Andreu arrivò a casa quando le campane di San Justo y San Pastor avevano appena suonato le sei, e trascorse il resto del pomeriggio chiuso nel laboratorio in compagnia dei suoi orologi e congegni meccanici. Non dedicò più di cinque minuti ad ascoltare il racconto entusiastico che Adela gli fece del suo incontro con quel ragazzino di strada in plaza de San Sebastián, né si permise alcun commento sulle nuove informazioni che questi aveva fornito sulla Dama del Pozzo e sull’Uomo in Nero. La domestica, ovviamente, aveva omesso l’allusione al passato dell’anatomista che Boris si era lasciato sfuggire durante il loro incontro, e Andreu, dal canto suo, riportò a Adela solo i dettagli essenziali della giornata.
Quando scese a cena alle nove, il tavolo della sala era apparecchiato con inconsueta eleganza, e nel suo piatto, anziché i soliti affettati, c’era una montagnetta fumante di riso con pollo e verdure.
«Ho passato tutto il pomeriggio a cucinare per voi», annunciò Adela, sbucando dalla porta del corridoio con il grembiule tutto macchiato e il viso illuminato da un gran sorriso di soddisfazione. «L’ho assaggiato anch’io ed è buonissimo!»
Palafox guardò ora il piatto di riso, ora il viso della sua domestica, che gli porgeva un bicchiere di vino senza smettere di fissarlo.
«Ti sono mancato così tanto all’ora di pranzo?»
La ragazza fece schioccare la lingua con aria divertita.
«Più che io a voi di sicuro! Volete sedervi o no?»
Palafox prese posto e accostò la forchetta al mucchio di riso con pezzetti di verdura che aveva davanti. Il suo odore non pareva allarmante, e anche la consistenza del riso sembrava corretta. Palafox si portò la forchetta alla bocca e cominciò a masticare con curiosità.
«Lo sai che non ho intenzione di licenziarti, vero?»
«Certo. Ma ho pensato che da adesso in poi voglio sforzarmi un po’ di più in cucina.» Adela si accomodò a un angolo del tavolo e fece un’aria seria, quasi da adulta. «State dimagrendo troppo, padrone, e mi sa che l’ispettore dà la colpa a me.»
Palafox sorrise.
«Non credo che l’ispettore sia molto interessato al mio peso, e neppure alle tue doti di cuoca», ribatté. «Ma questo riso è davvero buono, complimenti, Adela.»
La ragazza arrossì in maniera incantevole.
«Tutta questa faccenda della Dama del Pozzo mi ha fatto riflettere, sapete?» sussurrò. «La suora che abbiamo visto stamattina, la sorella Martina, e quel ragazzino che mi ha presentato Patricio, Boris. Se non era per voi...»
Palafox interruppe la domestica agitando la forchetta.
«Di questo abbiamo già parlato.»
«Ma è vero. Se non era per voi, sarei potuta finire anch’io con una tunica dentro un sarcofago di pietra. O con un abito da monaca per scappare da Trentaclaus. Oppure a gironzolare in plaza de San Sebastián a caccia di...» La ragazza non terminò la frase.
Palafox si portò la forchetta alla bocca e masticò lentamente senza guardarla.
«Non pensare a quello che sarebbe potuto essere», disse alla fine. «Quello che sarebbe potuto essere e non è stato, semplicemente non esiste. L’unica Adela che importa è quella che sei adesso.»
La domestica abbozzò un sorrisetto triste e annuì con un cenno del capo, senza aggiungere altro. Attese in silenzio che il padrone finisse di cenare, poi andò in cucina a prendere una brocca di latte zuccherato, una ciotola vuota e un piatto di fragole che aveva comprato quel mattino al Born. Tagliò le fragole a rondelle, le mise nella ciotola e le coprì con il latte. Quindi porse la ciotola a Palafox e tornò al suo posto.
«Avete sentito delle oche?» gli chiese.
L’anatomista prese un cucchiaio di fragole e masticò con evidente soddisfazione.
