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Che cosa sta succedendo nel mondo

Ma adesso vi devo raccontare quello che sta succedendo in questo momento nel mondo, mentre corro da giorni e giorni su questo furgone non so verso dove, e voi siete da qualche parte, ad ascoltare prima quello che sto raccontando dopo, ad ascoltare dopo quello che sto raccontando prima, racconterò.

Ci stiamo muovendo attraverso città, paesi e zone di confine in mano agli insorti, mentre gli immortali si stanno concentrando nelle grandi città per poi erompere con la massa d’urto delle loro armi e dei loro geni e immortalare il mondo, come proclamano continuamente nei loro bollettini di guerra, che sentiamo con la radio di bordo del furgone, da cui escono di tanto in tanto delle voci esaltate sommerse subito dopo da un finimondo di altre voci e di colpi e di tracimazione di onde sonore e di schianti.

Subito dopo altre grida, altri canti, degli insorti, mi pare, anche dei risorti, che stanno riunendo le loro colonne e stanno convergendo verso le grandi città in mano agli immortali per farle risorgere anche dall’immortalità.

Intorno a noi alberi crivellati e spezzati, case colpite, capovolte, sventrate, stalle bombardate da cui sono fuggite grandi bestie terrorizzate piene di carne e di latte, che stanno vagando su ciò che resta dei prati arati dalle bombe dei morti e dei vivi e degli immortali.

Noi andiamo, corriamo, con questo furgone che continua a tracimare sulle strade bombardate e slittate, tra queste zolle d’asfalto sollevate dalle esplosioni, fermandoci ogni tanto per rubare la benzina dai serbatoi delle macchine abbandonate e sfondate, perché qui dove siamo non ci sono più distributori, sono stati tutti prosciugati o incendiati, oppure per mangiare qualcosa senza pagare, nei negozi presi d’assalto e svaligiati, perché non c’è più valuta che possa valere nel mondo sconvolto da questa tracimazione universale di vita e morte e da questa Terza e ultima guerra mondiale che è sfociata nella guerra e nel sisma dell’immortalità.

Ci sono ogni tanto degli sbandati che vengono a battere le mani e i pugni contro i finestrini del furgone, mentre siamo fermi a mangiare oppure mentre abbiamo già messo in moto e stiamo già correndo lungo le strade cancellate da tutta questa luce che sta divorando il mondo, sbucati chissà da dove, dalla cascine franate, dai fossi, e che non ci chiedono niente, non vogliono niente, ci vogliono solo raccontare quello che sta succedendo, avvolti nelle loro coperte bruciacchiate per difendersi dal freddo, con gli occhi sbarrati, ansimando.

«Sono passati con i carri armati» ci dicono concitatamente, con le lacrime agli occhi. «Sono passati sopra le cascine, hanno preso a cannonate le bestie, ci sono passati sopra con i cingoli sporchi di sangue, e si sentiva il rumore di tutte quelle ossa e di tutta quella carne che si sfracellavano, e si vedevano tutti quegli schizzi di latte che volavano dalle mammelle scoppiate, mentre eravamo nascosti dentro i fossi, le rogge, muti, impietriti, per non farci vedere, perché non potessero snidarci e poi colpirci con le loro nuove armi e rendere anche noi immortali, mentre qualcun altro che invece era stato colpito si stava già inerpicando sui loro carri e sui loro camion, cominciava già a cantare insieme a loro quel canto che non si sente, degli immortali...»

Continuiamo a correre, a correre, su queste strade dove tutti stanno fuggendo come in un turbine. E si vedono passare da lontano le prime colonne unificate dei vivi e dei morti che stanno muovendo verso le grandi città lontane espugnate dagli immortali.

Dappertutto gente che si è perduta, che non si trova più, che si cerca.

Corrono piangendo verso il furgone.

«Lei dov’è? Lui dov’è?» gridano battendo i pugni contro le portiere. «L’avete vista? L’avete visto?»

«Ma lui chi? Ma lei chi?» gli domanda l’uomo, mettendo la testa fuori dal finestrino e gridando.

