Il carretto di un contadino si era appena rovesciato nei pressi della facciata antica del Comune quando Palafox e la sua domestica imboccarono calle de la Ciudad. Una penosa accozzaglia di ortaggi e legumi ricopriva la strada, e uno sciame di ragazzini si affannava a rubarli prima che il legittimo proprietario, un vecchio vestito alla maniera del Basso Llobregat, con le ginocchia imbrattate di fango e l’aria ancora stordita per l’incidente, recuperasse il controllo e cominciasse a tirare bastonate a destra e sinistra.
Adela guardò il vecchio con simpatia e indicò uno dei ragazzini che lo stavano derubando.
«Di quello lì conosco la madre», disse. «Vi piacerebbe.»
Palafox non si disturbò a risponderle. Prendendola per un braccio in modo un po’ brusco, la portò sull’altro marciapiede e la trascinò fino a plaza de San Jaime, poi la lasciò libera e proseguì in silenzio fino a calle del Paraíso.
«Oggi state sempre zitto, padrone.»
Palafox si tenne lontano dal tracciato dove un tempo sorgeva la chiesa di San Jaime e cercò di fare altrettanto con il cimitero che era ancora lì sepolto a pochi palmi di profondità nel sottosuolo della piazza. Non ci riuscì. Come al solito, la presenza sotto i suoi piedi di tutti quegli strati di cadaveri impilati nel corso dei secoli tramutò l’attraversamento dell’antico foro romano in una prova durissima per il suo spirito sempre più provato. Un uomo barbuto con due recipienti pieni di ostriche gli incrociò la strada e parve cercare direttamente il suo sguardo. Quattro ragazzini con il petto nudo e la testa rasata gli passarono accanto chiacchierando in una lingua straniera. Una monaca con l’abito di un ordine scomparso nella notte dei tempi segnò in fronte un vecchio pieno di bubboni, e lì accanto, in un altro tempo, una brunetta si dissolse nell’aria un secondo prima che Adela attraversasse lo spazio che fugacemente aveva occupato. Due gabbiani sorvolarono da vicino la testa della domestica, e per un istante Palafox non riuscì a decidere se fossero anch’essi frutto della sua immaginazione.
«Se vi preoccupa incontrare il vescovo, posso accompagnarvi», ci riprovò Adela. «Me la cavo bene con i preti, sapete? So come trattarli.»
L’anatomista si fermò all’imbocco di calle del Paraíso e osservò da quel punto la bajada de la Prisión declinare dolcemente fino a plaza del Ángel. E allora, senza neppure sapere il perché, fece una cosa che non aveva mai fatto in vita sua.
«È stato qui che è successo per la prima volta», confidò alla sua domestica, indicando con il mento il lastricato. «È stato qui che ho scoperto che nella mia testa succedeva qualcosa di strano.»
Adela gli si fermò accanto e lo guardò con aria sorpresa.
«Le visioni?» chiese.
Palafox annuì senza distogliere lo sguardo dalla strada.
«Dovevo avere tre o quattro anni, perché mia madre era ancora viva. La tenevo per mano e avevamo comprato delle frittelle in una pasticceria vicino all’arco che allora dava accesso a plaza del Ángel. Non avevano ancora demolito il castello che univa le torri romane, e l’arco passava di sotto.» Palafox si inumidì le labbra e le sentì improvvisamente screpolate. «Il castello sembrava antico come le due torri, e serviva da prigione sin dal Medioevo. Dalla strada vedevi i detenuti affacciati alle finestre, che gridavano e sputavano su quelli che passavano sotto. Questo posto mi faceva una paura tremenda, e mia madre cercava sempre di non avvicinarsi troppo al castello. Ma prima non era mai successo niente di strano. Fino a quel mattino.»
Adela gli andò più vicino.
«Cos’è successo quel mattino?»
«Mia madre e io stavamo uscendo dalla pasticceria. Pioveva un po’ e per la strada non c’era nessuno. Lei mi stava dicendo non so cosa, ma all’improvviso si è come dileguata e attorno a me è cambiato tutto.» Palafox abbozzò un sorriso triste e finalmente si decise a guardare la sua domestica. «Ricordi lo spettacolo di ombre cinesi che abbiamo visto qualche mese fa ai Giardini di Tivoli? Ricordi quando si sono spente le luci ed è cominciata la proiezione?» Adela annuì con decisione. «Ecco, immagina qualcosa di simile. Attorno a me si è fatto tutto buio e un attimo dopo si sono accese delle lanterne e la strada è diventata sterrata, poi è arrivato un mucchio di gente e dappertutto sentivo grida, risate e odori mai sentiti prima. La gente andava vestita in modo strano, i visi erano strani, e persino la lingua che parlavano non era quella che conoscevo io. Poco dopo dei carri trainati da mule hanno cominciato a scendere verso la piazza da quassù, e in uno c’era un uomo legato a un palo altissimo. Un uomo nudo e insanguinato. Era in piedi dentro il carro, ma non si muoveva e non emetteva nessun verso. Accanto a lui c’erano due uomini vestiti di nero con i volti incappucciati e un coltellaccio in mano.»
