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Il creatore

«Sia la luce!» ho detto all’inizio.

E la luce fu.

E io mi sono preso in faccia una scarica di 300.000 chilometri al secondo di fotoni di luce che hanno cominciato a tormentare, a sfigurare, a bruciare, a evidenziare e a inventare e a creare i contorni e le linee di contenimento del mondo.

E le prime parvenze hanno cominciato a pullulare nelle sconnessioni, nelle nervature e nelle membrane attraversate da parte a parte dal flagello della luce creata. E i batteri a irrompere nelle fasce abrasive delle prime atmosfere elettriche. E le prime indefinibili forme a precisarsi nelle infusioni messe in creazione dall’incessante tormento chimico che fa palpitare il mondo. E le prime forme vegetali e animali a riprodursi e a sbranarsi muovendosi sulla linea dell’orizzonte appena inventato, e io le vedevo e non le vedevo, perché non ci sono occhi che possano nello stesso tempo vedere e creare.

E poi il primo uomo. Io là, che impasto con del fango una forma e una specie nuova, come raccontano quelli che hanno immaginato la creazione sostenendo di essere stati ispirati da me...

Non li ho ispirati? Ma sì, sì, diciamo che li ho ispirati. Per forza che li ho ispirati!

Ma allora... tutti quei batteri e quei microrganismi primordiali che pullulavano ciechi dentro lo stesso fango alle prese con il loro tormento chimico in quel residuo di materia creata e che poi si trovano improvvisamente dentro un altro organismo infinitamente più grande che prende vita e che prende morte?

«Dove siamo? Chi siamo?» si saranno detti, mentre venivano proiettati all’interno di questo avatar verso un nuovo orizzonte di specie.

E poi io e lui, il creatore e il primo uomo creato, uno di fronte all’altro, per la prima e ultima volta. Ma vi rendete conto! Lui tremava... O forse ero io che tremavo. “Che cosa ho fatto, che cosa ho fatto?” mi dicevo. E intanto intorno a noi c’era quel nuovo mondo creato, e si potevano ancora sentire – tanto faceva ancora un tutt’uno con lo shock della creazione – l’immenso e disperato fragore e gli stridori e le grida elettriche e chimiche di tutti quei microrganismi che si riposizionavano e si rigenetizzavano dentro altri organismi e altri corpi in preda alla creazione.

E io guardavo quell’uomo che vagava solo nel mondo, lo guardavo ma non so se lo vedevo, lo guardavo proprio perché non lo vedevo. «Sono solo, sono solo» sentivo che mi diceva. «Perché mi hai creato così solo?» «Anch’io sono solo» gli rispondevo. «Che cosa credi? Tu sei solo, ma sono io il più solo.»

Sì, sono io il più solo. È il creatore il più solo. Perché, proiettando fuori di sé la sua solitudine nel movimento e nel gesto dell’invenzione e della creazione, ha creato e ha duplicato anche la sua solitudine, ha creato anche lo specchio della sua solitudine.

Lo guardavo, come riesco a guardare io, senza vedere. Lo guardavo così mentre si muoveva in quel nuovo mondo creato, senza riconoscere la sua forma perché anch’io non l’avevo mai vista prima. “Che forma gli ho dato?” mi dicevo. “Da dove l’ho tratta? Ho duplicato la mia stessa forma come dentro uno specchio? Oppure l’ho tratta dalla mia mente? Ma come ho fatto a trarla dalla mia mente se non so neppure se ho una mente, se ho dovuto creare anche la mia mente per poter creare le creazioni della mia mente? E poi, se ho una mente, dov’è questa mente, cos’è?”

«Sono solo, sono solo!» continuava a gridarmi il primo uomo, nell’immensità di quei nuovi spazi tormentati e creati.

E allora, perché l’uomo era solo, perché l’uomo che vedevo dentro il mio specchio era così disperatamente solo, ho creato per lui un’altra forma umana speculare e opposta che potesse compensare la sua solitudine con la sua simmetrica solitudine: la donna.

Ma poi... l’ho creata per lui o l’ho creata per me, perché anch’io ero solo, perché ero io il più solo?

Ma poi... ho creato prima l’uomo in quella forma perché mi è venuto così o l’ho creato così perché avevo già in mente come sarebbe stata la donna?

Chi può dire...

Però adesso la donna c’era. C’era, anche se non la vedevo.

La guardavo, la guardavo ma non la vedevo. «Dove sei? Dove sei?» le dicevo, quando l’ho percepita per la prima volta di fronte a me, perché la vedevo e non la vedevo, ascoltavo le sue parole ma non le sentivo.

«Sono qui» mi diceva. «Non mi vedi?»

Io guardavo, guardavo, ma non la vedevo.

«No, non ti vedo. Non lo so se ti vedo.»

«Allora perché mi hai creata, se non mi vedi?» sentivo e non sentivo la sua voce che mi chiedeva.

«Ma poi... non lo so se davvero non ti vedo» le dicevo. «Perché non lo so se è questo il vedere. Perché è la prima volta che vedo e non so ancora come si fa a vedere.»

Sentivo vicino a me, in questo nuovo mondo creato, il suo intenso profumo.

«Ma allora perché hai creato il mio specchio, se non puoi vederlo e non puoi vederci dentro te stesso?» la sua nuova voce mi domandava.

«Io non sapevo quello che facevo. Io non credevo, creando te, di avere creato il mio specchio.»

«E perché neppure io posso vedermi dentro il tuo specchio mentre tu guardi te stesso dentro il mio specchio? Perché non posso vedere te mentre ti stai vedendo dentro il mio specchio nel momento in cui io mi vedo dentro il tuo specchio? Perché i nostri specchi non possono specchiarsi l’uno dentro l’altro per la prima e ultima volta?»

Non le rispondevo, non potevo risponderle.

Però continuavo a guardarla, a guardarla, anche se non so se la vedevo.

«Allora, se non mi vedi, prova almeno a toccarmi» ho sentito che mi stava dicendo, con la sua voce appena inventata.

Ho allungato una mano, ho provato a toccarla.

Era in piedi di fronte a me: grande, morbida, bella.

Il suo nuovo corpo emanava calore.

«Da dove viene questo calore?» le ho chiesto.

«Da me.»

«Sì, ma da dove?»

«Da qualcosa che c’è dentro di me.»

«Sì, ma che cos’è questa cosa che c’è dentro di te?»

«Se non lo sai tu, che mi hai creata!»

«Eppure non lo so» le ho risposto.

Ho cominciato a muovere la mano sopra il suo nuovo corpo che emanava calore, ad accarezzarla.

«Che cos’è questa cosa morbida che si apre sotto le mie dita?»

«È la mia bocca, sono le mie labbra.»

«E cosa sono queste superfici umide e rilucenti circondate da sottili aculei morbidi che fremono sotto la punta delle mie dita?»

«Sono le mie ciglia, i miei occhi. È con quelli che ti sto vedendo»

«Perché, tu mi stai vedendo? Mi puoi vedere?»

«Non lo so se ti vedo, perché anch’io non so ancora come si fa a vedere. Ma, se questo è vedere, allora io ti sto vedendo per la prima e ultima volta in questo mondo appena creato.»

Continuavo a guardare quelle superfici umide e rilucenti che non sapevo io stesso da quale voragine erano emerse, con cui lei diceva di vedere il mondo e addirittura di vedere anche me, che non credevo, che non sapevo mi si potesse vedere. Continuavo a guardare i suoi meravigliosi occhi con non so che cosa, perché non so se ho anch’io quelle superfici umide e rilucenti con cui si può vedere il mondo senza vederlo.

Ho ripreso ad accarezzare il suo nuovo corpo appena creato.

«E questa massa morbida e profumata in cui posso affondare le dita?» le ho chiesto.

«È il manto dei miei capelli.»

«E queste cose turgide e nuove che sembrano palpitare sotto la mia mano?»

«È il mio petto, sono i miei seni.»

«Ma di che sostanza sono fatti?»

«Non lo so, perché è la prima volta che so di averli, è la prima volta che qualcuno me li accarezza.»

«E questi che cosa sono, che sporgono e si inturgidiscono appena li sfioro con le dita? Eppure, nello stesso tempo, rimangono così infinitamente morbidi...»

«Sono i miei capezzoli.»

«I capezzoli? Che cosa sono?»

«Ma come fai a non saperlo, se sei tu che li hai creati?»

«E che cos’è questa cosa aperta e nuda ricoperta appena da un morbido vello, che ti fa sussultare così appena la sfioro?»

«È la mia cruna di donna.»

«Ah, sì? Tu hai al centro del tuo corpo una cruna?»

«Sì, lo sto scoprendo anch’io adesso.»

«Ma saranno così anche tutte le donne?»

«Perché, ci saranno delle altre donne oltre a me?»

«Non lo so. Come posso saperlo? Io ho solo dato inizio alla creazione.»

L’ho accarezzata ancora un po’, con la mano.

«E perché c’è questa cruna?» le ho chiesto.

«Non lo so, forse per compenetrarci, per riprodurci.»

L’ho guardata, senza sapere come si fa a guardare.

