Il dottor Carrera si chiuse alle spalle la porta della stanza numero dodici e si avviò verso il terzo piano con lo sguardo fisso sul taccuino che teneva in mano. Non alzò la testa quando passò davanti alla porta chiusa dell’ufficio di Benedicta Daudí, l’amministratrice della Neothermas, e non notò neppure la presenza dell’infermiera che spiava i suoi movimenti dal fondo del corridoio.
Erano passate da poco le undici del mattino. Lo psichiatra aveva trascorso un’ora intera chiuso con l’ultimo paziente affidato alle sue cure, e Laura nel frattempo aveva gironzolato con aria furtiva lungo il corridoio con i ferri del mestiere in mano e le orecchie ben aperte. Quello che si erano detti i due uomini dentro la stanza, tuttavia, era destinato a rimanere riservato. Per quanto avesse cercato più volte di origliare, l’infermiera non era riuscita in nessun modo a decifrare neppure una parola della conversazione tra il dottore e Andreu Palafox.
«Signor Palafox?»
Con la mano ancora sulla maniglia della porta, Laura si affacciò timidamente all’interno della stanza e di fronte a lei si presentò una scena pietosa.
L’amico della signorina Urbach era sdraiato su un divano di pelle rossa identico a quelli in dotazione in tutte le stanze della clinica. Indossava una specie di camicione abbottonato male, aveva i piedi nudi e lo sguardo perso sul soffitto. Le sue labbra erano socchiuse, e luccicavano come le labbra di un bambino che non sa ancora controllare i fluidi corporei. Come le labbra della Dama del Pozzo, pensò Laura con aria triste; o come le labbra di qualsiasi altro paziente della Neothermas sprofondato per sempre nel salivante stupore della demenza. Un odore strano impregnava la stanza: un odore penetrante, acido, innaturale, che pareva emanare dalle due fiale aperte accanto al divano e che a Laura, per qualche ragione, ricordarono ancora la Dama del Pozzo. L’unica finestra della stanza era chiusa, e dietro i vetri, steso come una stoffa sui tetti vicini, il cielo mostrava un lugubre color cenere.
«Signor Palafox?»
L’uomo sbatté le palpebre un paio di volte e la sua mano destra si alzò un istante, prima di ricadergli pesantemente in grembo.
Un rivolo di saliva gli uscì dall’angolo della bocca e gli colò lungo la mascella versandosi sulla pelle del divano.
«Sono Laura, signor Palafox», ci riprovò la ragazza, avvicinandosi a lui fino a sentire quello strano odore come una specie di aggressione ai sensi. «L’infermiera con cui avete parlato l’altro giorno. Sono qui per aiutarvi.»
L’uomo sbatté di nuovo le palpebre, e stavolta parve cercare alla cieca l’origine della voce che gli aveva appena parlato. Laura si chinò su di lui e abbozzò un sorriso che non ottenne risposta. Poi gli prese la mano e la strinse con delicatezza.
L’uomo socchiuse le labbra ed emise un verso che l’infermiera non riuscì a interpretare.
«Come avete detto?»
L’uomo chiuse gli occhi, li aprì di nuovo e pronunciò con un filo di voce quella che adesso le parve una parola incomprensibile.
«Riprovateci, vi prego.»
L’uomo le ubbidì. E finalmente Laura riuscì a capire.
«Teresa.»
L’infermiera strinse di nuovo la mano di Andreu Palafox e gli sorrise con dolcezza.
«La signorina Urbach è stata qui stamattina», spiegò. «Non le hanno dato il permesso di farvi visita e se n’è andata molto arrabbiata. Poi è venuto il vostro amico, l’ispettore Reigosa, e anche lui è rimasto a parlare per un bel po’ con il dottor Carrera. Quando se ne stava andando, l’ho avvicinato e gli ho chiesto di dire alla signorina Urbach che mi prenderò cura io di voi. Gliel’ho promesso. Ed è quello che intendo fare.»
