Non diciamo più niente. Camminiamo, sprofondiamo, ci innalziamo, ci inabissiamo.
«Io ti ispirerò!» mi dice d’un tratto, con esultanza. «Io ti devo ispirare adesso per averti potuto ispirare prima. Io ti sto cominciando a ispirare adesso. Io ho inventato e fondato questa reggia per poterti incontrare e ispirare. Che cosa stai facendo da tempo, senza neppure saperlo, senza capirlo, da quando eri ancora vivo, sarai vivo nella morte che viene prima, da quando hai cominciato il tuo viaggio, che comincia adesso? Tutti quei giorni e quelle notti, nel mondo, con la testa china in questa spaccatura del mondo, mentre credevi, crederai di far arrivare tramite le parole dei vivi dentro la morte il clangore di questo fronteggiamento universale di vita e morte e di questa tracimazione e di questo sisma che attraversa ogni cosa. Quando hai cominciato a percepire cosa stava avvenendo nel mondo, che cosa era avvenuto. Fin dall’inizio, dall’inizio che viene dopo la morte che viene prima, fin da quando, nella chiesina di quel seminario, avevi di fronte la testa del padre priore spaccata in due e attraversata da parte a parte da questa faglia che attraversa ogni cosa. E io non c’ero ancora, non credevi che ci fossi nel mondo, non mi avevi ancora incontrata, perché mi stai incontrando per la prima volta adesso. Che silenzio credevi che fosse quello in cui invece tu ti trovavi a tuo agio, ti troverai? Dove credevi che fosse? In te, per la prima volta, si percepisce che le cose raccontate vengono prima del racconto che le potrà mai raccontare, vengono prima e vengono dopo, perché ogni cosa è spaccata in due, perché non c’è, non ci può essere racconto della vita che venga prima della morte che viene prima, perché la tua ispirazione ha dovuto generare anche la fonte che ha generato la sua ispirazione. Ci vorrà ancora molto tempo, se esistesse il tempo, perché ci sia chi abbia il coraggio di vedere quello che abbiamo di fronte agli occhi e che tu stai vedendo e dicendo. Ma io sono qui, in questa reggia, nella morte che viene prima, con te. Siamo come lo spillo che ha forato l’involucro infinitamente teso del mondo e che l’ha squarciato. La tua Musa è qui, nuda, lucente, tra le tue braccia, è sempre stata qui, non ti ha mai abbandonato, anche se solo adesso la vedi, la puoi veramente vedere di fronte a te per la prima e ultima volta.»
Sto tremando. Anche lei sta tremando, come si può tremare da morti, come si può tremare da vivi dentro la morte.
«Accarezzami!» sussurra con la bocca contro i miei occhi dalle palpebre chiuse. «Non avere paura di accarezzarmi anche adesso, anche qui, in questa reggia sprofondata nel continente sotterraneo dei morti, solo perché mi hai già accarezzata e baciata e disarticolata e scopata e riempita e inondata nella vita dentro la morte che viene prima.»
Sento contro il mio corpo il suo corpo di giovane regina morta che mi abbraccia, mi accarezza, mi bacia, il suo bacino che si spinge in avanti contro il mio, le sue braccia e le sue mani che mi circondano i fianchi, le spalle, mentre le accarezzo a mia volta la bella testa dai capelli rasati, le piccole orecchie orlate di orecchini che scintillano in questi spazi infinitamente bui, le sue labbra, i suoi occhi, le sue tette premute tra i nostri due corpi, la linea della schiena, il culo, le reni...
Tutta la reggia trema, si solleva e poi si inabissa. Il clangore cresce, eppure riesco a sentire distintamente ogni sua parola sussurrata vicino alle mie orecchie, ai miei occhi.
Non lo so se stiamo camminando o se siamo ancora fermi, abbracciati. Però vedo, però distinguo, in tutto questo buio illuminato dalle esplosioni nere dei lampadari, in questo regno nero, in questa reggia nera dove tengo per la prima volta la mia Musa tra le braccia, che siamo in una sala così vasta che sembra senza pareti, a meno che le sue finestre non siano tutte spalancate a perdita d’occhio, affacciate su altre voragini di città che sprofondano e tremano nel clangore percussivo e nel sisma di vita e morte.
