Quando ero vivo, quando non ero ancora entrato con la mia morte nella morte che viene prima, di notte sognavo spesso che mi perdevo, che andavo a finire in luoghi sconosciuti dove ero assolutamente solo. Scendevo alla fermata di un treno, non so perché proprio lì, forse perché credevo di essere arrivato dove dovevo arrivare. Il treno ripartiva. Mi guardavo attorno. Era tutto buio, deserto. Nessun altro era sceso oltre a me. Dov’ero finito? Che stazione era quella? In quale regno mi trovavo? “Che sia il regno dei morti?” mi chiedevo. Oppure sognavo che arrivavo di sera in enormi città sconosciute immerse in una luce nera e gremite fino all’inverosimile di folle umane di cui non sapevo nulla. E io ero solo, completamente solo. Che città erano quelle? “Che siano le città dei morti?” mi chiedevo. E che città erano quelle che mi ero lasciato alle spalle? Come avrei fatto a vivere lì, senza neanche sapere com’era organizzata la vita in quei luoghi, senza un soldo, senza una casa? Nella mia vita ero ancora e sempre a quel punto: nessun posto dove andare, nessuno dove ritornare.
Allora non sapevo ancora che i vivi sognano i sogni dei morti, che io stesso stavo sognando i sogni sognati da me stesso da morto nella morte che viene prima. Adesso che sono morto, e che mi trovo all’improvviso così, abbandonato, completamente solo, in questa città piena di luci nere, di cui non so nulla, in questo mondo che non conosco, mi guardo intorno e mi domando se mi sto sognando mentre ero vivo dentro la morte che viene prima e sognavo i sogni dei morti e di me stesso morto. E mi domando anche se c’è qualcuno che sogna non solo i sogni dei vivi ma anche quelli dei morti, se io stesso sto sognando i miei sogni da vivo e da morto. Ma da quale parte? Da quale condizione? Da dove?
Mi rialzo da terra, dopo essere rotolato per un po’ sulla strada per la violenza dell’espulsione.
Mi guardo attorno.
Il camion è già lontano, vedo solo le sue lucine nere sempre più rimpicciolite, nel buio.
“Dove sono finito?” mi domando. “Perché sono stato abbandonato così, all’improvviso, in queste zone ancora più nere di queste città nere? Da quale turbine sono uscito? In quale nuovo turbine sono entrato?”
Mi guardo attorno di nuovo.
Buio. Nero. Silenzio.
Qui non c’è quel fragore forte, quel clangore che sta salendo in altre parti delle città dei morti. Qui si sente solo, a tendere l’orecchio in questa inconcepibile luce nera che avvolge il mondo e in cui si distingue in modo ancora più lancinante ogni cosa, un suono infinitamente lieve, tremendo e soffice, che sembra venire da tutte queste porticine nere che si aprono sugli strapiombi sotterranei delle città dei morti di cui quelle emerse sono solo la cuspide, e che sembra salire da lì, dalle viscere di queste città che proseguono sprofondate sotto il filo dell’orizzonte morto.
“Che rumore sarà?” mi domando.
Si sente appena, tanto è leggero, se poi è leggero, se non è invece solo ciò che affiora fin qui di un inconcepibile e immenso clangore prodotto da qualcosa di enorme che avviene in luoghi infinitamente sprofondati e lontani.
Cammino per un po’, senza sapere dove andare, completamente solo, in questo mondo mai visto.
«Sei appena tracimato qui? Non sai dove andare? Non hai una casa? Guarda: è questa qui la tua casa!» mi dice all’improvviso una donna che mi viene incontro nuda, aprendosi la fessura morta con le dita dipinte.
La oltrepasso. Continuo a camminare così, senza sapere che cosa succederà, che cosa farò, in questa città nera, nel mondo nero, nella morte che viene prima. Sento che ogni tanto qualcuno mi colpisce le spalle, mentre mi rasenta camminando o correndo da solo o incernierato ad altri corpi nudi che continuando ad andare verso quelle porticine nere che si aprono ai lati delle strade, e da cui salgono quegli impercettibili clangori soffici in questa luce infinitamente nera che illumina il mondo nero.