Andreu Palafox girò la testa con difficoltà verso il tavolino basso di rovere accanto al divano. Laura seguì la direzione del suo sguardo, prese una delle due fiale aperte e la annusò con aria perplessa.
Quell’odore acre le colpì i sensi come un pugno e poco ci mancò che rovesciasse il liquido a terra.
«Teresa», ripeté l’uomo con un nuovo sussurro appena percettibile. Sul suo viso si era dipinta adesso un’espressione di terrore che spezzò il cuore a Laura.
«Su, apriamo questa finestra, signor Palafox», disse lei, rimettendo a posto la fiala e spostando il tavolino. Poi si diresse alla finestra e la spalancò.
Una folata di aria calda e umida penetrò nella stanza e attenuò appena l’odore di quello strano liquido, che aveva un colore simile all’urina ed emanava una specie di effluvio chimico che Laura non seppe riconoscere. Cominciava ad avere la nausea. Si trattenne a stento dall’impulso di prendere le due fiale e svuotarne l’intero contenuto nel lavabo in un angolo della stanza. Come avrebbe fatto a spiegare al dottor Carrera che lei, una semplice infermiera, aveva deciso autonomamente di disfarsi di una delle famose preparazioni del direttore della Neothermas? Eppure, come permettere che l’amico della signorina Urbach rimanesse ancora sotto gli effetti di quella sostanza maleodorante?
«Teresa», ripeté allora Andreu Palafox.
Laura decise che quello era un segnale.
«Non vi preoccupate, signor Palafox, mi prenderò cura io di voi.»
L’infermiera prese le fiale e versò nel lavabo fino all’ultima goccia di quel liquido giallastro. Poi prese da sotto il marmo una delle caraffe d’acqua e la versò per metà nello scarico. Solo in quel momento trovò il coraggio di respirare normalmente. Prese una garza che teneva nella tasca dell’uniforme, la immerse nell’acqua e inumidì per qualche minuto la fronte e le labbra del suo paziente. Non gli diede da bere finché non si fu accertata che il polso e il respiro cominciassero a tornare regolari. A quel punto gli fece scivolare la mano sotto la nuca, gli sollevò delicatamente la testa e gli versò in bocca i primi sorsi d’acqua.
Neanche cinque minuti dopo, Palafox era riuscito a mettersi seduto sul divano e fissava Laura con un viso che iniziava di nuovo a somigliare a quello che la ragazza aveva visto un paio di giorni prima.
«Laura, vero?» chiese allora. Le prime parole coerenti dopo il groviglio di frasi insensate che aveva scandito il suo progressivo risveglio.
Laura gli fece un bel sorriso.
«Come vi sentite?»
L’uomo si girò verso la finestra aperta e contemplò per qualche secondo il panorama di nuvole grigie e tetti rossi che si apriva all’esterno. Poi tornò a guardare l’infermiera.
«A che piano...?» cominciò a chiedere, prima di ritrovarsi senza forze nei polmoni.
«Al terzo. È il piano in cui sono ricoverati i pazienti bisognosi di cure speciali. Siete arrivato la notte scorsa, ricordate? Siete venuto con la signorina Urbach e l’ispettore Reigosa.»
Le labbra di Palafox si incurvarono lievemente all’ingiù, e le sue guance non rasate gli diedero un’aria più anziana.
«E quella donna...?»
Laura impiegò qualche secondo per comprendere il significato di quella nuova domanda incompiuta.
«La Dama del Pozzo? La sua stanza è proprio qui, in fondo al corridoio. Di lei mi occupo ancora io.» E subito dopo, presa da un’improvvisa eccitazione, l’infermiera chiese a sua volta: «Volete andare da lei?»
Anziché rispondere, il signor Palafox posò per la prima volta i piedi nudi a terra e si alzò dal divano con evidente difficoltà.
«Il dottor Carrera...» riprovò.
«È stato qui con voi fino a dieci minuti fa. Non so dov’è andato adesso, ma potrebbe tornare da un momento all’altro. Lui si occupa personalmente del vostro caso.»
