Aquilino Carrera arrivò nell’ala pazienti speciali con il fiato corto per la salita. Le porte del corridoio erano tutte chiuse e non c’erano sorveglianti né infermiere in vista. Le finestre diffondevano ovunque una luce calda e confortante, la luce del mezzogiorno mediterraneo, e l’unico rumore che si sentiva lassù era quello dei suoi passi sul pavimento in pietra del corridoio.
Quando entrò nella stanza numero dodici, verificò quello che dava già per scontato. La signora Daudí non gli aveva mentito: il signor Morel aveva davvero abbandonato il suo posto di guardia accanto al divano di Andreu Palafox, e l’unica traccia che restava di lui era un leggero aroma di tabacco scadente.
Il dottor Carrera preferì non chiedersi cosa potesse significare quel gesto.
Lo sapeva benissimo cosa significava.
E ormai gli interessava ben poco, almeno quanto il suo destino personale.
«Siete più tranquillo adesso, signor Palafox?» chiese al suo paziente, mentre controllava che le cinghie fossero ancora ben salde.
Il viso di Palafox sembrava una maschera priva di espressione.
«Cosa volete da me?»
Lo psichiatra lasciò la valigetta sul tavolino, la aprì e tirò fuori il pacchetto avvolto nel feltro.
«Aiutarvi, signor Palafox, non voglio altro. E non ho mai voluto altro.» Il dottore disfece il pacchetto e lasciò sul tavolo l’ampolla di vetro smerigliato, l’astuccio di pelle e il taccuino. «Solo che finalmente adesso so come farlo.»
Palafox rimase imperturbabile.
«Voi siete pazzo», disse.
«Il pazzo siete voi, signor Palafox. È questo che dice la gente. È questo che avete pensato sempre anche voi, da quando la vostra peculiarità si è manifestata per la prima volta.» Lo psichiatra aprì l’astuccio di pelle, estrasse la siringa ipodermica e la mostrò al suo paziente. «Io voglio semplicemente dimostrarvi che vi sbagliate.»
«Volete dimostrarmi che non sono pazzo», tradusse Palafox.
«No, non siete pazzo, signor Palafox. E potete fidarvi della mia diagnosi. Ho studiato il vostro caso nel dettaglio. Non vi immaginate quanto mi sia adoperato.»
«Comincio a immaginarlo.»
Il dottore scrollò la testa.
«No, non parlo degli ultimi giorni: i fatti che vi hanno riportato qui in clinica sono estranei alla mia volontà come alla vostra. Però, come direbbe il nostro comune amico il vescovo, le strade del Signore sono imperscrutabili.» Lo psichiatra prese l’ampolla e la stappò con cura. «Sto parlando, signor Palafox, degli anni che ho passato a studiare il vostro caso da lontano. Attraverso terze persone. Oppure in linea teorica, se preferite: assimilando le conoscenze che ho potuto riunire nel corso dei mesi in cui ho avuto la fortuna di avervi come paziente, e dando forma pian piano all’incredibile teoria che adesso voi e io stiamo per mettere alla prova.»
Palafox osservò in silenzio il dottore riempire la siringa ipodermica con il liquido rossastro dell’ampolla. Non cercò di liberarsi dalle cinghie che lo tenevano legato al divano: ci aveva già provato a sufficienza dopo che il signor Morel se n’era andato, e non riusciva nemmeno ad allentarle. Si limitò a guardare con disperata attenzione il medico, cercando nella sua espressione, nei suoi gesti, nel suo modo di armeggiare con quell’ago così grande e antiquato da scadere nel grottesco, un appiglio qualsiasi per rimandare il più possibile l’inevitabile.
«E così il vescovo Riera è riuscito a convincervi che la vostra scienza non è di alcuna utilità in un caso come il mio, eh?» fu il meglio che trovò. «È questa la vostra incredibile teoria? Che le mie allucinazioni sono davvero incursioni in quello che Sua Eccellenza chiama il tempo sacro?»
Il dottor Carrera sorrise quasi con tenerezza.
«Il vescovo Riera è un uomo commovente, non vi pare? Un po’ come tutti i cattolici, a modo loro. Adulti che credono nelle favole, e che si vantano di vivere la propria vita secondo le pagine di un vecchio romanzone scritto male.»
«Allora la mia malattia non è miracolosa, secondo voi?»
«Vi sentite deluso?»
Adesso sorrise anche Palafox. O almeno ci provò.
«Ritrovarmi legato a questo divano mi aveva fatto sentire speciale. Allora, quella roba che mi state per iniettare non è vino consacrato. E neanche acqua benedetta con il colorante, giusto?»
«Voi siete speciale, signor Palafox. Non dubitatene neppure per un istante.» Il dottore si chinò sul suo paziente e gli posò la mano sinistra sulla fronte sudata. Nella destra teneva la siringa già piena. «Per quanto mi riguarda, voi siete un caso unico al mondo.»