«Perché tutto questo sommovimento di corpi morti?» le chiedo. «Perché tutto questo incernierarsi? Perché tutte queste muraglie e queste città e queste regge formate da corpi e che poggiano le loro fondamenta su corpi che non smettono di incernierarsi e penetrarsi e sfondarsi, se sono morti? Perché tutto questo clangore di corpi che si sfracellano gli uni contro gli altri nel coito? Che cos’è questo fiume alimentato dai suoi affluenti, che scorre impetuosamente e su un piano così inclinato verso altre città e altre voragini di città morte che si scorgono sempre più in basso, a perdita d’occhio? Che acque e che schiume trasporta nella sua corsa, che me ne arrivavano schizzi densi sul volto, mentre scendevo costeggiando quella muraglia di corpi che mi chiamavano per farmi risorgere dentro la morte, e di cui scorgevo da lontano il bagliore fosforescente?»
La sento ridere piano, tra le mie braccia.
«Sei arrivato nel cuore sotterraneo di queste città nere dei morti, quasi in fondo, non proprio in fondo, non ancora in fondo, perché ci sono ancora molte altre città e molte altre voragini sotto di noi, che questa reggia così inabissata domina dall’alto come da una scogliera a picco sul mare, che tu ancora non conosci, di cui non sai ancora nulla ma in cui scenderò insieme a te, di cui ti farò intravvedere qualcosa, dall’alto, in mezzo a tutto questo infinito buio e a questo clangore e a questo sisma e a questa tracimazione che cresce sempre di più. Sei arrivato nell’immenso fottitoio dei morti, di tutti i morti dentro la morte, di tutti i vivi nella morte che viene prima, di tutti i corpi vivi e morti, dall’inizio del mondo, da prima, da adesso. Stai scendendo verso il cuore di questo immenso frantoio di corpi che c’è dall’inizio della nostra vita di specie dentro la morte che viene prima e di cui adesso io sono la regina e tu il re. Qui si fabbricano e si forgiano anche i sogni e l’immaginario dei vivi dentro la morte e la loro vita e la loro morte. Le immagini di questi corpi e di queste percussioni di corpi arrivano ai vivi da qui in fondo, da prima, dalla morte che viene prima. Che cosa credi che fossero quelle caverne che tu hai attraversato da vivo col lanciafiamme, che attraverserai, quelle schiere martellanti di corpi le cui immagini apparivano nei movie dei vivi dentro la morte, che appariranno? Di chi credi che fossero tutti quei corpi ammassati sotto quel lucernario borchiato su cui passavi quando salivi fino alla mia casa ispirata, e su cui battevo di colpo il tacco, e loro alzavano tutti insieme le teste verso l’alto come delle fiere improvvisamente svegliate dal sonno, sentendo il comando della loro regina nel buio? Cosa credevi che fossero quei movie, che i vivi percepiscono come pornografia e che invece sono solo quel po’ che riescono a scorgere di questa immane percussione e tracimazione di corpi e di questo sisma di vita e morte? La pornografia è solo quello che vedono i vivi di tutto questo clangore percussivo di corpi che premono per la resurrezione dentro la morte e per la tracimazione di vita e morte dentro la morte che viene prima. Da dove credi che venisse l’immagine della mia vagina morta che attraversava da parte a parte i video dei vivi dentro la morte, che io ho portato nel mondo, che inghiottiva i video stessi e che inghiottiva ogni altra immagine, che inghiottirà, in tutte le televisioni del mondo, nelle bolle dove i vivi si chinano a guardare la loro stessa morte che viene prima, nei video al plasma dei loro computer, in tutto il mondo, in tutto l’universo gremito di luci morte, solo quell’immagine che inghiotte ogni altra immagine, nient’altro, fin dall’inizio, per sempre, nell’inconcepibile silenzio del cosmo tutto pieno di luci morte nella morte che viene prima? Che cosa credi che siano le immagini? Che cosa credi che siano le immagini dei vivi che fottono? Sono i morti che fottono, che stanno fottendo nella morte che viene prima! I morti sono dei fottitori! I morti sono i più grandi fottitori del mondo, perché i morti vengono prima, perché i loro organi genitali vengono prima, perché il loro eiaculato viene prima, perché gli spasmi dei loro corpi e i loro orgasmi e le loro scariche cerebrali e seminali e i loro allagamenti sanguigni vengono prima, avvengono qui, in questo frantoio di corpi. Gli incontri tra i gameti dei vivi dotati di flagelli sono già avvenuti qui, i corpi generati dai vivi sono già qui, prima ancora. Tutto il mondo è una miniera di fiche morte e di cazzi morti e di culi morti che si fronteggiano e che si penetrano e che si incastrano e che si dragano nel clangore percussivo e nel sisma della resurrezione e della tracimazione dei vivi dentro la morte e dei morti dentro la morte che viene prima... Io ti parlo così, dando il loro nome alle cose, come ti parlavo allora, io nomino le cose ancora così, come le nominavo allora, le nominerò, con i poveri nomi che danno i vivi dentro la morte ai presagi sessuali dei corpi, con parole dirette e ardenti, come ti ho sempre parlato, come ti sto parlando adesso per la prima e ultima volta.»