Una vettura militare imboccò in quell’istante la bajada de la Prisión da plaza de San Jaime costringendoli a farsi da parte, e subito dopo anche il carretto del contadino che si era ribaltato in calle de la Ciudad.
«E poi cos’è successo?» chiese Adela con la voce soffocata.
Palafox si rifugiò sotto il portone di una casa e si tirò dietro la ragazzina.
«Quando è arrivato ai piedi del castello, il carro si è fermato e uno dei due uomini incappucciati ha gridato qualcosa che non ho capito. La folla che mi circondava si è messa a ruggire e ad applaudire. E a quel punto l’altro uomo incappucciato ha sollevato il coltello e ha tagliato un orecchio all’uomo legato al palo.» Adela emise un gemito di sorpresa. «A quel punto devo essere svenuto. O almeno è tutto quello che ricordo: al mio risveglio, ero sdraiato in mezzo alla strada e mia madre mi dava degli schiaffetti in faccia mentre i detenuti ridevano dalle finestre del castello.»
«Le avete raccontato cos’era successo?»
«Non ricordo, credo di sì comunque. E se non gliel’ho raccontato in quel preciso momento, di sicuro gliel’ho raccontato quando mi è successo di nuovo la volta seguente», rispose Palafox scrollando la testa. «In ogni caso, sono passati diversi anni prima che io stesso riuscissi a capire cosa avevo visto.»
Adela sgranò gli occhi ancora di più.
«Intendete dire che sapete chi era quell’uomo?»
«Più o meno. Non so chi fosse quell’uomo, ma so cosa gli stavano facendo. Secondo i libri di storia, nel Medioevo le esecuzioni a Barcellona venivano realizzate seguendo un itinerario circolare attorno alla prigione del castello romano. I condannati montavano su dei carretti che ogni tanto si fermavano lungo il tragitto. A ogni fermata, i boia gli tagliavano una parte del corpo.» Palafox scrollò ancora la testa con violenza, come ad allontanare da sé quell’immagine raccapricciante. Poi prese Adela sottobraccio e insieme si riavviarono verso calle del Paraíso. «Se non era un’allucinazione, quello che ho visto è stato l’inizio di una di quelle esecuzioni medievali.»
«Certo che non era un’allucinazione», protestò la domestica, sforzandosi di restare al passo. «Voi eravate un bambino a quei tempi, padrone. Come potevate immaginarvi una cosa del genere?»
Sì, era esattamente quello che aveva sempre pensato anche lui.
Finché i fatti del 1851 non lo avevano costretto a riconsiderare la sua vita per intero.
«Secondo il dottor Carrera, potrei aver ascoltato da piccolo qualche storia su quelle esecuzioni medievali, e poi essermene scordato. La forte impressione che l’idea di quei condannati fatti a pezzi aveva provocato nel mio cervello, unita alla paura che mi aveva sempre fatto la bajada de la Prisión, potrebbero essere all’origine delle visioni che ho avuto quel mattino.»
Adele sbuffò con aria scettica.
«E voi vi siete bevuto questa idiozia?»
Palafox non rispose. Aveva già parlato più del dovuto, si accorse con fastidio. Molto di più, a dirla tutta. Neanche all’ispettore Reigosa aveva mai confidato quel ricordo, che per lui segnava l’inizio della condanna che gravava sulla sua vita e tormentava il suo spirito da quando aveva l’uso della ragione. A parte i suoi genitori e il dottor Carrera, fino a quel momento aveva condiviso quella storia solo con Teresa Urbach; e anche lei, come Adela pochi istanti prima, vi aveva riconosciuto senza esitazione una conferma dell’autenticità delle sue visioni. Della loro realtà storica. Della loro condizione magica o sovrannaturale.
Qualcosa che lui non accettava più.
A venticinque anni suonati, Palafox era arrivato al punto di preferire la follia al prodigio, l’allucinazione al miracolo. I fatti del 1851, oltre che a rendere pubblica la sua sventura, erano serviti a mettere le cose nella loro giusta prospettiva.