«Ha gli occhi così! Ha i capelli così!» rispondono le voci che corrono e piangono a fianco del furgone che rallenta un po’ la sua corsa.

«Non lo so se l’ho visto!» risponde l’uomo, gridando. «Ne passano così tanti! Hanno tutti gli occhi così, i capelli così!»

La radio di bordo continua a trasmettere bollettini di guerra dove ognuna delle due parti annuncia le sue vittorie, travolti e cancellati subito dopo da queste onde sonore sismiche che stanno facendo irruzione nelle voci e nei suoni del mondo.

Si sentono fragori di mitragliatrici e di bombe genetiche che cadono giù dal cielo ed esplodono tra i vivi e i morti. Si sentono canti.

Tutta questa parte dell’Italia settentrionale è in mano ai vivi e ai morti insorti, che stanno avanzando verso le grandi città da dove gli immortali compiono rapide sortite dalla terra e dal cielo, irrompendo dalle città con i loro carri armati che corrono a velocità spaventosa travolgendo ogni cosa. Milano è in mano agli immortali, ma si combatte ancora nelle sue strade, sulle barricate sfondate dai carri armati, con le nuove armi genetiche forgiate da una parte e dall’altra. Anche a Venezia si combatte corpo a corpo nelle stradine che rasentano l’acqua e sui ponti, mentre il Canal Grande è solcato dalle motovedette e dalle navi da guerra degli immortali che cannoneggiano i vivi e i morti sfondando case e palazzi, mandano in frantumi le bifore, sollevano enormi colonne d’acqua. Trieste è in mano agli insorti, mentre il resto del Friuli devastato dalle continue scosse di questo sisma di vita e morte e l’intero Trentino sono già in mano agli immortali calati dal centro dell’Europa, dalla Germania, così almeno stanno proclamando nei loro bollettini e stanno cantando nei loro peana, mentre i Paesi scandinavi e quelli dell’Est resistono in mano ai vivi e ai morti e agli insorti, così proclamano invece i bollettini di guerra degli altri, le loro voci e i loro peana cantati in lingue scandinave, slave, che si sentono solo per pochi istanti prima di venire cancellate e travolte da altre voci e da altri canti e da altre lingue. Norvegia, Finlandia, Svezia, il Nord della Danimarca, la Polonia, i tre piccoli Stati baltici sono ancora in mano ai vivi e ai morti insorti, anche parte della Russia, Pietroburgo, ma anche la Crimea, il Caucaso, mentre a Mosca sono in corso violenti combattimenti. Spagna e Portogallo resistono agli immortali. Madrid è ancora libera, la Gran Via e la Porta del Sol sono percorse dai camion su cui sventolano le bandiere e i vessilli dei vivi e dei morti affratellati. E così i Paesi Baschi, l’Andalusia. Le grandi isole italiane sono ancora in mano ai vivi e ai morti, e così Napoli, le zone appenniniche, l’Aquila non è stata piegata da questo sisma di vita e morte e continua a resistere all’orda e al sisma degli immortali, anche il Peloponneso, l’intera Grecia, mentre dalla ex Jugoslavia stanno muovendo le prime colonne degli immortali. Tutto il quadro dell’Europa si sta ridisegnando, anche quello del mondo. Il confine è stato spostato. Non ci sono più nazioni, popoli, Stati, caste economiche e finanziarie che si combattono tra di loro agitando i residui mitici delle religioni, delle ideologie e della tecnica ma solo vivi e morti e immortali che si stanno combattendo nella loro prima e ultima guerra.

