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Il clangore

Sì, lo so, è tutto inconcepibile, inimmaginabile, inaudito, ma proverò lo stesso a raccontarvi ancora qualcosa di ciò che sta succedendo in questo momento nelle città e nel continente dei morti, mentre anch’io sto viaggiando e nello stesso tempo inventando e fondando.

Ci sono da tutte le parti dei bagliori. Io non lo so, non vi so spiegare come si possano percepire come bagliori queste aggregazioni spaventose e vertiginose di particelle di buio così concentrate da sfondare il buio. Però, se mi guardo attorno, tutta la notte sembra punteggiata a perdita d’occhio di luci nere e di fuochi.

E lo stesso i suoni, perché si stanno levando da ogni parte dei clangori. Non i suoni che i vivi sono abituati a percepire come suoni ma qualcosa come una vibrazione portentosa e un incendio e un rogo di particelle sonore nere indistinguibili dal silenzio che fanno tremare forte e vibrare lo spazio morto e terremotato del cielo.

Non capisco bene che cosa sono, ma mi sembra di distinguere in mezzo a questo enorme clangore delle voci, dei canti. O forse questo clangore è prodotto proprio da un numero sterminato di voci morte che stanno cantando tutte insieme dentro la morte. Ma non lo so se sono poi delle voci, dei canti, perché la musica dei morti non ha note, non ha frequenze, qui non ci sono onde elettromagnetiche, energia raggiante, c’è solo questo impressionante, percussivo clangore che fa vibrare come un unico blocco il cielo nero e lesionato del mondo.

Vedo da ogni parte gruppi di morti che spalancano tutti insieme le loro bocche morte come se cantassero nella nera notte, nelle città appena inventate e fondate, gruppi di morti dentro la morte e gruppi di risorti dentro la morte che si fronteggiano. Si spostano incernierati e saldati, attirano a sé altre cerniere di morti e di risorti, creano i primi nuclei di combattimento, occupano i grattacieli e li cingono con i loro striscioni e i loro vessilli, conquistano zone circoscritte delle città su cui cominciano a erigere le prime barricate, e i morti cantano perché si stanno preparando ad affrontare e a massacrare i risorti dentro la morte, e i risorti piangono, cantano e intanto piangono perché non possono uccidere i morti dentro la morte.

Mentre nelle cuspidi dei grattacieli, nelle loro voragini ascensionali e in quelle sprofondate nelle viscere della terra, nelle immense città sotterranee morte che reggono su di sé le cuspidi emerse delle città dei morti, nei grandi spazi neri e abbagliati delle banche appena dislocate e fondate e delle borse, anche l’economia e la finanza dei morti sono state investite dal turbine della morte e della resurrezione dentro la morte. Operatori economici e finanziari, trader, istituti econometrici e di ricerca, economia di scopo, immensi capitali morti da fagocitare, da riposizionare e ricollocare, fuoriuscite di liquido dalle cellule economiche morte, enzimi finanziari speculativi fuori controllo, esplosioni e regressioni improvvise, continue emissioni di danaro morto dentro la morte. Associazioni statistiche tra variabili dipendenti e variabili indipendenti saltate, bolle speculative esplose, diseconomie esterne, ribassisti, rialzisti, scopertisti... ogni cosa è stata investita e travolta dalla tracimazione dei vivi e dei morti e dai turbini della morte e della resurrezione dentro la morte.

Prima, prima della tracimazione e della resurrezione, bastava solo gestire da qui il turbine anticipato dell’economia dei morti che viene prima, la massa monetaria che i vivi credono di spendere e di scambiare per primi e che invece è già stata spesa e scambiata dai morti. Tutta l’economia si reggeva su questa interazione e anticipazione tra i vivi e i morti e tra i morti e i vivi e tra morte e vita, sull’economia sommersa dei vivi che invece credono che l’economia sommersa sia quella dei morti, sulla produzione di morte e sulla produzione di vita dentro la morte. Adesso ogni cosa è tracimata e saltata. Che cosa sono la produzione di merci e la produzione di morte, se la vita sta tracimando dentro la morte e la morte dentro la vita?

