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Per pranzo Adela mangiò un piatto di lenticchie con due fette di lombata di maiale, tutta sola nella cucina di calle del Regomir, e l’ora successiva la trascorse a esaminare distrattamente la collezione di congegni meccanici che il suo padrone teneva suddivisi ordinatamente sui tavoli del laboratorio. Il biglietto che le aveva lasciato diceva che non sarebbe tornato a casa prima delle tre, ma non faceva intendere la ragione per cui avesse variato la ferrea routine che governava le sue giornate da quando Adela era alle sue dipendenze. La domestica sperò che fosse andato a pranzo da qualche parte con la signorina Urbach, magari proprio a casa della scrittrice nella bajada de los Leones. Ma era anche possibile, ovviamente, che una nuova disgrazia fosse accaduta quel mattino e che la vita dell’anatomista si fosse complicata ulteriormente.

«C’è qualcosa che non va», confidò a Baffetto, che si era impadronito di un tavolo del signor Palafox e dormicchiava sotto un raggio di sole. «Non so cosa, ma c’è qualcosa che non mi piace.»

Il gatto alzò un orecchio e lo riabbassò all’istante.

Accanto a lui, un bambino di ebano con le viscere di metallo contemplava il vuoto attraverso un paio di inquietanti occhi di vetro.

Adela prese uno degli strumenti che il padrone utilizzava per riparare quegli oggetti e ne osservò con attenzione la punta sottilissima. Si immaginò a utilizzarlo come arma di difesa. Impugnandolo come un coltello. Conficcandolo nel viso o nel petto dell’Uomo in Nero. Le parole di Boris continuavano a risuonarle in mente: Un angelo della morte, aveva detto, Un araldo della distruzione. Ovunque si facesse vedere l’Uomo in Nero, qualcuno finiva inevitabilmente per morire.

E il suo padrone l’aveva già visto ben due volte nelle ultime ore.

«Qualcosa di brutto capiterà al signor Palafox, me lo sento. E noi due non possiamo far niente per evitarlo.»

Baffetto stiracchiò le zampe davanti ed emise un mugolio prima di sprofondare nuovamente nel sonno.

Per la strada, il flauto di un arrotino coprì con le sue note allegre lo scalpiccio dei carri e dei passanti.

Adela si accostò al davanzale e osservò il panorama sotto i suoi occhi. Come ogni pomeriggio, una nebbiolina leggera cominciava a velare la sagoma del Palazzo della Contessa e del Castello del Regomir, che si ergevano sugli altri edifici come fantasmi giunti da un altro tempo, precari e imponenti insieme: colossi in rovina divorati dal fluire dei secoli. Anche le torri di casa Urbach insinuavano i loro merli in quel groviglio di tetti umili; Adela li guardò fisso cercando di immaginare il suo padrone mentre condivideva cibi squisiti e confidenze con la signorina Urbach in una sala elegante come quelle descritte nei suoi romanzi.

Quei romanzi in cui gli uomini come il signor Palafox non finivano mai tra le braccia di donne come la signorina Urbach.

«Andiamo», annunciò, prendendo in braccio Baffetto e affondando il viso nel pelo soffice e caldo dell’animale.

Quando lasciarono il Salon Royal, le tredici oche morte erano scomparse dal chiostro, ma restavano ben presenti nelle conversazioni delle decine di commensali che occupavano ancora i tavoli della sala da pranzo. Lo stesso Palafox non riusciva a disfarsi dello strano disagio che l’aveva invaso mentre assisteva alla scena. A differenza di certe persone che aveva sentito parlare lungo la strada, lui sapeva bene che non poteva esistere alcun legame tra la nuova epidemia di colera e la morte di quelle povere oche. E forse era proprio questo ad agitarlo di più. In quel momento il colera lo spaventava quasi meno dell’irrazionalità. E tredici oche morte in un antico chiostro francescano era un evento così irrazionale, così privo di senso, da giustificare quasi le parole che lui stesso aveva pronunciato, citando Teresa Urbach con finta ironia, quando avevano scoperto l’accaduto.

I segnali si stanno accumulando.

Un Uomo in Nero. Due Dame del Pozzo. Tre cadaveri all’obitorio. E tredici oche morte nel chiostro del Salon Royal.

«Sono l’unica ad aver voglia di vedere il mare?»