«Davvero?»
«Conoscete per caso altri viaggiatori del tempo, signor Palafox?»
L’anatomista sentì la mano del dottore premergli forte sulla fronte e capì che non c’era modo di sottrarsi alla volontà di quell’uomo, che adesso lo osservava con autentica devozione, o almeno così gli pareva.
«Io non sono affatto un viaggiatore del tempo, dottore», disse per scrupolo. «Io sono solo un uomo malato.»
«Ah, no, su questo vi sbagliate, signor Palafox. Voi siete un uomo malato, certo, ma anche un viaggiatore del tempo. È questa la vostra malattia.»
Lo psichiatra gli accarezzò la fronte con una delicatezza che a Palafox parve non meno inquietante delle parole che aveva appena sentito.
«Sono un viaggiatore del tempo», ripeté.
«La vostra mente lo è, se non altro. Il vostro corpo, ovviamente, vive confinato tra gli stessi limiti temporali che affliggono qualsiasi altro mortale. Sottomesso alla tirannia umiliante del qui e ora che tutti subiamo. Ma la vostra mente, per qualche ragione che fino a poco fa mi sfuggiva, non è soggetta a questi limiti universali.» Il dottor Carrera si prese una brevissima pausa prima di proseguire. «Il vostro corpo, signor Palafox, abita nel presente, ma la vostra mente vagabonda su e giù per il tempo con la stessa libertà di un viaggiatore senza meta né direzione.»
Palafox chiuse gli occhi e ascoltò per qualche secondo il battito delle sue tempie. Li riaprì e vide nuovamente il viso rubizzo dell’uomo che lo teneva in suo potere.
«Ma se avete appena detto che l’idea di tempo sacro è assurda...»
«L’idea di tempo sacro è assurda almeno quanto l’idea di eternità», confermò all’istante il dottore. «Entrambe le nozioni sono favolette per bambini privi di immaginazione. Tentativi di comprendere, con la stampella inutile della religione, una cosa così astratta e insieme così umana come il tempo. Il tempo non è la sostanza di Dio, signor Palafox, perché Dio non esiste. Il tempo è la nostra sostanza. Il tempo è la materia di cui siamo fatti noi uomini. Eppure, per qualche strana ragione, l’accesso a tale materia ci è quasi interamente vietato. Capite cosa intendo?»
Palafox tornò a chiudere gli occhi.
«Temo di no», confessò.
«Viviamo nel tempo, signor Palafox. Pensiamo nel tempo. Sogniamo e moriamo nel tempo. Viaggiamo persino nel tempo, e questo lo chiamiamo ricordare. Ma c’è un limite temporale che non riusciamo a oltrepassare, ed è quello della nostra esistenza fisica. Non possiamo ricordare quello che non abbiamo vissuto fisicamente. Non possiamo sognare nessun tempo esterno a quello sperimentato dal nostro corpo. Siamo viaggiatori rinchiusi nell’angusto recinto del computo dei nostri anni.» Il dottore tornò ad accarezzare la fronte del signor Palafox. «Immaginate l’emozione che ho provato quando ho scoperto che esisteva un uomo che aveva la chiave di questo recinto.»
«Io non ho nessuna chiave, dottore. Io ho solo...»
«Voi, signor Palafox», lo interruppe lo psichiatra, «vivete nel tempo. Tutti i tempi sono il vostro. Voi avete libero accesso a ricordi slegati dalla vostra esperienza personale. La cosa davvero stupefacente non è che vediate scene del tempo dei romani o volti di persone morte secoli prima che voi o io nascessimo, ma semplicemente che il vostro cervello sia in grado di generare ricordi che il vostro corpo fisico non ha potuto elaborare. Mi capite, signor Palafox? Anche voi siete medico, no? Lo sapete come funziona il cervello. Non capite cosa intendo?»
Palafox fu percorso da un brivido. Adesso cominciava a capire.
«Il prodigio non è che io veda scene di un altro tempo», sussurrò, «il prodigio è che il mio cervello generi i ricordi di quelle scene.»
Il dottor Carrera annuì compiaciuto.
«Ricordare è viaggiare nel tempo», ripeté. «Fare piani per il futuro è viaggiare nel tempo. Sognare è viaggiare nel tempo, ma in maniera disordinata. Lo facciamo tutti di continuo. Viviamo tutti in una perpetua oscillazione tra il presente, il passato e il futuro. È così che funziona il nostro cervello. Ed è così che funziona anche il vostro, in linea generale. Ma certe volte...»
«Certe volte, il mio cervello sfonda le barriere della memoria e genera ricordi che non appartengono al mio corpo», proseguì Palafox.
