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Il ballo dei tracimati

La macchina continua a correre, tutto il resto del mondo sta tracimando all’incontrario contro di noi, vola via ai lati, attorno a questo bolide che si apre un varco nella melma di fotoni di luce.

“Eppure io questi posti li conosco, li conoscerò” mi passa per la mente, mentre sto incollato contro lo schienale per la velocità della corsa. “Anche se adesso vengono verso di me all’incontrario, quelli che vedevo prima li vedo dopo, quelli che vedevo dopo li vedo prima, li vedrò.”

Sta venendo anche un suono di sirene, delle grida, dalle nostre spalle, mi pare.

Il Sempio continua a guardare nello specchietto retrovisore, sogghigna.

La macchina vibra forte.

«Ci ha fiutato!» dice il Sempio, senza girare verso di me la sua testa istoriata dai tatuaggi neri.

«Ma perché i vivi ci stanno inseguendo, se siamo vivi?» provo a chiedergli ancora.

«Perché siamo vivi dopo e prima, mentre loro sono vivi prima e dopo, saranno.»

«Ma anche noi adesso siamo vivi prima e dopo!»

«Sì, ma nella vita che c’è dopo, non in quella che c’è prima, ci sarà.»

«Ma allora la vita dov’è, se non viene prima di venire dopo, se non viene dopo di venire prima, se non verrà?»

Non fa in tempo a rispondermi, perché si sente uno sparo.

Il vetro posteriore è esploso, un proiettile è passato sulle nostre teste, si è andato a conficcare nella lamiera sopra il parabrezza, l’ha attraversata da parte a parte emettendo un gemito pneumatico, acuto.

Il Sempio manovra due o tre volte, per non offrire un bersaglio fisso ai nostri inseguitori. La sua mano si muove a scatti sulla corta leva del cambio.

La macchina sbanda sul nastro della strada, sgommando.

La testa del Sempio è adesso tutta puntata in avanti, quasi contro il parabrezza.

Si gira per un istante verso di me.

«Non ti preoccupare» mi dice con un sogghigno. «Ho qui il mio vecchio ferro da stiro!»

Stacca una mano dal volante, piccolo e nero, come quello delle macchine da corsa, se la ficca sotto il maglione, tira fuori dalla cintura dei jeans una pistola dalla canna corta.

La solleva nell’aria, come per farla vedere attraverso il vetro posteriore sfondato a quelli che ci stanno inseguendo.

Si getta fuori con la testa e le spalle dal finestrino abbassato, spara qualche colpo verso di loro, mentre la macchina sbanda ancora più forte, devo afferrare la ruotina del volante per tenerla in strada.

«Hanno paura di venire colpiti. Se la stanno facendo sotto!» dice riprendendo a guidare.

«Ma perché dovrebbero avere paura, se adesso c’è questa tracimazione universale di vita e morte?»

«Perché, se crepano adesso, dopo devono tracimare ancora, devono entrare nella vita che c’è dopo e prima e non in quella che c’è prima e dopo, che c’era, che ci sarà, devono dare la caccia a se stessi dopo invece che prima.»

Il Sempio accelera ancora di più. Le macchine che ci stanno inseguendo devono essersi distanziate. Si sente venire da un po’ più lontano il suono dei loro motori e delle loro grida e dei loro spari.

Stiamo correndo forte, non si vede niente.

«Così va bene...» sospira il Sempio, abbandonandosi sullo schienale.

Rimaniamo per un po’ uno a fianco dell’altro, senza parlare, in questo bolide che sta correndo e che sta tracimando.

«Ma perché ci stanno dando la caccia, se adesso siamo vivi prima?» mi ostino a domandare ancora. «Perché ci daranno la caccia, se saremo morti dopo? E come si fanno a distinguere i tracimati dopo dai tracimati prima? Noi, prima, mentre uscivamo da quella città di confine tra morte e vita, siamo stati fermati a un posto di blocco, eppure ci hanno lasciato passare.»

