Il vento che soffiava da est trascinò il suono delle campane di Betlem fino a calle de la Canuda e lo impose con forza nelle stanze, nei corridoi e nei cortili deserti della Neothermas. Il dottor Carrera contò meccanicamente i dodici rintocchi, poi coprì con un lenzuolo il corpo inerte di Andreu Palafox e andò a chiudere la finestra della stanza. Non perse tempo a guardare fuori, tanto sapeva già cosa stava accadendo. Dieci minuti prima aveva dato ordine di sgomberare il patio centrale, far rientrare tutti i pazienti nelle loro stanze e chiudere fino a nuovo ordine le porte del sanatorio.
L’agitazione della Rambla cominciava a propagarsi anche per le strade del quartiere di Santa Ana. Uno dei sorveglianti diceva che un manipolo di esaltati aveva cercato di aggredire il vicino convento di Santa Teresa, e nel giro di poco a qualcuno sarebbe di certo venuto in mente che un manicomio per pazienti ricchi era un obiettivo altrettanto degno della loro rabbia irragionevole. O peggio ancora, qualcuno si sarebbe ricordato di quella misteriosa Dama del Pozzo che era ospite alla Neothermas dalla metà di luglio e aveva una leggenda sovrannaturale molto simile a quella della giovane miracolosa di Santa Clara che proprio quel mattino era apparsa dentro le mura di Canaletas.
Il dottore chiuse il taccuino e la busta delle medicine nella valigetta che teneva aperta sul tavolo. Posò una mano sulla fronte sudata del suo paziente e si accertò per l’ennesima volta che le cinghie di sicurezza che lo tenevano legato al divano fossero ben strette. Poi uscì dalla stanza.
«Assicuratevi che vada tutto bene», ordinò all’uomo di guardia davanti alla porta. «Se si sveglia, somministrategli dell’altro cloroformio.»
Il signor Morel annuì con un cenno del capo e fece per entrare nella stanza, ma si fermò di botto sulla soglia.
Quando si girò a guardare il dottor Carrera, aveva un’espressione negli occhi che allo psichiatra non piacque affatto. Almeno quanto non gli era piaciuto il tremito delle sue mani mentre adagiavano il paziente sul divano di pelle.
«Ma quello che ha detto...» attaccò, prima che il suo principale lo interrompesse con un cenno sprezzante.
«La mente del signor Palafox cerca un modo per guarirsi da sola. Immaginare che l’origine dei suoi mali sia al di fuori della propria persona è un modo per attenuare il senso di colpa.»
«Non è vero, allora», affermò, più che chiedere. «Tre anni fa nessuno ha drogato il signor Palafox per fargli commettere quel delitto. Voi non...» L’uomo non ebbe il coraggio di terminare la frase.
Il dottor Carrera fissò il suo impiegato negli occhi e vi lesse qualcosa che gli piacque ancora meno dell’espressione precedente: lesse l’ombra di un dubbio. O peggio, il germe di una certezza.
«Ma certo che no.»
«E quell’altra donna, la paziente catatonica...» Il signor Morel indicò con il mento verso il fondo del corridoio. «Neanche quello è vero?»
Il dottor Carrera decise che non aveva tempo da perdere.
«Stasera, quando sarà tutto finito, ne parleremo con più calma, solo voi e io, signor Morel», gli disse. «Ma adesso fate quello che vi ho chiesto, per favore. Io devo occuparmi degli ultimi preparativi, ma torno nel giro di mezz’ora per parlare con il signor Palafox.»
Il signor Morel chinò docilmente la testa e si decise finalmente a entrare nella stanza di Andreu Palafox.
Il dottor Carrera percorse il corridoio, si affacciò all’ufficio della signora Daudí, che però era deserto. Allora tornò sui suoi passi e proseguì verso l’estremità opposta del corridoio. Aprì una porta senza bussare. L’unica persona in tutta la stanza era la paziente senza nome, che riposava, a bocca aperta e immobile, sulla sua poltrona di fronte alla finestra.
Il dottor Carrera prese una salvietta dal comodino e le asciugò il rivolo di bava che le era colato sul mento, poi le misurò il polso e si accertò che non vi fossero variazioni. Esaminò per un minuto le pupille dilatate, la fronte imperlata di sudore, le labbra secche e scolorite, e solo allora le si avvicinò a un orecchio e le sussurrò:
«Perdonatemi».
Adela entrò nella stanza di Alicia Ferrer neanche fosse la navata di una chiesa, con il capo chino e le mani intrecciate all’altezza del grembo. Era una stanza di parvenza e dimensioni umili, ma ben arieggiata e con l’aspetto ordinato e pulito, come la casa intera. L’unico elemento decorativo lasciato in vista era il mazzolino di margherite in un vaso di porcellana che dava colore al comodino accanto al letto. Tutto il resto rispondeva semplicemente alle necessità speciali di chi viveva lì: il letto basso e con il cuscino sollevato, la sedia di pelle con le cinghie e lo schienale alto, la poltrona imbottita... Ogni mobile di quella stanza alludeva crudamente alla disgrazia che la sua inquilina aveva subito tre anni prima.