Ad Andreu bastò fare due passi perché il mondo si mettesse a girare vorticosamente. Impressionato dalla sua stessa debolezza, si fermò accanto alla finestra e accettò il braccio che Laura gli porgeva. Il contatto con la pelle calda della ragazza scatenò una valanga di ricordi che mise quasi in ginocchio l’anatomista.
Il cadavere di Teresa la notte prima.
Le labbra morte che le sue labbra avevano baciato in cerca del miracolo.
Il viso della monaca sgozzata che si era magicamente sovrapposto al viso di Teresa, quando Adela aveva pronunciato il suo nome e interrotto per un istante il suo delirio.
E quell’odore nel naso, l’odore familiare della follia.
Un odore molto simile a quello che adesso persisteva ancora nella stanza.
«Andiamo da quella donna», riuscì a dire, pronunciando ogni parola come se lo facesse per la prima volta. E subito dopo aggiunse: «Grazie, Laura».
Le gote generose dell’infermiera avvamparono all’istante.
«Prima vediamo se la strada è sgombra», disse liberando delicatamente il suo braccio da quello di Palafox e dirigendosi verso la porta.
Il corridoio era deserto, ma la porta dell’ufficio della signora Daudí era ancora socchiusa. Laura si avvicinò in punta di piedi e si affacciò quel tanto che le concesse di vedere che l’amministratrice della clinica era seduta allo scrittoio, china sulle pile di fatture e di lettere che ogni mattina a quell’ora si occupava di controllare. Poi andò in fondo al corridoio e aprì con identica cautela la porta della stanza della Dama del Pozzo. Non c’erano infermiere con lei in quel momento: la poveretta era seduta tutta sola sulla sua solita poltrona, con le mani incrociate sul grembo e sistemata di fronte alla finestra nella stessa identica posizione in cui Laura l’aveva lasciata mezz’ora prima.
Quando tornò nella stanza del signor Palafox, il suo nuovo amico stava osservando attentamente le due fiale di vetro che contenevano quel liquido puzzolente.
«Di che sostanza si tratta?»
Laura fece una smorfia triste e porse il braccio a Palafox.
«È la prima volta che la vedo», spiegò. «Certe volte, quando dobbiamo calmare un paziente oppure eseguire un piccolo intervento, diamo da respirare un po’ di cloroformio, una nuova sostanza tedesca che fa addormentare e rende insensibili al dolore. Questo liquido aveva un altro odore e anche un altro colore, ma i suoi effetti, a quanto pare, non devono essere molto diversi.»
Palafox posò le fiale sul tavolino e si diresse verso la porta accanto a Laura.
«Sono abituato al cloroformio», disse, sentendosi finalmente di nuovo in possesso della lingua. «Il cloroformio addormenta i sensi e annulla la coscienza, ma non ha effetti allucinogeni.»
«Avete sofferto di allucinazioni?»
Anziché risponderle, Palafox chiese:
«Allora, la strada è sgombra?»
L’infermiera annuì e tornò ad assumere un’aria di forzata professionalità. Aprì con cautela la porta della stanza, si affacciò nel corridoio e, visto che era tutto calmo, prese sottobraccio Palafox e lo portò in tutta fretta nella stanza della Dama del Pozzo.
«Non ha ancora ripreso coscienza», lo informò con un filo di voce mentre apriva la porta. «Nessuno ha chiesto di lei, e non è ancora venuta fuori nessuna pista utile sulla sua identità. Se non conoscessi così bene le sue funzioni corporee, sembrerebbe un fantasma anche a me.»
Palafox non prestò quasi attenzione alla frase della ragazza e al suo sorriso imbarazzato, e neppure al rumore lontano di voci e urla che entrava dalla finestra aperta.
Aveva appena visto la seconda Dama del Pozzo.
E finalmente tutto quanto cominciò ad acquistare un senso.
«Torniamo nella mia stanza», disse un attimo dopo, senza avvicinarsi alla donna e rivolgendole solo una rapida occhiata, per grande sorpresa di Laura. «Vorrei che facessi una cosa per me.»