Forse, in questo stesso momento, mentre sto correndo nelle voragini di queste strade legato con una cinghia alla Suora Nera, in uno degli enormi spazi illuminati e accecati che ci sono così in alto che non si riescono neppure a distinguere in questa luce nera, nel mezzo di una riunione tra i vertici della più grande banca che sia mai esistita, quella dei morti, qualcuno che fino a un istante prima se ne era rimasto seduto vicino agli altri, immobile, muto, con la testa morta tra le mani e con gli occhi chiusi come se dormisse da morto, e sembrava del tutto esanime, inerte, si sta alzando improvvisamente in piedi dalla sua poltroncina e sta dicendo rivolto a tutti gli altri morti che lo guardano con gli occhi sbarrati, impietriti: «Di che cosa abbiamo parlato finora, in questa riunione della Banca Centrale dei Morti che prosegue dalla notte dei tempi, se ci fosse la notte, se ci fosse il tempo? Di che cosa si può parlare mentre sta avvenendo questa tracimazione e mentre anche gli stessi morti sono stati presi nei turbini della morte e della resurrezione dentro la morte? Di produzione? Di danaro? Ma che cos’è il danaro per i morti, che cos’è per i vivi, se non è più un mezzo e non è più neppure un fine in questa tracimazione generale di vita e morte? E cos’è la produzione? Produzione di cosa? Di morte o di vita? Di morte dentro la vita o di vita dentro la morte? E i beni che cosa sono? E il potere contrattuale? E la fruizione? Fruizione di cosa? Di vita o di morte? E le aspettative? Che aspettative ci sono, se anche la morte che viene prima sta tracimando dentro la vita che è dentro la morte che viene prima? E l’inflazione? Inflazione di cosa? E il Pil? E la New Economy con le sue ondate resurrettive economiche morte dentro la morte che viene prima e dentro la vita che è dentro la morte? Persino l’economia del dono, che implica una trascendenza dentro la vita e dentro la morte, come può esistere se l’intero pianeta, dei vivi e dei morti, è stato venduto dal Dio morto che è tracimato tra i vivi dentro la morte per compiere questa transazione mai vista prima, che tracimerà? E venduto a chi, e comperato da chi, se è stato venduto e comperato dagli stessi morti e dalla stessa vita dentro la morte che viene prima? Che hanno potuto comperarlo proprio perché la morte viene prima, l’economia dei morti viene prima, perché era già stato comperato prima ancora di essere venduto. E che cosa è, che cosa si nasconde dietro questa identità denominata Gas, che ha sbaragliato l’asta e che ha trascinato nel proprio vortice tutte le altre offerte, che cosa si nasconderà? È un nome? Una sigla? E, se è una sigla, una sigla di cosa? Che cosa indica, economicamente e teologicamente, questa sigla che suggerisce uno stato di aggregazione caratterizzato da deboli forze intermolecolari e tendenza a invadere e a saturare tutto lo spazio in cui è contenuto? Che economia può esserci ancora se tutta l’economia, in ultima analisi, si regge su questa bilancia di morte e vita e di vita e morte, se l’aumento della popolazione dei morti e dei vivi si trasforma in aumento di morte e vita dentro la morte, se lo spazio è stato così saturato che non ci può essere più che la tracimazione dentro la vita e dentro la morte, se l’economia è diventata teologia ma il Dio dei vivi è morto e il Dio dei morti è vivo dentro la morte, se chi non doveva risorgere dalla morte è risorto e chi invece doveva risorgere non è risorto?».

«C’è la schiavitù! C’è la guerra!» grida qualcun altro alzandosi come sparato dalla sua poltroncina, nel buio.

«Sì, sì!» gridano gli altri morti. «C’è la schiavitù! C’è la guerra!»

«Sì, ma chi sono gli schiavi?» risponde il primo. «I morti dei vivi o i vivi dei morti? E la guerra, che respiro può ancora dare all’economia, se anche la guerra non è più solo, come è sempre stata, una guerra tra i morti e i vivi dentro la morte ma una tracimazione di vita e morte? Quale sarà il suo esito? Che cosa succederà? Su cosa devono puntare le banche, dei vivi e dei morti, le borse, gli investitori...?»

«Aprite quelle finestre! Non si respira!» lo interrompe a questo punto qualcuno.

Corrono ad aprire le enormi finestre, facendole scorrere sulle loro guide contro il cielo nero crivellato di luci nere.

«Chiudete quelle finestre!» grida un istante dopo qualcun altro, tappandosi le orecchie con le sue mani morte, perché irrompe nella sala un boato assordante, un clangore enorme, che proviene dal basso, dalle voragini delle strade ma anche dalle zone più alte degli altri grattacieli appena fondati e inventati dove un numero sterminato di teste e di bocche stanno gridando e piangendo e cantando.

