37

Il ballo degli immortali

«Perché io sono immortale prima, sarò!» mi risponde.

Silenzio.

«Perché io sono nell’immortalità che viene prima, non in quella che viene dopo» dice ancora. «Per questo tu adesso mi puoi sentire, mi sentirai.»

«Ma allora io dove sono, dove sarò?»

Non mi risponde, sorride.

«Ma se c’è un’immortalità che viene prima, che immortalità è?» provo a chiedere ancora. «Perché, se il dopo è prima e se il prima è dopo, allora l’immortalità che viene prima dov’è, dove sarà? Che immortalità è?»

Mi guarda, mi sorride ancora.

«Quella che c’è da sempre...»

«Da sempre?»

«E per sempre.»

«Io non capisco... Ma se Dio, il creatore, è la stessa cosa con chi non ha voluto risorgere, se non ha voluto perpetuare con la resurrezione la vita e la morte e l’immortalità della vita e della morte del mondo, allora come può esserci un’immortalità che viene prima di quella che non c’è dopo, non ci sarà, se nell’immortalità non può esserci niente al di fuori dell’immortalità?»

«Te l’ho già detto, io vengo prima, io vengo da una separazione, da una scissione, da una tracimazione e da una ribellione...»

«Sì, ma da una separazione, da una scissione, da una tracimazione da quale Dio? Da quello dei vivi o da quello dei morti?»

«Il Dio dei vivi è il Dio dei morti, il Dio dei morti è il Dio dei vivi. È per questo che io mi sono separato, che non potevo non separarmi da lui. Il Dio dei morti e dei vivi ha venduto il mondo ai morti e ai vivi che hanno comperato prima e dopo quello che era stato venduto dopo e prima, sarà...»

«Sì, io l’ho incontrato, nelle città dei morti, il Dio dei morti e dei vivi... “Vendere e comperare, comperare e vendere...” mi diceva, mentre lì vicino, in quella zona di confine tra morte e vita e tra vita e morte che cominciava a coprirsi di quel velo seminale di neve, oscillava il meraviglioso corpo di quella bambina tracimata e impiccata. “Comperare e vendere la stessa merce creata che si è già venduta, comperare e vendere ed essere nello stesso tempo venditori e acquirenti nell’immortalità. La vita, la morte... dove la vita sarebbe la creazione e la morte la distruzione nell’immortalità della creazione e della distruzione. Ma la distruzione di cosa, se viene prima la creazione? Ma la creazione di cosa, se viene prima la distruzione?” E poi ancora diceva: “Come può essere cominciato qualcosa che possa dirsi creato? E come può, come potrebbe distinguersi questa cosa dall’immortalità della creazione e della distruzione? Come potrebbe lo stato o il moto di creazione distinguersi dall’immortalità dello stato o del moto della distruzione...?”. Ma allora che Dio era quello? Da cosa non ha voluto risorgere, non risorgerà, se era dentro il cortocircuito della creazione e della distruzione create? E tu da quale gesto di separazione e di ribellione sei sorto? Da quale Dio ti sei separato? Tu chi sei, chi sei stato fin dall’inizio, sarai?»

Getta indietro la testa, chiude gli occhi.

«Sei Dio?» gli domando all’improvviso, con la voce che trema.

«Per forza.»

Lo guardo, nel bagliore bombardato del fuoco.

«Ma che Dio sei?»

«Il Dio degli immortali.»

Non dico più niente, non parlo.

Come si fa a parlare ancora?

Restiamo così per molto, seduti uno vicino all’altro, muti, nel raggiare del fuoco che si sta espandendo e che sta divampando ancora di più, arriva fin quasi a lambire i grandi alberi del parco e i muri esterni di questa villa, mentre da sotto di noi, dalla fornace della reggia, sta salendo il crescente fragore di una moltitudine di corpi divorati dai fotoni immortali di luce che sta tendendo verso il proprio culmine.

