«Dove stiamo andando?» mi giro a domandare alla torcia che mi sta correndo a fianco.
Non mi risponde.
«Dove mi state portando?»
Non mi risponde. Brucia.
«Dove mi state scortando?»
«Ti stiamo scortando alla reggia!» mi risponde, mi grida.
«Quale reggia?»
«Lo vedrai.»
«Ma non ci sono già stato?»
Non mi risponde.
Si sente solo il suono della combustione e della tracimazione di questo mondo e di questo universo in fiamme.
Si vede solo venire avanti verso di noi la sagoma di Villa Reale illuminata e intatta in mezzo a tutta questa devastazione.
Adesso sono fermo di fronte alla reggia, su questa ghiaia in fiamme.
Giro la testa verso la scalinata.
C’è un signore elegantemente vestito, là in cima, che mi sta invitando cerimoniosamente a salire.
Lo guardo, nel bagliore di queste fiamme che stanno facendo palpitare la facciata della reggia e del mondo.
“Ma è lo stesso signore di quella volta che sono arrivato qui abbracciato alla Meringa!” mi accorgo improvvisamente. “Camminando su quel velo seminale di neve, tra le luci nere di quella città che non si vedeva, tra la massa oscura della folla che si lacerava silenziosamente al nostro passaggio, e lei si stringeva con una mano il golfino attorno al collo per il freddo, e io non vedevo niente, vedevo solo la nuvola del suo fiato attorno alla sua bella bocca che respirava, vedrò... E poi di quell’altra volta che sono arrivato qui mentre era in corso il ballo degli immortali, e anche allora mi invitava cerimoniosamente a salire, perché ero io l’invitato che stavano tutti aspettando, perché non ci sarebbe stato nessun ballo degli immortali se io non acconsentivo a entrare. E c’era anche quella ragazza in abito da sera che mi accompagnava verso una grande sala che si indovinava in fondo alla fuga delle altre sale, e camminavamo uno vicino all’altra attraverso due ali di invitati che ci guardavano passare con emozione, con i loro occhi divorati da tutta quella luce immortale, fino alla mia Musa immortale...”
«Sei finalmente arrivato!» sento che sta esclamando il signore elegantemente vestito, da lontano, dall’alto.
E intanto viene giù sorridendo, lungo questa scala che sembra allungarsi sempre più man mano che scende verso di me con le braccia allargate in segno di accoglienza.
“Com’è lunga questa scala!” mi dico girando la testa verso l’alto. “Allora non mi sembrava così lunga.”
Mi guardo attorno, immobile, in questo mondo mai visto.
Anche il mare di torce si sta fermando alle mie spalle. Arriva fin quasi a lambire i contorni in pieno fuoco di questa reggia.
È così sterminato che si sente il suo crepitare venire da infinitamente lontano, come se stesse bruciando il mondo.
“E poi, alla fine di quelle fughe di corridoi e di sale, in quella grande sala dove tutti gli invitati stavano fermi in attesa contro gli specchi, in quella luce che divorava la luce, sotto le corolle di quei lampadari che si allargavano come esplosioni, c’era ad aspettarmi la mia Musa immortale, con le sue mani profumate piene di piccoli anelli, la sua bella bocca che mi accarezzava il volto e che mi baciava, il suo vestito di velluto rosso...”
«Vieni, vieni...» mi sta dicendo, da un po’ meno lontano la voce del signore elegantemente vestito, mentre continua a scendere verso di me sorridendo.
Metto il piede sul primo gradino, comincio a salire, a salire, a salire.
“Com’è lunga questa scalinata!” mi dico ancora. “Anche l’altra volta era lunga, quando sono arrivato fin qui camminando attraverso la città dei vivi dentro la morte, e poi l’altra volta ancora, quando ci sono arrivato spostandomi nella città distrutta dopo essermi separato da me stesso, in quell’aria crivellata di gameti che ardevano, in preda ai batteri increati della visione... ma non lunga come adesso!”
Il signore elegantemente vestito è sempre più vicino.
«Dove sono?» gli chiedo, quando vedo il suo volto di fronte a me.
Non mi risponde, non mi può rispondere per l’emozione.
Mi guarda, con gli occhi resi sfavillanti dal bagliore del fuoco, facendosi da parte per lasciarmi passare.
C’è anche adesso la ragazza in abito da sera, in cima alla scalinata, di fronte alla grande porta a vetri a due ante spalancata.
Adesso la vedo perfettamente di fronte ai miei occhi, vedo le sue spalle profumate, i suoi fianchi, le sue lunghe braccia. I loro contorni non sono divorati dai fotoni della luce e del mondo.
«Ma che luce è questa?» le chiedo.
Mi sorride soltanto.
«Che luce è questa, che non divora i contorni delle cose e non divora la luce?» le domando ancora, senza staccare gli occhi dai suoi occhi.
Allunga un braccio, distende le dita della sua bella mano, facendomi cenno di entrare.
Faccio i primi passi all’interno della reggia.