«Per riprodurvi? Chi?»

«Io e il primo uomo.»

Siamo rimasti in silenzio, tutti e due, per un po’, in quel mondo appena creato.

«Perché? Volete anche riprodurvi?» le ho chiesto ancora.

«Non ci hai creati così per questo?»

«Io? Sono stato io? Ma non si sa che cosa si crea, quando si crea! Se no non sarebbe una creazione, sarebbe una ripetizione.»

Mi guardava, mi guardava con quelle superfici umide e rilucenti con cui dice o crede di vedere il mondo.

«Ma poi perché?»

«Perché vogliamo creare anche noi» mi ha risposto.

«Perché vogliamo creare anche noi» ha ripetuto un istante dopo un’altra voce, quella del primo uomo.

«Ma perché?»

«Perché ci hai creati a tua immagine e somiglianza. Perché anche noi vogliamo essere dei creatori!»

«Ma per andare dove? Dove si andrà attraverso questa cruna?»

«Non lo sappiamo.»

«Volete la creazione o volete la ripetizione?»

Nessuna risposta. Silenzio.

«Perché?» ho domandato ancora.

«Perché siamo soli» ha detto il primo uomo. «Perché ci hai creati soli. Perché ci hai creati a tua immagine e somiglianza e anche noi siamo soli come tu sei solo.»

Ci siamo guardati così tutti e tre, senza vederci.

«Così volete creare anche voi degli altri specchi in cui vedere riprodotta la vostra solitudine?»

«E allora perché ci hai creati?»

«Non lo so.»

Non abbiamo detto più niente.

«In che lingua stiamo parlando?» mi ha chiesto lei, dopo un po’.

«Non lo so. A me non pare che stiamo parlando.»

Poi, all’improvviso, lei si è messa in movimento nel mondo, almeno così mi è parso.

Camminava eretta, con tutto il suo meraviglioso corpo appena creato, e non si capiva come facesse a spostare così leggermente e come sulla punta dei suoi piccoli piedi tutta quella apparizione profumata e calda, le sue gambe morbide e forti, i suoi fianchi, le sue spalle, il suo petto, il suo ventre, le sue cosce che nascondevano il suo grembo tenero e la sua piccola cruna.

«Dove vai?» ho sentito che le stavo chiedendo.

«Vado dal primo uomo, quello che tu hai creato per me.»

«No, resta qui!» le ho detto irresistibilmente, perché stavo provando un dolore che non conoscevo e che non avevo mai provato prima.

«Ma non l’avevi creata per me?» ho sentito che il primo uomo mi stava dicendo.

«Non lo so, non lo so...»

Se ne sono andati.

Io la cercavo, la cercavo ma non la trovavo.

«Dove sei? Dove sei?» le dicevo, perché lei era sempre nella mia mente, se ho una mente, come se anche lei avesse creato la mia mente nello stesso istante in cui io creavo lo specchio della sua mente.

La cercavo tra tutto quel tormento di molecole e di fotoni di luce e tra quelle metastasi che si stavano sfigurando e rifigurando continuamente in quel nuovo mondo inventato che avevo gettato nella disperata fornace della creazione.

«Dove sei? Dove sei? Che ti vedo nella mia mente ma non ti vedo di fronte a me come ti ho vista la prima volta, quando ti avevo appena creata e non potevo ancora vederti, quando mi hai insegnato a vederti anche se non ti vedevo, non lo so con che cosa, se con le mani, con gli occhi, quando guardavo dentro lo specchio dei tuoi occhi umidi e rilucenti e mi pareva di vederti mentre tu ti riflettevi nello specchio dei miei occhi che si riflettevano dentro lo specchio dei tuoi.»

La vita si stava espandendo, le cellule stavano duplicando i loro cromosomi in quell’intrico di forme disperate e lanciate.

“Che cos’è la vita? Che cos’è tutta questa vita che sta saturando il mondo?” mi chiedevo. “Sono io che l’ho creata? Perché è successo? Perché l’ho fatto? Che cos’è il mondo? Che cos’è la creazione? La creazione è la vita? O è il contraccolpo della vita? Oppure è la vita che è il contraccolpo della creazione? Perché prima non c’era e io ero solo, mentre adesso che c’è sono ancora più solo? E lei chi è? Da dove è scaturita? Perché prima non c’era e io ero solo, e adesso che c’è sono infinitamente più solo?”

E poi è successo che deve avermi sentito, perché d’un tratto l’ho vista mentre mi veniva incontro con lo splendore del suo corpo appena creato.

«Perché mi chiami?» mi ha detto. «Io sono qui.»

Continuava a venirmi incontro, si avvicinava sempre più senza mai arrivare, come per permettermi di continuare a contemplarla senza vederla, e allora mi pareva che mi stesse venendo incontro la creazione, che lei stesse creando anche me mentre la creavo nell’atto di venirmi incontro e crearmi.

«Ma prima dov’eri? Eri col primo uomo?»

«No, sono sempre stata qui.»

«Ma tu non c’eri, io ero solo! Come facevi a essere qui, se non eri qui?»

«Ero qui perché adesso sono qui.»

«Ma allora perché io non ti vedevo?»

«Perché non mi avevi ancora creata.»

«Ma io ti avevo creata!»

«Tu avevi creato te che creavi me, non avevi ancora creato me che creavo te mentre creavi me.»

Continuava a venirmi incontro, con il suo corpo così profumato e così creato che non si poteva vedere, che si poteva vedere solo se non si vedeva.

«E il primo uomo dov’è? Non c’è più?» le ho chiesto quando è arrivata finalmente di fronte a me.

«Il primo uomo è con la prima donna. Il primo uomo si sta guardando dentro lo specchio della prima donna, mentre la prima donna si sta guardando nel suo.»

«Ma la prima donna sei tu! E la prima donna è qui!»

«Sì, adesso è qui, sono qui, perché ti stai guardando dentro il mio specchio mentre io mi sto guardando nel tuo.»

«Ma allora quella che se ne è andata con il primo uomo dov’è?»

«È con il primo uomo ed è qui.»

Mi ha preso la mano, se l’è posata sul petto caldo.

E allora l’ho accarezzata, sui suoi seni turgidi, sui suoi occhi, sulla sua bocca, sui suoi fianchi, sulla sua cruna di donna.

E intanto le sussurravo, con la testa vicino al manto dei suoi capelli e al suo volto morbido e caldo: «Perché tutta questa lacerazione? Perché tutta questa dissociazione? Perché le cose appena inventate cominciano a separarsi e a duplicarsi? Perché devono patire subito il dolore della separazione e della duplicazione?».

«È la creazione...» mi ha sussurrato lei, venendomi ancora più vicino con la sua bocca calda.

E allora ho cominciato a baciarla, e allora ho posato la mia bocca, quella cosa che specchiandosi nella sua bocca è diventata la mia bocca, sulle sue labbra appena create che si sono aperte per la prima volta per me.

E allora ho sentito che stavo sprofondando dentro il suo volto e il suo corpo con qualcosa che c’era evidentemente dentro la mia bocca e che ancora non sapevo ci fosse, e che intanto anche lei sprofondava dentro la mia bocca e il mio volto e il mio corpo con qualcosa di bagnato e di caldo e di forte che si muoveva e che mi cercava e che mi creava.

«Che cos’è quella cosa?» le ho chiesto sbalordito, staccandomi per un istante da quel gorgo morbido e caldo in cui non ero mai sprofondato prima.

«È la mia lingua» mi ha risposto staccandosi anche lei dal mio volto.

«Non sapevo di avere creato la lingua...»

Ha spalancato ancora di più di fronte a me quelle cose umide e rilucenti con cui dice o crede di vedermi.

«Ma guarda che anche tu hai la lingua!» mi ha detto.

«Ah sì?»

«Sì, perché mi hai fatto a tua immagine e somiglianza, perché ci stiamo guardando l’uno nello specchio dell’altra.»

«Chissà perché ho creato la tua lingua?»

«Per te.»

«Chissà perché ho creato la mia lingua?»

«Per me.»

«Chissà se ho creato prima la tua lingua o la mia?»

«La mia, la mia...» mi ha sussurrato con esultanza, prima di ricominciare a baciarmi.

E allora anch’io ho ricominciato a baciarla, e avevamo tutti e due gli occhi chiusi, mi pare, perché non vedevo più niente nel modo in cui non lo vedevo prima e non vedevo neanche i suoi occhi umidi e rilucenti che non mi vedevano credendo di vedermi. Sentivo solo, al centro di noi due, quell’unico gorgo bagnato e caldo che ci risucchiava verso un punto che era fuori da noi stessi proprio perché era così profondamente dentro noi stessi.

E intanto le accarezzavo il petto, con le mie mani che non credevo di avere o che erano sorte dentro il suo specchio come le sue erano sorte dentro il mio, e che mi stavano accarezzando il volto che si era appena preso la scarica di 300.000 chilometri al secondo di luce, tutt’intorno alla mia bocca, alle nostre due bocche risucchiate nel vortice di un’unica bocca.