Corpi nudi... Mi sono espresso così, per cercare di darvi un’idea di quello che sta succedendo in questo momento intorno a me, nel continente dei morti. “Ma i morti sono nudi o sono vestiti?” chiederete voi vivi dentro la morte, a questo punto. “Perché finora non si è capito bene, non hai mai indicato con precisione come sono vestiti i morti, né le caratteristiche dei loro corpi e dei loro volti. Non hai dato i dettagli, quelli che siamo abituati a trovare nelle narrazioni dei vivi, e come anche tu ci hai abituato, nelle cose che hai scritto quando eri vivo dentro la morte. Invece adesso solo poche volte ci hai dato qualche indicazione: l’abito da sposa della Pesca, tu che ti togli i vestiti di fronte a lei per venire fotografato dal suo corpo, quelli che si coprono le orecchie con i risvolti della giacca per difendersi dal clangore nel parlamento dei morti, e che quindi indossano delle giacche, e adesso queste donne morte di cui dici che sono nude. Perché stavolta non ci dai i dettagli, non ci descrivi i vestiti o i volti dei morti?”
È difficile far capire... Diciamo che qui non ci sono corpi nudi e corpi vestiti, anche se continuerò a esprimermi così per cercare di darvi almeno un’idea di quanto sta succedendo, diciamo che i vestiti dei morti sono indistinguibili dai corpi dei morti, che la nudità dei morti viene prima di quella dei vivi, che i volti dei morti vengono prima di quelli dei vivi, e che è per questo che non se ne può dare rappresentazione nel linguaggio dei vivi. E così le loro espressioni, che vengono espresse prima e che quindi non sono dentro il cortocircuito della rappresentazione della vita dentro la morte.
La terra sotto di me ha ripreso da qualche secondo a vibrare, mentre cammino senza sapere dove sto andando, senza una meta, senza una casa, in mezzo a tutti questi corpi nudi di morti che rasentano le mie spalle camminando o correndo verso chissà dove, verso quelle porticine da cui esce un’abbacinante luce nera che sale dalle viscere della terra.
E ci sono altri corpi, femminili o maschili, che invece escono da quelle porticine nere come proiettati all’esterno da una forza ascensionale crescente partita da zone affondate in qualche punto infinitamente lontano nelle viscere delle città dei morti, e che continuano a correre così, nelle strade nere, abbagliati, con gli occhi ancora chiusi, come quelli di corpi appena nati, le braccia spalancate, le dita delle mani allargate, assieme ad altri corpi nudi di morti che non smettono di scaturire da sotto terra mentre altri si gettano a capofitto nelle feritoie nere di quelle porte da cui continua a salire questo suono tremendo e lieve di frantoio soffice.
E ci sono altri corpi e altre braccia che si sporgono fuori, nel bagliore nero che esce da quelle porte, e che si muovono verso di me per invitarmi a entrare.
«Vieni! Vieni!» mi stanno dicendo, muovendo le loro valve e le loro bocche e le loro braccia nel buio.
Le loro parole sono indistinguibili dall’aria verticale e dal buio, perché le parole dei morti sono pronunciate prima, perché le parole dei vivi sono già state pronunciate dai morti, perché le parole che si sentono pronunciare da morti si sono già sentite pronunciare da vivi dentro la morte, anche se la vita viene dopo la morte, proprio perché la vita viene dopo la morte, perché la morte viene prima anche delle parole dei morti.
«Vieni! Vieni!» mi continuano a dire e a bisbigliare quelle voci, dal buio.
E intanto molte braccia si stanno muovendo verso di me come quei tentacoli di carne bianca e quelle presenze capillari e quei pettini che si dispiegano in fondo agli oceani che ci sono nel continente dei vivi, indistinguibili dal buio e dalla luce nera nel buio.
