Ogni volta che Andreu cercava di ricostruire cosa fosse accaduto quel pomeriggio di marzo del 1851 in cui la sua carriera di medico era naufragata per sempre, la sua memoria non riusciva ad andare oltre un certo punto in cui i suoi ricordi, invariabilmente, si dissolvevano come una zolletta di zucchero nell’assenzio. Tutto ciò che precedeva quel momento era ancora fresco nella sua mente: la sala operatoria dell’ospedale della Santa Cruz in cui doveva avere luogo l’intervento, i preparativi, le piccole osservazioni che lui e il suo assistente si erano scambiati con la giovane paziente a cui Palafox doveva asportare le tonsille. L’intervento in sé era assolutamente banale: la cosa speciale era che quella sarebbe stata la prima volta in cui Palafox avrebbe preso in mano il bisturi senza la supervisione di uno dei suoi professori del Collegio Reale di Chirurgia. Il figlio di Martín Palafox aveva appena ottenuto il titolo ufficiale quella stessa settimana, in una cerimonia di cui avevano parlato tutti i giornali della città. Un nuovo anello si aggiungeva alla catena di medici più antica e rispettata di Barcellona, e nessuno aveva motivo di sospettare che l’occasione potesse tramutarsi in tragedia.
Palafox ricordava l’aria inquieta della donna che stava per operare, i suoi occhi pesanti per effetto del laudano che il suo assistente le aveva già somministrato, e alla fine il placido sonno artificiale che doveva permettergli di lavorare senza farle alcun male. Gli strumenti chirurgici erano disposti in ordine sul vassoio, tutte le lampade erano accese e l’infermiera, un’efficiente ragazza con cui Palafox aveva lavorato più di una volta, gli aveva lasciato una caraffa d’acqua e un flacone di alcol a portata di mano.
Conosceva bene anche l’assistente. Si chiamava Carcasona, aveva sui cinquant’anni ed era stato l’assistente di suo padre per tanto tempo, prima che un problema di salute lo costringesse ad abbandonare temporaneamente l’esercizio della professione. Lui stesso si era offerto di assistere Palafox in quel primo intervento ufficiale, come omaggio al suo capo ormai scomparso.
Palafox ricordava di aver preso il bisturi dal vassoio e di averlo avvicinato alla bocca della paziente, tenuta aperta da Carcasona con un paio di tenaglie d’argento. Ricordava di aver affondato con cautela la lama nel tessuto infiammato della laringe, molto lentamente, con la stessa disinvoltura che fino a quel momento gli aveva guadagnato gli elogi di tutti i professori. E ricordava anche di aver pensato che stava succedendo qualcosa di strano.
E lì calava l’oscurità più assoluta.
Un’oscurità popolata di visi morti e di voci spente.
Nella memoria di Palafox, la luce a gas che aveva illuminato la sala operatoria svaniva in quell’istante, e le tenebre che si impossessavano della sala si popolavano all’istante degli stessi fantasmi che lo perseguitavano dalla primissima volta, tanti anni addietro, quel mattino nella bajada de la Prisión. Gli abitanti perduti di Barcellona. I suoi sfrattati inquilini provvisori. I figli morti di quella città in cui il tempo, come il tracciato delle sue strade, come la pietra e la malta dei suoi edifici, si accumulava e si sovrapponeva finendo per confondersi in un insieme indistinguibile in cui niente, mai, riusciva a scomparire per davvero.
Palafox ricordava di aver chiuso gli occhi per cercare di scacciare quelle visioni con la solita cantilena che aveva imparato a ripetersi in quelle circostanze: «Mi chiamo Andreu Palafox. Sono nel 1851. Quello che vedo non è reale, invece io sì. Loro non sono vivi, invece io sì». E poi ricordava di aver riaperto gli occhi e scoperto che al posto della sua paziente sul tavolo operatorio c’era il cadavere di uno sconosciuto. Un cadavere che sanguinava e ululava come un animale ferito. Un cadavere con gli occhi aperti e la bocca inondata di sangue che guardava Palafox con lo stesso panico che adesso cominciava a sentire anche lui.