E intanto sentivo sotto le mie dita quelle due cose che sporgevano così tanto dal gonfiore caldo dei seni e che si inturgidivano rimanendo nello stesso tempo infinitamente morbide e che non sapevo di avere creato.

Sono sceso con la testa, col volto, ho cominciato a baciarle, e intanto sentivo che lei emetteva dei suoni che non avevo mai sentito prima, con la bocca socchiusa. Anche i suoi occhi adesso erano chiusi, mi è parso. Forse anche i miei.

«Cosa sta succedendo? Che cosa sono questi suoni? Da dove vengono?» le ho chiesto, così piano che quasi non si sentiva, perché non mi veniva fuori la voce.

Ma lei mi ha sentito.

«Sto gemendo» mi ha detto, anche lei così piano che quasi non si sentiva.

«Perché gemi?»

«Per il piacere.»

«Il piacere? Che cos’è il piacere?»

«Non lo so, ma lo sto provando.»

Ho ripreso a baciarla, perché anch’io provavo qualcosa che non avevo mai provato prima, e intanto scendevo con il mio volto e con la mia bocca lungo il suo corpo, sul suo ventre elastico, tenendola abbracciata con le mani dietro l’incavo della sua schiena ricoperta di morbida carne e le espansioni compatte e calde che c’erano al termine delle sue forti gambe, sulla sua cruna di donna, in ginocchio di fronte a lei, io che l’avevo creata, e intanto lei emetteva quei nuovi suoni che non avevo mai sentito prima, che non c’erano mai stati prima.

«Corichiamoci...» mi ha detto d’un tratto, con la sua voce indistinguibile da quei gemiti e da quei suoni sconvolgenti e nuovi che scaturivano da qualche punto del suo corpo appena creato.

Si è coricata per terra. E io ho visto sotto di me in un unico istante l’apparizione dell’intero suo corpo di donna appena creato.

Ha allargato le braccia, le mani, le ha tese verso di me, e intanto anche le sue gambe e le sue cosce si allargavano sempre più scoprendo al centro la sua cruna di donna da cui emergeva una nuda schiuma di carne tenera che non so da quale specchio si era formata e che non avevo mai visto prima anche se l’avevo creata. Le sue braccia, le sue gambe, la sua bocca, la sua cruna, come mosse da un unico meccanismo che si espandeva.

Mi sono coricato anch’io, anche se non sapevo ancora come si faceva perché non mi ero mai coricato prima, sopra di lei, sopra il suo corpo che si espandeva e che mi espandeva.

Mi stava attirando a sé con le braccia, le gambe, e intanto gemeva forte, lanciava persino delle piccole grida, mentre io premevo sempre più sopra di lei, e mi sembrava persino di entrare profondamente dentro di lei, dentro la sua cruna appena creata, come non ero mai entrato da nessuna parte, se non stavo invece entrando profondamente dentro me stesso che si stava muovendo dentro il suo specchio mentre lei si muoveva nel mio. E intanto abbiamo ricominciato a baciarci, e intanto vedevo levarsi ai lati della mia testa e dei miei occhi, appena investiti dalla prima scarica dei fotoni di questa nuova luce, le forme chiare delle sue braccia e delle sue mani che mi stringevano e mi accarezzavano la testa e le spalle, delle sue gambe che si levavano e che si allargavano non so perché ai lati del mio corpo che stava entrando sempre più profondamente dentro la cruna del suo, sprofondava e poi riemergeva e poi sprofondava ancora in quell’altro gorgo che si era creato non più solo nelle nostre teste ma anche al centro dei nostri corpi e dei nostri specchi.

Poi ho sentito che stavo improvvisamente gemendo anch’io, che stavo lanciando anch’io delle piccole grida.

Mi è sembrato persino di perdere conoscenza, per un po’ o per molto, non saprei dire, perché io non posso perdere conoscenza perché non ho conoscenza.

«Che cos’è successo?» ho chiesto alla fine, ancora sopra di lei, sbalordito.

«Hai gettato il tuo seme dentro di me!» mi ha risposto, staccando le labbra dal gorgo delle nostre labbra.

Sentivo che il mio corpo stava ancora pulsando dentro la cruna del suo, che le sue gambe e le sue braccia si erano strette attorno a me in un inestricabile abbraccio.

Siamo rimasti così, sul filo dell’orizzonte.

«E adesso che cosa succederà?» le ho chiesto non so perché, all’improvviso.

Ha spalancato gli occhi, ha allungato le labbra, per la prima volta, in questo nuovo mondo creato.

Ho sollevato di colpo la testa, per riuscire a vederla meglio senza vederla.

«Che cosa stai facendo?» le ho chiesto.

«Ti sorrido.»

«Che cos’è questa nuova cosa? Da dove nasce? Te la sei inventata tu? Io non l’ho creata! Non c’è quella cosa dentro il mio specchio!»

«Non è vero...» mi ha risposto allungando ancora di più le labbra, e scoprendo per la prima volta delle piccole cose perfette e bianche mai viste prima che scintillavano nella nuova luce appena inventata «in questo momento mi stai sorridendo anche tu.»

«Forse perché mi stai sorridendo tu, e allora il tuo sorriso si riflette dentro il mio specchio...»

«Mentre il tuo si riflette nel mio.»

Siamo rimasti per un istante così, uno di fronte all’altra, nel vortice dello stesso specchio.

Poi è scomparsa di nuovo.

Io la cercavo, la cercavo ma non la trovavo, in quel mondo che avevo appena creato e in cui le cose si muovevano attorno a me come apparizioni.

Riappariva di nuovo. Scompariva e poi riappariva, la vedevo all’improvviso di fronte a me come se anche lei fosse un’apparizione.

«Eppure io ti ho creata!» le dicevo. «Come mai adesso mi sembri un’apparizione?»

«Anch’io ti vedo di fronte a me come un’apparizione.»

«Ma allora anche la creazione è un’apparizione?»

Ci coricavamo ancora, sul filo dell’orizzonte, vedevo e non vedevo ancora di fronte a me l’apparizione del suo meraviglioso corpo creato.

L’accarezzavo, anche lei mi accarezzava, entravamo tutti e due dentro lo stesso gorgo.

«Dove sei, quando non sei con me?» le chiedevo ancora, alla fine, quando restavamo coricati uno sopra l’altra ma eravamo come una cosa sola, perché sentivo che stavo pulsando dentro il suo corpo che pulsava attorno al mio, lei con la sua cruna di donna, io con non so che cosa.

«Sono qui.»

«Ma non sei con il primo uomo?»

«Sei stato tu a crearmi per il primo uomo.»

«Ma il primo uomo è a mia immagine e somiglianza! E allora perché non sei con me quando sei con il primo uomo?»

«Perché hai dato inizio alla creazione e alla separazione...»

«Io vorrei che tu fossi sempre con me!» le ho detto d’un tratto.

«Io sono sempre con te.»

«Ma allora perché, quando sei lontana da me, sento così tanto la tua assenza, anche se tu dici che sei sempre con me anche quando non sei con me? Perché mi sento così separato anche se sono io che ho creato anche questa separazione che prende inizio con la creazione? Che cosa mi sta succedendo? Che cos’è questa cosa che non conosco e che mi sta travolgendo?»

«È l’amore.»

«L’amore? Che cos’è l’amore?»

«Come si fa a saperlo, se non c’era mai stato prima, se lo stiamo inventando e creando adesso!»

Le sue labbra si sono allungate di nuovo. Anche le mie labbra si sono allungate, le mie dentro il suo specchio e le sue dentro il mio.

Ho chiuso gli occhi, mi è parso, anche se non sapevo se avevo gli occhi.

Quando li ho riaperti, per continuare a non vederla, lei non c’era più.

Ho ricominciato a cercarla, tra tutte quelle forme e quelle apparizioni di forme e di luce che si levavano sul filo dell’orizzonte di questo mondo appena creato e già in preda al vortice della separazione, della lacerazione e della duplicazione, tra tutto quel tormento di organismi cellulari in trasfigurazione, nelle profondità nere e segrete delle masse liquide in fermentazione, nelle viscere umide e marce della nuova terra dove si stavano divincolando al buio le prime radici cieche e da dove si levavano all’improvviso quelle apparizioni vegetali che dispiegavano i loro tentacoli e i loro ventagli e i loro morbidi uncini e le loro cuspidi per andare a congiungersi con il flagello della luce creata, tra tutte quelle forme animali infinitamente piccole e grandi che si duplicavano e si fagocitavano, sulla terra, nel bozzolo ancora in fusione dell’atmosfera, con le loro membrane, le loro ali, i loro rostri, le loro prime bocche dentate.

“Sono stato io a creare tutto questo?” mi chiedevo continuando a cercarla. “Sono stato io a dare inizio a questa creazione e a questa esplosione?”

E intanto sentivo sempre più, dentro di me che non sapevo dov’ero e chi ero, un enorme dolore per la sua separazione e la sua lontananza, anche se ero anch’io dentro la stessa lontananza che mi allontanava sempre più anche da me stesso, anche se ero io che avevo creato lo specchio dove si rifletteva la mia stessa lontananza dentro la sua lontananza.