Vedo di fronte a me la grande sala al termine di una fuga di altre sale su cui si espandono a macchia d’olio le corolle dei lampadari, una lontana folla di corpi e di volti in piena luce, tutti girati verso di me, ad aspettarmi.
“Chissà perché adesso si vede ogni cosa?” mi domando continuando a camminare verso la sala tra due ali di invitati fermi lungo le pareti dei corridoi. “Chissà perché adesso è tutto così evidente di fronte ai miei occhi, non c’è più quella luce che rendeva indistinguibile e che divorava ogni cosa, non si capiva se era la luce che non faceva vedere la luce o se la luce non era dove c’era la luce...”
Continuiamo a camminare uno vicino all’altra verso la grande sala sul fondo.
“E anche questo corridoio non mi sembrava così lungo... e le sale attraversate così grandi, e anche questa reggia non mi sembrava così sterminata, quando ci sono entrato la prima volta nella vita dentro la morte, e poi quando ci sono entrato durante il ballo degli immortali. Perché mi sembra ogni volta più grande? E adesso quando ci sto entrando, se non ci sto entrando dentro la vita e dentro la morte e non ci sto entrando neppure dentro l’immortalità?”
«Che reggia è questa?» domando alla ragazza che cammina silenziosamente al mio fianco, con il suo giovane corpo che fa un tutt’uno con la luce senza venire divorato dalla luce. «Dove sto entrando?»
«Tu adesso sei nella reggia degli increati» mi risponde girando la testa verso di me e sorridendo. «Tu adesso stai entrando nell’increato.»
Non so su quale piano stiamo camminando, perché non si sente il rumore dei nostri passi.
«Come sono morbidi questi tappeti!» le dico irresistibilmente.
«Non ci sono tappeti» mi risponde sorridendo.
«E allora che cosa c’è?»
Continuiamo a camminare verso la grande sala sul fondo, verso la sua corolla di volti e i suoi specchi.
«E che specchi sono questi, che non sono divorati dalla luce e non stanno divorando i volti e la luce?»
«Qui non ci sono specchi.»
Mi giro improvvisamente verso di lei.
Mi stringe leggermente la mano, intrecciando le sue morbide dita alle mie.
«E perché là fuori c’è solo guerra, devastazione, e qui dentro invece è tutto intatto, la luce non divora le forme, niente trema?» le domando ancora.
«Perché quello che sta succedendo là fuori è solo ciò che vedono gli immortali attraverso gli occhi dei morti e dei vivi, è solo ciò che vedono i morti e i vivi attraverso gli occhi degli immortali.»
Non capisco che cosa sta succedendo alle nostre spalle, sento venire un suono crescente di combustione, uno scricchiolare di forme e di mondi.
«Che cosa sta succedendo dietro di noi?» chiedo alla ragazza che mi cammina a fianco, senza girarmi.
«Stanno entrando le torce...»
«Ma non bruceranno la reggia?»
«No, non la bruceranno, perché questa reggia è increata.»
Continuiamo a camminare verso la sala grande, che si avvicina sempre più eppure continua a essere infinitamente lontana.
Sento venire da dietro le mie spalle il crepitare del fiume di torce che sta avanzando dietro di me lungo il corridoio e poi attraverso le prime piccole sale e poi attraverso altre sale sempre più grandi, o che io sto trascinando come uno strascico mentre mi avvicino al centro pulsante di questa reggia.
“Questa volta mi stanno scortando fin dentro la reggia...” mi dico continuando a spostarmi alla testa di questo fiume di fuoco. “Sarà un avamposto che si è staccato dall’oceano delle altre torce rimaste immobili a perdita d’occhio tutt’intorno alla reggia, saranno salite lungo quell’interminabile scalinata, e poi avranno imboccato questo corridoio che sembra senza fine, e adesso mi staranno scortando fino a quella grande sala dove mi staranno aspettando per dare inizio al ballo degli increati... Non come l’altra volta che si sono fermate all’esterno, quando sono entrato da solo e ho cominciato a camminare verso la sala grande dove gli immortali mi stavano aspettando per dare inizio al ballo dell’immortalità, e al centro della sala e di quell’anello divorato di corpi e di volti e di specchi c’era la Musa, la mia Musa, da cui mi sono separato piangendo, e poi, a un certo punto, è apparso il Gatto sotto le vesti del Dio degli immortali, o il Dio degli immortali sotto le vesti del Gatto, e siamo usciti dalla sala, siamo saliti sul tetto di questa reggia, e poi lui ha cominciato a tentarmi, là in alto, in mezzo a quel mare di torce, ha cominciato a tentarmi con l’immortalità, non si capiva se mi tentava con l’immortalità fingendo di tentarmi con l’increazione o se mi tentava con l’increazione fingendo di tentarmi con l’immortalità... Ma quando è successo tutto questo? E dov’ero io allora? Dove sono adesso?”
La sala grande è sempre più vicina, la sua porta si espande.
Viene dal suo interno una luce che non sta divorando le forme.
Adesso sto varcando la porta.
Faccio ancora un passo in avanti, nella sala pullulante di corpi e di volti che mi stanno aspettando.