Il Sempio si gira per un istante dalla mia parte, con la sua testa istoriata che vibra per la velocità della corsa.

«Siete riusciti a passare perché non avevano ancora gli evidenziatori!»

«Che cosa sono gli evidenziatori?»

«Sono nuove armi sperimentali per evidenziare i tracimati dopo. Ti sparano addosso un fascio di molecole tracimate e, invece di ammazzarti, perché sei già tracimato dalla morte, ti evidenziano come tracimato, in attesa delle nuove armi genetiche. Stanno cominciando a distribuire questi evidenziatori alle prime pattuglie scelte che rastrellano il continente dei vivi per snidare le nuove plebi dei tracimati. Anche il cacciatore di tracimati ne ha uno, mentre sta correndo dietro di noi, da solo, nella sua macchina di comando, alla testa delle altre macchine che corrono a freccia dietro di lui lungo queste strade lesionate dal sisma di vita e morte.»

Mi giro verso il Sempio, verso la sua testa fasciata su cui non si distinguono i lineamenti.

«E dopo che ti hanno evidenziato?» provo a chiedergli ancora, riprendendo a fissare il filo irradiante della strada.

«Dopo ti riescono a distinguere dagli altri vivi. Dopo sanno chi colpire, sapranno, con le nuove armi genetiche che stanno inventando e forgiando nei loro laboratori e nelle loro fabbriche e di cui si aspetta da un momento all’altro l’annuncio.»

Rimango in silenzio, perché non si può più parlare, non si può respirare.

Adesso anche il Sempio è muto, con il cranio gettato all’indietro contro il poggiatesta, per vedere da un po’ più in basso la strada che viene contro di noi all’incontrario.

Un secondo dopo, da un punto profondo del cruscotto, una voce comincia improvvisamente a parlare.

Mi giro verso il Sempio.

«È la radio di bordo!» mi dice senza staccare gli occhi dalla strada. «Questa macchina l’ho fregata a loro e poi l’ho riverniciata e truccata.»

Qualcuno sta ripetendo a raffica dei numeri, delle sigle, prima di raschiarsi due o tre volte la gola.

«Siamo collegati con la radio di bordo del capopattuglia!» mi dice ancora il Sempio.

«Ma chi è che ci sta parlando?»

Sogghigna.

«Il cacciatore di tracimati.»

Silenzio.

«Dove credete di andare?» riprende a dire la voce che viene dalla radio di bordo.

Il Sempio allunga la mano verso il cruscotto, afferra il microfono mobile, inserisce il contatto.

«Non sono affari tuoi!» gli risponde, con un sogghigno.

Anche l’altro sta ridendo, dall’altra parte, mi pare.

«Chi credete di essere? Cosa credete di fare?» continua a dire il cacciatore, ridendo.

Si interrompe un istante, si sentono venire dei colpi di tosse grassa, da fumatore.

«Chi credi di essere tu!» gli risponde il Sempio.

«Io sono il cacciatore di morti tracimati!» risponde l’altro, smettendo improvvisamente di ridere.

«Sì, sì, lo so, vai in giro a dare la caccia ai tracimati, intorno a queste città di confine tra vita e morte, ti hanno messo tra le mani un evidenziatore... Ma siamo sicuri che non sei anche tu un tracimato?»

Il Sempio si interrompe un istante, ma non arriva risposta.

«Io ti conosco! Io so chi sei!» gli dice ancora. «Io sono tracimato con te.»

Assoluto silenzio, dall’altra parte.

«Che cosa succede?» sogghigna il Sempio. «Te la stai facendo sotto?»

Nessuna risposta.

«Hai paura che dalle altre macchine della pattuglia sentano quello che sto dicendo?» incalza il Sempio. «Per questo te ne stai da solo nella tua macchina, la tua radio di bordo non è in comunicazione con le altre, non c’è mai un altro sbirro cacciatore di tracimati vicino a te...»

Silenzio.

«Ci siamo solo io e te, sta’ tranquillo! Ci saremo solo io e te, come prima, come dopo.»

