo era che l’ispettore non vi faceva chiamare per un caso di omicidio?» Gli occhi di Adela brillavano adesso con un’intensità quasi febbrile. «Più di sei mesi. Da quella bambina che avevano trovato nelle torri di Canaletas. E adesso vi chiama due volte in dodici ore. La prima perché l’ha detto il vescovo, e la seconda perché il morto aveva annotato il vostro nome su un biglietto da visita. E voi continuate a pensare che non ci sia relazione tra una cosa e l’altra?»
«Ne parlerò con l’ispettore», replicò l’anatomista. «Magari ha già scoperto qualcosa. Sul biglietto era annotato un altro nome, un nome di donna, Felicia Dedéu. Magari ci basterà rintracciarla per cominciare a capirci qualcosa.»
«Felicia Dedéu», ripeté Adela, scandendo ogni sillaba di quel nome che Teresa Urbach e lo stesso Palafox non erano stati capaci di identificare. «Sarà lei la Dama del Pozzo?»
Palafox non aveva considerato quella possibilità. O almeno non l’aveva fatto finché la domestica non lo aveva costretto a valutare la possibile connessione tra le due morti che l’ispettore Reigosa aveva sottoposto al suo esame.
«Chi lo sa», si limitò a rispondere.
«Segnatemi anche il nome, padrone. Magari per le strade del Raval suona a qualcuno.» Adela scattò in piedi e batté le mani facendo schizzare Baffetto giù dalla poltrona che aveva occupato per tutto il pranzo. «E poi, finite il vostro vino e sciacquatevi la bocca, che sono quasi le quattro. Non vorrete che l’ispettore vi trovi con l’alito che puzza di alcol...»
La ragazzina uscì dalla sala con il piatto di lenticchie in una mano e la pagnotta nell’altra, con il passo fermo di una matrona imperiale, e lasciò Palafox da solo con il suo taccuino, la sua matita e la rinnovata sensazione che le risorse di Adela non avrebbero mai finito di stupirlo.
Mentre scriveva i due indirizzi e il nome sul taccuino, uno strepito di voci e di nitriti nervosi entrò dalle finestre aperte e chissà perché evocò a Palafox la stanzetta angusta e senz’aria che un tempo occupava nella casa di cura Neothermas. La sua unica finestra aperta su calle de la Canuda, stretta e con le sbarre. Le grida e i lamenti degli altri internati. Lo scalpiccio delle mule che trascinavano ogni mattino il loro carro verso la Rambla, ricordando a Palafox il dono inestimabile della sua libertà perduta.
L’espressione sul viso di Teresa durante le sue visite settimanali.
«Non mi avete detto com’è morto l’inglese.»
Palafox tornò bruscamente alla realtà e vide che Adela era di nuovo accanto a lui, china sul suo taccuino con aria soddisfatta.
«L’hanno accoltellato diverse volte. Molte volte. E gli hanno anche tagliato la gola.»
Il sorriso trionfale della domestica non si attenuò.
«Descrivetemelo.»
E Palafox la accontentò. In fin dei conti, se c’era qualcuno in quella città che poteva aver notato un inglese con i capelli biondi e la barba da leone, doveva essere per forza uno dei delinquentelli con cui Adela era cresciuta.
«Alla pensione si è registrato con il nome di Oliver Manning», concluse. «Ma magari era solo un nome falso.»
«Scrivetemelo comunque», ordinò Adela. E poi, strappando la pagina dal taccuino e infilandola nella tasca del grembiule, aggiunse: «Quando la signorina Urbach e voi andrete via, io uscirò a fare un giro per il Born. Oggi è mercoledì, giusto? Se mi date un po’ di monete, per l’ora di cena avrò qualcosa d’interessante da raccontarvi».
Palafox osservò la mano tesa della domestica, la sua espressione arrogante e sicura di sé, i suoi capelli adesso raccolti maldestramente in un nuovo tentativo di coda, e non poté fare a meno di sorridere.