«Per l’amor di Dio, cos’avete fatto?» gli urlava una voce al suo fianco. «Cos’avete fatto, dottor Palafox?»
Palafox ricordava i volti inorriditi di Carcasona e dell’infermiera che si confondevano con i volti di tutti i fantasmi che gli roteavano attorno come un violento vortice di anime in pena, e che parevano crescere di numero a ogni nuovo giro. E ricordava anche di aver alzato le mani e di averle viste tutte imbrattate di sangue.
Lo stesso sangue che sgorgava dal viso del cadavere ululante sopra il tavolo operatorio.
Tutto qui.
Da quel momento in poi le tenebre tornavano a calare, e il suo ricordo successivo era il risveglio in una stanza sconosciuta accanto a un uomo calvo con la barba che lo fissava con occhi interessati.
«Sono felice che finalmente vi siate svegliato, signor Palafox», aveva detto l’uomo, accennando un sorriso gentile e porgendogli una mano molliccia e paffuta che chissà perché a Palafox aveva ricordato la mano della sua defunta madre. «Mi chiamo Aquilino Carrera. È un piacere salutarla finalmente.»
«Non pensavo vi sareste svegliato così presto, signor Palafox», disse stavolta il dottor Carrera, chiudendosi la porta alle spalle e fissando con aria seria il suo paziente. «Come vi sentite?»
Palafox si girò verso di lui e osservò, per la prima volta da più di tre anni, il viso familiare dello psichiatra. Il giovane era in piedi accanto all’unica finestra della stanza, e aveva trascorso gli ultimi dieci minuti guardando i pazienti e le infermiere che riempivano il cortile interno della clinica. Il ricordo dei giorni in cui anche lui aveva trascorso le sue mattinate in quel cortile, bloccato su una sedia a rotelle e spinto quasi sempre da Teresa, aveva risvegliato in Palafox tutte le sue antiche inquietudini. Ma l’aveva anche aiutato a schiarirsi le idee e a riprendere il controllo.
«Meglio di quando mi hanno portato qui la notte scorsa, immagino», rispose, stringendo la mano che gli porgeva lo psichiatra. «Che ore sono?»
Il dottore diede un’occhiata all’orologio da tasca e scrollò la testa con disappunto.
«Sono le undici e venti», rispose. «Non avreste dovuto svegliarvi prima delle tre di pomeriggio, signor Palafox. Dopo tutta la tensione a cui è stata sottoposta la vostra mente nelle ultime ore, avete assoluto bisogno di riposo.» L’uomo si guardò attorno e alla fine trovò quello che cercava: le due fiale vuote sotto il lavabo. «Non avreste dovuto farlo», disse, indurendo la voce.
Palafox sostenne il suo sguardo senza battere ciglio.
«Se c’è una cosa che proprio non mi serve, dottore, sono gli allucinogeni.»
«Quelle fiale non contenevano alcun allucinogeno», ribatté all’istante il dottore. «Quello che contenevano era un sedativo. Un sedativo di mia invenzione.»
Una folata di aria umida e calda entrò dalla finestra aperta e lasciò nella stanza un leggero odore di legno bruciato.
Il medico si chinò a raccogliere le fiale, le annusò brevemente e le porse al suo paziente.
Palafox non accennò a volerle prendere.
«Un sedativo», ripeté invece.
«Crea meno assuefazione del laudano ed è meno aggressivo del cloroformio, ma è più potente di qualsiasi composto di erbe medicinali oggi in commercio.» Il dottor Carrera aprì la sua valigetta e tirò fuori un’altra fiala piena di quel liquido giallastro. La stappò e tornò a richiuderla un attimo dopo. «Il suo odore, come capita con questo genere di sostanze, non è gradevole, ma la validità dei suoi effetti e la sua innocuità sono ampiamente verificate.»