Parla con calma, come se niente fosse, con il microfono vicino alla bocca che sogghigna in mezzo al suo volto istoriato, e intanto tiene stretta con l’altra mano la ruotina del volante che vibra forte.

«Tu chi sei?» domanda improvvisamente la voce dalla radio di bordo, dopo un lungo silenzio.

«Sono il Sempio.»

Si sente tossire forte, convulsamente, dall’altra parte.

«Ti stai strangolando?» sghignazza il Sempio. «Stai scatarrando? Stai sputando fuori dal finestrino tutta la tua melma nera di tracimato? Io te l’ho sempre detto: dovresti fumare di meno! Dovresti fumare un po’ meno di quelle sigarette che sequestravi ai contrabbandieri e che rivendevi.»

Si sente imprecare forte, dall’altra parte.

«E adesso che cosa fai?» ghigna il Sempio. «Vuoi che mi fermi? Vuoi che parli? Vuoi che ti strappi quell’arma e che la usi contro di te perché gli altri della pattuglia vedano che sei anche tu un tracimato?»

La voce nel ricevitore continua a scatarrare e a imprecare.

Il Sempio chiude per un istante gli occhi, sorride.

«Di notte mi davi la caccia, di giorno andavamo tutti a mangiare nella stessa trattoria in mezzo ai boschi. Da una parte mangiavano i finanzieri, dall’altra i contrabbandieri. Lo spiazzo in terra battuta che c’era davanti era sempre pieno di macchine che venivano giù da quella discesa e parcheggiavano una vicino all’altra, con i lampeggiatori spenti, le insegne, altre macchine con i sedili che si potevano aprire, coi motori truccati. Io ti guardavo, ogni tanto, ti guarderò, mentre masticavi con furia, e la bocca e le guance ti cascavano dalle parti, come i cani, masticavo anch’io e intanto ti guardavo e ti sorridevo...»

«Sì, ci andavo a mangiare anch’io, in quella trattoria in mezzo alle montagne, ci andrò!» dico all’improvviso girandomi verso il Sempio, che continua a guidare all’impazzata e a tremare. «Quando operavo in quelle zone di confine tra gli Stati dei vivi, quando portavo la rivoluzione nel mondo che viene dopo credendo di portarla in quello che viene prima. Scendevo anch’io lungo quella stessa discesa fra i boschi, parcheggiavo la mia macchinina in mezzo a tutte quelle altre macchine dei contrabbandieri e dei finanzieri, mi sedevo a uno dei tavoli apparecchiati, la ragazza che serviva mi dava una breve lista scarabocchiata con la biro su un foglio di quaderno a quadretti, con una delle sue belle e morbide mani dalle unghie un po’ rosicchiate, mi portava mezzo litro di vino e io cominciavo a bere e a mangiare, e dopo un po’ non sapevo più dov’ero e allora per pochi istanti mi sembrava di essere in qualche posto nel mondo, di non essere più fuori asse, proprio perché non sapevo più dov’ero, se c’ero...»

Si sente ancora la voce nel ricevitore, allarmata.

«E questo chi è? Da dove viene?»