«Buonissimo», commentò. «E tu da chi l’hai saputo?»
«Sono scesa ad affilare i coltelli dopo pranzo e ho sentito delle donne che ne parlavano. Certe davano la colpa al colera, altre al demonio.»
Palafox scrollò la testa sorpreso.
«Le notizie volano in questa città. Noi eravamo lì quando è successo, e dovevano essere all’incirca le due. A che ora sei scesa ad affilare i coltelli?»
«Voi eravate lì quando hanno trovato le oche?» chiese a sua volta Adela, con aria perplessa. «E che ci facevate alle due nella cattedrale?»
Palafox posò il cucchiaio all’istante e guardò la domestica con aria serissima.
«Raccontami cos’hai sentito.»
«Ho sentito che le tredici oche della cattedrale sono state trovate morte a mezzogiorno. Sapete quelle che vivono nel chiostro, no? Stamattina erano vive, e a mezzogiorno le hanno trovate tutte morte. E voi, cosa stavate dicendo?»
Palafox riferì alla domestica la scena a cui avevano assistito nel Salon Royal. Altre tredici oche morte in un chiostro medievale, anche queste senza una causa apparente.
«Domani vediamo cosa dicono i giornali», concluse, portandosi la ciotola alla bocca e finendo anche l’ultimo sorso di latte e zucchero.
Fu allora che gli tornò in mente il gruppetto di curiosi stretti attorno all’anziano gesticolante all’imbocco del paseo de la Muralla. Era giunto il tempo dei predicatori, si disse. Crimini e prodigi, miracoli e segnali: terreno fertile per i tanti ciarlatani che giravano per Barcellona alla ricerca del loro piccolo momento di gloria.
«Secondo voi l’Uomo in Nero c’entra in qualche modo anche con questa storia?» chiese Adela con la voce soffocata.
Palafox ripensò alle parole che la domestica aveva usato nel riferirgli il suo incontro con quel ragazzino di strada. Un angelo della morte. Un araldo della distruzione. L’immagine spettrale che si materializzava ovunque stesse per verificarsi una disgrazia.
«L’Uomo in Nero non è un fantasma», rispose. «È un uomo reale. Sono sicuro che quelle oche morte e l’epidemia di colera non c’entrano niente con lui.»
Adela non replicò. Si limitò ad alzarsi in piedi, ritirare la ciotola vuota che Palafox aveva appena lasciato sul tavolo e riportarla in cucina insieme al piatto e alla brocca di latte.
Erano già quasi le dieci di sera quando Reigosa riuscì finalmente a farsi ricevere dal vescovo. Il coprifuoco aveva svuotato le strade del centro, e i dintorni del palazzo episcopale erano così deserti che i passi dell’ispettore rimbombavano come colpi di tamburo sui ciottoli di calle del Obispo. Quando il custode gli fece un cenno, Reigosa abbandonò il suo rifugio sotto il portone della cappella di Santa Lucia e attraversò di corsa la strada con aria ben poco amichevole.
Seduto allo scrittoio del suo ufficio e vestito alla meglio, neanche il vescovo Riera sembrava particolarmente felice alla prospettiva di quell’incontro inatteso.
«Ebbene?»
L’anziano non lo invitò ad accomodarsi, perciò Reigosa rimase in piedi al centro della sala.
«Perdonate l’ora, Vostra Eccellenza, ma è una questione quanto mai importante», cominciò. «Come sapete, un inglese è stato trovato ieri ucciso in una pensione del paseo de la Aduana. Il defunto aveva in suo possesso un biglietto da visita con annotati tre nomi. Uno era quello di Andreu Palafox, un altro era quello del sanatorio Neothermas e il terzo era un nome di donna, Felicia Dedéu.» L’ispettore fece una pausa prima di chiedere: «Vi risulta familiare questo terzo nome, Vostra Eccellenza?»
Il vescovo Riera non modificò la sua espressione accigliata.
«Dovrebbe?»