Il clangore cresce, tutta la reggia trema. Anche il mio corpo trema, anche il suo, come tremano le giovani regine morte tra le braccia dei loro re.
«Che cosa credi?» mi sta dicendo ancora, mi sussurra. «Quello che sta succedendo adesso è ancora nulla. È in atto una tracimazione mai vista prima. Qui fra un po’ crollerà tutto, anche qui in fondo, queste sterminate città sotterranee appena inventate e fondate dove si forgia l’immaginario percussivo dei vivi dentro la morte, queste terrazze che si sporgono sugli abissi, anche questa reggia. Fra un po’ tutto questo mondo sotterraneo dei morti che viene prima non reggerà all’urto di questo immane smottamento di faglia. Le scosse di terremoto che affiorano in superficie e che investono e fanno crollare una dopo l’altra le città emerse dei morti sono solo leggere carezze sismiche a confronto di quello che sta succedendo qui sotto, succederà, nel cuore tellurico percussivo di vita e morte. Il clangore che arriva in superficie, che si percepisce come un tonfo soffice e uno sfracello attutito di corpi e che aumenta sempre più mano a mano che ci si inabissa nelle città dei morti, è ancora niente a confronto di quello che si sprigiona dalla sua zona più inabissata e segreta, dove cercherò di portarti prima che qui sotto crolli ogni cosa, e che le vibrazioni inconcepibili di questo crollo arrivino fino alla superficie infinitamente lontana del continente e delle città emerse dei morti. Incernieratrici, incernieratori, resurrettrici, resurrettori, risorti dentro la morte, morti dentro la morte, che non hanno voluto risorgere dentro la morte... anche tutte queste smisurate voragini di città morte sono investite da questa spaccatura, da questa tracimazione, da questo sisma e da questa guerra di morte e vita e di vita e morte. Resurrettori che cercano di far risorgere i morti dentro la morte, resurrettrici che si accoppiano con i morti per farli risorgere, incernieratrici e incernieratori morti che si incastrano dentro la morte con i loro organi genitali morti, e che formano queste muraglie e queste città e queste regge che si muovono e pulsano in questo immenso buio pieno di accecanti luci nere, piene di corpi e di bocche che chiamano e gemono e gridano nell’orgasmo della morte e della resurrezione dentro la morte. Donne e uomini morti che si accoppiano con risorti, ma anche donne e uomini morti che si accoppiano con i vivi, e vivi con morti, perché la faglia di vita e morte e di morte e vita si sta già cominciando a sfondare lungo le sue linee di fronteggiamento e i suoi piani che premono gli uni contro gli altri sempre più forte per la continua immissione di vivi e di morti dentro la morte, si sta cominciando a squarciare qua e là sotto l’urto percussivo di tutti questi corpi che stanno saturando la morte e la vita dentro la morte, perché la tracimazione è già cominciata, perché organi genitali vivi stanno già cominciando a incernierarsi con genitali morti, perché genitali maschili morti stanno già cominciando a penetrare dentro vagine vive dentro la morte...»
«Com’è possibile?» le domando. «Se la morte viene prima, e se la vita è dentro la morte che viene prima, com’è possibile che i corpi morti si possano incernierare con altri corpi che vengono dopo?»
«Proprio perché la vita è dentro la morte, proprio perché la morte viene prima, proprio perché sta saltando il diaframma del prima e del dopo che viene prima.»
La mia Musa sorride, la mia regina mi tiene abbracciato con le gambe e le braccia nel prima come mi aveva tenuto abbracciato e incernierato nel dopo.