«C’erano intorno a me tutti quei contrabbandieri e quei finanzieri che masticavano e che non si vedevano e io non sapevo dov’ero, se c’ero, se ci sarò...» continuo a dire, senza far caso alla voce che continua a scatarrare e a incalzare dalla radio di bordo. «E poi una notte, dopo un incontro segreto di frontalieri, mentre scendevo da uno di quei tornanti neri tra i boschi, due macchine sono sbucate fuori all’improvviso come dal nulla, una delle due mi ha superato, sgommando, si è messa di traverso, due uomini in divisa mimetica, forse due finanzieri, sono scesi, hanno srotolato attraverso la strada una catena chiodata, sono venuti verso di me stringendo in mano un’altra catena. Sono sbucati anche altri due, dall’altra macchina che si era messa dietro, di traverso anche quella, per chiudermi ogni via di fuga, mi hanno tirato fuori dalla mia macchinina, mi ci hanno buttato contro, in piedi, con le mani alzate, e io intanto pensavo che mi avrebbero massacrato colpendomi con la catena chiodata e poi mi avrebbero buttato giù dallo strapiombo buio che c’era oltre il ciglio della strada, nei boschi neri, e che sarei tracimato così, e che forse non lo stavo soltanto pensando ma stavo tracimando davvero, perché è così che si tracima, senza essere presenti a se stessi nel momento in cui si tracima, e forse sono tracimato proprio così, tracimerò, non mentre camminavo di notte succhiando un tronchetto di liquirizia, non mentre camminavo da solo lungo quel sentiero fuori dal mondo e mi è scoppiato il cuore, non mentre scendevo lungo quella interminabile scala nel quartiere generale dei morti, non mentre mi spostavo nelle strade dei vivi e tutto diventava nero di colpo, non sfracellato contro quel muro che mi si è parato di fronte mentre rovinavo giù con la bicicletta, ma su uno di quei tornanti neri, alle tre di notte, mentre non sapevo dov’ero, se c’ero, se ci sarò...»

«E tu chi saresti?» continua a gridare e a scatarrare la voce. «Sei tracimato prima o sei tracimato dopo?»

Il Sempio mi allunga il microfono.

Me lo porto vicino alla bocca.

C’è una curva stretta. Il Sempio stringe forte il piccolo volante facendolo ruotare con tutte e due le mani, come se volesse strapparlo.

«Che cosa ci fai qui?» continua a incalzare la voce. «Cosa sei venuto a fare in questo continente, nel mondo?»

«Sono venuto a indovinare, a inventare, a fondare» gli dico.

Il Sempio stacca una mano dal volante, si riprende il microfono.

Se lo incolla alla bocca.

«Chi sei tu, piuttosto!» gli grida ancora. «Perché, se sei tracimato, dai la caccia ai tracimati?»

Si sente venire un ansimare forte, dall’altra parte.

«Io vivo braccato...» si lascia andare a dire la voce. «Io mi sto braccando. Io adesso sto dando la caccia a voi ma la sto dando a me stesso. Io mi guardo attorno, in questo mondo appena indovinato, inventato e fondato, mentre corro alla testa di questa pattuglia che mi segue disposta a freccia per rastrellare le strade, con questo evidenziatore a portata di mano sul sedile di fianco, e intanto anch’io non so dove sono, chi sono, sarò...»

«Tu sei un rinnegato!» lo interrompe il Sempio.

«Io sono braccato da questo mondo e sono braccato anche da me stesso» continua a dire la voce, interrompendosi ogni tanto per ansimare e tossire. «Io vivo nel terrore di essere individuato e di essere evidenziato. Per questo ho imbracciato un evidenziatore e sto dando la caccia agli altri tracimati e a me stesso. Io mi sono presentato al comando dei vivi e ho cominciato a gridare, ancora da lontano mentre venivo avanti lungo i loro corridoi tutti cancellati da questa tempesta di fotoni di luce: “Io sono qui, sono arrivato! Io sono addestrato a dare la caccia ai tracimati tra le frontiere, io li posso braccare, snidare! Io li posso evidenziare, se metterete nelle mie mani le nuove armi che sono state forgiate per questa guerra mondiale mai vista prima. Io pattuglierò le strade, passerò lentamente davanti alle porte chiuse, alle saracinesche abbassate, scivolando a passo d’uomo con la mia macchina dai finestrini abbassati, per cogliere il più lieve rumore che verrà dall’interno. Io entrerò con la mia nuova arma nelle case abbandonate e scentrate, girerò per le loro stanze buie, tendendo l’orecchio, per cogliere ogni sospiro proveniente da dietro le porte chiuse, da sotto i tavoli ricoperti dalle pesanti tovaglie che scendono fino a terra, inseguirò i tracimati attraverso le loro stanze nere, correndo con i miei scarponi sui pavimenti inclinati per questo sisma di vita e morte, puntando l’evidenziatore e sparando alla cieca, nel buio, li inseguirò nelle strade, balzando sulla mia macchina quando usciranno allo scoperto e continueranno a correre a perdifiato in questo mondo quasi cancellato dai suoi fotoni in combustione di luce...”. Quelli stavano immobili di fronte a me, mi fissavano. “Okay!” ha detto alla fine uno di loro, il più piccolo di statura, quello vestito meglio. “Ti daremo quell’arma che stiamo ancora sperimentando sui tracimati, adesso che la faglia di vita e morte è sfondata, che è cominciata questa guerra universale mai vista prima.” Così mi sono messo a dare la caccia ai tracimati e a dare la caccia a me stesso. Io li vedo tremare di fonte a me, quando mi guardano mentre avanzo verso di loro imbracciando l’evidenziatore nella luce, nel buio, e intanto sento che anch’io sto tremando, tremerò, perché tutto è spaccato in due, perché anch’io sono spaccato in due, perché mentre sto dando la caccia a loro sto dando la caccia a me stesso...»