«Avete detto di essere un’amica della signorina?» chiese per la terza volta l’anziana, guardando Adela con i suoi occhietti annacquati dalla porta della stanza.
«Sono amica di un amico della signorina», ripeté pazientemente la ragazza. «E sono anche la domestica di un signore che un tempo la conosceva.»
L’anziana emise un verso come a far intendere di aver capito.
«La signorina non ha più molti amici», disse. «La gente non ama avvicinarsi ai malati che non hanno cura. Alla fine si stancano e spariscono.»
Adela si guardò attorno per memorizzare i dettagli di quella stanza che sapeva non avrebbe rivisto mai più.
«È proprio un peccato», sospirò.
«È una vergogna. La gente non conosce più la fedeltà e il rispetto. Tu sei troppo giovane per saperlo, ma prima le cose non stavano così.» L’anziana fece schioccare la lingua con un’aria schifata. «Prima, quando volevi bene a qualcuno, gli restavi accanto anche se le cose si mettevano male.»
Adela si avvicinò al comodino e contò tredici margherite nel vaso di porcellana. Accanto vide una palmatoria senza la candela e due fazzoletti di cotone. I fazzoletti erano bianchi, piegati con cura e con due iniziali ricamate con il filo blu. Una A e una F, Alicia Ferrer.
Adela si spostò ed evitò di guardare nuovamente le cinghie sulla sedia accanto alla finestra. Allora ripensò alla reazione di Teresa Urbach, quando le aveva confidato i suoi sospetti che il colpevole fosse un parente o un amico della donna a cui il padrone aveva rovinato la vita.
«Parlate del fidanzato della signorina Alicia, vero?»
L’anziana fece un’aria ancora più disgustata.
«Quello è stato il peggiore di tutti. Ma di certo non l’unico.»
«Non si è più fatto vedere?»
«Ha resistito sei mesi, e forse neanche. Ci sono state amiche che hanno aspettato di più prima di sparire.»
«E non ne avete saputo più nulla?»
«I signori l’hanno incontrato qualche volta per strada. In questa città, prima o poi ci si finisce sempre per incontrare. Se non altro, pare che abbia avuto la decenza di non sposarsi ancora, quel brutto...» L’anziana si lasciò sfuggire un’imprecazione che fece sorridere Adela. «Perché t’interessa quel tizio?»
Anziché risponderle, la domestica di Palafox andò avanti a chiederle:
«E non c’è nessun altro amico maschio che viene ancora a trovare la signorina?»
La donna inarcò un sopracciglio sentendo la parola «maschio».
«Cosa intendi dire, ragazzina?»
«Niente di inappropriato», si affrettò a precisare Adela. «È solo che immagino che una donna come la signorina Alicia doveva avere molti amici quando stava bene. E mi rifiuto di credere che dopo l’incidente sono scomparsi tutti.»
«Be’, invece, devi crederci. L’unico uomo che oggi entra in questa casa è il signor Ferrer.»
Adela smise di insistere: la pazienza dell’anziana si stava esaurendo, e la noia sovrana che l’aveva spinta ad aprire la porta di casa a una perfetta sconosciuta non poteva bastare ad allungare ulteriormente quella visita.
«E quando sono partiti?»
«Saranno passate tre settimane: lo so perché era appena cominciato quel dannato sciopero. I signori e la signorina vanno sempre al mare in agosto, ma quest’anno hanno anticipato la partenza.»
«Per colpa dello sciopero?»
L’anziana si strinse nelle spalle.
«Anche tu fai la domestica, lo sai com’è. Noi non facciamo domande. Ma immagino che con la fabbrica chiusa non c’era motivo di soffrire il caldo di Barcellona.»
«Il signor Ferrer lavora nella fabbrica di Eliseo Urbach, vero? Ho saputo che ha trovato lavoro poco dopo l’incidente della signorina Alicia... Per fortuna economicamente non hanno problemi, no?»
La domestica dei Ferrer le lanciò un’altra occhiataccia.
«Tu fai troppe domande, ragazzina. È meglio se adesso te ne vai.»
Adela non protestò. La ringraziò per la sua gentilezza, diede un’ultima occhiata alla stanza e si lasciò condurre docilmente alla porta di casa.
Patricio la stava aspettando sul lato opposto di plaza de Santa Catalina, accanto all’inferriata del nuovo mercato che avevano costruito sulle rovine di un convento medievale.
«Com’è andata?» le chiese, andandole incontro con aria speranzosa.
Adela fece una smorfia rassegnata e si avviò verso la Riera de San Juan. Solo quando furono a una certa distanza dalla casa di quella povera ragazza, si decise a rispondere:
«Possiamo scartare il padre. È in vacanza al mare da tre settimane, con il resto della famiglia».
«Beati loro.»
«E secondo la domestica, per casa non girano altri uomini. Quella poveretta aveva un fidanzato, ma è sparito pochi mesi dopo l’incidente. Evidentemente, non l’amava poi così tanto.»
Patricio le diede una pacca sulla spalla.