Si trovavano sul pla della Boqueria, proprio al centro della Rambla, circondati di fiorai, venditori ambulanti e bambini che giocavano a palla tra le gambe dei passanti. Erano passate da poco le due del pomeriggio, e il sole rovente era alto in cielo. Octavio Reigosa aveva ripreso a sudare dentro la sua finanziera da ispettore del Corpo di Vigilanza, Eliseo Urbach aveva le guance paonazze e la fronte lucida, e lo stesso Palafox si sentiva il corpo umido sotto il leggero abito di lino che aveva scelto per l’occasione. Persino Teresa pareva meno fresca del solito nel suo vestitino.

«Temo che mi stiano aspettando all’archivio parrocchiale», si scusò l’ispettore. «Un paio dei miei uomini stanno cercando negli archivi il nome di Felicia Dedéu, e voglio vedere se hanno trovato qualcosa di interessante. Poi alle quattro ho una riunione con il capo Daroca e l’ispettore Ollero.»

«Uh, che prospettiva invidiabile», commentò Teresa. «Papà?»

Eliseo Urbach sollevò la mano destra per fermare la prima carrozza a noleggio che saliva dagli Arsenali.

«Per quanto mi riguarda, il mare sta bene dov’è», rispose. «Dall’altro lato delle mura. È stato un piacere, signori», aggiunse, chinando impercettibilmente il capo mentre apriva lo sportello della carrozza. «Attendo vostre notizie.»

Palafox e Reigosa salutarono a bassa voce e attesero in silenzio che i cavalli riprendessero la loro corsa, portandosi con sé l’industriale verso la zona alta del Raval.

«Altrettanto, signorina Urbach. È stato un vero piacere.» L’ispettore si sfiorò con due dita l’ala del cappello e si avviò verso calle de la Boqueria, dove subito si confuse con la massa di gente che andava e veniva per la strada.

«Mi lasci anche tu?» chiese allora Teresa, guardando Palafox con l’aria preventivamente imbronciata.

«Come potrei, dopo quello che mi hai detto mentre mangiavamo il dolce?»

La figlia di Eliseo Urbach prese sottobraccio l’anatomista e si avviò al suo fianco lungo la Rambla, in direzione del mare.

«Non è vero, forse?» chiese.

«Che ti sfuggo?»

«Che mi eviti, se non altro.»

«Il lavoro...» cominciò a dire Palafox, ma Teresa lo interruppe all’istante.

«Cinque anni fa studiavi anatomia dal mattino alla sera, facevi tutti i compiti che ti davano i tuoi professori e aiutavi anche tuo padre in studio. Eppure venivi a trovarmi tutti i giorni.» La donna posò la mano sul braccio di Palafox. «E anche quando siamo tornati da Londra eri sempre occupato con i tuoi nuovi amici, i congegni automatici, eppure mi venivi a trovare sempre, oppure mi invitavi a casa tua. Almeno per il primo anno.»

L’anatomista rimase in silenzio mentre si avvicinavano alla porta de la Paz.

All’imbocco del paseo de la Muralla, un gruppetto di uomini e donne circondava un anziano signore che pontificava a voce alta con un accento così stretto che si faceva fatica a capirlo.

«È successo qualcosa, due anni fa.»

«E adesso finalmente ti deciderai a raccontarmelo.»

Teresa si fermò accanto al muretto che chiudeva il lato sud del paseo, vi si appoggiò con i gomiti e concentrò lo sguardo sulla distesa di mare che si apriva davanti a loro. Palafox fece altrettanto.

«Una sera è venuto a trovarmi il padre di quella donna», cominciò. «Alicia Ferrer, la paziente che ho quasi ucciso nella sala operatoria dell’ospedale della Santa Cruz.»

Teresa distolse subito gli occhi dal Mediterraneo e si girò verso Andreu con lo sguardo contrito.

«Non avrebbe dovuto farlo», disse.

«Sì, lo so. So che quello era l’accordo che avevate stretto con lui. Mi ha raccontato tutto.» Palafox si sfiorò distrattamente la montatura degli occhiali. «Prima di quella sera non avevo mai capito come mai il mio errore non mi avesse fatto finire in carcere, e le uniche conseguenze fossero state la perdita della mia professione e un breve periodo di degenza alla Neothermas. Voi avete pagato suo padre perché non mi denunciasse. Vi siete fatti carico delle spese mediche per la figlia, e lui, in cambio, non ha cercato di rovinarmi la vita. Cosa che avrebbe avuto tutto il diritto di fare.»

Teresa scrollò la testa.

«Chi ci avrebbe guadagnato?» gli chiese. «Un processo lungo, un grosso scandalo e una condanna alla prigione per te non avrebbero aiutato affatto quella povera donna, e neppure la sua famiglia. Invece adesso lei è accudita nel migliore dei modi, i suoi genitori non se la passano male e tu sei andato avanti in maniera ammirevole.»