Vicino a me, il Dio degli immortali tiene ancora gli occhi chiusi, non mi guarda, non parla.

Adesso non trema più, neanch’io adesso tremo più.

Si vede solo il mondo indistinguibile dalla luce e dal fuoco.

Poi, dopo un po’...

«Lo so che cosa stai pensando...» sento che la sua voce mi sta improvvisamente dicendo.

Mi giro a guardarlo, perché non pensavo che avrebbe più potuto parlare.

«Che cosa?» gli chiedo, con emozione.

«Starai pensando: “È questo il destino delle antinomie... Il diavolo e Dio, a forza di combattersi, sono diventati una cosa sola. Ecco, adesso il piccolo cerchio si è chiuso. Il diavolo dei mortali non poteva che rivelarsi alla fine il Dio degli immortali...”.»

Allungo un braccio verso di lui.

«Oh, no...» gli rispondo, con commozione. «Questo lo puoi pensare tu. Io non penso niente.»

Lo abbraccio irresistibilmente, sul tetto di questa reggia al centro dello sterminato anello di fuoco.

Sento che il suo corpo sta ricominciando a tremare forte, a sussultare.

«Cosa c’è? Cosa c’è?» gli domando, a bassa voce, in un soffio.

Anche lui mi abbraccia.

Sento che sta cominciando a piangere.

«Non ce l’ho fatta! Non ce l’ho fatta!» esplode all’improvviso, continuando a piangere, con la testa contro la mia testa, tra le mie braccia.

Lo stringo ancora più forte. Continua a piangere sconsolatamente, tutto il suo corpo immortale è scosso da violenti tremori.

«Che ne sarà adesso di questo mutante, di noi due?» si dispera.

Sulla sua guancia che preme contro la mia le lacrime scendono senza freno, inondano anche la mia testa e il mio volto.

Siamo avvolti tutti e due in un velo di lacrime e fuoco.

«Come farò adesso a separarmi da te?» lo sento mormorare ancora.

E intanto continua a piangere.

Gli accarezzo la testa, la sua antica testa immortale.

Rimaniamo così per molto, finché il suo corpo smette a poco a poco di tremare.

Ha un nuovo sussulto forte, di tanto in tanto, poi più niente.

Mi stacco da lui.

Anche lui si stacca dalle mie braccia.

«Ti porto dalla Musa» mi dice con voce improvvisamente calma, senza guardarmi.

Lo guardo.

«Ti porto per la prima e ultima volta dalla tua Musa» mi dice ancora, «come ho fatto fin dall’inizio, come sto facendo adesso, farò.»

Ci alziamo tutti e due in piedi, contro questa barriera di fuoco.

Facciamo qualche passo uno vicino all’altro, sul tetto, posando i piedi sulle tegole che gemono e che si spostano, fino al varco del lucernario scoperchiato.

Ci infiliamo dentro, cominciamo a scendere lungo la scala a pioli di ferro, e poi lungo la prima scaletta stretta e buia dove si indovina il filo della passatoia rossa su cui bisogna camminare in bilico come su un filo, rasentando il corpo della prima ragazza che ci aspetta da quando siamo saliti, ferma, immobile, silenziosa, e poi lungo una seconda scala più grande, passando a fianco di un’altra meravigliosa ragazza in abito da sera e con le spalle scoperte, profumate, immortali. E poi lungo un’altra scala più grande ancora, uno scalone dove camminiamo uno vicino all’altro su una passatoia su cui sembra di sprofondare tanto è morbida e ampia, in questa luce che sta continuando a divorare e a immortalare ogni cosa e ogni forma. E poi entriamo in una prima porta e in una prima sala cancellata da tutti questi fotoni immortali di luce, e poi in un’altra, in un’altra ancora, camminando contro questa barriera di corpi e di volti e di specchi su cui sta cominciando già a balenare il riflesso della barriera di fiamme che irrompe dai finestroni spalancati di questa reggia.