«Tu sei un rinnegato!» lo interrompe di nuovo il Sempio. «Ce ne sono tanti altri, di rinnegati, in questo continente, nel mondo!»

Si sente sospirare, dall’altra parte.

«Che cosa avrei rinnegato, se adesso vengo prima? Che cosa rinnegherò se adesso vengo, venivo dopo? Avrei rinnegato quello che ero prima o quello che ero dopo? Mi sarei rinnegato prima o mi sarei rinnegato dopo?»

«Ti sei rinnegato prima e ti sei rinnegato dopo! Ti sei rinnegato sempre! Ti rinnegherai!» ringhia il Sempio, nel microfono che vibra nella sua mano per la concitazione e la corsa.

«Certe volte...» continua a dire la voce che viene dalla radio di bordo «quando mi corico nel mio letto dopo una dura giornata di inseguimenti e di scontri e mi abbandono al sonno, mi capita di sognare che sto braccando qualcuno, ma non capisco chi, lo sto inseguendo, e l’altro scappa, ma non so perché scappa, non so se scappa solo perché io lo sto inseguendo imbracciando un’arma o se io lo inseguo solo perché sta scappando. Corre forte, ma anch’io corro forte. I nostri passi rimbombano nelle strette strade dove lui si è gettato. D’un tratto non lo vedo più, sembra scomparso. Mi guardo attorno, ma non c’è più, non esiste più. “Sarà entrato dentro una di queste porte!” mi dico. “Si sarà buttato dentro appena svoltato l’angolo, nei pochi istanti in cui non potevo vederlo.” Torno indietro, correndo, comincio a spalancare una dopo l’altra le porte, con un calcio, quelle che non sono già spalancate e scentrate. Guardo dentro, faccio qualche passo nelle case buie, giro per le stanze vuote, col mio evidenziatore puntato. Ma sono tutte fredde, deserte, non c’è ancora nessuno tracimato dalla morte che viene prima e che viene dopo, mi pare, perché non si sente neppure un gemito terrorizzato, un respiro, come se ne lasciano sfuggire quelli che se ne stanno acquattati al buio, atterriti, in attesa di venire individuati, evidenziati e snidati. Continuo a camminare per quelle case buie, si sente solo il rumore dei miei scarponi sui pavimenti inclinati. E intanto mi domando: “Io dove sono? Sono ancora nel continente dei morti o sono in quello dei vivi, sarò?”. Entro in un’altra porta, imbocco una scala. Salgo al buio. Mi sembra di cogliere un leggero odore di fumo di sigaretta, nell’aria nera. “L’ho beccato!” mi dico con esultanza. “È su al primo piano! Crede di avercela fatta, crederà di avermi seminato e di essere in salvo, si sarà acceso una sigaretta per distendersi dopo l’enorme tensione, con le dita tremanti, nel buio.” Continuo a salire, senza neanche cercare di non fare rumore con gli scarponi, sollevando sempre più la canna dell’evidenziatore nel buio. “È in trappola!” mi dico. “Lo tengo in pugno!” Sono in cima alla scala, sono già al primo piano. Entro nella prima stanza, poi in quella dopo... Io credevo di trovarlo rintanato in un angolo buio, atterrito. Invece è seduto su una poltrona ricoperta da un lenzuolo bianco, sta fumando la sua sigaretta, tranquillamente, come se mi stesse aspettando, e mi sembra anche di vedere, nel bagliore della brace che si arroventa a ogni boccata, che mi sta guardando e che sta ridendo. “E adesso?” mi dice improvvisamente, mentre sono fermo di fronte a lui, muto, impietrito, perché quell’uomo ha la faccia uguale alla mia, la voce uguale alla mia. “Che cosa facciamo adesso? Come la mettiamo? Sparami pure, se vuoi! Ma dopo che cosa faremo? Che cosa ne sarà di noi due?“»

