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Ancorato come un antico vascello ai piedi della bajada de los Leones, il palazzo Urbach offriva quel mattino l’aspetto di una fortezza abitata da spettri e fanciulle incantate. Le sue alte torri merlate, le sue finestre con le inferriate, la pietra scura delle sue mura centenarie... Sotto la pioggia intensa che cadeva sin dal mattino presto, la sagoma imponente dell’edificio evocava ogni genere di immagine sinistra, che tuttavia Adela non era certa di voler scacciare dalla sua mente. In fin dei conti, meglio pensare ai castelli incantati che alle clarisse sgozzate, agli assassini senza volto o agli uomini buoni con il senno perduto.

Protetta sotto il porticato, la domestica vedeva cadere la pioggia sulle piastrelle del patio e cercava di non pensare ai fatti della notte precedente. Erano passate poco più di sei ore da quando la signorina Urbach l’aveva portata per mano a palazzo e affidata alle cure di Esteban, il maggiordomo, un uomo affabile e laborioso che in un paio di minuti le aveva approntato una cameretta nel piano nobile dell’edificio. Nel frattempo, l’ispettore Reigosa aveva assunto il controllo della situazione in calle del Regomir e si era messo a impartire ordini al signore e alla signorina Urbach con un’autorità che Adela, per certi versi, aveva trovato confortante almeno quanto la calma che padre e figlia avevano dimostrato sin dal loro arrivo nel patio del signor Palafox.

Eppure, nella sua memoria l’accaduto somigliava al cielo sopra casa Urbach, fosco e annebbiato. Dopo il suo incontro con l’Uomo in Nero, Adela ricordava vagamente di aver allontanato il suo padrone dal cadavere della madre superiora e di averlo fatto sdraiare a letto. Ricordava anche di aver chiuso Baffetto nella sua stanza prima di affrontare le strade deserte del quartiere del Regomir per correre a chiamare Teresa Urbach. Esteban aveva impiegato diversi minuti ad aprirle il cancello, ma alla scrittrice era bastato sentire l’inizio dell’affannato resoconto di Adela per precipitarsi a svegliare il padre e trascinarlo con loro a casa dell’anatomista. Qui la signorina Urbach si era immediatamente presa cura con disarmante tenerezza del suo amico, mentre il padre era rimasto nel patio, a sorvegliare il corpo della clarissa, e Adela era uscita a chiamare l’ispettore Reigosa.

Il poliziotto aveva ascoltato i balbettii confusi della domestica con meno pazienza della signorina Urbach, ma mezz’ora dopo – una volta organizzato il ricovero dell’anatomista e il trasferimento di Adela dagli Urbach – aveva preso la ragazza per le mani e le aveva detto:

«Palafox è molto fortunato ad averti come domestica, Adela. Quando tornerà in sé, sarà orgoglioso di te».

Adela ricordò quelle parole e ripensò anche, con un nodo in gola, al sorriso triste che la signorina Urbach le aveva rivolto prima di tornare con la sua carrozza in calle del Regomir per portare il signor Palafox alla Neothermas.

«Vedrai che si sistema tutto», l’aveva rassicurata la donna. «Adesso cerca di dormire un po’. Domani mi dovrai aiutare.»

Ed era proprio questo che Adela stava cercando di fare adesso: aiutare la signorina Urbach. Chiarire insieme a lei l’accaduto e risolvere quanto prima quel guaio perverso che aveva finito per far chiudere una volta ancora il suo povero padrone in un manicomio.

«Signorina Adela?»

La ragazza si girò di soprassalto e vide Esteban che la guardava incuriosito.

«Mi avete spaventato», si scusò timidamente. «È la prima volta che qualcuno mi chiama ‘signorina’...»

Esteban le sorrise con aria dolce.

«La signorina Urbach vi sta aspettando», annunciò. «La carrozza è alla porta. Se volete venire con me...»

Adela seguì il maggiordomo lungo una serie di corridoi e scale fino al patio dell’edificio, dove Esteban riparò la ragazza dalla pioggia mentre l’aiutava a montare in carrozza.

«Grazie, Esteban», disse Teresa Urbach, scivolando sul sedile per fare spazio a Adela. «Se mio padre chiede di noi, siamo a Santa Clara.»

«Benissimo, signorina.»

Il maggiordomo richiuse lo sportello della carrozza e si ritirò nuovamente al riparo contro il muro del palazzo. Teresa diede ordine di partire al cocchiere e solo allora rivolse a Adela uno sguardo rassicurante.

«Sei riuscita a dormire almeno un pochino?»

La ragazza scrollò la testa.

«L’avete visto?» chiese a sua volta.

«Non me l’hanno permesso. Speriamo che all’ispettore vada meglio.» Teresa riferì a Adela la sua inutile visita alla Neothermas e la successiva conversazione con Octavio Reigosa agli Arsenali, per poi concludere: «Il dottor Carrera sa quel che fa, immagino».

«Il dottor Carrera non ha idea di un bel niente», ribatté all’istante Adela. «Secondo lui, quelle che vede il signor Palafox sono allucinazioni. Lo tratta come un matto.»

Teresa sorrise della foga con cui parlava la domestica.

«Il dottor Carrera è uno psichiatra: per lui, tutto si riduce a salute e malattia.»

«Il signor Palafox non è malato. E voi lo sapete bene.»