Mi fermo, mi devo fermare.
Sta venendo verso di me, tenendo gli occhi socchiusi, con tutto lo splendore del suo giovane corpo, lentamente, lentissimamente, staccandosi dal resto della corolla di corpi e di volti che mi stanno contemplando da ogni parte di questa grande sala piena di lampadari e di luce, una meravigliosa ragazza in abito da sposa da cui erompono le belle spalle e le lunghe e morbide braccia che si stanno allargando e tendendo verso di me.
«Ma tu sei la Pesca!»
«Finalmente!» mi sussurra, con esultanza.
Non riesco a muovere un passo, non riesco a parlare.
«Vieni, vieni...» mi sta sussurrando da sempre più vicino la mia sposa.
E allora riprendo a muovermi anch’io, mentre lei continua a muoversi verso di me con le sue belle braccia allargate e con il suo volto dai lunghi occhi socchiusi e dalla bocca che mi sta sussurrando qualcosa a fior di labbra, e continuiamo a spostarci tutti e due l’uno verso l’altra perché anche questa sala, come la gradinata all’esterno della reggia e come il corridoio, sembra espandersi sempre più.
Il suo volto è sempre più vicino, più bello.
La nuvola bianca del suo vestito è sempre più vicina, più profumata, più grande.
Ecco, adesso siamo uno di fronte all’altra, lei con il suo abito da sposa, io alla testa del mio fiume di fuoco.
«Finalmente ci incontriamo!» sento che mi sta sussurrando ancora.
La guardo, anche se è così bella che non so se la sto vedendo.
«Ma noi non ci siamo già incontrati a Ducale?» provo a dire. «Non ci siamo già incontrati nella vita che viene dopo, e poi in quella che viene prima, e poi nel continente dei morti e poi in quello dei vivi?»
«No, noi ci stiamo incontrando per la prima volta adesso nell’increato.»
«Ma tu allora chi eri?»
Mi abbraccia le spalle, mi viene più vicino con la bocca, col volto.
«Io mi sono presentata a te sotto le vesti di quella ragazza che scendeva la scaletta quando sei arrivato a Ducale, e non capivi su quale gradino si sarebbe posato ogni volta il suo piede, che si cotonava i capelli davanti a quel piccolo specchio appeso alla casetta dei fagiani, che ha ballato con te dentro la grotta, con il suo vestito d’organza e con la sua pelle che trasaliva sotto la pressione delle tue dita, e tu non capivi mai dove stavano guardando i suoi occhi, uno sembrava sempre guardare verso la vita e la morte create e l’altro verso l’increato...»
«E che nuotava con me capovolta dentro quel lettone, sotto quel tetto sfondato da cui si vedevano ruotare le costellazioni, che mi cambiava la fasciatura attorno al pene circonciso facendoci cadere sopra goccioline d’acqua e di saliva lucente, che si aggirava per il parco con quella zampa rossa di gatto che all’inizio non capivo mai dov’era perché si spostava continuamente, una volta appariva in mezzo alla nuvola dei capelli cotonati come una grande molletta, altre volte sopra una spalla come un alamaro, altre ancora come una fibbia su una delle scarpette basse che si allargavano e si richiudevano a ogni passo, altre volte attorno a una delle caviglie o come uno spropositato bottone che teneva uniti due lembi della camicetta o della sottana, oppure che ti pendeva tra i seni o da una catenina legata più volte attorno alla vita, quando ruotavo attorno al parco su quella bicicletta senza freni, e non sapevo dov’eri finita, ti inseguivo attraverso il parco nel bagliore della massa in fiamme, finché mi sei apparsa davanti all’imbocco della grotta e hai sollevato improvvisamente la gonna nel lontano bagliore del fuoco per farmi vedere dov’era...»
Si sente crepitare forte.
Dietro di noi il fiume di fuoco sta continuando a entrare, sempre nuove torce si stanno allargando a corolla tutt’intorno alla sala.
«Ecco, lo vedi» mi dice la mia sposa, venendo contro di me con tutto il suo giovane corpo e con la sua morbida bocca. «Adesso siamo tutti e due dentro la stessa fiamma.»
«Sì, sì!» le rispondo, stringendo irresistibilmente tra le mie braccia il suo corpo e la nuvola del suo vestito da sposa. «Io mi sono sempre avvicinato a questo, fin dall’inizio, quando sognavo di rovesciare su se stessa la fiamma delle candele che ardevano sull’altare, e poi quella della massa di Ducale incendiata dal Nervo che ci lanciava sopra getti di benzina dalla tanica per farla divampare sempre di più, e io sognavo di entrarci dentro con tutto me stesso...»
«No, non lo stavi sognando allora, sta succedendo adesso...»
«Quando facevo i miei giochi dell’eternità...»
«No, no...» mi sussurra ancora, premendo contro di me tutto il suo giovane corpo, i suoi seni che erompono dalla nuvola del suo vestito da sposa. «Non erano dell’eternità, erano già allora d’increazione... Noi adesso siamo dentro la fiamma dell’increazione.»