La macchina sta correndo ancora più forte, per aumentare la distanza dalla pattuglia di evidenziatori che ci sta inseguendo.

Il Sempio non risponde, non dice niente, ascolta corrugando la nera fronte istoriata, stringe i denti.

La voce nella radio di bordo sta continuando a parlare:

«Oppure sogno che sto facendo irruzione in una casa mentre sono all’inseguimento di un altro tracimato... che poi non so neanche se è un tracimato oppure una tracimata, perché sento solo davanti a me un frusciare lieve di vesti in corsa, perché questa volta è giorno, mi pare, c’è tutta questa luce che mangia e cancella il mondo, oppure è notte anche questa volta, ma le strade sono tutte abbagliate, non si distingue la luce che fa il buio da quella che fa la luce. Sono balzato dentro questa casa attraverso una porta piccola, misera, una porticina, però man mano che corro dentro, attraverso le sue stanze e i suoi corridoi e poi le sue nuove stanze e le sue nuove sale, mi sembra che questa casa diventi sempre più luminosa, più grande, i suoi pavimenti più luccicanti, i suoi soffitti più alti, le sue pareti sempre più ricoperte di specchi, quelli che divorano i vivi o quelli che sono divorati dai morti, i suoi lampadari più luccicanti. “Ma dove sono entrato, che casa è questa?” mi dico continuando a correre attraverso le sue sale. “Che prima sembrava una casupola misera e un po’ diroccata e poi, mano a mano che corro attraverso le sue stanze e le sue sale con i miei scarponi da cacciatore e la mia nuova arma evidenziatrice del mondo diventa sempre più luminosa, più grande... Sembra una reggia!” Continuo a correre, perché mi pare di sentire un brusio di voci e un fragore musicale che viene da qualche punto che c’è più avanti. È sempre più vicino, più forte. Faccio ancora qualche passo di corsa, con i miei scarponi da sbirro, stringendo l’impugnatura dell’arma, prima di accorgermi che ho già fatto irruzione in uno spazio infinitamente più grande, in un’enorme sala piena di persone che stanno danzando. Mi fermo di colpo. “Dove sono finito?” mi dico guardandomi attorno con gli occhi sbarrati. “Che mondo è questo?” La musica si interrompe. Le coppie che stavano danzando si fermano tutte insieme, improvvisamente. Adesso le teste e le testoline sono girate verso di me, mi stanno guardando, in silenzio, in questa luce che evidenzia e cancella il mondo. Poi, da quel mare di vesti e di volti immobilizzati, si stacca una donna, una donna giovane vestita con un abito da ballo di velluto rosso, mi pare, che forse era proprio quella stessa persona che stavo inseguendo, e che stava andando di corsa perché era in ritardo, perché doveva arrivare qui, dove era in corso la festa. “Lo vedi?” mi dice venendomi sempre più vicino e sorridendomi con dolcezza con la sua bella bocca. “Noi siamo tutti tracimati, tracimeremo! E questo è il ballo dei tracimati! Ci siamo dati appuntamento qui, in questa grande casa che sembra una reggia, quelli appena tracimati in queste zone di confine tra vita e morte e tra morte e vita. Vuoi unirti anche tu a questo ballo? Vuoi danzare con me in questa grande sala, in questa reggia?” E intanto, mentre mi sorride con dolcezza e mi parla, allunga verso di me le sue candide braccia, le sue morbide mani, per invitarmi, perché io gliele prenda tra le mie e poi l’accompagni in mezzo alle altre coppie immobili in attesa che la musica si sblocchi dall’incanto in cui era caduta e che riprendano le danze. E allora io, e allora io... sollevo l’arma... e allora io la punto verso di me, contro di me, in questo mondo, in questo sogno, e poi comincio a sparare, a sparare...».