Meglio sognare volti morti che vederli per davvero. Meglio essere malati che visionari. Meglio meritare il disprezzo e la compassione che sobbarcarsi il peso intollerabile di vedere il passato.
Eppure...
«Certo che non ve la siete bevuta! Perché voi sapete benissimo che quello che vedete non sono frutto della vostra immaginazione. Voi sapete che tutto quello che vedete è successo per davvero.»
Palafox non rispose neppure stavolta. Quando giunsero all’abside della cattedrale, girò a destra per calle de la Piedad e raggiunse la bajada de Santa Clara con la domestica che arrancava di nuovo a qualche passo di distanza.
Come il mattino precedente, plaza del Rey ribolliva di attività. Le stesse bancarelle di frutta e verdura erano sparpagliate senza un ordine preciso, e gli stessi gruppi di donne conversavano animatamente lì attorno. Il sole alto in cielo conferiva all’insieme della scena una certa qualità pittorica che Palafox non perse l’occasione di notare distrattamente mentre si faceva strada verso la scalinata dell’antico palazzo reale.
Quando bussò alla porta con lo stesso batacchio di ferro che l’ispettore Reigosa aveva usato due sere prima, l’espressione stupita di Adela lo fece sorridere per la prima volta in tutta la mattinata.
«Il vescovo Riera sarà la seconda persona che andrò a trovare», spiegò. «Prima voglio provare una cosa.»
«Ma vi lasceranno entrare nel convento?»
«Certo che no. Ma forse avremo fortuna e...»
Palafox fu costretto a interrompersi, perché il portone si aprì proprio in quel momento, rivelando il viso familiare di una giovane novizia.
«Sorella Martina, giusto?»
La ragazza guardò entrambi e i suoi lineamenti si distesero leggermente. Nonostante la luce che la colpiva in pieno, il suo colorito era ancora smunto come la prima volta che Palafox si era recato in quel convento. Aveva le labbra secche e screpolate, e la cicatrice che le solcava il viso sembrava disegnare quel mattino un’ellissi straordinariamente regolare.
«Vi manda di nuovo il vescovo?»
«In realtà, volevo parlare con voi», rispose Palafox scrollando la testa con un gran sorriso.
La novizia fece una smorfia circospetta.
«Con me?»
«Ho bisogno di farvi un paio di domande. Sono domande molto semplici, non temete. Le farei alla madre superiora, ma non voglio disturbarla con una cosa che posso benissimo sbrigare con voi.»
La sorella Martina parve esitare un istante.
«Si tratta della fanciulla romana?»
Palafox annuì senza perdere il sorriso. La fanciulla romana. Evidentemente a quel punto la natura miracolosa del corpo incorrotto che piangeva in fondo al pozzo dell’Annegata non veniva più messa in discussione dentro le mura del convento di Santa Clara.
«Voi avete detto a me e all’ispettore che nessuno in convento aveva mai visto prima quella povera ragazza.»
«Sì, è così.»
«A nessuno è sembrato di ricordarla in questi due giorni che sono passati dalla sua apparizione, giusto? Nessuna delle vostre consorelle ha stabilito alcun genere di relazione tra lei e... qualche altra sorella del convento?»
La giovane aggrottò la fronte e guardò Adela, che fissava la novizia con un’espressione di curiosità quasi offensiva stampata in faccia. Poi guardò di nuovo Palafox.
«Non so cosa dire.»
«Quello che vi sta chiedendo il signor Palafox è se per caso non c’è in questo convento una monaca con i capelli biondi e gli occhi azzurri», tradusse Adela. «Giusto?»
L’anatomista le rivolse un’occhiata di fuoco.
«Quello che vi chiedo, sorella Martina, è se avete mai visto qualcuno con queste caratteristiche nel convento di Santa Clara. Anche non di recente, magari.»
«Non che io sappia», scrollò la testa la sorella, «ma io sono qui solo da pochi mesi. Nessuna consorella ha mai accennato a nulla di simile.» La giovane si girò verso l’interno dell’edificio. Non ne voleva sapere di spostarsi dalla soglia, anzi le sue dita piccole e bianche tenevano stretto il bordo della porta senza mostrare il minimo cedimento. «Adesso devo rientrare.»
«Un’altra domanda, vi prego», insistette Palafox.
«L’Uomo in Nero», intervenne ancora Adela. «Chi è?»
La sorella Martina guardò la domestica ricambiando la sua stessa espressione incuriosita. Un lampo di vivacità illuminò i suoi grandi occhi neri.