«E poi quando ti ho incontrata in quella casa cantoniera dove era in corso una festa, e ho ballato anche allora con te, e poi siamo usciti insieme su quel balconcino mentre stava passando l’aliante... Ma allora che festa era quella? Che ballo era quello?»
Mi passa una mano sugli occhi, mi accarezza il volto.
«Quello che stiamo ballando adesso...» mi sussurra sorridendo, da così infinitamente vicino che non la vedo.
E infatti mi sembra che i nostri corpi si stiano già muovendo, che la nuvola del suo vestito da sposa si stia muovendo tutt’intorno a me, che noi stiamo già ballando abbracciati, al centro di questa sala e di questo fuoco.
«E poi ancora nel continente dei morti nella morte che viene prima...» continuo a sussurrarle muovendomi insieme a lei in questo anello crepitante di torce in fiamme «quando mi hai aspettato in abito da sposa all’arrivo dell’ascensore, e poi quando mi hai fotografato venendomi contro con il tuo corpo e con la tua luce, e poi quando mi sei apparsa di nuovo in abito da sposa mentre correvo nelle città emerse dei morti incernierato a Lazzaro che aveva voluto risorgere e a quello che non aveva voluto risorgere, alla testa dei risorti e poi di quelli che non volevano risorgere nella vita dentro la morte, e poi nelle città inabissate dei morti, quando mi hai indicato la strada nell’intercapedine tra due cieli, e poi quando sono ritornato a Ducale nella vita che viene dopo e che viene prima, e il paese era raso al suolo dai bombardamenti genetici degli immortali, la piccola piazza e le vie sbriciolate, la giostrina sfondata, e anche la villa e il parco erano devastati, la casetta dei fagiani sollevata da un’esplosione e ricaduta giù capovolta, la voliera squarciata, la vasca ricoperta di terra, la grotta franata, l’albero borchiato spezzato da parte a parte e precipitato, i viali scardinati, camminavo lungo il muro di cinta calpestando pezzi di cielo scagliati, mentre tu mi stavi aspettando nella tua casa, dentro il mastello di legno pieno d’acqua insaponata e di sangue, alla fine di quella scaletta slittata, nel punto d’origine di quel fiume di bolle che vagavano lungo i viali continuando a scaturire dal tuo corpo sverginato da me e che poi ho sverginato ancora dentro la villa perché lo avevo già sverginato prima, e quando ti sei sfilata di fronte a me dal giovane corpo nudo quell’abito da sposa ancora imbastito, in quel pomeriggio in cui il parco era vuoto, non c’era nessuno oltre a noi nella villa, nel mondo...»
«Non l’ho indossato per la prima volta allora, lo sto indossando per la prima volta adesso...» mi sussurra continuando a muovere la nuvola del suo corpo vicino al mio corpo al centro di questa sala e di questo fuoco.
«E allora mi hai detto improvvisamente, in un soffio, sfilandoti di fronte a me il vestito da sposa e rimanendo in piedi con tutto il fulgore del tuo giovane corpo...»
«Ti piaccio?» mi sussurra per la prima volta adesso.
Le cerco il volto con la bocca, le accarezzo il collo, le spalle, l’attaccatura dei seni di seta che emergono dalla nube del suo vestito.
«Accarezzali...» mi sussurra continuando a baciarmi.
Non riesco a parlare.
Avverto solo che altre coppie si sono staccate dai bordi, da dove ci stavano contemplando, che hanno cominciato a ballare tutt’intorno a noi in questa grande sala circondata da un anello di corpi in fiamme.
«E poi, a un certo punto mi hai detto...» riesco di nuovo a sussurrare, con la bocca contro la sua bocca e la sua saliva di luce «“Entra nella mia reggia!” E allora sono entrato...»
«Non ci sei entrato allora, ci sei entrato adesso...»
«... e allora sentivo che stavo sprofondando con tutto me stesso dentro le porte della tua reggia, e che tu spalancavi sempre nuove porte e sempre nuove sale e che accendevi sempre nuove luci per me, e io intanto mi dicevo, da qualche parte: “Ma io ci sono già stato in questa reggia! Che reggia è questa? E che luci sono queste, che adesso mi sembra di vedere e di distinguere ogni cosa come dentro un velo di luce che non divora la luce?”.»
«È la reggia dove sei adesso, è la tua reggia!» sento che la sua bocca mi sta sussurrando, da qualche parte.
«... Su quel materasso liberato dai calcinacci e buttato sul pavimento, in quella villa crollata, e tu mi sussurravi continuando a baciarmi in tutto quell’infinito buio e ad amarmi: “Tu non sai ancora niente...”.»