E intanto, mentre io e la Suora Nera continuiamo ad andare incernierati dentro la carlinga del camion che si apre un varco tra le macchine ammassate dei morti e comincia a speronare già le prime barricate che sorgono qua e là nelle strade, dei risorti e dei morti, anche in altri grattacieli dove hanno sede le agenzie pubblicitarie dei morti sono in corso continue riunioni di riposizionamento, full-immersion, anche nella più grande agenzia pubblicitaria dei morti, quella che ha trattato la vendita del pianeta con l’altra agenzia dei vivi dentro la morte che viene prima, che tratterà, e qualcuno sta dicendo, magari proprio l’account tracimato e poi disattivato tra i vivi e che adesso sta presiedendo la riunione dei pubblicitari morti nella morte che viene prima, nella luce nera, nel buio: «Anche la dimensione imperiale e senza ritorno della pubblicità si reggeva tutta sulla bilancia di vita e morte, perché la pubblicità dei vivi era pubblicità di morti, perché la pubblicità della morte era pubblicità della vita dentro la morte che viene prima. Ma adesso, che la vita sta tracimando dentro la morte e la morte dentro la vita che è dentro la morte che viene prima, che cosa potrà pubblicizzare la vita, che cosa potrà pubblicizzare la morte? Quale fruizione di vita dentro la morte, quali fidelizzazioni, quali brand image, quali investimenti potrà suscitare e inventare, quali vortici pubblicitari potrà creare all’interno dei nuovi vortici della resurrezione dentro la morte e della morte? Perché, se la pubblicità è pubblicità della morte e la morte viene prima, se la pubblicità della morte viene prima della pubblicità della vita, se quello che viene pubblicizzato tra i vivi dentro la morte è già stato pubblicizzato tra i morti dentro la morte, ma se adesso è in atto un vortice resurrettivo e una tracimazione anche dentro la pubblicità della morte, allora di che cosa sarà pubblicità la vita, di che cosa sarà pubblicità la morte...?».

«Aprite le finestre! Manca l’aria! Si soffoca!» lo sta interrompendo improvvisamente qualcuno, nel buio.

Molte mani si lanciano verso le barriere insonorizzate delle finestre, le divaricano, le spalancano.

Un istante dopo, attorno al tavolo della riunione, nella sala dove si sta svolgendo il brief dei pubblicitari morti, tutti si tappano le orecchie, atterriti, per il clangore che sale dai vortici delle strade e delle città e del continente dei morti.

E intanto, in altri grattacieli ancora e in altri palazzi, dove siedono gli uomini che governano i morti, nella luce nera, nel buio, in questo stesso momento, qualcuno sta dicendo o gridando, mentre altri sono balzati in piedi nell’emiciclo del parlamento dei morti, incernierati per non essere strappati via dalla continua tracimazione di vivi e di morti, e gridano a loro volta per coprire la sua voce, con le loro bocche morte che si spalancano e che si chiudono come quelle mute dei pesci che boccheggiano in fondo agli oceani morti, nel buio: «Che cosa sono i sistemi politici e di governo dei morti e dei vivi? Che cosa sono i loro Stati? Che cos’è la democrazia, che cos’è la tirannide, che cosa sono i sistemi parlamentari che coprono le tirannidi e quelli scopertamente tirannici? Che cosa siamo noi, che governiamo i morti e che governiamo i vivi, perché la morte viene prima, perché le strutture associative sono già state inventate dai morti, perché i sistemi politici dei vivi sono già stati sperimentati dai morti, perché le leggi dei vivi sono già state emanate dai morti, che cosa sta succedendo ai sistemi di governo e di dominio dei morti e dei vivi sottoposti a una simile tracimazione di morte e vita? Che cos’è che guida la nostra morte? Che cos’è che guida la nostra vita dentro la morte che viene prima...?».

«La libertà!» lo interrompono alcuni, nel buio.

«Ma la libertà che cos’è, se la vita sta tracimando dentro la morte e la morte dentro la vita, se la morte non viene più prima?» riprende a dire quello che stava parlando. «Se la morte non viene prima, se la libertà non viene prima, su che cosa possiamo inventare e fondare i nostri sistemi? Se la libertà non è libertà dalla morte e dalla vita dentro la morte, ma può essere solo libertà nella morte e nella vita dentro la morte, allora che libertà è? E che cos’è la vita? E che cos’è la morte? Che cos’è che guida, che può ancora guidare la nostra morte dentro la vita che è dentro la morte che viene prima...?»