Siamo arrivati nella sala più grande, dove tutti sono ancora fermi, immobili, nello stesso identico gesto immortalizzato di quando ce ne siamo andati per salire sui tetti dove sono stato sottoposto alla mia ultima e prima prova, in attesa del nostro ritorno e del mio ritorno.

«Stavano tutti aspettando te, solo te» mi sta dicendo il Gatto che adesso è il Dio degli immortali, da qualche punto vicino alla mia testa divorata dalla luce e dal riflesso del fuoco.

C’è anche il volto della Musa, della mia Musa, mi pare, stagliato contro la barriera degli altri corpi e degli altri volti indistinguibili in questa fornace immortale di luce.

«Ecco, te l’ho riportato» il Dio degli immortali sta dicendo alla Musa, alla mia Musa.

Adesso lei sta guardando i suoi occhi, le sue guance ancora bagnate che luccicano in questa combustione e indistinzione di luce e di fuoco.

«L’hai fatto piangere...» sento che sta sussurrando.

Poi si gira verso di me, mentre il Dio degli immortali si allontana in silenzio, scompare, nella fornace di questa villa e nell’immortalità.

Non lo vedo più, dentro la sua luce e i suoi specchi.

«Ecco... adesso dobbiamo dare inizio al ballo» mi sta dicendo la Musa.

«Ma io non so ballare!»

Mi viene ancora più vicino col volto.

«Eppure hai ballato con la Pesca...» mi sorride da infinitamente vicino.

Mi prende all’improvviso le mani, con le sue piccole e morbide mani ricoperte di anelli soffici.

Mi sta conducendo verso il centro di questa sala e di questa reggia.

Intorno a noi sono tutti immobili.

«Lo vedi... stanno aspettando che diamo inizio al ballo.»

Mi giro a guardare, verso questo anello di corpi e di luce che stanno palpitando negli specchi immortali.

«Ma da quanto ci stanno aspettando?» chiedo alla mia Musa, al centro di questa sala.

«Dall’eternità, dall’immortalità.»

Poi, all’improvviso, sento che la mia Musa si sta muovendo, che anch’io mi sto muovendo incernierato al suo corpo, anche se non si capisce perché di colpo ci siamo abbandonati irresistibilmente al movimento della danza e della rotazione del mondo, anche se non si capisce neppure se la musica c’è, ci sarà.

Non stiamo roteando forte, eppure sento che chiudo di tanto in tanto gli occhi, come se mi stessi muovendo e stessi vorticando a velocità vertiginosa incernierato al perno della mia Musa.

«Perché la musica non si sente?» le chiedo d’un tratto, con le palme delle mani contro il velo di carne della sua schiena nuda e delle sue reni, che palpita sotto le mie dita per il movimento dell’intero suo corpo.

«Perché la musica degli immortali non si può sentire» mi risponde, con la bocca vicino alla mia bocca e al mio volto.

«Perché viene dopo?»

«Perché viene prima.»

«Ma che musica è, se viene prima?»

«La musica viene sempre prima, verrà...»

«Ma allora perché sentivo la voce del Gatto che è immortale prima e adesso non sento la musica degli immportali che viene prima?»

«Perché la voce del Gatto viene prima anche della musica degli immortali che viene prima e viene prima anche della sua stessa voce che viene prima.»

Siamo soli, al centro di questa sala e di questa reggia e del mondo.

Tutt’intorno a noi gli immortali ci stanno guardando dalle loro luci e dai loro specchi mentre ruotiamo incernierati, e io non vedo niente, scorgo solo il volto e la bocca della mia Musa che mi sta parlando e sorride, sento sotto i polpastrelli delle mie dita il pulsare leggero della sua muscolatura morbida in movimento sotto il velo della sua pelle profumata e immortale.