«E mi sono presentata ancora sotto le vesti della Meringa, che ti ha preso per mano e ha cominciato a camminare con te sopra quel velo seminale di neve, fino alla porta di questa reggia dove tutti ci stavano già da allora aspettando per dare inizio alla festa, che ti ha portato per la prima volta dentro le sue sale e dentro le sue luci, dove siamo entrati allora perché ci siamo dentro adesso, e te l’ha fatta di nuovo balenare quella notte a Dresda, mentre eri affacciato alla spalletta dell’Elba che correva opaca e compatta verso il mare, e c’era freddo, e c’era vento e tu guardavi in basso verso l’acqua che rovinava e ti domandavi chissà perché c’era sempre quello strano vento dove correvano i fiumi, come se l’aria e l’acqua fluissero tutte e due insieme dentro lo stesso letto, e intanto, nella tua mente, in quella che credevi essere la tua mente, continuavi a ricordare e a fantasticare il nostro arrivo in quella reggia, in questa reggia, ma non era immaginazione, visione, anche se tu lo credevi, anche se non sapevi ancora cos’era, non sapevi ancora niente... E poi mentre fuggivi da Pasadena con il mio carico avvolto nella carta stagnola che continuava a respirare e a brillare sul sedile di fianco, mentre i fari della macchina illuminavano il nastro buio della strada diritta e deserta, e intanto fantasticavi, credevi di fantasticare, che ci stavamo muovendo dentro questa reggia, in questi spazi dove c’era luce e soltanto luce, e che tu mi stavi tenendo il braccio attorno alla vita, alle reni, e che io premevo la schiuma della mia bocca contro l’apertura della tua bocca, in quelle zone allontanate, aeree, che entravamo uno dentro l’altra nelle cavità calde dei nostri corpi con il muscolo d’acqua delle lingue profumate e increate, nelle zone rarefatte dell’aria, della luce...»
Tutto l’involucro della sala è avvolto dalle fiamme. Mi sembra che sempre nuove coppie stiano ballando intorno a noi in questa combustione di torce e di mondo.
«E poi sono venuta a te sotto le vesti di quella meravigliosa bambina che ti ha portato l’amore e che si è impiccata, e poi in certe apparizioni fulminee confuse in mezzo a quel fiume di corpi profanati e increati, in certe voci improvvise spinte fino al canto che scaturivano da caverne siderali di corpi resi trasparenti dalle irruzioni di luce, e poi in quella voce che interrogava ostinatamente il Dio degli immortali sotto le vesti di Benno, in quella sede oscurata...» mi sta continuando a sussurrare la mia sposa, con la cavità calda della sua bocca contro la mia bocca. «E poi in tante altre forme e in tante altre voci che si sono rivelate e che si sono levate e che sono tracimate, che tu non hai neppure riconosciuto ma che ti hanno accompagnato nel buio e che ti hanno guidato durante tutto questo sterminato viaggio e questa fuga nell’increato, quando non sapevi ancora niente, non potevi sapere...»
«Sì, sì, io ricordo la mia ebbrezza mentre ero vicino a quella sconosciuta, una notte, di fronte al mare in fiamme...» mi viene in mente non so perché, all’improvviso, con la bocca dentro la sua bella testa e il suo volto caldo.
Non mi risponde, muove tutta la sua bocca e il suo corpo contro la mia bocca che sta sussurrando dentro la sua bocca mentre continuiamo a ruotare al centro di questa sala e di questa reggia in fiamme.
«Ma perché siamo come imprigionati in corpi sempre diversi?» le sussurro ancora. «Prima nella vita che viene dopo, poi nella morte che viene prima, poi nella tracimazione dalla vita e dalla morte che vengono prima e che vengono dopo...»
«Perché l’increazione sta magnetizzando ogni cosa e ogni forma, perché noi due siamo il magnete stesso dell’increazione...»
«Ma perché ci perdiamo e ci ritroviamo continuamente?»
«Adesso non ci ritroveremo più, non ci perderemo più!»
Stringo forte la nuvola del suo vestito da sposa e del suo corpo caldo, in questa sala dalla volta in fiamme.
«Ma che cos’era allora quella massa che divampava, a Ducale?» sento che la mia bocca le sta chiedendo da qualche parte. «Quella dove sapevo e sentivo che sarei potuto entrare dopo avere individuato il suo callo igneo e rovesciato l’una sull’altra le tre diverse sezioni del fuoco, e poi sarei potuto restarci dentro tranquillamente come sotto la volta di questa reggia in fiamme...?»
«Ci sei dentro adesso, ci siamo dentro adesso...» sento che la sua voce mi sta dicendo.
Passa sui nostri volti accostati al centro di uno sterminato anello in movimento di corpi questo vento di combustione e di increazione.
E allora, irresistibilmente, le domando ancora, le domando sempre: «Tu chi sei?».
Mi sorride.
«Sono l’increata.»
L’accarezzo, sulle spalle, sul volto, sugli occhi, sulla schiena calda che emerge nuda dalla nuvola bianca del suo vestito.
Poi, per un po’, solo il movimento dei nostri due corpi abbracciati in questa reggia increata e in fiamme.
Non mi guardo attorno, non riesco a vedere mentre sono abbracciato alla mia sposa che mi accarezza e mi bacia, eppure mi sembra che sempre nuove coppie si stiano unendo al ballo, staccandosi una dopo l’altra dal fondale di fuoco che circonda la sala, mi sembra che alcuni volti ci stiano venendo di tanto in tanto vicini, che ci guardino e che ci contemplino per un istante con i loro occhi resi scintillanti dal bagliore del fuoco prima di finire infinitamente lontano nel loro movimento di rotazione e di increazione.