«La tirannide! La tirannide!» lo interrompono altri, con la bava alla bocca, gesticolando e gridando, nel buio, trattenuti a stento da un nugolo di altri morti incernierati e saldati a loro in un unico blocco, mentre chi sta presiedendo la seduta ormai sfuggita a ogni controllo, seduto in alto sopra il suo scranno, scuote inutilmente e violentemente un campanello morto che non dà suono, per tentare di sedare il tumulto, nel buio.

«I sistemi di dominio e di governo del mondo» riprende a dire l’oratore, incurante del clangore indistinguibile dal silenzio che copre la sua voce morta nel buio, «quelli dei morti e quelli dei vivi, quelli dei vivi dentro la morte e quelli dei morti dentro la morte che viene prima, si sono sempre fondati sulla morte che viene prima e sulla bilancia della morte e della vita dentro la morte che viene prima. Perché, se non ci fosse la morte che viene prima, se gli uomini non morissero nella morte e la vita non fosse dentro la morte che viene prima, come sarebbe possibile imporgli un qualsiasi ordine, delle leggi, un dominio? Perché, se la vita venisse prima e la morte dopo, se non fossero i morti a inventare, a sperimentare e a fondare, cosa sarebbe la vita, cosa sarebbe la morte? Sistemi politici fondati sull’empietà, sull’inimicizia e sulla violenza, dei vivi e dei morti, della vita e della morte, della vita dentro la morte, dei singoli vivi dentro la morte o delle moltitudini trascinate nei turbini della vita e della morte che viene prima, la schiavitù universale dei vivi dentro la morte, le ondate resurrettive delle rivoluzioni dentro la morte, le strutture di dominio e controllo, l’occupazione militare dei pensieri e dei sogni, dei vivi che credono di pensare e sognare per primi ma che sono già stati pensati e sognati dai morti, le tracimazioni politiche e militari, la follia dei vivi che credono che la morte non venga prima ma dopo, tutta quella cosa che i vivi hanno chiamato storia dei vivi e che invece è tutta dentro la morte che viene prima. Che cosa ne sarà della morte, che cosa ne sarà della vita, se la vita sta tracimando dentro la morte e la morte dentro la vita che è dentro la morte che viene prima? Che cosa inventeremo, che cosa fonderemo, in questo parlamento dei morti dove stiamo parlando e gridando al buio, in queste nuove città dei morti appena elevate e che stanno già cominciando a tremare sotto sempre nuove scosse di terremoto per la tracimazione dei vivi e dei morti...?»

«Che cos’è questo clangore?» gridano molte voci nel buio.

«Che cosa sta succedendo giù, nelle strade?»

«Spalancate le finestre!»

«Aria! Luce!» gridano altre voci indistinguibili dal silenzio, nel buio.

Passi in corsa, rimbombi, sui pavimenti, nel buio, mentre molte mani stanno già spalancando le finestre, e molte teste si stanno spenzolando fuori per vedere che cosa succede giù in fondo, nelle voragini delle strade.

Si tappano tutti le orecchie, con le mani, le braccia, si tirano su i risvolti delle giacche, le maglie, per coprirsi e per fasciarsi la testa, per attutire un po’ questo impressionante clangore che sta salendo dal basso, dagli strapiombi delle strade invase dai morti e dai risorti dentro la morte.

E dove sto correndo anch’io con la Suora Nera, nella luce nera, nel clangore, nel buio. Le nostre teste scattano improvvisamente in avanti, ogni tanto, quando sono proiettate verso il parabrezza dalla violenza di uno speronamento, oppure all’indietro per il contraccolpo, i nostri due corpi si spostano in avanti e indietro come un unico blocco.

Ci facciamo largo sfondando altri accenni di barricate che ostruiscono sempre più le strade, nelle zone conquistate dai morti o dai risorti, perché le strade bisogna aprirsele così, nelle città dei morti travolte dai vortici della morte e della resurrezione dentro la morte. E intanto tutta la massa del camion e le sue lamiere e la barriera trasparente del parabrezza e la ruota del volante e i sedili stanno vibrando sempre più per le nuove scosse che hanno investito anche queste città appena fondate, mentre stanno finendo di far vacillare e crollare quelle da cui siamo appena fuggiti e da cui stanno ancora fuggendo fiumane di morti e di fondatori morti che si stanno inventando queste città morte nella tracimazione dei vivi e dei morti.