La macchina corre all’impazzata. Io sto tremando un po’, sul sedile, sto tremando forte, non solo per la velocità della corsa lungo questa strada che si sta sempre più cancellando mentre il sole tracima sulla linea dell’orizzonte.

«Tu non sei mai entrato là dentro!» gli grida il Sempio. «Tu non ci entrerai neanche in sogno!»

Non si sente più niente, solo il vibrare della macchina che corre all’impazzata su questa strada lesionata dal sisma di vita e morte.

«E io adesso che cosa farò?» riprende a dire e quasi a balbettare la voce nella radio di bordo.

«Lo so io che cosa farai!» gli risponde il Sempio, gridando.

«Perché, se io adesso evidenzio voi, evidenzio anche me stesso. Se io non evidenzio voi, non evidenzio me stesso. Ma se io non evidenzio me stesso non potrò mai andare a quel ballo di tracimati, non potrò mai stringere tra le mie braccia quella meravigliosa ragazza col vestito di velluto rosso che mi sta aspettando e che mi sta tendendo le mani, le braccia...» continua a dire dalla radio di bordo la voce del cacciatore di tracimati.

«Tu non ci evidenzierai e non evidenzierai neanche te stesso!» gli grida il Sempio.

Stringe più forte il volante, come se volesse svellerlo, scala la marcia, si butta dentro una curva, ricomincia a correre, a correre, mentre dietro di noi, dopo un po’, si sente lo stridore delle ruote e dei freni dei nostri inseguitori che hanno dovuto sterzare di colpo.

Il Sempio fissa lo specchietto retrovisore e sorride, nella sua maschera nera istoriata.

Adesso la strada è più veloce ancora, più stretta, viene giù in discesa, quasi a strapiombo.

Le mani del Sempio fanno ruotare da una parte e dall’altra il piccolo volante nero, per accompagnare i tornanti ripidi che appaiono uno dopo l’altro di fronte a noi.

Anch’io sto sorridendo, mi pare, perché ho riconosciuto all’improvviso la strada, perché so che alla fine ci sono quella curva ad angolo retto e quel muro, ci saranno.

Il Sempio accelera ancora di più.

Anche le macchine che ci stanno inseguendo accelerano sempre di più, le loro ruote stridono, sgommano.

Hanno acceso le sirene, vengono giù a strapiombo dietro le nostre spalle.

Siamo alla fine dell’ultimo tratto.

Le mani del Sempio stanno scattando sulla leva del cambio, i suoi piedi su freno e frizione.

La macchina rallenta all’improvviso, si ferma quasi.

Sta disegnando l’ultima curva, sta passando a un millimetro dal muro, lo sta sfiorando.

Il Sempio ingrana di nuovo la marcia, riprende a correre.

Qualche istante dopo si sente un enorme schianto alle nostre spalle.

Le sirene hanno smesso improvvisamente di suonare.

Metto la testa fuori dal finestrino.

Dietro di noi c’è solo un ammasso di macchine fracassate che si accavallano le une sulle altre, contro il muro.

Il Sempio ride, sta ridendo, con la bocca spalancata al centro della sua faccia istoriata e del mondo.