«Ma che cosa eravamo prima?» chiedo ancora, irresistibilmente, alla mia sposa. «Com’è possibile che prima eravamo dentro la morte e dentro la vita e dentro l’immortalità della morte e vita e che adesso siamo nell’increato? Ci si può increare?»
«Ci si può solo increare...»
«Ma come si fa a essere increati se non si è già increati? E perché?»
«Perché l’increazione può manifestarsi al di fuori di sé solo magnetizzando e increando ogni cosa e ogni forma, solo come tensione verso l’increazione, come movimento che non è il contrario della creazione e della distruzione, non come stato o quiete. Perché all’interno del piccolo cerchio di vita e morte create l’increazione si può rivelare solo come l’improvviso aprirsi di possibilità inimmaginate che si manifestano in questo movimento increato. Perché si può vedere ciò in cui siamo immersi solo nell’istante in cui viene increato, in cui viene magnetizzato dall’increato. Perché, alle soglie di questo balzo che donne e uomini umani riescono a percepire solo come di specie, l’immortalità non è nessun balzo, è solo la permanenza dell’impossibilità di questo balzo. Perché tutta la massa di morte e vita non sta tendendo verso l’immortalità ma verso l’increazione.»
«Ma perché, se sono increati, i nostri due corpi sono attratti così irresistibilmente l’uno dall’altro? Perché io adesso sento con tale emozione la presenza del tuo corpo contro il mio corpo, della tua bocca contro la mia bocca e il mio volto? Perché, se siamo increati?»
«Perché non lo si potrebbe manifestare in altro modo attraverso il residuo delle parole che credono ancora di intendere i vivi e i morti e gli immortali dentro il cerchio di vita e morte create, che non sanno di essere dentro il movimento magnetizzato che si sta dislocando verso il punto di fuga dell’increato. Perché anche chi era già apparso creato si sta increando, sta liberando una forza di increazione che è qualcosa di infinitamente diverso da quella di creazione e di distruzione, di distruzione della creazione e di creazione della distruzione...»
«Sì, ecco allora dov’eri quando ti vedevo in quello specchio inclinato che inclinava il mondo, a Ducale, ecco dove stava portando quella scaletta dai gradini che non si capiva mai se scendevano o se salivano sotto i tuoi piedi, ecco che cos’erano quelle braci di sigarette che palpitavano qua e là magnetizzando lo spazio buio del parco, ecco dove è andata a finire, dov’era già allora quella coppia che nessuno riusciva a trovare alla fine del ballo, anche se l’avevano cercata in tanti battendo ogni viale e ogni siepe, anche il Nervo a cavallo della sua moto, ecco dov’era diretto quel viaggio a... su quell’aereo che passava da un emisfero all’altro e da un cielo all’altro, e sembrava sempre di scorgere qualche lontanissima stella al termine del cielo che restituiva la sua massa allo spazio increato, segni di contrazione di precedenti universi o il formarsi di nuove sfere infuocate di idrogeno ed elio prima di una contrazione successiva nello sconfinato spazio increato, ecco chi era quell’investitore che ha increato uno dopo l’altro tutte quelle apparizioni e quelle figure intraviste e quei popoli che non ci sono, nelle strade buie di quella città dei vivi, di notte, e che ha increato anche me, ecco dove stavano guardando gli occhi di quella meravigliosa ragazza che mi è venuta incontro fin dall’inizio...»
Mi guarda, mi sorride con la bocca, con gli occhi, increata.
La stringo ancora più forte, sollevo irresistibilmente il suo corpo da terra, con le mie braccia, continuando a ruotare insieme a lei, come quando si balla con la propria sposa in una reggia in fiamme.
«Ma allora sei tu che mi stai increando fin dall’inizio?» le domando all’improvviso, continuando a tenerla sollevata nell’aria, nella luce, nel fuoco.
Mi sorride soltanto.
Mi viene contro con la testa, col volto, dall’alto.
«No, sei tu che stai increando me!» mi sussurra, con la sua bella bocca alta sulla mia testa, senza smettere di sorridermi e di accarezzarmi con le sue calde mani la fronte e gli occhi.
La poso di nuovo a terra, sento che i suoi piedi stanno ricominciando a muoversi sul pavimento, che tutto il mio corpo è di nuovo abbracciato al perno del suo giovane corpo increato.
Adesso l’intera sala è in fiamme. Sta venendo anche dalle altre sale un suono di combustione e di increazione.
«Guarda...» mi sussurra lei.
E allora guardo, guardo in questo mare di fiamme immobilizzate e increate.
Sempre nuovi corpi abbracciati e nuovi volti accostati stanno palpitando tutt’intorno a noi in questa sala e in questa reggia accarezzata dal fuoco.
Li vedo sbalzare per un istante e poi scomparire.