«La tua faccia mi è familiare», disse di punto in bianco.
«Anche a me la tua. Sei del Raval», affermò Adela in tono sicuro. «San Pablo?»
«Hospital», rispose la novizia, sorridendo per la prima volta. «E tu?»
«Hospital, San Pablo, Padrón...» Adela fece una pausa brevissima prima di pronunciare l’ultimo nome che formava la sua topografia privata della città. «Trentaclaus.»
La sorella Martina storse il naso sentendo quella parola.
«Oddio», sussurrò. E poi, guardando Palafox, chiese: «Voi...?»
Adela si affrettò a rispondere prima che le gote del suo padrone diventassero paonazze.
«Il signor Palafox è un galantuomo», dichiarò, con un tono enfatico vagamente ironico. «Adesso sono la sua domestica. C’è chi scappa dal Raval facendosi monaca e chi facendo la domestica.»
Palafox notò con una certa tristezza lo sguardo di complicità che si scambiarono le due ragazze e si domandò, come tante altre volte, che razza di città fosse quella in cui nascere sul lato sbagliato del canale significava essere condannati a vivere un’esistenza di miseria, di delinquenza o di servitù forzata. La lunga cicatrice che solcava il viso della sorella Martina gli parve all’improvviso l’impronta sinistra di un passato che, come quello di Adela, non le si sarebbe mai più cancellato dalla pelle e dalla memoria, e che avrebbe continuato a pesare sul suo presente in mille maniere sottili e profonde.
«Peccato che non ci siano abbastanza galantuomini per tutte», commentò la novizia, cercando lo sguardo di Palafox e abbassando gli occhi all’istante.
E allora Adela tornò a dire qualcosa che fece nuovamente pentire l’anatomista di essersela portata dietro.
«La Dama del Pozzo lavorava a Trentaclaus, sai? Non era una fanciulla romana, ma una di noi. E pensiamo che l’abbia uccisa quell’Uomo in Nero che gironzolava da queste parti con la tua madre superiora due sere fa. E forse ieri ha ucciso anche il suo protettore.»
La sorella Martina si portò una mano sulla bocca e guardò Palafox con gli occhi spalancati. Non emise alcun suono, ma era evidente che quelle notizie l’avevano sconvolta. Palafox evitò di sgridare la domestica, ma preferì assumere un’aria severa e sostenere lo sguardo della novizia mentre cercava le parole adeguate per riempire il silenzio che era seguito all’intervento di Adela.
«Sappiamo che quella povera ragazza è già stata seppellita per ordine dell’episcopato», disse alla fine. «Non c’è niente da fare al riguardo, perciò non dovete preoccuparvene. Vorremmo solo scoprire chi era, com’è morta e com’è finita in quel sarcofago.»
La novizia ritrasse la mano dalla bocca e si segnò velocissima in fronte.
«È stato un miracolo», borbottò, senza troppa convinzione.
«Non è stato un miracolo», ribatté Adela. «È stato un omicidio.»
«Non sappiamo ancora se sia stato un omicidio», obiettò Palafox lanciandole un’altra occhiata minacciosa. «Sappiamo solo che quella povera ragazza è morta nella casa di un protettore di Trentaclaus e che alla fine è stata sepolta in questo convento.» Poi, girandosi di nuovo verso la sorella Martina, l’anatomista addolcì lo sguardo e il tono di voce e aggiunse: «E secondo noi l’uomo che era qui due sere fa sa qualcosa che potrebbe fare luce su questo mistero. Se voi, sorella, poteste dirmi qualcosa di lui...»
La novizia scrollò la testa con lo stesso nervosismo con cui si era appena fatta il segno della croce.
«Non so chi era quell’uomo. È venuto nel primo pomeriggio, dopo che la madre superiora aveva avvertito l’episcopato dell’apparizione del sarcofago. Io gli ho aperto la porta, come a tutti, e lui mi ha detto solo che doveva parlare con la madre Pietà.» La giovane ci pensò su. «Non sono neanche riuscita a vederlo in faccia. Era infagottato in un modo che gli si vedevano a stento gli occhi e il naso. Io l’ho accompagnato nella galleria sotterranea, e questo è tutto. Se volete saperne di più, dovrete chiedere alla madre superiora. O al signor vescovo, certo.»
Un rumore di passi all’interno del convento costrinse la sorella Martina a girarsi all’indietro. Quando tornò a guardare Palafox e Adela, era sbiancata in faccia e nei suoi occhi c’era un lampo inconfondibile. Il lampo della paura.