«Che cosa credi?» mi sussurra ancora. «Ogni cosa è spaccata in due, il mondo si sta spaccando a fondo, la nostra specie si sta spaccando fin nelle sue più intime fibre. Noi siamo dentro questa lacerazione e siamo questa lacerazione. I nostri regni si stanno fronteggiando e si stanno lacerando da parte a parte in questa tracimazione di vita e morte. Lassù in alto, nelle città emerse e infinitamente lontane dei morti, si sta preparando una guerra universale tra risorti e morti dentro la morte e tra vita e morte. Nessuno sa se avverrà prima la tracimazione o la guerra. Anche nell’infosfera dei morti sta cominciando ad avvenire questa tracimazione. Ci sono legioni di navigatori e di hacker morti, chini sulle loro tastiere nelle città emerse e inabissate dei morti, che stanno già cominciando a bucare il network dei vivi, e altre di navigatori e hacker vivi nelle città dei vivi che stanno cominciando a sconfinare e a tracimare nel network dei morti. Ne hai già incontrati alcuni anche tu, quando eri tra i vivi dentro la morte, ne incontrerai, come quel gruppo terroristico di tipo nuovo che ha cominciato a far tracimare messaggi dalla litosfera e dall’infosfera del continente dei morti che viene prima e che ha cominciato a far tracimare ogni cosa mentre eri ancora, mentre eravamo ancora nella vita dentro la morte che viene prima, saremo. Anche la bolla dell’infosfera dei vivi e dei morti si è lacerata. I primi contatti stanno avvenendo, sono già avvenuti. Ci sono già i primi network dei morti tracimati dentro quelli dei vivi dove i morti e i vivi stanno cominciando a incontrarsi, e anche quelli dei vivi che stanno tracimando dentro quelli dei morti nella morte che viene prima. Ci sono già, nelle città emerse o sprofondate dei morti, le prime donne morte chine sulle loro tastiere che stanno vedendo apparire sulle bolle nere dei loro video, di fronte ai loro meravigliosi occhi morti, le prime parole tracimate dei vivi che si rivolgono direttamente a loro in mezzo a tutto questo infinito buio di vita e morte. E altre donne vive che stanno vedendo apparire sui loro video le prime parole di uomini morti che le hanno raggiunte tracimando per loro dal continente dei morti. “Tu chi sei?” starà battendo in questo momento sulla sua tastiera una donna morta o una donna viva, col cuore in gola. “Da dove vengono le tue parole in mezzo a questo finimondo buio? Dove si trovano in questo momento le mani e le dita che stanno battendo sulla tastiera solo perché ancora non possono accarezzare il mio volto e il mio corpo?” “Io sono dentro la vita” staranno rispondendo gli uni. “Io sono dentro la morte” staranno rispondendo gli altri, uomini e donne vivi o morti oppure risorti dentro la morte. “Ma come faremo allora a incontrarci?” staranno battendo con le loro dita in questo immenso buio che ci circonda. “Come faremo a trovarci, se uno è nella vita e l’altra è dentro la morte che viene prima?” “Proprio per questo ci potremo incontrare!” staranno battendo delle piccole dita bianche, nel buio. “Proprio perché ci potremo incontrare nella vita dentro la morte che viene prima, proprio perché ci siamo già incontrati dentro la morte che viene prima!” “Ma come faremo a riconoscerci in mezzo a tutti questi vivi e a questi morti, in mezzo a questa tracimazione di vivi e di morti? In quale città arriverò? Da quale treno scenderò perché tu possa riconoscermi in mezzo a tutti quelli che arrivano a carovane con i treni, gli aerei, e venirmi incontro lungo la banchina delle stazioni e negli aeroporti con tutta la tua morte e la tua vita dentro la morte? Come riconoscerai il mio volto e la mia vita e la mia morte tra mille altre o tra mille altri, se non mi hai mai vista o mai visto prima, o se mi hai vista o mi hai visto prima non mi ricordi perché il ricordo è già tutto dentro la morte? Come mi vestirò? Come mi pettinerò? Che segno di riconoscimento porterò con me, perché tu che non mi hai mai vista o ricordata prima possa riconoscermi o ricordarmi tra mille altre o tra mille altri nella folla di passeggeri che continuano a tracimare nella morte e nella