«Eppure...»

«Eppure?» lo incalzò Teresa, vedendo che Palafox non proseguiva la frase.

L’anatomista si girò verso il mare e inalò l’aria che soffiava da levante, carica di sale e di umidità, e calda come il fiato di un cane.

«Me ne vergogno», sussurrò.

«La vergogna è il più stupido dei sentimenti», sentenziò Teresa. «Sentiti in colpa per l’accaduto. Senti l’impotenza di non poter tornare a quel giorno e disfare ciò che hai fatto. Senti compassione per quella donna e rabbia per questa grande ingiustizia. Ma non sentire vergogna, ti prego.» Teresa si avvicinò un po’ di più a Palafox e gli cinse la vita con un gesto così disdicevole per una signora che non poche teste li fissarono incuriositi nel viale affollato. «Né per la malattia che ti ha offuscato i sensi quel pomeriggio, né per quello che mio padre ha deciso di fare per darci l’opportunità di ricominciare da capo.»

Incapace di rispondere a quelle parole, Palafox chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla sensazione travolgente di avere accanto Teresa. Il calore del suo corpo, il profumo dei suoi capelli, il suono dolce e familiare della sua voce... I giorni di Londra gli tornarono in mente come un confuso vortice di immagini e di parole sussurrate nell’oscurità, e per la prima volta dopo tanto tempo si sentì di nuovo vivo.

Quando riaprì gli occhi, Teresa lo stava osservando con un sorriso trepidante che le ballava sulle labbra socchiuse.

E alle sue spalle, anche lei sorridente, c’era la Dama del Pozzo.

Palafox strinse forte le palpebre e si riempì i polmoni dell’aria calda che gli fluttuava attorno. Poi contò mentalmente fino a tre, fino a cinque, fino a dieci, prima di riaprire gli occhi.

La Dama del Pozzo era ancora lì.

«Andreu?»

Lo sguardo di Palafox oscillò per un istante tra il viso di Teresa, che lo fissava ansiosa cingendogli ancora la vita, e il profilo della Dama del Pozzo, che guardava il mare con espressione sognante.

Gli occhi azzurri della ragazza erano fissi su un punto indistinto oltre le navi ancorate davanti a loro, e sulle sue labbra c’era lo stesso vago sorriso che aveva illuminato con quella luce strana il suo cadavere nei sotterranei del convento di Santa Clara.

«Cosa stai vedendo?» gli chiese Teresa, seguendo lo sguardo di Palafox e girandosi verso il punto esatto occupato dal fantasma.

Palafox non rispose. Sciogliendosi dall’abbraccio della sua amica, si avvicinò alla Dama del Pozzo e osservò con attenzione i dettagli di quel viso che adesso, per l’effetto magico della sua malattia, tornava a godere per qualche istante del privilegio della vita. Il nasino piccolo e regolare. La fossetta che divideva in due il mento. Gli zigomi rosati, infantili. Le mascelle ben definite. Le ciocche di capelli che sfuggivano da sotto il fazzoletto e il luccichio del sudore che le imperlava la fronte.

Le sue labbra rosate, non blu.

La sua pelle bianca, non bluastra.

Il suo fiato nell’aria densa del pomeriggio estivo che respiravano insieme nel paseo de la Muralla.

«Scoprirò chi sei», le sussurrò Palafox. «La mia malattia, una volta tanto, servirà a qualcosa.»

La Dama del Pozzo distolse lo sguardo dal mare e si girò verso di lui.

Sulle sue labbra c’era ancora un sorriso che a Palafox ricordò il sorriso della donna alle sue spalle.

Gli occhi azzurri della ragazza si posarono finalmente sui suoi, e per un paio di secondi si guardarono a vicenda senza battere ciglio.

«Scoprirò chi sei», ripeté Palafox. «E tu mi aiuterai.»

In quel momento la ragazza perse il sorriso. Alzando la mano davanti al viso di Palafox, gli avvicinò le dita alla guancia. E in quel preciso momento, quando Palafox stava per sentire sulla pelle il tocco gelido della mano della Dama del Pozzo, la visione si frantumò in mille pezzi e il calore di un’altra mano di donna lo riportò alla realtà.

«Io ti aiuterò», gli sussurrò Teresa, cingendolo di nuovo in vita e portandolo via con dolcezza dal muretto, dove si era già radunata una piccola folla di curiosi. «Ma adesso andiamo via di qui.»

Palafox ubbidì senza protestare.