«Forse sì», rispose Reigosa. «All’inizio abbiamo pensato che potesse trattarsi del nome della giovane che giaceva nel sarcofago di Santa Clara, quella che avete sepolto ieri e di cui chissà come mai oggi parlano già tutti i giornali. Ah, a proposito, a quanto pare l’idea che quella poveretta fosse davvero una fanciulla romana ha convinto un po’ tutti. Complimenti vivissimi.»
Il viso del vescovo si indurì ancora di più.
«Se siete venuto a muovermi un rimprovero, ispettore...»
«Assolutamente no, Vostra Eccellenza. Avete fatto bene il vostro lavoro. Niente da obiettare da parte mia.» Reigosa azzardò un sorriso conciliante. «Vi dicevo poco fa che all’inizio avevamo pensato che quella giovane potesse essere Felicia Dedéu. Poi siamo venuti a sapere dell’esistenza di una paziente ricoverata alla Neothermas, una donna sbucata dal nulla un paio di settimane fa nel convento di Santa Teresa, e abbiamo pensato che magari quella certa Felicia Dedéu fosse lei. Ma oggi, consultando gli archivi parrocchiali, i miei uomini hanno finalmente rintracciato il nome.»
«Ebbene?» chiese ancora il vescovo.
«È venuto fuori che Felicia Dedéu è stata sempre molto vicina a noi, Vostra Eccellenza. A voi e a me. Anche se noi la conoscevamo sotto un altro nome.»
L’anziano aggrottò la fronte, ma stavolta i suoi occhi lasciarono intravedere anche un pizzico di curiosità.
«Io non conosco nessuna Felicia Dedéu», garantì.
«In realtà, la conoscete eccome. Anche se la chiamate in altro modo. A quanto ne so, quando prendono i voti alcuni religiosi rinunciano al loro nome secolare per indicare simbolicamente l’inizio di una nuova vita, giusto?»
Il vescovo annuì lentamente.
«Intendete dire che Felicia Dedéu è una monaca?»
«Vostra Eccellenza, voi stesso la conoscete come madre Pietà, la madre superiora del convento di Santa Clara.» Reigosa prese dalla tasca il fascicolo che i suoi uomini avevano scovato nell’archivio provinciale. «Il nome di Felicia Dedéu è rimasto relegato nel passato quando è diventata una clarissa, ma questi documenti lo conservano ancora. E adesso io mi chiedo, Vostra Eccellenza... come mai il nome della madre superiora del convento di Santa Clara era annotato sul biglietto da visita di un inglese ucciso?»
L’anziano osservò qualche secondo di silenzio.
«Che cosa volete?» chiese alla fine.
«Voglio parlare al più presto con la madre Pietà.»
«Le parlerete domani.»
«Preferirei...»
«Non pensateci neppure», tagliò corto il vescovo. «Non entrerete in un convento femminile a quest’ora di notte per mettervi a fare domande sconvenienti. Tornate qui domani alle nove, e andremo insieme a parlare con la madre Pietà.»
Reigosa rimise il fascicolo in tasca e annuì con aria rassegnata, ma intimamente soddisfatto. Non sperava di ottenere niente di più da quel vecchio barbogio.
«Alle nove in punto, Vostra Eccellenza. Riposate bene.»
L’ispettore uscì dall’ufficio e abbandonò il palazzo episcopale con la speranza di cominciare finalmente ad avere in pugno la situazione. Per un istante gli venne voglia di andare in calle del Regomir e informare delle novità Palafox, ma alla fine cambiò idea. L’anatomista, nonostante la sua giovane età, aveva abitudini e orari non meno rigidi di quelli delle suore di Santa Clara. Neppure lui avrebbe gradito quell’intrusione nel cuore della notte, anche se fosse stato per fargli sapere che il mistero della Dama del Pozzo cominciava finalmente a diradarsi, o per meglio dire, a infittirsi in una maniera stranamente illuminante.
Domani vedremo, pensò Reigosa, e si avviò con passo leggero verso casa senza sospettare cosa gli sarebbe capitato di lì a poco.