vita che viene dopo? Come farai a corrermi incontro in mezzo all’infinito buio che c’è nelle stazioni dei morti e dei vivi dentro la morte? Come farai ad abbracciarmi e ad accarezzarmi e a baciarmi, a sentire sotto le tue dita i lineamenti del mio volto tracimato per te dentro la vita o dentro la morte? Dove andremo, tutti e due, in quale città, in quale stanza, in quale letto ci coricheremo, ci abbracceremo, in questo mondo spaccato in due, in questo finimondo buio? Come faremo a non farci separare l’uno dall’altra in questa continua tracimazione che strappa i corpi se non sono incernierati e saldati nella vita e nella morte che viene prima?” Ecco... si stanno scrivendo così, donne e uomini vivi e morti, nella notte, nel buio. Intanto i primi tracimati, vivi e morti, cominciano già ad aggirarsi nel continente dei vivi e in quello dei morti, si nascondono per non essere riconosciuti dai morti, per non essere riconosciuti dai vivi, guardano fuori dalle finestre delle loro stanze, nelle case o nei grattacieli attraversati dalle crepe di questo sisma di vita e morte, in piena notte, nell’infinito buio, camminano da soli per le strade, nelle città emerse dei morti e dei vivi, si nascondono improvvisamente quando sentono arrivare degli altri passi nel buio, per non essere riconosciuti dai morti, per non essere riconosciuti dai vivi. Si incontrano in certi posti segreti dove si erano dati appuntamento al buio tramite le chat line tracimate di morti e vivi. Questi sì veramente al buio, dentro la morte e dentro la vita che è dentro la morte! Si danno appuntamento in certi angoli delle città dei vivi, delle città senza mappe dei morti che si espandono a macchia d’olio per questa continua fondazione e invenzione. “Come farò a trovarla in questo finimondo di strade?” si domandano. “Come farò a trovarlo?” Molti si perdono così, senza riuscire a incontrarsi, nella vita e nella morte che è dentro la vita che è dentro la morte che viene prima. Si aspettano col cuore in gola dentro le loro stanze, aspettano di sentire il rumore dei passi che camminano verso la loro casa, la loro stanza, lungo il corridoio, sulle scale, il suono lieve e la vibrazione dell’ascensore che sale di notte nell’infinito silenzio e nell’infinito buio. E poi i passi che si avvicinano sempre più alla porta, dietro la quale la donna viva o la donna morta aspetta tendendo l’orecchio, nel buio, senza respirare per l’emozione. Qualcuno sta bussando piano, molto piano, per non svegliare i morti, per non svegliare i vivi. La porta si apre. I due corpi si abbracciano irresistibilmente, nel buio, tracimati uno per l’altro dalla morte o dalla vita dentro la morte. Le loro mani si cercano, si toccano i lineamenti del volto, nel buio. Le loro bocche morte e vive si cercano, si baciano, e intanto parlano, piangono, sussurrandosi le loro prime parole tracimate, nel buio. “Come farò a essere dopo?” sta sussurrando una donna morta, nel buio. “Come farò a essere prima?” sta sussurrando e si sta disperando una donna viva, nel buio. “Tu sei già dopo, tu sei già prima” risponde l’altra voce nel buio, mentre la bocca continua a baciarla sul volto, sugli occhi. “Io sono venuto dopo perché tu possa essere prima, io sono venuto prima perché tu possa essere dopo.” Sono avvolti dal buio, completamente soli, come possono essere soli le prime donne e i primi uomini tracimati da vita e morte per potersi incontrare. Però le loro mani si continuano a cercare e ad accarezzare, le loro dita continuano a sfiorare e a toccare e a distinguere e a disegnare e a inventare i lineamenti dell’altro volto abbandonato contro il loro volto, nel buio. Intanto i loro corpi tremano, le loro stanze tremano, le loro città tremano, dei vivi e dei morti... E noi chi siamo? Anche i nostri corpi tremano, anche queste città sotterranee dove ci siamo incontrati per la prima volta nella morte che viene prima, anche questa reggia. Noi siamo dentro questa universale tracimazione che sta nascendo qui per la prima volta, dai nostri due corpi incernierati e abbracciati nella morte che viene dopo e che viene prima.»