Anche i fronti militari si stanno ridisegnando. I comandi dei vivi e dei morti si stanno unificando. I vivi prima e i vivi dopo stanno unendo le loro forze, sono diventati una cosa sola, si stanno formando colonne unificate di vivi e di morti e di risorti e di insorti che stanno resistendo agli attacchi degli immortali e in qualche punto di questo vasto e inconcepibile fronte stanno contrattaccando e sfondando. Si stanno distribuendo dappertutto le nuove armi genetiche sfornate dalle fabbriche che lavorano senza sosta, per far fronte alle nuove armi forgiate degli immortali. Le colonne del tracimatore stanno già conducendo qua e là azioni congiunte con i guerriglieri tracimati che compiono incursioni improvvise contro gli avamposti degli immortali, con le forze rivoluzionarie annidate nelle viscere delle città sottoposte a bombardamento, che hanno lanciato la parola d’ordine di trasformare la guerra tra i vivi dopo e i vivi prima in guerra rivoluzionaria tra la morte e la vita e l’immortalità. Il tracimatore e Lenin si sono incontrati e si sono abbracciati. Il primo sta già camminando con la sua piccola figura e con il suo grembo di donna nei campi di battaglia sconvolti da questa indicibile guerra mai vista prima, dove si vedono uomini, donne e bambini sottoposti a metamorfosi dibattersi al suolo tra la vita e la morte e tra la vita e la morte e l’immortalità, e i primi colpiti dalle armi genetiche degli immortali che fuggono lungo la linea dell’orizzonte del mondo per ricongiungersi alle nuove orde che stanno portando nel mondo il flagello dell’immortalità. Non si sa ancora chi le comanda, non si sa da chi è composto lo Stato Maggiore degli immortali, se c’è uno Stato Maggiore, non si sa chi è il capo degli immortali, il suo nome è tenuto segreto, se poi ha un nome, se ci possono essere dei nomi tra gli immortali, se ci possono essere nomi dove non c’è più distinzione nel giro di vita e morte e c’è solo l’immortalità della vita e l’immortalità della morte.

Anche nel resto del mondo si sta combattendo per la vita e per la morte e per l’immortalità. Si sentono venire dalla radio ondate di voci spezzate e poi subissate gridare e cantare in lingue mai sentite prima, scaturite da gole modificate che emettono suoni musicali o gutturali che sembrano appartenere a nuove specie appena inventate. Si sta combattendo in Asia, nelle sterminate città piene di grattacieli che oscillano per questo sisma, gremite da ogni parte di corpi diversamente sessuati che si cercano e che si chiamano in un finimondo di luci buie e di grida. Chongqing, Tokyo, Shanghai, Shenzhen... Tutte quelle voci e tutte quelle ombre che si cercano fin dentro i gameti e i sogni dei gameti che scorrono nei canali seminali delle città di sperma geneticamente modificate, di fronte all’avanzare degli immortali e dei gameti degli immortali. «Dove sei? Dove sei, mia testolina non ancora inventata, mia gazzella dagli occhi obliqui, mia pancina con dentro il mio seme, mia feritina?» «Io sono qui, sono qui! Anch’io ti sto cercando e ti sto chiamando, la tua timidezza, il tuo fiore!» «Come farò a rendere immortale te, se io non sarò più me, se non sarò prima di me e prima di te?» Continuano a cercarsi, a chiamarsi, anche se non sanno più dove sono, chi sono, se sono mortali o se sono immortali, se ci sono o se non ci sono, se non ci sono più, non ci sono ancora, non ci saranno.