“Dove sono? Che cosa sono?” mi chiedevo ancora. “Perché comincio a percepirmi proprio adesso che mi sento separato e lontano da me stesso e dalla mia creazione? Che cos’è questa vicinanza a me stesso che non avevo mai percepito prima, e proprio adesso che mi sento lacerato da me stesso e riconosco la mia lontananza dentro un’altra lontananza? Che cos’è la creazione? E il creatore chi è? E io chi sono? Che cosa ho fatto? Che cosa sto facendo? Sto creando o sto distruggendo? Mi sto creando o mi sto distruggendo? Mi sto creando perché mi sto distruggendo? O mi sto distruggendo perché mi sto creando?”

E intanto la cercavo, la cercavo perché l’amavo, anche se non sapevo che cos’è l’amore, proprio perché non sapevo che cos’è l’amore e se c’è l’amore, anche se lei aveva separato da me il suo amore separando da sé il mio stesso amore.

“Ma come può il creatore anche dell’amore separarsi dall’amore ed essere nello stesso tempo dentro il suo amore?” mi chiedevo guardandomi intorno senza vedere, in quell’apparizione di mondo che si configurava e si lacerava.

Poi lei è apparsa di nuovo di fronte a me, all’improvviso.

Grande, bella, profumata.

Il suo volto era più splendente, la sua bocca più morbida, i suoi occhi più grandi.

«Aspetto un figlio da te!» mi ha annunciato.

Le sue labbra si sono allungate, il suo volto si è aperto, mi ha sorriso.

«Un figlio? Che cos’è un figlio?» le ho chiesto.

«È qualcosa che ci stava guardando senza vederci mentre noi ci guardavamo senza vederci dentro i nostri specchi.»

«Ma allora lui in che specchio era, se riusciva a vederci senza vederci? E adesso in che specchio è?»

«In un altro specchio.»

«Ma come fa a esserci un altro specchio, se io ho creato l’intero mondo dentro il mio specchio?»

«Anche gli specchi si stanno separando dai loro specchi e si stanno duplicando.»

«Ma allora si sta duplicando anche il mio specchio? Anch’io mi sto duplicando?»

«Tu sei il creatore anche di questa duplicazione.»

«Ma, se sono il creatore, come faccio a essere duplicato e creato? Come fa la creazione a essere duplicazione e a essere distruzione?»

Mi è venuta ancora più vicino con le labbra, con gli occhi.

«Di chi è questo figlio? Di chi è questo specchio?» le ho chiesto ancora. «È di me oppure del primo uomo?»

Ha allungato ancora di più le labbra.

«Di te che sei fatto a immagine e somiglianza del primo uomo» mi ha risposto mentre già mi stava baciando, staccando di tanto in tanto le labbra dal gorgo delle nostre labbra per riuscire a respirare e a parlare, «del primo uomo che è fatto a immagine e somiglianza di te.»

È scomparsa di nuovo, e io non capivo come faceva a scomparire ogni volta così, se era dentro il mio specchio come io ero dentro il suo.

Non sapevo dov’era, in quale punto della vita, perché io ho creato la vita e in quell’istante mi sono separato dalla vita, ho potuto creare la vita proprio perché mi sono separato dalla vita.

“Dove posso trovarla?” mi dicevo. “Come mai non posso più trovarla dentro la vita?”

E intanto tutto pullulava, si lacerava, le strutture cellulari si differenziavano sempre più, i codici genetici si duplicavano negli abissi di quel residuo di materia creata che si era separato da me e dal mio specchio.

Ma lei non c’era.

“Dove sarà?” mi chiedevo. “Che ci sia un posto che non è qui, oppure che è qui ma che è nello stesso tempo da un’altra parte?”

Non sapevo se quel posto c’era, non lo trovavo.

“Com’è possibile che neanch’io riesca a trovarlo? Ma allora che non sia qui? Che non sia adesso? Che si sia lacerato e si sia duplicato anche il qui e l’adesso? Che non ci sia solo il qui e non ci sia solo l’adesso? Che ci sia anche un qui e un là? Che ci sia anche un prima e un dopo? Ma come può esserci un qui e un là e un prima e un dopo se il qui e il là e il prima e il dopo si guardando tutti e due l’uno nello specchio dell’altro?”

La continuavo a cercare, dentro lo specchio della creazione che si era separato anche lui da se stesso. Ma non la trovavo.

Il primo uomo e la prima donna non c’erano più, non vedevo più i loro specchi dentro il mio specchio, c’era solo un pullulare disperato di donne e uomini che si duplicavano e si compenetravano e si fagocitavano e si separavano e poi scomparivano e poi non so come e non so perché riapparivano per poi fagocitarsi e poi duplicarsi ancora.

“Che cosa è successo al mio specchio?” mi chiedevo. “Dove vanno tutte quelle donne e quegli uomini quando non ci sono più? In quale specchio vanno?”

Sentivo da ogni parte il clangore della vita che si fendeva e che si irradiava come un’esplosione che faceva esplodere il mio specchio, anche se non so se io posso veramente sentire qualcosa che non sia solo il suono della mia creazione che si allontana.

Tutti quei flagelli lanciati nei canali neri dei corpi per continuare a creare e separare altri corpi. Tutti quei batteri iniettati nell’atmosfera che separava questo mondo dallo spazio nero e dagli altri mondi.

“Che io abbia creato anche gli altri mondi? Che siano anche gli altri mondi dentro il mio specchio che sta esplodendo?”

C’era tutt’intorno, su questo mondo fasciato dalla garza di que­sto nuovo cielo appena creato, quell’irrompere disperato di sempre nuovi esseri e nuovi specchi in respirazione e in continua tracimazione.

“Dove andranno tutte quelle figure e quelle forme che erompono sempre più dal cratere del mio specchio? Dove tracimeranno? In quale altro specchio? In quale altra vita? Che ci sia anche un’altra vita? Che non ci sia solo la vita? Ma cosa può esserci d’altro, se io ho creato la vita dentro lo specchio della vita? Come fa la vita a essere dentro lo specchio della vita, se non è la vita? Che si sia duplicata anche la vita? Ma come può essersi duplicata, se la vita non può che essere tutta dentro la vita? In che cosa può essersi duplicata? E da dove può venire questa cosa che si è duplicata? Da prima o da dopo? Che ci sia una morte per la vita? Che ci sia una vita per la morte? Ma allora da dove viene la vita? Da dove viene la morte? Che vengano tutte e due dalla creazione? In quale specchio si guardano? Che si guardino tutte e due dentro lo specchio della creazione? O che sia la creazione a guardarsi nel loro specchio? Ma allora che vengano prima della creazione? Ma, se vengono prima, allora io che creatore sono? Che io, creando la vita e la sua duplicazione, abbia creato anche la morte? Ma la morte della vita o solo della duplicazione della vita? E che cos’è poi questa morte? In quale specchio si guarda? In quello della vita? E la vita in quale specchio si guarda? In quello della morte? Ma allora io che cosa ho creato? La vita o la morte? La creazione o la distruzione? La creazione che si guarda nello specchio della distruzione o la distruzione che si guarda nello specchio della creazione?”

E allora ho continuato a cercarla anche nella morte.

E allora sono morto anch’io, ho continuato a cercarla nello specchio della morte che si rifletteva in quello della vita, se era l’unico modo per poterla trovare.

In che mondo ero? Cos’erano, dove andavano tutte quelle figure che tracimavano continuamente dentro lo specchio della morte che si rifletteva in quello della vita?

E lei dov’era?

E io dov’ero, in che specchio ero? Ero ancora il creatore dei vivi o adesso ero il creatore dei morti? Ero il creatore della vita o ero il creatore della morte? Ma il creatore della vita non si stava guardando dentro lo specchio della morte? E quello della morte non si stava guardando in quello della vita? E tutti e due non si stavano guardando in quello della creazione e della distruzione creata?

Poi, all’improvviso, lei è apparsa di nuovo di fronte a me.

Grande, bella, profumata.

“Com’è bella anche adesso!” mi dicevo senza riuscire a parlare. “Come possono essere belle le donne e le ragazze morte mentre si specchiano dentro gli specchi delle donne e delle ragazze vive che si stanno specchiando nei loro!”

Ho allungato una mano verso di lei, per accarezzarla. Le ho sfiorato gli occhi, le labbra, la linea del collo, delle spalle, del petto, che palpitava sotto le mie dita anche nella morte.

Ci siamo irresistibilmente abbracciati, io il creatore e la prima donna creata, nello specchio della morte creata.

Ci siamo coricati sulla linea dell’orizzonte, quella della morte, abbiamo cominciato a baciarci.

«Adesso dove siamo? Chi siamo?» le dicevo e le sussurravo, mentre entravo con lei dentro lo stesso gorgo, staccando ogni tanto le mie labbra dalle sue labbra. «In che vita siamo? In che morte siamo?»

«Siamo nella morte creata, che si sta specchiando dentro la vita creata» mi rispondeva staccando anche lei le labbra dal gorgo delle nostre labbra.

«Ma se la morte si sta specchiando dentro la vita e se la vita si sta specchiando dentro la morte, noi dentro che specchio siamo? In che gorgo di specchi siamo?»