«Vieni! Vieni!» mi sussurrano con le loro voci indistinguibili dal silenzio e dal buio. «Tu non sai ancora nulla! Tu non saprai mai nulla se non scenderai nelle città che ci sono sotto la linea morta dell’orizzonte e che tengono sospese sopra di sé le città emerse dei morti!»
«Che sono immense...» mi sussurrano altre voci e altre teste e altre bocche, sporgendosi da altre porticine nere nel buio «ma che sono solo una piccola, una microscopica cosa rispetto all’inconcepibile estensione delle città sotterranee dei morti.»
Continuo a camminare, sbandando, senza sapere verso dove, in queste strade nere, cercando di non venire preso dai pettini di quelle braccia e di quelle dita che si muovono tutte insieme nel buio.
«Vieni! Tu sei lo sposo dei morti, il nostro sposo!» mi sta sussurrando un’altra voce, da vicino, dal buio.
Mi fermo.
«Vieni giù con noi, se vuoi incontrare la sposa dei morti, la tua sposa...» mi sussurra ancora.
Mi avvicino irresistibilmente a quella testa e a quella bocca che mi sta parlando dal buio, mentre sotto di me la terra non smette di tremare, e trema anche questa luce nera che sfonda il buio, anche il cielo.
Nello stesso istante sento che due braccia e due mani piene di piccole, morbide dita mi stanno accarezzando e avviluppando nel buio.
«Vieni!» mi dice ancora la stessa voce, e nient’altro.
Io non so se sono nudo o se sono vestito, perché non so più, non ricordo se mi sono poi rimesso i vestiti dopo essermeli tolti per venire fotografato dalla Pesca, riapparsa a me come fotografa dei morti e adesso come sposa dei morti, perché, come vi ho già detto, i vestiti dei morti sono indistinguibili dai corpi dei morti, però sento che tutto il mio corpo morto percepisce con enorme emozione il contatto con l’altro corpo morto, mentre siamo tutti e due di fronte a questa porticina da cui esce un’accecante luce nera e un clangore lieve di tonfi soffici che sale dalle viscere sotterranee delle città sterminate dei morti come da un immenso frantoio.
Come sono belli i corpi delle ragazze morte! Come sono caldi! Mi esprimo così, per tentare di farvi arrivare questa emozione inconcepibile e simile a uno svenimento dentro la morte che mi provoca questo abbraccio tra corpi sconosciuti e tracimati dentro la morte. Perché, se la temperatura è per i vivi un indice dell’energia cinetica di atomi e molecole, se la dilatazione termica dei corpi e i cambiamenti di stato delle sostanze vengono percepiti dai vivi come calore trasmesso per conduzione o per convenzione tramite il moto delle particelle nei fluidi, riuscite voi a immaginare cosa può essere per i morti, se tutto questo sconvolgimento di particelle viene conosciuto per la prima volta nella morte che viene prima? Perché quello che i vivi percepiscono come calore è già stato sprigionato dai morti, perché il freddo e il gelo che si attribuiscono ai morti sono invece solo degli uomini vivi da morti, non dei morti.
La guardo, mentre mi tiene ancora avviluppato e mi guarda a sua volta con i suoi meravigliosi occhi morti.
«Tu chi sei?» le domando.
Non mi risponde.
«Vieni!» mi dice un’ultima volta.
Capisco che sono già oltre la porticina nera, che mi sto sporgendo sullo strapiombo delle immense città sotterranee dei morti.
Un istante dopo sto già correndo insieme a lei, incernierato, su un piano inclinato che continua impercettibilmente a sussultare e a vibrare.
Non mi pare di vedere niente tanto è abbagliante questa luce nera che erompe da zone sprofondate sotto la terra. Non capisco se quelle su cui sto correndo saldato a quest’altro corpo sono strade e strati di strade affacciate come balconate nere su altre strade a strapiombo oppure corridoi interni su cui si aprono altre porticine nere da cui proviene un clangore di poltiglie scaraventate e di voci.