Poi, a poco a poco, avverto che intorno a noi altre coppie si stanno staccando dal cerchio e si stanno unendo al ballo, dal movimento della luce e dell’aria spostata.

Adesso siamo al centro di un anello di immortali che stanno danzando intorno a noi con i loro corpi incernierati e coi loro volti divorati da questa musica che non si sente e da questa luce.

«Ma che ballo è questo?» provo a domandare alla Musa.

«Questo è il ballo degli immortali!» mi risponde, e intanto sento che sta cingendo le mie spalle con le sue braccia nude e le sue mani profumate ricoperte di morbida carne.

E allora l’abbraccio più forte anch’io, la stringo tra le mie braccia e tra le mie mani, mentre lei mi guarda con gli occhi socchiusi per la velocità della rotazione, da vicino, da infinitamente vicino, mi guarda, mi sta guardando, mi guarderà.

«Ecco, adesso ci siamo finalmente incontrati...» mi sta sussurrando.

«Ma ci siamo già incontrati nella morte che viene prima, in quella reggia?» le sussurro ancora.

«Ci siamo incontrati in quella reggia perché ci stiamo incontrando per la prima volta adesso in questa reggia degli immortali, perché ci stiamo incontrando nell’immortalità...»

«E poi ancora prima nella vita che viene dopo, quando il Dio degli immortali mi ha portato nella tua casa e tu mi hai accolto sulla porta con le cosce luccicanti di seme immortale, mi accoglierai...»

«E ti ho detto immediatamente, fin dall’inizio, che il nostro passo era diverso, apre nuovi confini, cancella gli orizzonti...»

«E che noi stavamo navigando fin dall’inizio su onde oceaniche lunghe quasi invisibili all’occhio ma dove la minima variazione d’inclinazione del piano d’acqua spostava in avanti enormi masse liquide, dove la spinta era tale che si poteva accelerare solo rallentando e rallentare soltanto accelerando, si potrà...»

«E che ti avrei insegnato a respirare molti respiri come se fossero un solo respiro...»

«E che tu eri la mia puttana orientale, la mia Musa, e che in noi era posto il centro di questa...»

Non mi lascia finire. Mi abbraccia forte, mi accarezza, mi bacia.

«Io ti ho aperto fin dall’inizio il mio corpo, te lo aprirò nell’immortalità. Ti ho accolto nel mio letto nuziale, nella mia fucina, ho aperto di fronte a te le mie braccia appena lavate, la mia bocca profumata piena di saliva lucente, le mie cosce di seta, la mia fica salata. Ti ho sentito penetrare dove sono spaccata, consacrata, mentre i nostri occhi sfavillavano nella penombra, sono rimasta per tutta la notte incernierata al tuo corpo, con gli occhi chiusi, le tette schiacciate sotto il peso del tuo corpo che ancora tremava per l’intensità dell’orgasmo, siamo rimasti per tutta la notte uno contro l’altra, uno dentro l’altra, come due scimmie ispirate. Il mio corpo era un fiore pestato. Ci addormentavamo e ci svegliavamo avvinghiati, le mie dita ancora intrecciate alle tue, ingioiellate, in quell’incontro che aspettavo da tempo, che ha riaperto il tempo, mentre convergevano su di me e su di noi i mille raggi di questa storia impensata...»

Si sente il vento di un numero enorme di corpi in movimento rotatorio che stanno danzando intorno a noi nell’immortalità.

«E poi ti sono venuta incontro correndo fuori nuda e lucente dalla mia reggia nelle città sprofondate dei morti, ti ho potuto abbracciare in quella reggia con tutto il mio corpo di giovane regina morta perché ti sto abbracciando in questa e perché ti sto abbracciando nell’immortalità...»