Poi ho sentito solo che stavo sprofondando con tutta la mia vita e con tutta la mia morte nella cruna della sua vita e della sua morte.

Siamo rimasti muti, abbracciati, sul filo dell’orizzonte della morte creata.

Tutt’intorno un fragore che non avevo mai sentito prima, di tracimazione, strutture che si elevavano dentro la fascia dell’atmosfera e si duplicavano.

«Che cosa sono quelle cose sterminate che non avevo mai visto prima?» le ho chiesto.

«Sono le città dei morti» mi ha risposto continuando a tenermi abbracciato.

«Le città? Che cosa sono le città? Io non le conosco, io non le avevo create!»

«Sono frantoi dove le vite e le morti si fagocitano e si separano, dove gli specchi esplodono.»

La terra tremava di tanto in tanto sotto di noi. Vedevo e non vedevo, girando la testa nel nido morbido delle sue belle braccia, le stesse città che si laceravano e che crollavano.

«Perché crollano, se sono appena state innalzate?» le ho chiesto. «Cos’è tutta questa distruzione? Che cos’è questa forza che sta facendo tremare continuamente il filo dell’orizzonte della vita e della morte del mondo?»

«È il sisma di vita e morte che si stanno guardando tutte e due nel gorgo dello stesso specchio.»

Provavo a guardare, ma non vedevo, perché non si può guardare e nello stesso tempo vedere.

«Che cosa sta succedendo in questo mondo dei morti?»

«Si sta forgiando il mondo dei vivi.»

«Ah, sì? Allora viene prima la morte? Ma non venivo prima io? Non veniva prima la creazione? Non veniva prima la vita?»

«La creazione non è la vita, la creazione si è separata anche dalla vita e si è duplicata, la creazione è la morte e la vita che si stanno vedendo per la prima e ultima volta nel vortice dello stesso specchio.»

L’ho guardata ancora, mentre anche lei mi stava guardando, mi pare, perché vedevo e non vedevo vicino a me i suoi occhi splendere nel buio della vita e della morte del mondo.

«Ma io, creando il guardare, non avevo creato anche il vedere?» le ho chiesto. «Creando le cose guardate non avevo creato anche chi le guardava? Allora perché ti guardo ma non ti vedo?»

«Perché anche il guardare e il vedere si sono separati e si sono duplicati.»

«E tu mi vedi?»

«Io ti vedo solo perché tu non mi vedi, tu mi vedi solo perché io non ti vedo.»

Siamo rimasti ancora per molto così, sul filo dell’orizzonte che di tanto in tanto tremava, come se ci fossero sotto di noi altre città che crollavano, guardandoci senza vederci, vedendoci senza guardarci.

«E il primo uomo dov’è?» le ho chiesto improvvisamente.

«Lui è tracimato con me nella morte.»

«Allora adesso è qui?»

«No, lui è tracimato ancora.»

«Dove?»

«Dentro la vita.»

«E tu non sei tracimata con lui?»

«No, io ti ho aspettato qui.»

«Perché?»

«Per farmi trovare da te prima di tracimare anch’io nella vita.»

«Ma allora come farò a trovarti ancora?»

«Tracimerai anche tu nella vita.»

«Io? Dentro la vita?»

«Sì.»

«Ma io non avevo creato la vita? E allora come faccio a tracimare dentro la vita?»

«Tu tracimerai dentro la vita che si è staccata da te e dal tuo specchio e che si è duplicata.»

La terra sotto di noi tremava sempre più forte. Non capivo se tremava forte o se erano le nostre braccia che si cercavano e che si stringevano dentro la morte.

«E nostro figlio dov’è?» le ho chiesto ancora. «È tracimato anche lui? È risorto anche lui?»

«No, lui non è voluto risorgere.»

L’ho guardata senza vederla, sbalordito, mi è parso.

«Perché?»

«Perché non ha voluto perpetuare il giro a vuoto della vita e della morte create che si guardano tutte e due nel vortice dello stesso specchio.»

Non sono riuscito più a dire niente, per un po’. Stavo immobile e muto, tra le sue belle braccia.

«Qui è in atto un movimento sismico di tracimazione e di resurrezione...» ha detto allora lei, all’improvviso, perché vedeva che io continuavo a tacere, che non riuscivo più a dire niente, che neppure il creatore riusciva a trovare dentro di sé una parola creata in questo mondo separato dalla sua creazione. «Qui ci sono delle schiere sempre più sterminate di vivi che stanno tracimando dentro la morte, e delle schiere sempre più sterminate di morti che stanno tracimando dentro la vita. E ci sono anche delle schiere sempre più sterminate di morti che si stanno gettando nel movimento sismico della resurrezione e che stanno risorgendo. Tutto il continente dei morti sta tremando forte per questo fronteggiamento e per questo scontro di faglia tra morte e vita e tra vita e morte che si stanno guardando nel vortice dello stesso specchio. Tutto il continente dei vivi è sottoposto a questa immane tracimazione che sta avvenendo per la prima e ultima volta dentro la creazione.»

Poi è scomparsa di nuovo.

“Ma allora, se la creazione si è separata ormai da se stessa e si è duplicata...” mi dicevo continuando a cercarla anche nel mondo separato dei morti “e se io che sono il suo creatore sono diventato il contraccolpo della mia creazione, allora anch’io mi staccherò dalla mia creazione e diventerò il contraccolpo della mia creazione. E se la vita si è duplicata nella morte e la morte nella vita, se la vita è diventata il contraccolpo della morte e la morte della vita, allora io diventerò il contraccolpo della morte e della vita, allora io che l’ho creato dentro il mio specchio mi separerò e mi lacererò da questo mondo e dal mio stesso specchio. Se la mia creazione è tutta dentro il contraccolpo della distruzione, allora io mi separerò così tanto da questo mondo che si è separato dallo specchio della mia creazione da creare il cortocircuito speculare della distruzione.”

Intanto la continuavo a cercare in quelle città sterminate dei morti che sorgevano da ogni parte a perdita d’occhio, sopra e sotto il filo dell’orizzonte, piene fino a scoppiare di donne e uomini morti che si duplicavano e che tracimavano e che risorgevano, e di grattacieli che si innalzavano e che poi crollavano sotto gli urti del sisma di vita e morte e delle loro faglie che si fronteggiavano e che si scontravano e che si compenetravano, e di schiere di tracimati e di morti che si combattevano innalzando i loro vessilli e cantando i loro disperati peana nell’infinito buio della vita e della morte del mondo.

“Che specie ho creato?” mi continuavo a tormentare. “Che mondo ho creato, che si è separato così dal mio specchio e dal suo stesso specchio? Che sia ancora un mondo solo o che adesso ci siano due mondi, uno dove si crea e l’altro dove si distrugge? E allora che ci siano anche due creatori, che si sono anche loro separati dai loro specchi e che si sono duplicati? Uno che crea e l’altro che distrugge? O uno che crea distruggendo e l’altro che distrugge creando? E allora io chi sono? Che sia quello che sta creando mentre distrugge o quello che sta distruggendo mentre crea? Oppure che ci siano ormai tanti altri mondi, e allora anche tanti creatori di mondi, uno per ogni pianeta dove sia sorta la vita che si è duplicata nella morte e la morte che si è duplicata nella vita, o per ogni galassia, o per ogni residuo di materia o altra dimensione di mondo? E che allora ogni tanto tutti questi creatori si incontrino da qualche parte, in qualche altro mondo o in qualche altro specchio? E allora – se è così – che anch’io possa venire convocato a uno di questi incontri? Ma da chi? Perché, se c’è un creatore che può convocare gli altri creatori, allora vuole dire che è lui il creatore, che gli altri creatori e quindi anche io stesso ci siamo staccati dal suo specchio e ci siamo duplicati. ‘Vieni!’ mi dirà qualcuno, d’un tratto. E allora io andrò. E allora anche tutti gli altri creatori andranno. E si incontreranno in qualche punto o in qualche altra dimensione del mondo, e allora si guarderanno, si guarderanno perché non si vedranno. ‘Perché ci siamo separati così dai nostri stessi specchi?’ si diranno. ‘In che specchi eravamo? In che specchi siamo adesso? Siamo lo stesso creatore che si è duplicato in molti specchi o siamo molti creatori che ci stiamo vedendo per la prima e ultima volta nel vortice dello stesso specchio?’”

La cercavo, la cercavo ma non la trovavo, in quel mondo dei morti dove si stava forgiando e duplicando il mondo dei vivi.