«Ma quello non è l’investitore?» provo a dire, con la bocca contro gli occhi della mia sposa sotto il velo delle palpebre chiuse. «Sta ballando con la ragazza dalle sole gengive, mi pare, e lui le tiene le sue grandi mani intorno alla vita, una ruga profonda gli attraversa la fronte mentre la guarda, la guarda, infinitamente concentrato, assorto, adesso che ha portato a termine la sua missione, o che la sta cominciando adesso, e anche lei lo sta guardando negli occhi, gli sorride con la sua giovane bocca increata nella quale non è mai iniziata la dentizione, le mucose delle gengive prive di alveoli che si aprono e si chiudono solo per lui dentro la schiuma di carne delle sue dolci labbra inumidite dalla gelatina della sua saliva lucente, e gli va incontro all’improvviso col volto, lo bacia spingendo dentro la sua bocca la massa molle e forte della sua lingua che si muove liberamente senza incontrare la barriera dei denti... E quello è il suonatore di prepuzio che sta ballando con la donna amputata, che si muove abbracciata a lui con i suoi arti rigenerati in questa guaina di luce increata... E quello è l’uomo che pesta le merde, mi pare, sta tenendo sollevata tra le sue braccia la ragazza con il morbillo che si è tenuta pronta fin dall’inizio per questa festa e per questo ballo, vanno a lambire con le loro due teste proiettate e accostate la volta di fuoco di questa sala... E quello è il padre celestino, che sta ruotando da solo, con le braccia allargate, e intanto mi guarda con gli occhi socchiusi e mi sorride sconfinatamente nell’increato... E quello è l’uomo che incendia le spore che sta ballando con la sua dama bambina, che sta guardando il suo piccolo volto tutto fasciato dall’utero di questa luce increata mentre lei sta vedendo il mondo accendersi sempre più dietro il velo di lacrime che scendono dai suoi occhi, sta contemplando con gli occhi bendati di luce il suo piccolo volto dimenticato reso trasparente dalla sua luce dentro l’aureola amniotica della luce... E quello è il colonnello dei piumanti che sta ballando con la donna dalla testa espansa che si sta espandendo sempre più nella culla di questo nuovo spazio increato... E quelle sono le ragazze scartavetrate, con i tuorli dei loro corpi che esplodono come soli nell’increato... Ma non erano al ballo degli immortali?»
«Adesso sono qui...» mi risponde la mia sposa, in un soffio.
«E ci sono anche due ragazzi che stanno ballando un po’ staccati dagli altri, non si capisce se si stanno contemplando in silenzio o se stanno silenziosamente parlando. Hanno gli occhi allungati, mi pare, se non sono i riflessi di questo fuoco che ha avvolto da ogni parte lo scrigno di questa reggia increata... Ma non erano anche loro al ballo degli immortali?»
La mia sposa mi passa la punta delle dita sopra le labbra.
«Non lo vedi che ogni cosa si sta increando di fronte ai tuoi occhi?»
Sento, mentre ci passano per qualche istante vicino, che uno sta sussurrando all’altra: «Ce la faremo?». E che l’altra risponde, a fior di labbra o in silenzio: «A fare cosa?». «A increarci...» «Non lo vedi che siamo increati...?» gli risponde la ragazza andandogli ancora più vicino.
«Ma non erano muti?» domando anch’io, alla mia sposa.
«Adesso che sono increati non hanno neanche bisogno di essere muti per potersi contemplare e parlare senza parlare...»
L’intera reggia sta ardendo. Viene da qualche parte un suono di fuoco e di luce che non si consuma. Tutte le pareti, i soffitti, le volte, i corridoi, le ringhiere e le scalinate sono fasciati da questo immenso fuoco immobilizzato e increato.
Ci devono essere molte altre sale incendiate, in questa reggia, perché si sente venire un suono di mondi fatti vorticare e increare.
Ecco, adesso la mia sposa mi ha preso improvvisamente la mano, se la sta posando sul ventre.
La guardo.
Sento sotto le mie dita il velo del suo vestito che si distende sul suo giovane corpo caldo.
Anche lei mi guarda, mi guarda.
Non so cosa sta succedendo, non capisco niente...
«Che cosa c’è?» le sussurro.
Mi ha preso la mano anche con l’altra mano, se la sta premendo dolcemente sul ventre.
«Sono piena di te...» mi sussurra.
Non vedo più niente, non capisco niente.
Tutta la sala sta continuando a vorticare e a increare, tra le sue pareti e sotto la sua volta di fuoco.
«Ma quando è successo?»
«A Ducale, su quel materasso buttato sul pavimento, in quella villa demolita dagli immortali...»
«Ma quando è successo?» le domando ancora, perché non ho sentito la sua risposta, perché non capisco niente...
«A Ducale, in quel pomeriggio in cui non c’era in giro nessuno nella villa e nel parco, dopo che mi sono tolta di fronte a te il vestito da sposa... È successo dopo perché era successo prima, è successo prima perché era successo dopo, perché sta succedendo adesso...»