«Sì, e c’erano tutti quei lampadari che salivano e che scendevano e che si espandevano e pulsavano come cuori, in quella reggia che poggiava su fondamenta che si abbassavano e si sollevavano per il movimento percussivo dei corpi, e io scorgevo in tutta quella luce il biancore delle tue gambe e delle tue cosce su cui colavano strisce di seme lucente, e tu mi dicevi: “Lo vedi? È il tuo seme che esce dal mio corpo e cola lungo le mie cosce e le mie gambe che ti stanno portando attraverso le sale di questa reggia”. E io ti chiedevo: “Ma quando è successo?”. E tu mi dicevi: “È successo da vivi, ma la vita è tutta dentro la morte che viene prima...”. Ma allora, se è successo prima, quando sta succedendo?»

«Nell’immortalità.»

«E poi mi dicevi: “Io ti ispirerò, io ti devo ispirare adesso per averti potuto ispirare prima, io ho inventato e fondato questa reggia che poggia su fondamenta percussive di corpi per poterti incontrare e ispirare prima... In te, per la prima e ultima volta, si percepisce che le cose raccontate vengono prima e dopo il racconto che le potrà mai raccontare...”. Ma perché, se io non sto raccontando nulla, se mi sono separato da chi mi stava raccontando, mi potrà mai raccontare, mi racconterà?»

«Perché la vita e la morte sono tutte dentro l’immortalità che viene prima e che viene dopo, verrà!»

«Ma io non sono neppure dentro l’immortalità!»

Mi sorride, continuando a vorticare insieme a me in questa distesa rotante di corpi, su questo pavimento che sembra inclinarsi da una parte e dall’altra sotto il peso delle coppie che stanno sciamando attraverso questa immensa sala divorata dai fotoni immortali di luce.

Sento, sotto le mie dita che adesso le cingono i fianchi, la consistenza del suo giovane corpo ricoperto di un velo di morbida stoffa.

Però non vedo il suo vestito, le sono così vicino che non lo vedo.

«Ma che vestito hai?» le domando, con la bocca contro il suo volto.

«Non lo vedi?» mi dice sorridendo con la bocca, con gli occhi.

«No, non lo vedo, qui c’è troppa luce.»

Si stacca per qualche istante da me, senza lasciarmi le mani, senza smettere di ruotare, in questa sala inondata dalla luce e dal riflesso del fuoco.

Allarga le braccia.

«Ecco, adesso lo vedi?»

La guardo, la guardo mentre continua a ruotare piano di fronte ai miei occhi, non capisco se il suo meraviglioso vestito da ballo è di colore rosso o se sembra così per il bagliore crescente del fuoco che erompe dai finestroni spalancati di questa reggia circondata da un mare di torce in fiamme.

«Ma è di velluto rosso!» le dico improvvisamente, continuando a guardarla mentre muove di fronte a me il suo giovane corpo immortale.

«Lo sarà» mi risponde, venendomi di nuovo vicino e premendo tutto il suo corpo contro di me.

E allora la bacio irresistibilmente, sulla fronte, sugli occhi, la bacerò.

Ride, socchiudendo la sua bella bocca e gettando indietro con esultanza la testa, e io vedo per un istante la caverna morbida del suo corpo che si sta aprendo di fronte a me.

L’abbraccio forte.

Non parliamo più, non respiriamo più, ci sono solo i nostri due corpi incernierati al centro di questa sala e di questa reggia dove si sta svolgendo il primo e ultimo ballo dell’immortalità.