«Già, lo sono da almeno tre anni», confermò Palafox, decidendosi a prendere la fiala piena che lo psichiatra gli porgeva. «Mi sbaglio, forse?»
Il dottor Carrera rimase sorpreso da quell’affermazione.
«Mi servo di questo composto da almeno cinque anni», precisò. «Voi stesso avete goduto dei suoi benefici in occasione del vostro precedente ricovero qui alla Neothermas.»
Palafox scrollò la testa.
«E se vi dicessi che la notte scorsa ho ricordato qualcosa di nuovo sull’incidente che mi ha fatto rinchiudere qui dentro tre anni fa, che cosa mi direste?»
«Vi direi che la mente umana è un magazzino eccellente e che il suo contenuto, per inaccessibile che a volte possa sembrarci, non arriva mai a perdersi del tutto. Che cosa avete ricordato?»
«Un odore.»
Il dottor Carrera annuì con aria soddisfatta.
«Ogni senso ha la sua memoria specifica, e quella dell’olfatto è ancora la più sottovalutata», osservò. «Una delle tecniche che stiamo sviluppando adesso alla Neothermas consiste proprio nel potenziare la memoria sensoriale. Quale odore avete ricordato?»
Palafox restituì allo psichiatra la fiala piena di liquido giallastro.
«Questo odore. L’odore del vostro sedativo, dottore.»
Aquilino tornò a rabbuiarsi.
«In questo caso, signor Palafox, temo che non siamo di fronte a nessun progresso», disse. «Non c’è niente di strano nel fatto che ricordiate l’odore di questo sedativo, né che lo associate all’incidente che vi ha portato qui da noi. Come vi ho già detto, io stesso ve l’ho somministrato nei primi giorni della vostra permanenza qui in clinica, quando avevamo bisogno di tenervi a riposo assoluto perché la vostra mente potesse ristabilirsi dal forte trauma ricevuto.»
Palafox scrollò di nuovo la testa.
«Se la notte scorsa ho ricordato questo odore, caro dottore, è stato perché l’ho sentito di nuovo in casa mia. Nella mia stanza. Pochi istanti prima di ricadere nelle allucinazioni che mi hanno riportato qui.»
«No, questo non è possibile», protestò il dottor Carrera.
«Ma soprattutto la notte scorsa ho ricordato che quell’odore non l’avevo sentito tre anni fa qui in clinica, bensì nella sala operatoria dell’ospedale della Santa Cruz. Esattamente un attimo prima di rimanere vittima dei deliri che hanno distrutto per sempre la salute della signorina Alicia Ferrer.»
«No, questo non è possibile», ripeté il dottore, «vi confondete.»
«No, non mi confondo affatto, dottore.» Palafox si voltò verso la finestra e guardò distrattamente la piccola nube di fumo che cominciava ad affacciarsi sui tetti di ponente. Poi tornò a girarsi e fissò attento lo psichiatra, che lo osservava dal centro della stanza con aria di genuino stupore. «Nonostante tutti i vostri sforzi per farmi ripiombare nuovamente nel sopore e nella confusione, ho la mente più lucida che mai. E sto cominciando a capire.»
«Vi ripeto che è impossibile che abbiate sentito l’odore del mio sedativo la notte scorsa, signor Palafox, e neppure il giorno del vostro incidente in ospedale. Io sono l’unico ad avere accesso al contenuto di queste fiale. Non preparo mai più farmaco di quanto mi serva di volta in volta, e io stesso lo somministro ai pazienti con estrema cautela. Nessuno ha accesso a queste fiale. Neppure le mie infermiere sono autorizzate a toccarle.»
«In questo caso, non mi lasciate altra scelta che pensare l’impensabile.»
Palafox fece un paio di passi avanti e si piantò di fronte al suo interlocutore, vicinissimo, quasi a sfiorarlo.
E in quell’istante, la porta della stanza si aprì all’improvviso e si affacciò il viso del portinaio, il signor Morel.
«Qualche problema, dottore?» chiese, guardando con aria inquisitoria i due uomini, che adesso si fissavano negli occhi in mezzo alla stanza.