E si sta combattendo anche a Sidney, in Australia, nelle zone centrali di quell’isola immensa dove gli aborigeni sono stati annientati e sono diventati immortali, e adesso avanzano sollevando con le braccia le loro nuove armi mentre corrono a piedi nudi sulle sabbie dei deserti e intanto cantano il loro peana che non si sente con le loro larghe bocche e le loro grandi teste ricciute. Si combatte nelle mille e mille isole dell’Oceania investite dalle correnti seminali e dagli tsunami che spostano il baricentro del mondo. E si sta combattendo nelle grandi città indiane, a Delhi, a Calcutta, con i suoi mendicanti dai corpi e dai volti spinti fino alle estreme possibilità biologiche, con i loro arti filiformi, le loro gengive scoppiate, i loro busti espansi, le loro protuberanze da insetti e i loro accenni di ali ossee. Si combatte a Benares, dove stanno bruciando sulle cataste incendiate i corpi colpiti dalle armi dei morti e dei vivi e navigano sulle correnti del Gange i cadaveri degli immortali. Tutta quella massa oscura che viene dall’antica civiltà di Harappa, verrà, da quella di Jhukar e di Jhungar, e poi ancora dai sultanati di Delhi, dall’impero Moghul, si sta scontrando come le zolle sollevate e rovesciate da un’esplosione o da un sisma. Tutto il tessuto alluvionale delle loro lingue, l’hindi e l’urdu, l’assamese, il bengali, il punjabi, il sindhi, il gujarati, il marathi, il kasmiri, il malayalam, il telugu e tutte le loro mille altre lingue parlate da milioni e milioni di corpi dalle gole modificate e inventate si stanno espandendo e si stanno immobilizzando, perché in questa prima e ultima guerra tra la vita e la morte e l’immortalità anche le lingue dei vivi e dei morti e quelle degli immortali si stanno combattendo fin nelle gelatine seminali dei cervelli e nelle cavità umide delle bocche e dei palati modificati e negli ingressi più bui e più cavernosi dei corpi, perché le lingue dei morti e dei vivi, dei morti e dei vivi prima e dei morti e dei vivi dopo, vengono sconvolte dall’irruzione della lingua immobilizzata degli immortali, tutti i bracci delle correnti linguistiche seminali cominciano a ribollire e a divincolarsi attorno a questo fronte immobile che viene avanti come un corpo estraneo nel continente liquido delle lingue. Perché la lingua degli immortali si immobilizza e immobilizza ogni altra lingua nelle gole e nei corpi di chi viene colpito dalle nuove armi genetiche degli immortali, perché non ci può essere il giro linguistico di vita e morte nella lingua degli immortali, perché se la lingua degli immortali si modificasse non sarebbe più immortale e non sarebbero più immortali quelli che la pronunciano nell’immortalità. La lingua si immobilizza nelle gole degli immortali, i nuovi corpi muovono i colli e le teste e le lingue con gli occhi sbarrati e con le lacrime agli occhi, la prima volta che si sentono in bocca quella lingua immobilizzata. Poi la loro lingua si ferma, si continua a fermare, perché anche le onde sonore non possono continuare a scorrere facendosi largo nell’attrito di altre onde sonore e tra le altre molecole conduttrici di vibrazioni e di suoni e scavarsi il loro cunicolo di vita e morte nell’oceano linguistico seminale del mondo, e allora rallentano improvvisamente nelle gole e nei cervelli di chi è stato reso immortale, si immobilizzano. La nuova lingua e le sue parole non vengono più percepite da chi non è immortale, sono da un’altra parte, non ci sono più, non ci sono ancora, non ci saranno. Per questo, quando cantano i loro peana inalberati sui camion e sulle torrette dei carri armati, la loro voce non si sente, il loro canto non si sente, non si può sentire, non si sentirà, si vedono solo i varchi delle loro bocche che si spalancano e chiudono senza emettere suoni.

E si sta combattendo nelle zone di faglia tra l’Asia e l’Europa e tra l’Asia e l’Africa, nei deserti del Sinai e dell’Arabia, nelle città ricamate che affiorano dalle sabbie, dello Yemen, dell’Oman, in quelle irte di grattacieli di acciaio e di vetro che si innalzano sulle coste degli Emirati, attorno ai pozzi petroliferi, alla luce delle fiamme che ardono nella notte, scaturite da continenti liquidi sprofondati sotto la linea dell’orizzonte e dai loro getti affiorati e incendiati... così almeno gridano con esaltazione molte voci nella radio di bordo, di vivi e morti e immortali, sovrastate subito dopo da altri finimondi di voci e di canti e di schianti. Ma come mai si sentono anche le voci degli immortali, se le loro lingue sono immobilizzate, se le loro parole e i loro peana non si sentono, non si possono sentire se non si è immortali, se voci e suoni si estinguono o non sono più percepibili nell’immortalità? Forse, mi dico continuando a correre attraverso questo mondo sconvolto, si sono create delle figure intermedie tenute nella vita e nella morte dagli immortali, perché possano tradurre in un linguaggio percepibile dai vivi prima e dai vivi dopo le parole e i canti e i bollettini di guerra e di propaganda degli immortali. E c’è anche un’altra zona che si sta espandendo nel fronte delle frequenze, su cui non ci si riesce a sintonizzare, quando l’uomo del furgone gira la manopola ma non si sente niente. Ecco, forse quelle sono le trasmissioni degli immortali che possono essere sentite solo dagli immortali.