«Ricordi così potenti e così estranei a voi che si manifestano sotto forma di visioni. Ricordi che non vi appartengono, ma che in qualche modo il vostro cervello riesce a evocare sotto i vostri occhi. Non credete fosse mio dovere scoprire il perché?»
Palafox si sforzò di soppesare rapidamente la situazione.
«E così adesso l’avete scoperto», rispose con voce esausta.
«Non so se ho scoperto il perché, in realtà. Ma credo proprio di aver scoperto il come. Come la chimica del vostro cervello vi permette di accedere a quello spazio fino a oggi vietato a tutti noi, signor Palafox, che è la memoria della specie.»
«La memoria della specie», ripeté l’anatomista.
«La memoria accumulata da tutti gli uomini che ci hanno preceduto sulla Terra. Ogni ricordo generato da ogni cervello che prima o poi ha animato un corpo umano. La registrazione minuziosa di tutto ciò che la nostra specie ha visto e sognato sin dall’inizio dei tempi.» L’uomo pronunciò queste frasi come se le avesse provate un’infinità di volte davanti allo specchio. «Non vi sentite emozionato, signor Palafox? Se oggi le cose vanno come devono, il vostro cervello sarà la chiave che permetterà all’umanità di accedere al tesoro più immenso che si possa immaginare.»
Il dottore ritrasse la mano dalla fronte di Palafox e gli strinse con forza, quasi con violenza, il braccio sinistro.
L’anatomista emise un gemito e irrigidì tutti i muscoli del corpo.
«Voi non mi volete male, dottore», implorò. «Voi non mi farete del male, vero?»
«Ma certo che non vi farò del male. Libererò semplicemente la vostra anima. E vi farò entrare nei libri di storia, signor Palafox, con tutti gli onori che vi meritate.»
Palafox sentì affiorare agli occhi due lacrime d’impotenza. Non era paura quello che provava adesso, ma incredulità.
«La donna in fondo al corridoio è stata una di quelle ‘terze persone’ che avete nominato poco fa?» chiese, senza neppure sapere il perché. «Avete studiato il mio cervello anche attraverso di lei?»
Il dottore avvicinò la siringa alla trama di vene bluastre che percorreva il braccio di Palafox e gli sfiorò la pelle con la punta dell’ago.
«La strada fin qui non è stata semplice, signor Palafox. Anche voi siete stato medico, lo sapete che non tutte le sperimentazioni necessarie per il progresso della scienza finiscono bene.»
«E quella bambina, la piccola prostituta di Trentaclaus che hanno sepolto nel sarcofago di Santa Clara... La sua fine è stata addirittura peggiore. Avete iniettato questo liquido anche a lei?»
Il dottore non rispose, ma si chinò su di lui e gli sussurrò all’orecchio:
«Buon viaggio, signor Palafox».
L’anatomista sentì l’ago penetrargli nella carne e introdurre nelle sue vene quel liquido color sangue malato. Non protestò. Il suo destino era ormai segnato. Lo era stato sin da quella lontana sera del 1851 nell’ospedale della Santa Cruz. Cercò di dire qualcosa, ma dalla sua gola non uscì alcun suono: non una parola, non un lamento, assolutamente niente. Cercò di muovere le gambe legate, ma anche i suoi muscoli si rifiutarono di rispondere. Era un viaggiatore del tempo senza voce né forza motrice. Un viaggiatore del tempo con gli occhi che si chiudevano e il cervello che si spegneva pian piano.
«Non perderete conoscenza, signor Palafox», sentì che gli diceva il dottore. «Anzi, la vostra coscienza si espanderà in un modo che non avete mai sognato prima. E potrete parlare con me. Parlerete con me e mi direte quello che vedete. Non potrete sentirmi, ma saprete che sono qui. Viaggerete in un mondo nuovo, sarete il primo esploratore di una terra che nessun uomo ha mai visto prima, e io sarò il vostro giornale di bordo. Avrete accesso a tutti i tempi, condividerete con me i ricordi di tutti gli uomini, e io saprò finalmente senza più ombra di dubbio che la porzione precisa del vostro cervello stimolata ora con questo composto è quella che contiene la chiave del recinto. La chiave della memoria della specie.»
La voce del dottor Carrera si spense come la fiamma di una candela a un soffio di vento.
In un angolo del suo cervello, una luce minuscola si accese, illuminando per un istante l’immagine di un muro di pietra.
E in quel preciso momento si aprì una porta dietro al divano e un’ombra nera entrò nella stanza.
Non sentì nulla, il suo udito non funzionava più. Ma prima di rimanere sommerso dall’oscurità, Palafox intuì il lampo d’acciaio di una lama che fendeva l’aria accanto a lui, e la rossa esplosione di sangue dalla gola del dottor Carrera, e l’enorme macchia scura che divorò tutto all’istante, un secondo prima della fine.