Adesso è tutto buio, anche se era già tutto buio, adesso tutt’intorno le luci sono nere, anche se erano già nere prima, sono ancora più nere, sempre più nere, perché il nero non è un colore, non è una sensazione ottica che varia a seconda della lunghezza d’onda della luce, non è l’insieme delle lunghezze d’onda che il corpo non riflette.

«Cosa sta succedendo?» domando alla Suora Nera. «Dove stiamo entrando?»

Perché vedo intorno a me una galassia di luci nere, così nere che mi sembra di venire da un luogo che era in piena luce ma che invece era nero, mentre stiamo correndo in un intrico di strade strette e piene di luci così nere che sfondano il buio, col muso del camion da cui pende per un po’ prima di staccarsi e di rotolare via con fragore un pezzo di barricata appena sfondata.

«Stiamo entrando in un quartiere e in una città a luci nere» mi risponde, con la sua voce roca. «Stiamo entrando nel mondo nero dove si sta forgiando l’immaginario dei vivi e dei morti dentro la morte.»

«Perché? È da qui che vengono quelle immagini di corpi incernierati e quei miti biologici e quei disperati sogni meccanici di fusione che saturano gli schermi e i pensieri dei vivi?»

«Sì, la fucina è qui!»

«Eppure, quando ero vivo, quei corpi mi sembravano vivi! Perché allora mi sembravano vivi?»

«Perché la morte viene prima. Perché i vivi consumano l’immaginario e i sogni dei morti, nella vita che è dentro la morte.»

«Ma allora l’amore dei vivi cos’è?»

«È l’amore dei morti.»

«E l’amore dei morti cos’è?»

«È l’amore dei vivi dentro la morte.»

Mi guardo attorno, in queste strette strade nere divaricate dal muso nero del camion. Ci sono dappertutto luci così nere che inghiottono il resto del mondo nero, porticine nere che scendono sotto terra, nelle voragini di queste città, corpi di donne e uomini che ci si gettano dentro come dalla cima di uno strapiombo, altri corpi nudi che escono da sotto terra e camminano sui marciapiedi e in mezzo alle strade coi loro volti morti dipinti.

Voi non avete idea di cosa vuol dire vedersi venire incontro nella notte nera, nel buio, in una città sconosciuta e inventata dove siete appena tracimato dalla vita che c’è dentro la morte, una schiera di donne morte che camminano verso di voi, nude, a grandi passi, a falcate, inarcate sugli altissimi tacchi delle loro scarpe lucenti morte, e intanto si tengono spalancate con le dita le loro fessure morte.

Vengono avanti così, inalberate, frontali, col corpo aperto, sempre più allargato e divaricato, così spalancato che si vede l’interno delle loro viscere come abbagliato da un riflettore, nella luce nera, nel buio, per inghiottire il camion che viene avanti a valanga, le strade nere, le città appena inventate e fondate su cui già si stanno aprendo le prime crepe e anche quelle già abbandonate e crollate.

Continuano a venire avanti così, con i corpi aperti, senza farsi da parte, contro la carlinga del camion che fende le strade nel buio.

La Suora Nera non rallenta, stringe forte il volante.

Le investe, ci passa sopra, tanto erano già morte dentro la morte.

Adesso è immobile vicino a me, continua a guidare senza dire più niente, senza fiatare.

«Io ti ho portato fin qui» mi dice dopo un po’, all’improvviso, con la sua voce roca. «Io ti dovevo portare solamente fin qui. D’ora in poi dovrai affrontare da solo la notte nera, se vuoi incontrare la sposa dei morti che hai visto balenare sulla tua strada, la tua sposa!»

Sono ancora immobile al mio posto, impietrito.

Sento che le sue mani si stanno muovendo con furia nel buio, le sue dita stanno slacciando la cinghia che ci teneva incernierati e saldati.

Si inclina di lato, di traverso sopra il mio corpo.

Abbassa la maniglia, spalanca di colpo la portiera, dalla mia parte.

Poi, all’improvviso, solleva molto in alto una lunga gamba nella carlinga nera del camion, la disarticola, la ripiega per imprimerle maggiore forza.

Un istante dopo mi butta fuori con un calcio, colpendomi con il suo piede lucente, in questa notte nera, nel buio.