Giro ogni tanto la testa, in questa abbacinante assenza di luce, verso la testa della donna che sta correndo al mio fianco. Mi pare che non mi tenga soltanto col pettine della mano ma che mi stia cingendo anche la vita con il suo caldo, morbido braccio, come se avesse non solo due ma molte altre braccia.
«Ma quante braccia hai?» le domando, correndo al buio, abbagliato.
Non mi risponde. Sorride, continuando a correre con me lungo quelle strade o quei corridoi in discesa, con i suoi capelli morti che sventolano alle sue spalle come uno strascico.
Ma non è lei che ha più di due braccia, mi accorgo, perché mi sta tenendo solamente col pettine della mano, mentre chi mi abbraccia la vita è un’altra donna che si è unita ai nostri due corpi in corsa senza che io me ne accorgessi, dall’altra parte.
Mi giro a guardarla, correndo.
«E tu chi sei?» le domando.
Neanche lei mi risponde. Sorride, con la sua bella bocca dipinta smisuratamente allungata, continuando a correre abbracciata a me in questo enorme buio.
Sento solo, nell’impressionante clangore soffice che sale sempre più dalle viscere della terra, il fragore degli strascichi profumati dei loro capelli morti che sventolano alle nostre spalle.
Strade che sembrano corridoi, corridoi che sembrano strade, che scendono improvvisamente, a strapiombo, che immettono in enormi piazze che vibrano come investite dal terremoto, piene di lampadari neri e di specchi che riflettono solo il buio, grandi anse nere che sovrastano precipizi, su cui vagano e si spostano corpi morti in corsa oppure immobili come pinnacoli di carne posti sopra gli abissi. “Che città è questa?” mi chiedo continuando a correre incernierato agli altri due corpi di cui adesso scorgo solo i quattro piedi nudi che si lanciano alternativamente in avanti nelle falcate, in questo inconcepibile buio, pieni di piccole dita infantili. “Che spazi sono questi, che sembrano interni di case ingigantiti o miniere brulicanti di corpi morti nel buio? Che sale o che piazze sono queste, che vibrano sotto i nostri piedi e si sollevano e si abbassano impercettibilmente come se fossero poste sopra dei pistoni?”
Sto scendendo a precipizio, incernierato agli altri due giovani corpi morti che emanano il loro intenso profumo nel buio, verso zone sempre più sprofondate di queste città appena inventate e fondate, che sembrano sezioni di metropoli sotterranee scoperchiate di insetti messe a nudo dal bagliore di un fulmine nero balenato all’improvviso nel buio.
Le strade sono incise dalla continua percussione di corpi e di passi che scendono e salgono incernierati. Ci sono massicciate nere su cui si ergono zone pensili, porticine o portoni che si spalancano e che si chiudono. Non si capisce, per le particolari proporzioni di questi spazi nell’inconcepibile buio, se sono porticine di case o di grattacieli capovolti oppure portoni o addirittura grandi porte poste all’ingresso di nuove città sotterranee di morti appena inventate e fondate.
Sotto i nostri piedi la terra vibra sempre di più. Mano a mano che scendiamo nelle viscere delle città sotterranee dei morti, e che ci lasciamo alle spalle strati di città o città intere che un secondo prima scorgevamo dall’alto come metropoli inabissate e che un secondo dopo vediamo incombere molto sopra di noi, si sente un profumo o un odore sempre più intenso, che stordisce, mentre le orecchie percepiscono appena tanto è impressionante e crescente questo clangore di tonfi martellanti e di voci morte nell’immenso buio dei morti.
«Guarda! Guarda!» mi dicono all’improvviso tutte e due le donne che corrono incernierate a me, girando le loro belle teste e socchiudendo le loro morbide bocche dipinte tra cui si vede balenare un velo di lucente saliva morta.
E intanto sollevano tutte e due le braccia, quelle che non mi tengono incernierato, senza smettere di correre e di precipitare con me verso chissà dove, come per mostrarmi tutto l’anfiteatro sterminato e lucente delle città sotterranee dei morti che si inabissano sempre più nelle viscere della terra.