E si combatte nelle grandi città arabe piene di folle che stanno invadendo le piazze e che si stanno scontrando con i primi avamposti degli immortali. E si combatte nel Medio Oriente, in Libano, Siria, Israele, nella striscia di Gaza, nelle tendopoli dei profughi palestinesi, in Giordania, però adesso i fronti sono cambiati, non ci sono più arabi contro ebrei e ebrei contro arabi, che si combattono armati del loro sogno mitico, religioso e genetico che viene prima e che viene dopo, verrà, ma ebrei e arabi tracimati nella vita che viene dopo e che viene prima da una parte, ed ebrei e arabi immortali dall’altra. Ebrei e arabi nel giro di vita e morte, quelli che hanno voluto risorgere e quelli che non hanno voluto risorgere, contro ebrei e arabi che si sono ritrovati nell’immortalità della vita e nell’immortalità della morte, che adesso stanno cantando insieme il loro peana che non si sente, inalberati sulle torrette nelle colonne di carri armati che sfrecciano come bolidi da corsa, invisibili dietro le nubi di polvere che si sollevano dai deserti.

E si combatte in Africa, dalle città arabe del Nord, Tripoli, Il Cairo, alle zone desertiche del Sahara percorse da carovane di cammelli lanciati a precipizio giù dalle dune da uomini immortali avvolti in mantelli blu e che imbracciano le loro nuove armi luccicanti nel sole, al Marocco, alla Mauritania, al Mali, al Senegal, alla Guinea, al Ghana, alla Costa d’Avorio, alle favolose regioni degli Ashanti, in tutte le terre percorse da Principessa durante il suo viaggio di traslocazione e di nozze... Ma perché adesso, così, all’improvviso, mi ricordo di tutto questo? Chi ero prima, chi sono adesso, chi sarò? Sì, sì, c’erano quei due, Principessa e il traslocatore, che viaggiavano verso l’Africa nera con quel camion e quella cyclette su cui salivano donne e uomini neri, quando passavano attraverso i territori abitati dalle tribù animiste dei Malinké, dei Senufo, dei Lobi, dei Fanti, degli Yacuba, dei Diola, donne con il cranio rasato e dipinto, guerrieri, e poi quando sono arrivati a Kumasi e tutte quelle strade erano gremite di folla per la cerimonia dell’Akwasidaekese, e il re era uscito dal palazzo reale, uscirà, tra un rumore di corni e di tamburi inalberati sopra le teste, e salivano sulla cyclette dignitari, ballerine, sacerdoti, e si vedevano tutt’intorno i parasole delle regine madri, e poi è apparso sulla sua portantina il sovrano seduto sopra lo scranno che racchiudeva il Sunsun, che racchiuderà, e poi le regine madri hanno cominciato a pedalare sulla cyclette tenendo il parasole con un braccio sollevato sopra le loro teste nere ricoperte di gioielli d’oro, e poi anche il sovrano è salito sulla cyclette e ha cominciato a pedalare sempre più forte, più forte, con i suoi occhiali neri da sole, mulinando sempre più forte le gambe sotto il suo kente colorato, ha sostenuto con la sua grande pedalata africana tutto il peso della vendita di questo pianeta di morti e vivi e di vita e morte che vengono dopo e che vengono prima e di questa transazione epocale mai vista prima tra vita e morte e tra morte e vita, che ha trascinato con sé i turbini dei movimenti finanziari di morte e vita, trascinerà. Chissà se sta pedalando ancora? Chissà se adesso sta pedalando nella vita e nella morte che vengono prima e che vengono dopo o se sta pedalando nell’immortalità?