Lo psichiatra fece un gesto di distensione con la mano destra.
«Nessun problema, signor Morel, potete andare.»
«L’impensabile, dottore», ripeté un attimo dopo Palafox. «Che siate stato voi a portarmi qui la prima volta. Che siano state le vostre arti malvagie a provocare il mio delirio durante quell’intervento di tre anni fa, esattamente come è accaduto la notte scorsa a casa mia.»
Il dottore impallidì visibilmente.
«Che spropositi vi vengono in mente, signor Palafox?» chiese, alternando lo sguardo tra il suo paziente e il signor Morel, che era ancora fermo sulla soglia. «Perché mai avrei dovuto fare una cosa simile?»
«Me lo chiedo anch’io, dottore. Perché mai avreste dovuto fare una cosa simile?»
Il dottor Carrera sostenne per alcuni secondi lo sguardo dell’anatomista.
«Siete ancora sconvolto per i fatti della notte scorsa, signor Palafox», sentenziò alla fine, scrollando la testa. «Come vi dicevo, avete bisogno di riposo assoluto. Forse dovremmo...»
Palafox stese il braccio e strinse forte il polso del dottore, che stava già cominciando a stappare la fiala con il liquido giallastro.
«Non ci pensate neanche, dottore. Ormai non sono più vostro paziente.» Con la mano libera, il giovane strappò la fiala al dottor Carrera e la lanciò fuori dalla finestra. «Perché è di questo che si trattava, non è vero? Io dovevo essere vostro paziente!»
Il portinaio della Neothermas abbandonò la sua postazione sulla soglia della camera e fece per scagliarsi contro Palafox, ma il dottore lo fermò con un gesto che non ammetteva replica.
«Lasciateci soli, signor Morel.»
«Ma...»
«Vi ho detto di andare, signor Morel, qui ci penso io.»
L’uomo guardò Palafox con aria minacciosa, ma non oppose resistenza.
«Come volete, dottore», si rassegnò a dire, uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Rimasti soli, il dottor Carrera andò alla finestra e si affacciò sul patio, dove una delle infermiere stava già raccogliendo i pezzi di vetro della fiala.
L’aria che entrava dalla finestra portava ancora con sé l’aroma inconfondibile del legno bruciato.
«E così, il punto sarebbe che dovevate essere mio paziente?» biascicò, senza guardare Palafox.
«Il mio caso, a pensarci bene, era degno dello studio del miglior psichiatra di Barcellona. Per un professionista come voi, poter studiare uno che sosteneva di avere visioni di eventi passati era un’opportunità irripetibile. Un anatomista, perdipiù, uno che in teoria doveva essere sano di mente e senza alcun interesse a rendere pubblica la sua condizione.» Palafox accennò a un sorriso. «Come la chiamavate allora? Cronestesia. Sensibilità temporale. Termini sicuramente più scientifici di quelli che usava normalmente il nostro comune amico, il vescovo Riera. Lui preferiva parlare di dono o di miracolo. È stata Sua Eccellenza a parlarvi di me, vero?»
Il dottore si decise finalmente a girarsi.
«Il vescovo Riera mi aveva parlato in confidenza di voi prima che diventaste mio paziente, questo è vero. E non negherò che i dettagli del vostro caso mi incuriosivano particolarmente.»
«E così, voi gli avete chiesto come potevate riuscire a studiarlo più da vicino. Ovviamente, sapevate che non mi sarei mai prestato a farmi ricoverare nella vostra clinica, e neppure a sottopormi a un colloquio che poteva rischiare di pregiudicare le mie prospettive di carriera in campo medico. Solo i miei amici più intimi erano al corrente della mia condizione, e io non avrei mai fatto nulla per renderla pubblica. Perciò, se volevate studiarmi, non potevate fare altro che forzare il mio ricovero.»