«Molte grazie per il vostro aiuto, sorella», mormorò Palafox. «Non vi disturbiamo oltre.»
La novizia non li salutò neppure, ma si limitò a fare un passo indietro chinando la testa e richiuse d’un colpo il portone massiccio.
«Qualcuno ci spiava», disse Adela con un filo di voce. «Mi sa che l’abbiamo messa nei guai.»
Palafox riprese sottobraccio la domestica e la trascinò giù per le scale.
«Mi sono appena ricordato perché non ti avevo mai portato con me in nessun incarico ufficiale», la rimproverò, fermandosi accanto al muro del palazzo del Luogotenente.
Adela storse il naso e rivolse al padrone un’occhiata che era un misto di presa in giro e di sfida.
«Ma cosa dite, padrone? Non avete visto come vi ho aiutato?»
«Mi hai aiutato?»
«Ma certo! Quella monachella adesso si fida di noi, ed è solo grazie a me. Se non veniva fuori che era una di noi, non si prendeva neanche la briga di ascoltarvi mentre le dicevate che la storia della Dama del Pozzo non era un miracolo. Le monache credono alla parola di un uomo solo se indossa l’abito.» Adela fece un sorrisino sprezzante. «E se poi non le dicevo che la morta lavorava a Trentaclaus, di sicuro non ci pensava più. Invece adesso starà molto attenta, vedrete. E se scoprirà qualcosa, troverà il modo di farcelo sapere.»
Palafox si tolse gli occhiali e guardò la sua domestica attraverso la nebbiolina offuscata dei suoi occhi miopi. Poi, pulite le lenti con la manica della finanziera, tornò a indossarli e il viso di Adela riprese i soliti contorni definiti: la doppia fila irregolare di denti bianchissimi, i lineamenti infantili, i grandi occhi marroni di una fierezza indomabile.
«Spero tanto che tu abbia ragione», disse alla fine.
«Ce l’ho, ce l’ho, e voi lo sapete.» Adela inclinò la testa come un cagnolino. «E poi, dite la verità... è per questo che mi avete portato, no? Lo sapevate benissimo che una monaca parlava più liberamente davanti a uno meno minaccioso di voi. E meno maschile.» La ragazza fece un’aria seria. «E non vi sto prendendo in giro.»
«Ti ringrazio.»
«Il piano vi è riuscito. Anche se io l’ho migliorato, come sempre.»
Palafox non si mise a discutere. In fin dei conti, Adela aveva ragione. Se fossero tornati ad avere notizie della sorella Martina, non sarebbe stato di certo per la sua capacità di persuasione o per il suo presunto prestigio in quanto protetto del vescovo Riera, ma unicamente per quell’inaspettata complicità tra figlie del Raval che era nata all’istante tra lei e Adela.
«Adesso torna a casa», le ordinò.
«Non può essere», scrollò la testa la domestica. «Ma non vi preoccupate, non ho nessuna intenzione di accompagnarvi dal vescovo. Ho appena visto qualcosa di meglio.»
Palafox seguì la direzione del dito che Adela aveva allungato in direzione di calle del Verguer, e subito riconobbe la sagoma miserevole di uno dei teppistelli di strada che gironzolavano ancora attorno alla sua domestica. Questo sembrava appena uscito da una rissa a coltellate nel porto, aveva i capelli tutti arruffati e un occhio così gonfio che sembrava un uovo d’oca verdastro.
«Patricio?» azzardò.
«Patricio», confermò la ragazza. «Mi sa che ha ciondolato in giro finché non mi ha trovato. Volete conoscerlo?»
«Ma figuriamoci!» brontolò Palafox. «E secondo me neanche lui ci tiene a conoscere me», aggiunse, notando che il ragazzino si era fermato sull’altro lato della piazza e li osservava con l’aria furtiva. «Ringrazialo per l’aiuto, ma cerca di tenerti alla larga.»
Adela guardò il suo padrone con un’espressione quasi intenerita.
«È quello che l’ispettore Reigosa dice sempre a voi ogni volta che si nomina la signorina Urbach», osservò. E un istante dopo, prima che Palafox potesse farsi venire in mente una risposta a quella provocazione, la domestica gli posò una mano sul braccio e al posto del sorriso abbozzò un’espressione di complicità. «E grazie per avermi raccontato quello che mi avete raccontato prima, padrone. Adesso so che non mi sbagliavo su di voi.»
Adela ritrasse la mano, fece un altro sorriso e si mise a correre verso il punto in cui l’aspettava il suo amico.
Passato qualche secondo, i due ragazzini erano già spariti per calle del Veguer, diretti chissà dove.