«Sei rimasta senza candidati per l’Uomo in Nero, eh? Ma magari il padre potrebbe aver ingaggiato qualcuno per fare tutto questo mentre lui se ne sta fuori città, che te ne sembra?»
Adela scrollò la testa con decisione.
«La signorina Urbach ha ragione», sentenziò. «Se anche uno vicino alla signorina Ferrer voleva vendicarsi del signor Palafox, perché farlo in maniera così complicata? Non ha nessun senso.»
Patricio sbuffò.
«Be’, questo te l’avevo detto anch’io prima di venire fin qui. E Boris mi ha dato ragione. Ma tu volevi conoscere quella donna a tutti i costi...»
Adela guardò di sbieco Patricio e si stupì una volta ancora della perspicacia che quel ragazzo dimostrava ogni volta che si trattava dei suoi sentimenti.
«Sì, mi sono sempre chiesta com’era...» sussurrò, guardando a terra. «Se non era per quella disgrazia, non avrei mai conosciuto il signor Palafox.»
«Questo non puoi saperlo.»
«Sì che lo so. Se non era per quell’incidente, oggi il signor Palafox sarebbe un medico famoso. E di sicuro sarebbe sposato con la signorina Urbach. Avrebbe dei figli, sarebbe ricco e vivrebbe all’altezza del suo rango. Avrebbe al suo servizio delle cuoche e delle domestiche vere, e non...»
«E non una ragazzina del Raval come te», proseguì Patricio, mentre la prendeva sottobraccio e le impediva di attraversare la Riera de San Juan alla cieca nel preciso istante in cui una carrozza dell’esercito sfrecciava a tutta velocità verso la caserma di Junqueras. «Lo vedi?» le disse un attimo dopo. «Se non ti prendevo per un braccio, adesso tu saresti morta oppure rimasta invalida e il signor Palafox doveva cercarsi un’altra domestica. La vita è fatta così.» Patricio lasciò il braccio di Adela, che aveva lanciato un urlo sentendosi sfiorare la gamba dalla carrozza militare, e le strizzò l’occhio sano. «Non vale la pena pensare a quello che poteva o non poteva succedere, perché succedono cose in continuazione. Sempre. E ogni volta che succede qualcosa, altre cose smettono di succedere.»
Con il respiro ancora affannato, Adela fece un passo indietro e rimase a guardare Patricio. Allora si mise in punta di piedi e gli diede un bacio frettoloso sulle labbra.
«Grazie», mormorò.
Una seconda vettura dell’esercito passò di gran carriera, diretta al quartiere di San Pedro, carica di soldati con le sciabole in mano e i visi infiammati dallo spirito marziale. La seguiva un carro dei pompieri e due carrozze del Corpo di Vigilanza. L’aria sapeva d’incendio lontano e portava con sé il frastuono inconfondibile di un gran tumulto barcellonese.
Come se le avesse di nuovo letto nel pensiero, Patricio disse:
«C’è scompiglio sulla Rambla. Mentre ti aspettavo, ho parlato con un paio di vecchi che venivano da lì». Il ragazzo sostituì l’espressione impacciata che il bacio di Adela gli aveva lasciato sul viso con il suo solito sorriso di sempre. «A quanto pare, il piano di buttar giù le mura non è durato neanche dieci minuti. L’esercito ha già dato ordine di fermare tutto, e adesso dicono che forse aumenteranno il coprifuoco.»
Adela si girò dall’altra parte e in lontananza vide una colonna di fumo che cominciava a levarsi sulla torre di San Juan de Jerusalén.
«La storia della Dama del Pozzo era vera?» chiese con voce tremante. «Davvero è riapparsa sepolta ai piedi delle mura?»
«Così dicono. E dicono anche che ha fatto almeno tre miracoli. Un cieco ha riacquistato la vista, uno zoppo ha ripreso a camminare ed è tornata a sgorgare l’acqua dalla fonte di Canaletas.» Patricio si avviò nuovamente verso il centro della città. «Adesso aspettano tutti che faccia qualcosa per questa epidemia di colera...»
Adela si affrettò a raggiungere il suo amico, ma stavolta stando ben attenta alle carrozze che circolavano tra Junqueras e plaza del Ángel.
«E quel fuoco?»
«Chi lo sa... Ma qualsiasi cosa sia, scommetto quello che vuoi che non sarà l’ultima a bruciare oggi a Barcellona.»
Un vecchio circondato di cani rognosi se ne stava seduto su uno sgabello all’imbocco di calle del Infierno. Annunciava a gran voce l’arrivo imminente della fine del mondo, ma nessuno gli prestava attenzione. Un gruppo di monache camminava in fila per due lungo calle de la Corribia, e verso il fondo, in plaza Nueva, una variopinta folla di curiosi alzava lo sguardo al cielo e annusava il fumo che cominciava a confondersi con la nebbia di sempre.
Adela schivò un militare che avanzava nella piazza con la sciabola in mano e gli occhi carichi di terrore, e comprese che Patricio aveva ragione.
Quel giorno, a Barcellona, poteva succedere davvero di tutto.