“E che cos’è questa lacerazione e questa duplicazione di donne e uomini della stessa specie creata che si guardano gli uni negli specchi degli altri fin dall’inizio, che io ho creato e che adesso si è trasmessa anche a me e si è duplicata anche in me? Perché l’ho creata? Perché, a un certo punto, stanco di sentire il primo uomo che gridava la sua solitudine di fronte alla mia solitudine, mi è sembrato che questa solitudine – la sua e la mia – potessero trovare sollievo proiettandosi fuori di sé e riflettendosi dentro un’altra solitudine e dentro un altro specchio? Perché questa incolmabile separazione tra creature diversamente sessuate che sono stato io a creare? Perché le ho create così e non in un altro modo? Avrei potuto farlo? O potevo crearle solo come le ho create proprio perché quella era una creazione e non una ripetizione? Potrei farlo adesso? Ma allora la creazione di adesso sarebbe ripetizione! E anche la creazione di allora sarebbe stata una ripetizione, anche se era stata prima, proprio perché si è ripetuta prima mentre si ripeteva dopo. Allora la creazione e la ripetizione si sarebbero guardate e si guarderebbero nel vortice dello stesso specchio. Chi lo sa... forse avrei dovuto creare il primo uomo e la prima donna in due punti infinitamente lontani dell’infinito buio del cosmo, su due diversi pianeti, addirittura, dove non avrebbero potuto guardarsi l’uno nello specchio dell’altra e poi duplicarsi. E allora il primo uomo e la prima donna non avrebbero avuto bisogno di vedersi per non vedersi, avrebbero presentito e prefigurato nella loro solitudine la presenza dell’altra solitudine perché erano stati una volta tutti e due dentro lo stesso specchio. Oppure il primo uomo e la prima donna, su due pianeti infinitamente lontani nell’infinito buio del cosmo, avrebbero trovato un altro modo di duplicarsi tra loro, gli uomini avrebbero duplicato altri uomini e le donne altre donne, si sarebbero duplicati non attraverso i prolungamenti disperati e le crune dei loro corpi ma attraverso altre forme e altri specchi. E allora ci sarebbero stati due diversi pianeti infinitamente lontani l’uno dall’altro, uno di soli uomini e l’altro di sole donne, uno di soli maschi e l’altro di sole femmine, e non si sarebbero duplicati tra di loro guardandosi nel vortice dello stesso specchio ma avrebbero immaginato e presentito le loro presenze nell’infinito buio del cosmo solo perché erano stati per la prima e ultima volta dentro lo stesso specchio, e allora avrebbero continuato a chiamarsi e a cercarsi attraverso lo spazio nero e le sue sterminate galassie, lanciando impulsi elettromagnetici, con le macchine che avrebbero costruito anche loro come le hanno costruite e le stanno costruendo gli uomini e le donne di questo mondo che si sono duplicati, nel continente dei morti e in quello dei vivi e dei tracimati e dei risorti, si sarebbero cercati con i loro corpi diversamente sessuati solcando lo spazio nero con le loro grandi astronavi perdute in bracci infinitamente lontani di lontane galassie, mentre anche i creatori si sarebbero cercati per incontrarsi e vedersi di nuovo tutti insieme per la prima e ultima volta dentro lo stesso specchio.”

Poi, siccome non riuscivo più a trovarla nel mondo dei morti, sono tracimato in quello dei vivi e ho continuato a cercarla anche là, io che ero il creatore della vita adesso la stavo cercando dentro lo specchio della vita che si era separato dalla vita.

Mi guardavo attorno senza vedere, in quelle città dei vivi che sorgevano continuamente sul filo dell’orizzonte, tra quelle moltitudini di corpi femminili e maschili che si fagocitavano e si duplicavano, tra quelle schiere in armi che si combattevano e che tracimavano senza interruzione dallo specchio della vita a quello della morte.

Stragi di vivi, stragi di specchi, sempre nuovi popoli tracimati e sempre nuovi tracimatori che li guidavano, con i loro vessilli fatti sventolare nel buio e i loro disperati peana, allucinazioni, invenzioni, leggende, miti, religioni, fiabe raccontate nell’infinito buio, narrazioni di stragi, di invenzioni, di allucinazioni, di tracimazioni.

“Che cosa si sono inventati, questi uomini vivi, separandosi continuamente da sempre nuovi specchi!” mi dicevo continuando a cercarla attraverso la vita. “Che lotta feroce e che continua tracimazione da sempre nuovi specchi è la loro vita! Che dolore e che strazio deve essere per loro quel continuo separarsi dai loro specchi per duplicarsi e per tracimare in sempre nuovi specchi, quello che hanno chiamato storia della loro vita che si è separata anche lei dalla vita, quello che hanno chiamato conoscenza che si è separata anche lei dalla conoscenza, quello che hanno chiamato creazione che si è separata anche lei dalla creazione...”

Ho attraversato da parte a parte i loro specchi per continuare a cercarla e a trovarla, come le donne e gli uomini posti su due diversi pianeti che non avevo creato o che forse avevo creato solo immaginandoli dentro il mio specchio si stavano cercando attraverso gli spazi neri e sconfinati del cosmo. La cercavo tracimando anch’io dentro i loro specchi e cercando di vedere senza vedere in qualche altro volto che si muoveva attraverso lo specchio della loro vita separata e della loro storia separata qualcosa del suo volto, quello che avevo visto senza vedere per la prima e ultima volta nel trauma della creazione e della separazione e poi anche dentro lo specchio della morte, i suoi occhi umidi e rilucenti circondati da quegli aculei morbidi, il gorgo della sua bocca, il suo corpo profumato, la sua cruna di donna, perché anche i volti e i corpi e le vite che si separano continuamente dai loro specchi per tracimare dentro altri specchi rimangono per un istante impressi nei precedenti specchi come l’eco di altri specchi, perché non solo i suoni e le voci, anche gli specchi hanno un’eco.

Prime donne o echi di prime donne immobili di fronte ai loro specchi e che si separano dai loro specchi, giovani donne attraverso lo specchio separato della storia e del tempo della vita e della morte del mondo, ragazze regine sui loro letti nuziali, o che vengono incontro nello splendore dei loro cortei ai loro sposi, donne che trasportano le loro crune sotto le vesti allargate nello spazio da grandi telai di legno e di seta, verso altri uomini che camminano emozionati verso di loro tra due ali di torce sorrette da ragazzi dai volti in fiamme, o che si cercano con il cuore in gola attraverso le città lesionate dai bombardamenti e dal sisma, tra la vita e la morte del mondo, donne intraviste in piena notte su uno sperone di roccia e che cominciano improvvisamente a parlare con le loro voci che arrivano chissà da dove e che non si sentono, di fronte al mare in fiamme, che si spostano sulle loro macchine semoventi attraverso le città dei vivi dentro la morte, con i loro piccoli piedi profumati calzati dai sandali, dalle unghie intensamente dipinte che si muovono sui pedali, con i loro occhi accesi nel buio, che vanno a collocare le loro crune di prime donne di fronte agli occhi dei loro primi uomini in attesa dentro case buie e oscurate scosse dalle fondamenta dal sisma di vita e morte.

E poi un giorno, mentre ero non so dove, e non sapevo in che specchio ero, in una grande casa buia e assediata durante la tracimazione universale e la prima e ultima guerra tra vita e morte che si stavano fronteggiando dentro il vortice dello stesso specchio, ho sentito improvvisamente suonare a una porticina. Ma da lontano, da molto lontano, se non ero io, che avevo attraversato e mi ero separato da così tanti specchi per arrivare fin lì, che adesso ero infinitamente lontano.

E allora sono andato ad aprire alla porticina. E una ragazza ha cominciato a salire a piedi nudi lungo una scaletta fredda e buia rischiarata appena da una lampadina accesa sotto la volta. Era molto giovane e molto bella, però non aveva gli occhi. O meglio, gli occhi li aveva ma erano tutti e due sopra un piatto che reggeva con una mano mentre saliva verso di me lungo la scaletta buia.

«Perché non hai gli occhi?» le ho chiesto.

«A che cosa servono gli occhi?» mi ha risposto sorridendo, continuando a salire al buio, con la sua piccola voce.

«Non lo so. Per vedersi dentro lo specchio!» le ho detto io, sporgendomi dalla porticina che c’era in alto.

«Io non voglio vedermi dentro lo specchio» mi ha risposto ancora lei. «Io non voglio più vedermi dentro lo specchio da cui mi sto separando.»

Le sono andato incontro, con improvvisa emozione, lungo la scaletta illuminata appena dalla fioca luce della lampadina che pendeva sotto la volta, mentre anche lei continuava a salire senza occhi verso di me, con i suoi piedini nudi che si muovevano sui freddi gradini.

«Ti sono venuta a portare una lettera!» mi ha detto quando siamo arrivati uno vicino all’altra, ed eravamo fermi tutti e due sopra lo stesso gradino.

«Una lettera? Ma di chi?»

«Della tua sposa.»

La guardavo, la guardavo e mi pareva persino di poterla vedere e di poter essere visto, anche se non aveva occhi, proprio perché non aveva occhi con cui non vedermi.

«Perché, io ho una sposa? E chi è la mia sposa?»

«È la prima donna.»

Mi ha sorriso.

Poi si è girata, ha cominciato a scendere lungo la scaletta.

Si è girata un’ultima volta verso di me.

«Aspettala!» mi ha sussurrato scomparendo nel buio. «Perché lei verrà, perché ti porterà l’amore!»

E poi lei è arrivata, è arrivata quando era ancora bambina, perché non so attraverso quali e quanti specchi è dovuta passare all’incontrario per raggiungere me che adesso ero anch’io un bambino, un creatore bambino, passato a mia volta attraverso non so quali e quanti specchi per riuscire a raggiungerla all’incontrario.