«No, il signor Palafox non è malato», le concesse Teresa, «ma adesso come adesso, per come stanno le cose, la Neothermas è il posto migliore per lui. E per irritante che possa risultare a volte, anche lo zelo del dottor Carrera ci verrà utile.»

Adela ci pensò su qualche istante.

«Anche voi credete che il signor Palafox sia in pericolo», disse alla fine.

«Sì, è quello che temo.»

«Qualcuno vuole fargli del male, e voi due, voi e l’ispettore, pensate che in quella clinica sarà più protetto. Ecco perché avete deciso di portarlo lì la notte scorsa.»

Teresa Urbach prese la mano della ragazza e la strinse.

«Ed è per questo che adesso dobbiamo scoprire chi vuole fargli del male, e perché.»

Adela annuì, e dopo un attimo di esitazione si decise a esprimere l’idea che le era venuta in mente durante quelle ultime ore di insonnia.

«Credo di sapere chi c’è dietro a tutta questa storia», disse. «Credo di sapere chi vuol fare del male al signor Palafox.»

Teresa guardò Adela con aria meno sorpresa di quanto la domestica avesse previsto.

«Davvero?»

«Secondo me dipende tutto da quello che è successo tre anni fa. La paziente che il signor Palafox ha quasi ucciso quando faceva ancora il medico.»

«E perché pensi una cosa simile?»

«Ieri ho conosciuto uno che la frequentava prima di quell’incidente. Non era un suo parente, ma era molto arrabbiato con il signor Palafox. Ha detto che quella poveretta non riesce a fare niente da sola e che il suo cervello non è tornato più lo stesso dopo quel giorno.» Adela fece una piccola pausa prima di chiedere: «Quella donna avrà pure avuto genitori e fratelli, giusto? O magari un fidanzato, oppure un pretendente, o insomma qualcuno che le voleva bene e non è riuscito a perdonare il signor Palafox per quello che ha fatto».

Teresa Urbach si girò verso il finestrino. Stavano già lasciando plaza de San Miguel, notò, e forse la pioggia stava diminuendo. Nel giro di un paio di minuti sarebbero arrivati in plaza del Rey.

«Secondo me non è la strada giusta», disse, guardando di nuovo negli occhi la domestica di Palafox.

«Se uno fa del male a una persona a cui voglio bene, a me viene voglia di vendicarmi. A voi no?»

A questo Teresa non rispose, ma le disse:

«Quella donna si chiama Alicia, Alicia Ferrer. Quando è successo il fatto, aveva venticinque anni ed era maestra volontaria in una scuola per bambine del quartiere di Santa Catalina. Non era sposata e non aveva fratelli, e dei suoi genitori si è occupato mio padre con sufficiente generosità. C’era un fidanzato, un uomo che la famiglia non apprezzava molto, ma è scomparso nel nulla quando si è capito che le conseguenze dell’incidente non sarebbero state temporanee. No, dietro a questa storia non ci sono né il signor Ferrer né sua moglie, ne sono certa», concluse Teresa scrollando la testa.

«Siete ancora in contatto con loro?»

«Mio padre ha dato lavoro al signor Ferrer, un piccolo posto nel dipartimento contabilità della sua fabbrica. Gli dirò di andarci a parlare, ma so che quel poveruomo non c’entra niente. Di sicuro porta rancore al signor Palafox, ma da qui a immaginarlo in cerca di vendetta ce ne vuole. Figuriamoci poi una vendetta come questa, così assurdamente elaborata e con tante vittime di mezzo.»

La carrozza si fermò in quell’istante davanti al convento di Santa Clara, e la voce del cocchiere impedì a Adela di difendere la sua teoria; una teoria di cui, in fondo, non era molto convinta neppure lei. A pensarci bene, cosa c’entravano con quella presunta vendetta paterna gli omicidi di un ingegnere inglese e di un protettore, per non parlare delle due Dame del Pozzo? E perché mai sgozzare una clarissa nel patio della casa del signor Palafox, anziché sgozzare direttamente lui? Chiunque fosse il responsabile, non voleva vedere morto il suo padrone: voleva solo farlo impazzire e renderlo il principale indiziato di tutti quei delitti.

«Forse avete ragione», ammise. «Era solo un’idea.»

«Era una buona idea», le garantì Teresa. «E secondo me non sei del tutto fuori strada. Penso anche io che dietro a tutto questo si nasconda uno che prova un interesse perverso per il nostro amico.»

Il nostro amico. A Adela piacque sentire la signorina chiamare così il suo padrone.

«Forse qui saremo più fortunate», disse, scendendo dalla carrozza dietro di lei e guardando con immediata apprensione i muri sudici del convento.

Anche Teresa osservò l’antico palazzo reale con l’aria seria e gli occhi lucidi.

«Qualcosa mi dice che andrà così.»

Adela si girò stupita verso di lei.

«Volete dire...?» Non terminò la domanda.

La scrittrice la prese sottobraccio e si avviarono insieme verso la scalinata d’accesso al portone del convento, mentre il cocchiere le seguiva con l’ombrello a pochi passi di distanza.

«In fin dei conti, è iniziato tutto qui. Con un miracolo.» Teresa si raccolse le falde della gonna e cominciò a salire i gradini. «Chissà, forse abbiamo sottovalutato quello che la Dama del Pozzo cercava di dire al signor Palafox.»