Non si distinguono gli altri corpi, ma mi sembra di tanto in tanto di percepire la presenza di qualche volto conosciuto che affiora per un istante da questo cataclisma di luce, quando alcune delle coppie che stanno passando così vicino a noi da sfiorarci nell’incontrollabile rotazione ci guardano e ci contemplano con i loro occhi sfavillanti e abbagliati, prima di venire proiettati in altri punti lontani: del Gagà, per il balenare dei suoi capelli gettati all’indietro e lucidi di brillantina, che sta ballando con un mitra a tracolla, mi pare, insieme a una giovane donna che lo sta guardando intensamente negli occhi mentre vorticano incernierati attraverso la sala, dell’Interfaccia che sta ballando insieme al donatore di seme, con la sfera gravida del suo ventre dai contorni divorati da questa esplosione immortale di luce, del ginecologo spastico che sta ballando con una meravigliosa giovane donna spastica, spostando con il loro vorticare tutta questa matassa immortale di fotoni spastici, degli emicranici con le loro teste che pulsano nella luce in preda a tempeste ematiche, scotomi scintillanti, acufeni, degli sbandieratori che muovono intorno a sé folate d’aria e di luce con le loro bandiere muscolari immortali, delle ragazze scartavetrate con i tuorli dei loro corpi immortali che esplodono come soli mentre vorticano nella sala emettendo facole, getti di materiale incendiato, protuberanze esplosive, strati di gas liberato carichi di radiazioni, idrogeno, plasma di ioni e di elettroni, spicole, filamenti di luce, aurore, improvvisi aumenti di splendore, tempeste magnetiche, fughe di elettroni e protoni dai brillamenti...

E c’è anche una coppia di ragazzi che stanno ballando un po’ staccati dagli altri e che si stanno contemplando in silenzio. Hanno gli occhi allungati, mi pare, se non sono questi fotoni e questi pixel della luce e del fuoco che stanno smangiando e divorando i contorni dei loro occhi e del mondo...

«Chi sono quei due ragazzi che ballano un po’ separati e che si guardano senza riuscire a parlare per l’intensità della loro contemplazione?» sento che sto domandando alla Musa.

«Sono Chongquing 3 e Shanghai 5» mi risponde, muovendo la sua bocca calda contro il mio volto.

«Ma perché si guardano soltanto, perché non parlano?»

«Perché sono muti, saranno.»

Li guardo ancora, guardo i loro due giovani corpi che si contemplano incernierati.

«Sì, quelli che si cercavano e che non si trovavano...» sto mormorando ancora alla Musa, con la bocca contro la massa dolce della sua testa scontornata in questo finimondo immortale di luce. «Quelli che continuavano a domandarsi: “Come farò a renderti immortale? Come farò a rendere immortale me per rendere immortale te, mia gazzella dagli occhi obliqui, mia pancina con la ferita, mio fiore?”. Che si continuavano a cercare all’incontrario, all’indietro... Che sono saliti insieme su quell’aereo che li ha portati in quella lontana città seminale sprofondata tra le montagne nere, che non si riconoscevano perché non si erano ancora incontrati, non si incontreranno...»

«Sì, si sono resi immortali, si sono finalmente incontrati nell’immortalità...»

Li guardo un’ultima volta, una prima volta, mentre passano vicino a noi vorticando in silenzio.

«E io mi guardavo attorno...» ricomincio a sussurrare alla Musa. «Camminando abbracciato a te, in quella reggia sprofondata nelle viscere percussive del continente dei morti. I pavimenti oscillavano, le scalinate salivano e si inabissavano sulle voragini delle scale, le colonie dei lampadari precipitavano e poi risalivano, le loro corolle di luce si espandevano sulle nostre teste come incendi neri nel buio...»

«E io ti dicevo con dolcezza: “Tu non sai ancora niente...”.»

«E poi ci siamo gettati insieme dentro quel fiume seminale formato da tutto il seme eiaculato per la prima volta nel continente dei morti, scaturito a fiotti da quello smisurato frantoio percussivo di corpi, e io sentivo quei piccoli sassi duri che mi colpivano il volto da tutte le parti, che sembravano sassi ma che erano invece le miriadi di gameti che divincolavano i loro flagelli in quelle dense acque fosforescenti, e che poi ho incontrato nella mia grande casa buia che c’era prima e che c’era dopo, mentre rotolavano come biglie a ogni inclinazione dei pavimenti provocata dal sisma di vita e morte, e poi mentre ardevano crivellando come pixel il palpitante cielo di questa città in fiamme e magnetizzando e increando lo spazio, e allora ti chiedevo, ti chiederò: “Che gameti sono questi? Che fiume è questo?”. E tu mi rispondevi ancora con infinita dolcezza, con la testa e con la bocca fasciate da quei flutti seminali fosforescenti: “Tu non sai ancora niente, non saprai...”.»