È entrata in quella grande casa buia reggendo un fagiano dorato nel nido delle sue piccole braccia, e poi abbiamo dormito abbracciati in un piccolo letto, e poi ci siamo amati bambini su un mucchio di carbone in una legnaia fredda e buia, e poi si è uccisa di fronte a me, perché continuassi a cercarla e a trovarla.

E io l’ho cercata ancora, e io l’ho trovata ancora, nella morte e anche nella vita, nella vita e anche nella morte, perché la morte e la vita si guardano tutte e due nel vortice dello stesso specchio che si sta guardando nel vortice di un altro specchio.

E poi l’ho vista ancora senza vederla, non so dove, non so quando. O forse era prima, perché non c’è un dove e un quando, non c’è un prima e un dopo quando si passa attraverso quegli specchi e quegli echi di specchi che si separano continuamente anche da se stessi e si duplicano, non so se dentro la morte o dentro la vita o dentro qualcosa d’altro. E lei scendeva verso di me lungo una scaletta con i capelli spettinati e come appena svegliata da non so quale sonno, e non si capiva a ogni passo dove i suoi occhi stavano guardando, se verso la morte o se verso la vita o se verso qualcosa che non era la morte e non era la vita e che non si stava guardando nel vortice dello stesso specchio di morte e vita, tanto che mi sembrava, a guardare soltanto quello che stavano vedendo i suoi occhi, che scendesse di un gradino per salire di due, e che poi scendesse ancora di due o tre gradini per salire di uno, o forse ero io che vedevo e che non vedevo, che la vedevo quando non la vedevo e che non la vedevo quando la vedevo.

«Non mi riconosci più? Sono la Pesca!» mi ha detto quando è arrivata finalmente di fronte a me, che la stavo aspettando al centro di qualcosa come un grande cortile ricoperto di ghiaia che riverberava la luce del sole appena nato.

Ha allungato ancora di più le sue belle labbra, in quel gesto che avevo visto per la prima volta all’inizio della creazione e che stavo vedendo ancora per la prima e ultima volta adesso.

«Mi hai cercata, mi hai trovata!» mi ha detto ancora, venendomi più vicino con la sua testa e il suo volto e con i suoi occhi umidi e rilucenti che non si capiva mai da quale parte stavano guardando. «Ma anch’io ti ho cercato, anch’io ti ho trovato!»

Non riuscivo a parlare per l’emozione, il creatore non riusciva a parlare.

“Ma che creatore sono, se non riesco neppure a parlare?” mi dicevo accarezzandole con la mano il volto che rivedevo per la prima e ultima volta di fronte a me nella vita e nella morte del mondo. “Se sono il creatore, non ho creato anche le parole? E allora perché adesso anche le parole si sono separate da me?”

Ma anche lei non parlava, perché anch’io non parlavo, perché eravamo dentro lo stesso specchio dove non si parlava. Però anche lei mi accarezzava, perché eravamo dentro lo stesso specchio dove ci si accarezzava.

«E il primo uomo dov’è?» mi è venuto da domandarle così, all’improvviso, perché mi erano sgorgate di colpo le parole, non so da quale mondo o da quale specchio.

«Lui è tracimato» mi ha risposto continuando ad accarezzarmi.

«Ma non era già tracimato dalla morte dentro la vita?»

«Sì, ma adesso è tracimato anche dalla vita, è risorto!»

«E dove è risorto, se era già dentro la vita?»

«Nell’immortalità.»

«Ma nell’immortalità di che cosa?»

«Nell’immortalità della vita e della morte create, della vita che è dentro la morte, della morte che è dentro la vita e che sono tutte e due dentro la creazione e la distruzione.»

«E tu non sei risorta con lui?»

«No, io ti ho aspettato qui, nella vita.»

E poi ci siamo presi per mano, non so se prima o se dopo, e poi abbiamo camminato uno vicino all’altra fuori dal cortile di quella villa dove ci eravamo finalmente incontrati nella vita e nella morte del mondo, passando sotto una volta sormontata da uno stemma affrescato con un leone rampante che sembrava digrignare i denti nel sonno, e io sentivo le nostre mani e le nostre dita incernierate pulsare forte come un unico cuore, e allora c’era buio, ed era notte, e noi camminavamo posando i piedi sulle ombre triangolari della villa che si proiettavano sulla ghiaia di un altro cortile che ci stavamo lasciando alle spalle, lei con un paio di scarpette basse che si allargavano attorno ai suoi piccoli piedi a ogni passo, camminando a fianco di una giostrina che non so mai se c’era o non c’era, verso una spalletta da cui arrivava l’eco delle lontane musiche di qualche orchestrina che suonava chissà dove nel buio, lungo un’ansa del fiume, in qualche punto della vita e della morte del mondo, dove giovani corpi creati e poi duplicati e in preda alla giovinezza stavano ballando abbracciati e si stavano guardando per la prima e ultima volta senza vedersi nel vortice dello stesso specchio.

E poi l’ho vista di fronte a me con il suo vestito da sposa ancora imbastito, mentre se lo sfilava facendolo scivolare piano e all’incontrario dall’alto attraverso la sua bella testa e il suo volto che continuava a sorridermi anche se io non potevo vederlo, o forse questo è successo dopo, perché anche il prima e il dopo si stavano guardando tutti e due dentro il vortice dello stesso specchio. E poi ci siamo abbracciati, e poi ci siamo amati, non so se prima o se dopo, non so se sul grande letto dove l’abito da sposa ancora imbastito era disteso fino a un momento prima o a un momento dopo, non so se sul nudo materasso tolto dalla rete e buttato sul pavimento della stessa camera nuziale invasa dai calcinacci, in quella stessa villa lesionata dal sisma di vita e morte e dai bombardamenti genetici degli immortali.

«Aspetto un figlio da te!» mi ha detto all’improvviso, non so se prima o se dopo, non so se in quella villa o in un’altra villa o in un altro specchio, una villa infinitamente più grande, come una reggia, dove stavamo ballando abbracciati in un cerchio di torce in fiamme.

«Un figlio? Ma non c’era già stato il figlio? Non era quello che non aveva voluto risorgere?»

«Quello è il figlio che abbiamo avuto prima e che abbiamo avuto dopo, questo è il figlio che avremo adesso.»

«Ma il prima e il dopo non si stanno guardando nel vortice dello stesso specchio? E allora dov’è l’adesso? È l’adesso del prima e del dopo? È il vortice del prima e del dopo che si stanno separando da se stessi e si stanno duplicando nel vortice o nell’eco del vortice di un altro specchio? Ma di quale specchio? E da quale altro specchio ci stava guardando il figlio nel prima e nel dopo? Da quale specchio ci sta guardando adesso? È figlio anche questo del primo uomo che è fatto a immagine e somiglianza di me e che adesso è immortale? Ma allora anch’io adesso sono immortale? Il creatore è immortale? È entrato anche lui nello specchio dell’immortalità della vita e della morte del mondo e dell’immortalità della creazione e della distruzione? Ma allora che creatore è? E tu chi sei? Dove mi hai portato? Perché mi hai portato nel mondo, io che avevo creato il mondo separandolo per la prima e ultima volta dal mio specchio nel trauma della creazione? Perché mi hai fatto entrare nello specchio delle sue allucinazioni biologiche configurate e della sua storia e delle sue narrazioni e delle sue tracimazioni? Perché mi hai fatto attraversare tutto il mondo creato, la sua morte e la sua vita e i suoi specchi?»

Poi non lo so che cos’è successo, non lo so dov’ero.

Non lo so dove sono, da quale specchio mi sono separato ancora, in quale specchio sono entrato adesso.

Non lo so chi sono. Non lo so che cosa sto raccontando. Sono io che sto raccontando? Da quali specchi mi sono separato e in quali specchi sono passato per essere quello che adesso sta raccontando? Allora adesso sono un raccontatore? Sono addirittura uno che lascia traccia scritta di ciò che sta raccontando? E da dove sto raccontando? Da dove sto scrivendo? Da dentro la vita? Da dentro la morte? Da dentro il sogno della vita e della morte create che si guardano nel vortice dello stesso specchio? Da dentro la creazione? Che cosa sto sognando, che cosa sto creando? Ma si può sognare e nello stesso tempo creare? O si può sognare solo creando, si può creare solo sognando? E che cos’è, cosa può essere il sogno del creatore? Il mio sogno di raccontatore, il mio sogno di scrittore, la mia opera... Dentro dove può essere? Dentro quale specchio? Ci sono specchi anche per i sogni, dove anche i sogni si guardano nel vortice di uno stesso specchio? E allora io chi sono? Che creatore sono? Se non so neppure da dove sto raccontando e in che specchio sono, non so neppure se adesso sono nello specchio della creazione o in quello della distruzione. Che cosa sono? In che specchio sono? Che cos’è questo specchio in cui sono entrato per poter raccontare la creazione? E che cos’è il mio racconto? È anche quello una zona più densa di creazione? Perché anche il racconto, come la creazione, ha dovuto separarsi così da se stesso e dal suo stesso specchio per lasciare traccia scritta nel mondo dei morti e dei vivi? Perché la creazione si è dovuta separare così da se stessa per poter continuare a espandersi? E io adesso in che cosa mi sono gettato, in che specchio? E in che specchio ero quando mi sembrava che ogni cosa fosse spaccata in due, che anche quella cosa che i morti e i vivi hanno chiamato letteratura fosse spaccata in due? E invece ero io a essere spaccato in due, perché mi ero separato dal mio stesso specchio, perché ero il creatore e perché, separandomi dalla mia creazione, ero il suo distruttore. E mi sembrava anche che, proprio perché quella cosa era spaccata in due, poteva esserci uno spazio segreto, una cruna attraverso cui si poteva passare dall’altra parte. E che allora, forse, potevo essere io quella cruna. Ero io. Quando mi aggiravo da solo nella vita e nella morte del mondo, e tutt’intorno a me c’erano quelle apparizioni di corpi e di volti separati e poi duplicati, c’era solo quella disperata separazione e duplicazione in cui si poteva rispecchiare e proiettare anche la mia separazione, perché il creatore è separato, perché il creatore è solo, perché il distruttore è solo, perché non c’è nessuno più solo del creatore e del distruttore che si guardano l’un l’altro nel vortice dello stesso specchio.