«Guarda!» mi dice ancora una delle due. «Stiamo entrando nei domini sotterranei dei corpi che si stanno preparando alla tracimazione.»
Non capisco dove sono, non posso capirlo, i miei occhi non hanno mai visto una cosa simile, non possono averla mai vista, perché queste città sono state appena inventate e fondate, perché la morte viene prima. Stiamo entrando, stiamo precipitando dall’alto in qualcosa come una città altalenante nel vuoto. Ma che vuoto è, se si scorgono ancora, dall’alto, sempre nuove voragini di città che tremano in questa inconcepibile percussione che investe ogni cosa? Eppure questa sterminata città in cui siamo entrati oscilla vertiginosamente nel vuoto, come se dall’altra parte, da qualche altra parte, ci fosse qualcosa di altrettanto enorme che le fa da contrappeso.
«Che cosa sta succedendo? Dove siamo? Perché tutto si muove così?» provo a domandare, gridando.
«Perché la morte e la vita stanno oscillando su un unico perno!» mi rispondono continuando a correre.
Scorgo, in questo sconfinato buio che oscilla, molti altri corpi che corrono incernierati fino al culmine, e che poi cominciano a precipitare, mentre da qualche altra parte chissà dove ci saranno altre città e altri corpi che cominciano invece a salire vertiginosamente verso l’alto in questa assoluta assenza di luce che fa sfolgorare ogni cosa.
«Era questa l’origine di quel clangore?» chiedo a una delle due teste che continuano a correre vicino a me, andandole vicino con la mia testa, nel buio. «È questa oscillazione di città intere nel vuoto, che precipitano e salgono nelle viscere della terra?»
«No, non è questa, non è solo questa» mi risponde, girandosi verso di me e sorridendo.
«E allora qual è?» le domando ancora.
Percepisco che stiamo rallentando la nostra corsa, forse perché in questo momento sta avvenendo un’oscillazione verso l’alto e stiamo correndo in salita, forse perché stiamo invece oscillando verso il basso e i nostri corpi stanno frenando la loro corsa per non precipitare.
Le due donne mi stanno stringendo ancora di più ai loro giovani corpi.
«Ecco...» mi sta dicendo una delle due, con la sua morbida bocca dipinta «noi ti abbiamo aspettato sulla soglia di una di quelle porticine nere che danno sulle città affiorate dei morti, noi ti abbiamo visto mentre camminavi da solo per quelle strade, senza sapere dove andare, nella morte che c’è dentro la morte, ti abbiamo individuato, ti abbiamo intercettato, ti abbiamo chiamato, ti abbiamo abbracciato, ti abbiamo portato fin qui con i nostri giovani corpi profumati, nelle nostre città che oscillano tra morte e vita e tra vita e morte nella sconfinata voragine delle città dei morti...»
«Ma che città sono queste? Perché oscillano così tra la morte e la vita?»
«Perché stanno risorgendo. Perché sono le prime città risorte.»
Adesso siamo fermi, mi pare, oscilliamo vertiginosamente da fermi, perché mi manca il respiro, ho il cuore in gola.
«Vuoi sapere qual è l’origine di questo clangore?» mi chiede una delle due, all’improvviso, abbracciandomi con il suo giovane corpo nudo che oscilla tra morte e vita e tra vita e morte.
Anche l’altra mi abbraccia, mi sta parlando con la bocca profumata e intanto mi bacia gli occhi, le tempie.
«Sono i corpi» mi sta dicendo. «Sono i corpi che sbattono gli uni contro gli altri nel coito. È il rumore soffice di questo tonfo moltiplicato per miriadi e miriadi di volte, perché tale è il numero dei morti che gremiscono le sterminate città sotterranee dei morti. L’origine di questo crescente clangore è questa. Anche di questa vibrazione e di questa oscillazione e di queste scosse sempre più forti man mano che si scende nelle zone più sprofondate delle città dei morti, di cui in superficie si colgono solo gli ultimi sciami, tanto è lontano l’epicentro e l’origine di questo sisma.»