E stanno combattendo le tribù berbere del Nord, e poi i Bororo, i Fulbe, i Tutsi, gli Hutu, ma non più gli uni contro gli altri nelle loro guerre di sterminio e di genocidio, ma Tutsi e Hutu che sono nella vitamorte da una parte e Tutsi e Hutu immortali dall’altra. E si combatte tra i popoli della Nigeria, lungo il delta del Niger, nel Sudan, in Etiopia, nel Kenia, in Tanzania, in Angola, fino al Mozambico, al Botswana, nella Repubblica Sudafricana, non più tra bianchi e neri ma tra bianchi e neri mortali e bianchi e neri immortali, nella grande isola del Madagascar... Tutta l’Africa è in preda a questa guerra mai vista prima tra una specie che si è alzata solo poche centinaia di migliaia o pochi milioni di anni fa su due sole zampe nel cuore di questo stesso continente e che sta coinvolgendo anche altre specie e altri regni, quello animale e quello vegetale, perché l’onda d’urto dell’immortalità si deve espandere anche all’indietro, non solo in avanti, deve mangiare all’incontrario anche quell’illusione che è stata chiamata evoluzione percorrendo all’incontrario la catena delle generazioni e delle specie che si sono susseguite credendo di essere nella vita che viene prima e invece erano dentro la morte e la vita che vengono dopo e che vengono prima, verranno... Ma come mai adesso mi sembra di capire le cose che non riuscivo a capire prima, come mai adesso riesco a trovare le parole per dirle? In che lingua le sto dicendo? Perché mi si stanno aprendo gli occhi? Ma su che cosa si stanno aprendo i miei occhi, se non si stanno aprendo sulla vita e non si stanno aprendo sulla morte e non si stanno aprendo sull’immortalità?

E si combatte tra i ghiacci che ricoprono i due poli di questo pianeta, in Groenlandia, in Antartide, nelle estreme estancias dalle porte delimitate da vertebre di balena che si affacciano sul canale Beagle, che ho visto anch’io nella Terra del Fuoco, sulle sue isole gremite di pinguini allineati e attoniti e di leoni marini con le loro montagne di carne immobili sugli scogli gelati attorniati dai loro harem, che vedrò, lo stesso canale percorso da Darwin durante il suo viaggio all’incontrario nella massa della vita e della morte del mondo, sulle sue acque nere messe in movimento dalle groppe lucide di mille piccole foche che sembravano copertoni affiorati di camion, su cui incombe la sagoma alta e scura del monte Sarmiento ammantato di neve seminale, mentre venivano dai bordi liquidi le grida dei fuegini ricoperti di pelli puzzolenti appena scuoiate che sollevavano nell’aria fredda e buia le nuove armi lucide degli immortali, solleveranno... Ma quando le ho viste queste cose? Quando le vedrò? Chi ero quando le ho viste, chi sono adesso, chi sarò?

E si combatte nelle Americhe, nelle loro città sovrappopolate di vita e di morte dove adesso ha fatto irruzione la nuova sovrappopolazione dell’immortalità. Si combatte negli anelli di miseria che circondano le megalopoli vive e morte, irte di grattacieli fatiscenti da cui gocciola l’acqua dei condizionatori, nelle favelas piene di baracche di lamiera e di fango ammucchiate a perdita d’occhio sulle pareti inclinate di montagne e vulcani, nei deserti del Nord del Brasile, nelle sue grandi città verticali piene di masse crescenti di tracimati, Rio de Janeiro, San Paolo, si combatte nelle strade di Buenos Aires e in quelle di Montevideo, nella Patagonia deserta e spazzata dal vento e sulle Ande, con quella strada che sale curva dopo curva attraverso il cielo, percorsa da lunghi camion e tir che vengono da enormi distanze e da carri armati da cui si ergono uomini muti e immortali che scrutano l’orizzonte in cerca di vivi e morti sotto le nevi rifrangenti dell’Aconcagua. E si combatte nelle strade morte di Asunción, ai bordi di quelle enormi cascate seminali da cui si levano schiume e vapori attraversati da uccelli neri che si lanciano a capofitto in quelle nebbie ascensionali per carpire i primi gameti degli immortali, nelle stradine di terra scura dove ci sono meravigliose bambine indie ricoperte di farfalle gialle che muovono impercettibilmente le ali sulle loro teste lucenti. Si combatte a Cuba, lungo le strade dell’Avana e sul suo lungomare con gli antichi cannoni spagnoli puntati contro la parte liquida del pianeta, e a Santiago, a Las Villas, a Santa Clara, a Cienfuegos, nelle montagne delle sierras percorse dai primi rastrellamenti degli immortali che salgono in silenzio dal basso, con le loro nuove armi puntate, osservati dal folto degli alberi dagli occhi rotondi e immobili dei camaleonti. E si combatte a Città del Messico, in quella città che un tempo era un lago soprelevato su cui si ergevano piramidi azteche colorate e a gradoni, nelle sue strette e commoventi strade che brulicano come ferite, nelle viscere delle sue metropolitane percorse da ragazzi e ragazze in corsa che imbracciano le nuove armi genetiche di vivi e morti e immortali, con i loro giubbotti di cuoio rovinati e istoriati e le loro scarpe da ginnastica scalcagnate... Ma perché io conosco queste città e questi mondi lontani? Perché adesso ne parlo come se li avessi visti con i miei occhi? Quando li ho visti? Quando li vedrò?