Mi guardo attorno, camminando abbracciato a lei, alla mia Musa, alla mia regina, nella nostra reggia sprofondata nelle viscere percussive del continente dei morti.
I pavimenti oscillano, le scalinate salgono e si inabissano sulle voragini delle sale, le colonie dei lampadari precipitano e poi risalgono fino a non vedersi più, le loro corolle di luce si espandono di nuovo sulle nostre teste come incendi neri nel buio.
«Guarda...» mi dice ancora, indicandomi lo strapiombo che si scorge dietro una delle immense finestre spalancate nel buio.
Mi sporgo a guardare.
È tutto buio, ma si riescono a scorgere, nell’abbagliante splendore nero delle città sotterranee dei morti, voragini di città che scendono lungo una gola nera tagliata in due dal bagliore fosforescente del fiume che precipita verso il fondo con assordante fragore.
«Che fiume è quello?» le chiedo ancora. «Perché corre così forte? E verso dove?»
Lei mi guarda, da infinitamente vicino, nella luce nera, nel buio.
«Tu non sai ancora nulla...» mi sussurra con dolcezza.
Anch’io la guardo, come si può guardare la propria regina tracimata per te nella morte, nel buio.
«Vieni!» mi dice improvvisamente. «Noi andremo là!»
Cominciamo a correre, tenendoci per mano, incernierati, saldati, attraverso queste sale che oscillano investite dalla vibrazioni generate dalla smisurata percussione dei corpi che continuano a scuotere le città sotterranee dei morti, e poi lungo le scalinate nere che sprofondano sotto i nostri piedi e sotto i nostri corpi.
«Vieni! Vieni!» mi dice ancora, mi grida, con esultanza, continuando a correre incernierata a me nella morte che viene prima. «Queste città sotterranee dei morti non reggeranno ancora per molto l’urto di questa percussione e di questa tracimazione. Anche questa reggia. Io ti porterò laggiù in fondo, dove ha origine questo clangore. Io ho voluto esserti vicina anche in quest’ultimo viaggio, in questo primo viaggio. In cui ti sei lanciato da solo, mentre mille altri se ne stanno aggrappati con le unghie e coi denti alle loro piccole vite dentro la morte, alle loro piccole narrazioni dentro la morte. Io sono la tua Musa. Io sono il tuo premio. Tu sei il mio onore e il mio amore.»
Siamo già usciti dalla reggia, mi pare, ma continuiamo a correre, a correre, e io vedo solo i suoi piedi bianchi mulinare nel buio, sento solo il suono lieve dei suoi orecchini a raggiera che tintinnano attorno alle sue piccole orecchie, del suo respiro di giovane regina morta nel buio.
Voi non avete idea di cosa vuol dire correre tenendo per mano la vostra regina che corre nuda vicino a voi, in un mondo mai visto prima, nella morte che viene prima, nel buio!
Adesso siamo fuori, ma non si vede niente. I nostri piedi stanno correndo su un terreno che scende a strapiombo. Non ci sono più attorno a noi le pareti della reggia che attutivano un po’ questo immenso clangore che cresce sempre più indistinguibile dal silenzio.
Corriamo, corriamo, mentre arrivano da tutte le parti quei tonfi cadenzati di corpi e quei gemiti e quelle assordanti grida morte.
Dobbiamo essere ormai vicino a quel fiume che corre e che precipita su un piano fortemente inclinato lungo la gola appena intravista dall’alto, perché mi arrivano sul volto schizzi densi d’acqua e di schiuma.
L’aria tutt’intorno sta diventando più calda, sempre più calda, sembra di respirare dentro un mattatoio pieno di corpi dissanguati e di respiri morti.
Scorgo di fronte a me, ma come posto su un piano leggermente più alto di quello dell’orizzonte dei vivi, e anche di quello dei morti, la superficie fosforescente e convessa del fiume che rovina verso il basso al centro di questa gola che sprofonda sempre più nelle voragini delle città sotterranee dei morti.
«Volevi sapere cos’è questo fiume?» mi sta dicendo la mia Musa e la mia regina, nel buio. «Faremo di più! Ci getteremo coi nostri corpi nelle sue dense acque fosforescenti, nuoteremo con le nostre braccia e le nostre gambe nei suoi flutti che precipitano lungo questa gola vertiginosamente inclinata, fino al cuore di queste città inabissate dei morti e di questo clangore e di questo sisma.»