Si sente crepitare forte, da fuori, e non è la luce, non è solo la luce, è anche il fuoco di quel mare crescente di torce che sta avvolgendo e che sta magnetizzando e increando anche questa reggia immortale.

«E tu proprio allora mi hai detto, mentre nuotavamo in quel fiume di gameti che precipitavano verso le ultime cascate e la grande città seminale inabissata dei morti, che il Gatto era risorto, che era risorto nell’immortalità, e che lo avrei incontrato ancora perché lo avevo già incontrato, lo incontrerò. E allora lui mi dirà che il cerchio si è chiuso, si chiuderà, che si chiuderà nell’immortalità, che adesso era il Dio degli immortali, lo era sempre stato, sarà.»

«E poi ti ho portato attraverso quel fiume seminale e quelle cascate e quei cieli fino al punto in cui hai visto balenare di nuovo al culmine di quel vortice ascensionale di morti il bagliore increato della tua sposa.»

«Tu mi accompagni sempre dalla mia sposa...»

«Lo sto facendo anche adesso, lo farò.»

«Ma perché?»

Mi guarda con infinita dolcezza, mi sorride continuando a vorticare incernierata a me in questa reggia, e io sento solo la carezza impalpabile delle sue ciglia passarmi sulla bocca, sul volto.

«E perché, a un certo punto, mi lasci sempre?» le domando ancora.

Non mi risponde, mi continua a guardare con dolcezza e a baciare.

«Perché, almeno questa volta, non resti con me, perché non vieni con me?»

«Perché io sono nell’immortalità» mi risponde senza smettere di baciarmi. «Perché io non posso uscire dal cerchio della vita e della morte e dell’immortalità. Perché io sono solo la Musa, la tua Musa. Perché la Musa può essere solo dentro la morte e dentro la vita, quelle che vengono dopo e quelle che vengono prima nell’immortalità, che verranno. Perché la Musa può essere solo immortale, perché io posso accompagnarti solo attraverso la morte e la vita e fino al termine dell’immortalità della vita e della morte del mondo. Perché io posso solo forgiarti e consegnarti ogni volta alla tua sposa. Ma, come prima sei passato attraverso la morte e attraverso la vita, così adesso sei dovuto passare anche attraverso l’immortalità...»

La guardo, la guardo, la guarderò.

Non capisco se ci stiamo ancora muovendo o se adesso siamo fermi.

«Come farò a separarmi da te? Come farò a lasciarti?» domando io, questa volta, senza staccare gli occhi dal bagliore del suo volto divorato dalla luce immortale.

Poi, all’improvviso, sento che tutto il mio corpo è attraversato da un brivido che lo sta scuotendo da parte a parte.

Adesso sono io che piango.

Anche il resto della sala è fermo, tutta la reggia è ferma.

Sento solo le sue morbide mani che mi stanno accarezzando il volto tutto bagnato di lacrime.

«Eppure ti stai già separando da me» mi dice continuando ad accarezzarmi e a baciarmi, «come ti sei separato da me dopo la notte che abbiamo passato insieme, prima di attraversare il mondo e di gettarti con il tuo lanciafiamme in quella reggia tumorale dei vivi dentro la morte, per liberare quella donna avvolta nella carta stagnola che non sapevi ancora chi era, come ti sei separato dalla tua regina che ti aspettava nella reggia sprofondata nelle viscere del continente dei morti... Ecco, io mi fermo qui, io adesso ti posso solo abbracciare e baciare per l’ultima e per la prima volta dentro questa reggia divorata dalla luce e circondata dal fuoco...»