Io non ricordo nulla della mia vita passata, perché il ricordo è tutto dentro la creazione. E come fa a esserci creazione, se c’è il ricordo della creazione? Ma adesso, che sono passato non so attraverso quali e quanti specchi per continuare a cercarla, mi sembra di essere, o di essere stato, uno scrittore. E di essere vissuto e di stare vivendo, nella vita e nella morte del mondo, in una condizione di incolmabile solitudine e invisibilità, perché non potevano, non possono vedermi, anche se credevano di vedermi mentre vedevano se stessi dentro il mio specchio, come io vedevo me dentro i loro, perché anch’io non mi vedevo, non mi potevo, non mi posso vedere. E intorno a me c’era tutto un disperato pullulare di volti e di folle e di specchi arrivati al culmine della creazione, della duplicazione e della clonazione e alla fine del mondo degli uomini umani, dei loro miti e delle loro visioni e allucinazioni. E anche un disperato pullulare di raccontatori e scrittori che si guardavano l’un l’altro dentro lo stesso specchio. Che credevano ci fosse la realtà e di esserci dentro, che la realtà fosse quella cosa che si era separata per la prima e ultima volta dalla creazione, e che si potesse riprodurre questa cosa già separata dentro lo specchio di un’altra separazione, che ci potesse essere la produzione separata dalla creazione e la realtà separata dalla creazione, che ci potesse essere persino la monetizzazione della creazione e l’economia dei vivi separata da quella dei morti, e che su queste separazioni si potessero fondare le loro società e i loro miti e le loro religioni e le loro conoscenze e la loro storia e le loro speculari invenzioni e allucinazioni. I miti della storia e del suo progresso e delle sue rivoluzioni nello specchio delle continue tracimazioni, dell’immortalità della vita e della morte create, i loro aneliti, le loro apparizioni, le loro figure, il flagello delle loro luci e dei loro volti dipinti e delle loro metastasi musicali, le crune degli scrittori. E io ero solo, ero in fiamme ed ero solo, mentre mi guardavo nei loro specchi che si erano separati dal mio. Sono ancora più solo adesso, che mi sto separando anche dai loro specchi per continuare a cercarla. Se non sono loro che si stanno separando dal mio. Io adesso non ricordo più i nomi degli altri raccontatori e scrittori con i quali ero stato per la prima e ultima volta nel vortice di uno stesso specchio, perché anche i nomi si sono separati così tante volte da così tanti specchi che non sono più dentro la nominazione della vita e della morte del mondo. Stavo con il mio specchio in fiamme dentro i loro specchi in fiamme, se non erano loro a stare così dentro il mio.

Chissà se, come ho immaginato e forse nello stesso istante creato altri pianeti e altri mondi dove ci sono altri creatori che si stanno cercando, ci sono anche altri pianeti e altri mondi dove altri cantori e altri raccontatori si stanno cercando attraverso l’infinito spazio buio del cosmo con i loro impulsi elettromagnetici e i loro scandagli e le loro grandi astronavi sole, per potersi guardare l’un l’altro almeno per un solo istante e per la prima e ultima volta nel vortice dello stesso specchio? Cantori di creazioni create e di tracimazioni e di guerre, maschi e femmine che hanno spinto la loro voce fino al canto, su pianeti di sole femmine e di soli maschi che si continuano a cercare nell’infinito buio del cosmo, raccontatrici dagli occhi obliqui e dai lunghi capelli e dalle lunghe e sovrapposte vesti di seta e dalle caverne nere e profumate delle loro bocche che aprono caverne profumate dentro gli specchi continuando a sussurrare al buio nello specchio della vita e nella morte del mondo, viaggiatori verticali e poeti scenici, soldati che hanno chiuso gli occhi e hanno cominciato a fantasticare, raccontatori in fiamme che hanno guardato senza paura il brulicare disperato della vita e della morte del mondo, le metastasi delle loro società atterrite e feroci e il loro tormento intimo di prefigurazione e pensiero, corpi che si guardano per un solo istante dentro il vortice dello stesso specchio nell’abbagliante paralisi dell’amore, nelle loro sterminate città che si scuotono e crollano sotto l’urto della tracimazione universale e del sisma di vita e morte, poetesse e poeti soli che si cercano attraverso le sconfinate lontananze del cosmo per potersi contemplare per un solo istante e per la prima e ultima volta dentro lo stesso specchio in fiamme che si sta separando da un altro specchio in fiamme. E chissà allora che ci siano anche altri pianeti e altri mondi abitati dalle creature che si sono separate dagli specchi dei loro creatori che si sono separati a loro volta dal mio, dove viaggiatori tra la vita e la morte del mondo stanno continuando il loro viaggio verticale nel cosmo con le loro grandi astronavi lontane e sole, principi e guerrieri soli nel loro disperato combattimento nella vita e nella morte del mondo, ragazzi in fiamme che si gettano per la prima e ultima volta nel vortice dello stesso specchio in fiamme, cavalieri erranti che continuano a errare e a tracimare attraverso gli specchi della creazione creata, piccole fiammiferaie che continuano ad accendere uno dopo l’altro i loro fiammiferi nell’infinito buio che ci circonda...

E anch’io adesso dove sono? In che specchio sono? Da dove sto raccontando? Sto raccontando da dentro la stessa infinita solitudine della vita e della morte del mondo creato o sto raccontando da un’altra parte? Che sia anch’io su uno di quei pianeti che si sono separati dal mio specchio e si sono duplicati dentro altri specchi? Ma allora che anche questo mondo creato e la sua storia e le sue allucinazioni e visioni siano da un’altra parte, in un’altra dimensione, dove si crea ciò che qui si distrugge, dove si distrugge ciò che qui si crea? Ma allora che ci siano su altri pianeti e in altri mondi anche quelli che gli uomini vivi dentro la morte vedono nei loro specchi come i personaggi storici del passato, arrivati da altri pianeti e da altri specchi per creare nella loro mente la parvenza della loro storia di specie, anche quelli che credono siano degli alieni che si spostano nella vita e nella morte del mondo attraverso gli spazi interstellari con le traiettorie delle loro astronavi illuminate nell’infinito buio, che li stanno cercando attraverso il cosmo e su altri pianeti e su altri mondi per ricongiungersi agli specchi da cui si erano separati, o da cui gli altri uomini si erano separati, per entrare in un solo istante e per la prima e ultima volta nel vortice dello stesso specchio in fiamme?

E lei adesso dov’è, perché possa anch’io entrare con lei nel vortice dello stesso specchio in fiamme?

Dove sei? Dove sei, se non sei più nella morte e non sei più nella vita? Dove sono adesso il tuo volto, i tuoi occhi umidi e rilucenti circondati da quegli aculei morbidi, il vortice della tua bocca, il tuo petto palpitante e caldo, la tua cruna di donna? Dove sei, se non sei più nella creazione? Perché non ti trovo più nella creazione e attraverso i suoi specchi? Dove posso tracimare ancora per poterti trovare?

E anch’io adesso dove sono, chi sono? E il mio specchio dov’è? Che cosa sto facendo? Sto creando oppure sto distruggendo? Ti sto creando o ti sto distruggendo? E anche tu che cosa stai facendo? Mi stai creando o mi stai distruggendo?

Ma allora, se non sei più nella creazione e non mi stai creando, dove sei? Sei nella distruzione? Ma allora anch’io, se non sono più nella creazione e non ti sto creando, dove sono? Sono nella distruzione? Ma allora che cos’è la creazione, se è indistinguibile dalla distruzione?

La creazione è la distruzione?

Ma allora devo continuare a cercarti anche nella distruzione? Devo continuare a crearti per continuare a distruggerti? Devo continuare a distruggerti per continuare a crearti?

Ma allora io in che specchio mi sto guardando? Chi sono? Sono il creatore o sono il distruttore?

Il creatore non c’è più, non resta che il distruttore.