Lo psichiatra scrollò la testa con convinzione. Sul suo viso era ancora dipinta un’espressione di sorpresa e incredulità, ma adesso c’era qualcosa in lui che cominciava a somigliare alla paura.
«Ma parlate sul serio?» chiese. «Pensate davvero che sia stato io il responsabile del danno che avete fatto a quella povera donna?»
«I fatti di quel pomeriggio in ospedale, come i fatti dell’altra notte in casa mia, non hanno niente a che vedere con la mia condizione», ribatté Palafox. «Quando arrivano le visioni, io divento un mero spettatore di quello che mi accade attorno. Vedo volti e scene, sento conversazioni, percepisco odori e contatti, ma non interagisco mai con le mie visioni, né perdo coscienza del mio vero io. Non soffro di deliri, non smetto mai di sapere dove mi trovo, chi sono, cosa mi sta accadendo. Soltanto in due casi non è andata così. In quelle due occasioni ho percepito, prima che tutto cominciasse, l’odore di una sostanza che voi stesso avete ammesso di produrre. E in entrambe le occasioni sono finito rinchiuso nella vostra clinica psichiatrica.»
«Quello che dite è assurdo, signor Palafox.»
«Voi mi avete drogato non so come tre anni fa con quell’allucinogeno di vostra invenzione, e per colpa vostra la vita di una donna innocente è andata distrutta per sempre. Poi, la notte scorsa mi avete drogato di nuovo e mi avete gettato tra le braccia di una monaca sgozzata. Ma stavolta il piano era ancora più terribile rispetto a tre anni fa.»
Il dottor Carrera tornò a scrollare la testa.
«Non siete voi a parlare, signor Palafox», protestò. «È il trauma che il vostro cervello ha subito ieri notte.»
«Lo stesso trauma che ha subito anche l’altra vostra paziente miracolosa, giusto?» insistette Palafox. «Quella povera donna che tenete rinchiusa in una stanza di questo stesso corridoio. La catatonia è una diagnosi conveniente almeno quanto la storia incredibile che avete tirato fuori dalla manica per giustificare la sua presenza qui alla Neothermas. Una dama senza voce né memoria apparsa ai piedi di un pozzo incantato.» In quell’istante Palafox infilò la mano sotto il camicione e prese le forbici che teneva nascoste dentro le mutande: delle forbici da infermiera, lunghe e affilate, che Laura gli aveva lasciato prima di andarsene con il suo biglietto per Teresa. «Una storia quasi identica a quella della ragazza sepolta nel convento di Santa Clara. Anche lei è rimasta vittima dei vostri esperimenti con qualche allucinogeno di nuova invenzione, dottore? Vi è sfuggita la mano con la dose e avete dovuto cercare il modo di disfarvi di un cadavere scomodo?»
Vedendo le forbici in mano al suo paziente, il dottore fece un passo indietro e chiamò a gran voce il portinaio. La porta si spalancò un attimo dopo, e il signor Morel fece irruzione nella stanza con un’agilità felina che a Palafox parve per un istante vagamente familiare. Ma non ebbe il tempo di pensarci su: prima di poter alzare le forbici contro il nuovo arrivato, questi si scaraventò su di lui e gli coprì il naso e la bocca con uno straccio intriso di una sostanza che stavolta aveva tutto l’odore del cloroformio.
«È per il vostro bene, signor Palafox», sentì che gli diceva la voce del dottor Carrera, mentre il viso barbuto invadeva tutto il suo campo visivo. «Ve l’ho detto che il vostro cervello ha bisogno di riposo assoluto.»
Palafox si sentì mancare le gambe all’improvviso, e senza il signor Morel sarebbe di sicuro finito a terra. Cercò di protestare, ma l’unico suono che gli uscì dalla bocca fu un gemito impercettibile sotto lo straccio che la copriva. Stavolta non ci furono né visioni né deliri. Stavolta non ci furono fantasmi accorsi a farsi beffe di lui. La testa di Andreu entrò in contatto delicatamente con il pavimento della stanza, i suoi occhi si chiusero e non rimase più nulla.