Continuiamo a ruotare, al centro di questa sala e di questa fiamma, ma adesso più lentamente, mi pare. Sento il mio corpo emozionato e increato premere contro il suo giovane corpo ingravidato da me in questa reggia in fiamme.
La sto baciando sugli occhi chiusi.
«Ma come fai a essere incinta di me, se sei increata?» provo a sussurrarle ancora.
«Perché sono incinta di te, l’increato.»
Sento contro il mio corpo il palpitare del suo giovane corpo increato che si sta muovendo sempre più lentamente al centro di questa sala e di questo che si è potuto manifestare solo come il ballo degli increati attraverso il residuo di uno dei mille linguaggi creati, mentre ogni cosa stava fuggendo magnetizzata verso il punto di fuga dell’increato.
«Ma io allora dove sono? Chi sono?» provo ancora a sussurrare. «Sono qui o sono dentro il tuo giovane e caldo ventre increato? Sono il concepitore o sono il concepito? Sono il concepito o sono l’inconcepito? Sono l’increatore o sono l’increato?»
Non mi risponde, non mi può rispondere perché ha ripreso ad accarezzarmi e a baciarmi, mentre stiamo ruotando sempre più piano sul perno dei nostri corpi increati o forse siamo già fermi. Anche tutto il resto della sala si sta muovendo sempre più piano, sempre più piano, mi pare, forse si sta fermando, perché non si sente più quel vento di combustione spostato dalle vesti e dai corpi, adesso sento solo il fragore muto del fuoco che ha avviluppato tutta la reggia, sento solo l’alito profumato e caldo della sua bocca che mi sta continuando a baciare nell’increato.
«Ma allora ero io che attraversavo da parte a parte quel bambino di luce al termine del caos del mondo creato, al suo inizio...?» provo a sussurrarle ancora, come si può sussurrare con una giovane bocca premuta contro la bocca. «Oppure io ero proprio quel bambino di luce che veniva attraversato da parte a parte da me?»
Non mi risponde, mi sorride, mi bacia.
«Lo ero allora o lo sono adesso? Sto entrando adesso nel bambino di luce inconcepito e increato per uscire all’incontrario dall’altra parte prima di entrarci? Sto diventando adesso una cosa sola con lui proprio mentre sto diventando due cose o sto diventando adesso due cose proprio mentre sto diventando una cosa sola con lui...?»
Come si fa a parlare e nello stesso tempo a baciare e a increare?
Adesso tutta la sala è ferma, tutto il fuoco è fermo.
E poi ci siamo noi che ci prendiamo improvvisamente per mano e che ce ne andiamo.
E poi ci siamo noi che ci trasciniamo dietro tutto questo fiume di corpi increati e di volti, e anche tutto il fiume di torce che si staccano dalle pareti in fiamme e che cominciano a seguirci attraverso la sala grande e poi lungo il corridoio e poi attraverso le altre sale e poi giù dalla interminabile scalinata, tutto il fiume di torce e poi tutti i muri in fiamme della reggia e poi tutta questa reggia di fuoco che si sta scomponendo dietro di noi e che si sta trasformando in uno strascico di fuoco che si allunga sempre di più alle nostre spalle.
E poi ci siamo noi che usciamo nel parco in fiamme e che continuiamo ad andare tenendoci per mano verso il cancello spalancato e disegnato dal fuoco, e che sentiamo fremere sotto i nostri passi come da un’inconcepibile lontananza la ghiaia resa morbida e trasparente dal calore e dal fulgore di questo incendio, e che arriviamo al termine della scia fosforescente del viale, e che attraversiamo il cancello incandescente radiografato dal fuoco, e che usciamo in strada, e anche qui è tutto immobile, in fiamme, tutta la via è disegnata da due file di torce che ci stanno aspettando ai lati della strada, alle finestre dei palazzi in fiamme, sui tetti.
Tutta via Palestro è in fiamme. Di fronte a noi anche i grandi alberi dei giardini di Porta Venezia sono in fiamme, anche la sagoma del Museo è scoperchiata e incendiata, i suoi grandi scheletri preistorici fossili disegnati dal fuoco sono allo scoperto. Anche la cupola del Planetario sta ardendo nell’increato.
E poi ci siamo noi che continuiamo a camminare uno vicino all’altra, io con il mio corpo magro e increato, lei con la nuvola del suo vestito da sposa.
E poi ci siamo noi che continuiamo a tenerci per mano alla testa di questo strascico di città in fiamme che si sta srotolando sempre di più alle nostre spalle.
Mi guardo intorno con infinito stupore, in questo mondo intatto e in fiamme.
«Dove sono finite le macerie, i crateri?» le chiedo girandomi verso il suo volto reso trasparente dal bagliore del fuoco. «Dov’è finita tutta quella distruzione portata nel mondo dagli immortali?»
«La distruzione è solo quello che vedono gli immortali» mi risponde girando verso di me il suo meraviglioso volto accarezzato dal fuoco. «La distruzione è solo la morte e la vita che si riconfigurano nell’immortalità della vita e della morte create. Adesso lo sai: nel mondo non sta avvenendo una distruzione, sta avvenendo un’increazione.»