E si combatte negli Stati Uniti, nelle grandi città orizzontali del Sud e in quelle vertiginose dell’Est, nell’Oregon, nel Kansas, nella Georgia, nell’Arizona, in mezzo ai deserti e tra i pinnacoli delle montagne sotterranee emerse, nelle grandi città verticali del Nord, a New York, in quelle dell’Ovest, a Los Angeles, e poi in quella città spaziale di Pasadena... Sì, sì, quella città dove sono arrivato di notte, adesso mi ricordo, mi ricorderò, su quella corriera dove viaggiavo seguendo quelle due donne che stavano sedute alcune file più avanti e che avevano solo gli occhi e la bocca, non avevano il naso, si chiamavano svere, mi pare, e c’era quell’uomo di nome Lazlo che seguiva i miei spostamenti e che mi parlava nel cellulare e che non ho mai incontrato di persona, finora, non so perché, o forse l’ho incontrato, ma non saprei dire dove, lo incontrerò. Ma perché mi spostavo? Che cosa stavo inseguendo, chi stavo cercando? Chiudevo gli occhi, abbandonato sul sedile di quella corriera, e intanto mi dicevo: “Mi aprirò fino al nucleo fluido, segreto e profondo di me stesso, le mie pareti si espanderanno di colpo, andranno in pezzi, come una diga sfondata dall’acqua, uscirò dalla mia prigione, anche tu uscirai dalla tua prigione, ci verremo incontro increati...”. Ma a chi rivolgevo queste parole, a chi le rivolgerò? E poi continuavo a pensare e a pregare, mentre correvo in quella notte nera e si cominciavano a vedere ai lati le masse scure degli istituti di ricerca spaziale e le torri di simulazione: “Oh, che possa arrivare in tempo per aprire di fronte a te la mia essenza, perché tu possa liberare di fronte a me la tua essenza!”. Ma perché dovevo arrivare in tempo? Per fare che cosa? Oh, sì, adesso mi ricordo, mi ricorderò: c’era quella donna imprigionata in un bozzolo di carta stagnola, finita nelle grinfie di quegli incernieratori che la tormentavano e la profanavano in quella reggia tumorale accecata, tra tutti quei fotoni di luce che divoravano i contorni dei corpi e del mondo, e che io dovevo liberare e salvare, fin dall’inizio, da prima, da dopo, che libererò, salverò. Ma che essenza dovevo, dovevamo liberare? E c’era davvero, c’è davvero questa essenza, questa cosa che percepivo come essenza, e che dovevo liberare e che anche lei doveva liberare di fronte a me? E che essenza era, sarà? E poi, può esistere davvero un’essenza? Può un’essenza esistere prima se il prima non è più prima e non è più dopo, se l’essenza non è più dentro l’essenza che viene prima e che viene dopo, verrà?