Mi stanno tenendo abbracciato. Anch’io le abbraccio irresistibilmente, mi pare, in questo immenso buio, in questa città che oscilla, in questo clangore nero di tonfi e di corpi.
«Non ti ricordi di noi?» mi chiedono ancora, all’improvviso, con dolcezza, con le mani contro gli occhi. «Non ti ricordi di cosa è successo tra noi, quella notte, quando eri vivo?»
«Ma come faccio a ricordarmelo» rispondo, anch’io con la bocca contro i loro occhi e le loro tempie, «se sta succedendo adesso per la prima volta, se la morte viene prima, se la vita viene dopo!»
«Eppure dovresti ricordartelo.»
«Ma perché?»
«Perché l’oscillazione è sempre più forte, perché anche tu stai risorgendo» mi rispondono tutte e due, senza smettere di accarezzarmi e baciarmi. «E perché, se risorgi, allora entri anche tu nella vita che è dentro la morte che viene prima.»
«Ma voi chi siete?» chiedo ancora, nella museruola morbida dei loro volti e delle loro bocche.
«Siamo le resurrettrici!» sento che mi rispondono, una o l’altra, non saprei dire, perché le loro bocche sono così vicine, perché le loro voci sono così vicine. «Noi ci accoppiamo con i morti per farli risorgere! Tutte queste città che oscillano sono piene di resurrettrici che si accoppiano sismicamente e che si incernierano con i morti per farli risorgere. Solo se ti accoppi con noi, solo se ci incernieriamo con le radici genitali dei nostri corpi, anche tu potrai risorgere dalla morte! Noi stiamo facendo crescere coi nostri corpi e con le radici sessuali dei nostri corpi il vortice della resurrezione nelle sterminate città sotterranee dei morti.»
Adesso non siamo più incernierati, adesso le due giovani donne mi sono di fronte, per farsi ammirare in tutta la loro bellezza.
Le guardo, nella città che oscilla, nel buio.
Si stanno aprendo con le belle dita dipinte le loro fessure di ragazze morte risorte, senza vergogna, perché la vergogna viene dopo, perché la vita viene dopo.
«Vieni! Vieni!» mi sussurrano. «Vieni dentro di noi. Guarda come i nostri corpi si stanno aprendo per te! Noi ti accogliamo nella nostra carne risorta, dove è tutto buio ed è tutto nero, ma dove più è nero e più ci si vede. Vieni dentro la nostra morte e la nostra vita. Risorgi!»
«Ma io non voglio risorgere nella vita dentro la morte!» rispondo, con fatica, con pena, mentre il piano su cui poggiamo ricomincia a precipitare dopo essere arrivato al culmine di una nuova oscillazione.
«Vieni!» mi dicono ancora. «Siamo anche noi le spose dei morti. Se tu ti unisci a noi, è come se ti unissi a lei!»
«No, lei non è risorta! Lei non è tracimata fin qui solo per risorgere e per farmi risorgere nella vita che è dentro la morte!»
Tutt’intorno il clangore cresce, di miriadi di corpi che si compenetrano e sbattono gli uni contro gli altri con le loro carni morte per risorgere in questo sterminato frantoio di morti.
Com’è difficile risorgere! Ma com’è difficile anche non risorgere!
Chiudo gli occhi, se non li avevo già chiusi. Si sente solo questo smisurato, percussivo boato di tonfi sordi che fa tremare le città capovolte dei morti sprofondate nel continente dei morti.
«Vieni dentro di noi!» le sento sussurrare un’ultima volta, in questo sfracello di corpi, nel buio.
Adesso non sono più davanti a me, le sento da un po’ più lontano, da sempre più lontano, perché ho ripreso a correre, in salita o in discesa, non saprei dire, da solo, in questo immenso buio, in queste accecanti città nere che oscillano tra vita e morte e tra morte e vita.