E poi correvo lungo quelle strade buie con il bozzolo luccicante del suo corpo adagiato sul sedile di fianco, mentre passavano ai lati, di tanto in tanto, grandi self-service illuminati e stazioni di servizio con le pompe di benzina accese nella luce irreale, e intanto mi lasciavo andare a fantasticare, se era poi un fantasticare, mentre i fari dell’auto illuminavano il nastro della strada deserta, che io camminavo tenendole il braccio attorno alle reni, in quella grande casa in cui eravamo stati invitati, in quella reggia, le terrò, e che sentivo sotto le mie dita la consistenza del suo corpo di donna, e che sprofondavo con la mia bocca nella schiuma della sua bocca come appena inaugurata e inventata, tutti e due con le teste girate, compenetrate, nelle zone rarefatte dell’aria, della luce. E che ci addentravamo e ci smarrivamo in quegli spazi che passavano contro gli specchi dove si rifletteva luce e soltanto luce, come se specchi e materia specchiata fossero diventati specchi di luce e luce in luce... Ma dov’era quella reggia, dove sarà? E lei chi era, chi sarà? Perché continuavo a cercarla e a chiamarla, continuerò?

Dove sei? Dove sei? Continuo anche adesso a chiamarla, mentre corro su questo furgone sbucato all’incontrario nel mondo, su cui sono balzato in quella sede piena di rivoluzionari tracimati e di insorti nella vita che viene prima e che viene dopo. Dove sei finita? Perché ogni tanto ti raggiungo e poi di nuovo ti perdo? Perché per trovarti devo passare ogni volta attraverso la vita e la morte e addirittura attraverso la mia stessa vita e la mia stessa morte? Dove ti ho incontrata per la prima volta, dove ti incontrerò? È stato a Ducale? Oppure Ducale è stato dopo? Ma allora come faccio a ricordarmene adesso, se a Ducale non ci sono ancora arrivato? E se è stato dopo, in che dopo è stato, in quello che viene prima o in quello che viene dopo, verrà? Sì, non so dove, non so quando, ma mi sei apparsa per la prima volta a Ducale, anche se ti avevo già vista prima, ti vedrò, e infatti tu mi hai detto: «Non mi riconosci più? Sono la Pesca!», mentre venivi verso di me ancora semiaddormentata e coi capelli arruffati, stringendo gli occhi per difenderti dal riverbero della luce contro il fondo del cortile, dove anch’io avevo camminato dopo essere sceso dalla motocicletta del Nervo, con la mia veste nera che si stagliava contro il bagliore della ghiaia resa accecante dal sole, si staglierà... Ma adesso dove sei, dove sei? Sei ancora là ad aspettarmi o sei da tutt’altra parte? Cosa ti sarà successo, in questa guerra mai vista prima tra vita e morte e immortalità? Che cosa sarai adesso? Dove sarai? Sarai nella vita o sarai nella morte o sarai nell’immortalità? Io sto cominciando a capire molte cose, i miei occhi si stanno aprendo, mi pare, eppure non ho ancora capito chi sei, chi sarai. E non ho neppure capito chi sono anch’io, chi sarò. Dove ti troverò? Come ti troverò? Io spero che tu sia ancora là, ad aspettarmi, come mi hai aspettato la prima volta che non era la prima volta, spero che questa guerra non sia già arrivata fino a Ducale, che gli immortali non siano già entrati nel cortile e nel parco, passando sotto il portone a volta con i loro carri armati che sparano proiettili genetici in grado di colpire ogni cosa, di immortalare ogni cosa, che non abbiano già fatto irruzione nella serra, nella villa, nella casa del custode, nelle scuderie, nella piccionaia, affacciandosi alle bifore con le loro nuove armi lucenti, per scrutare da lassù tutto il parco, e vedere se c’era qualcosa là in basso da rendere immortale, che tu non sia stata colpita, io spero che tu adesso non sia immortale...

«Fermati! Fermati!» grido improvvisamente all’uomo del furgone.

Le ruote slittano, stridono.

«Che cosa succede?» grida l’uomo, girando la testa verso di me, con gli occhi sbarrati.

«Devo andare a Ducale!»

«Ti porto io.»

«No, devo andarci da solo!»