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Il distruttore

Ero di fronte a lui, mi ero appena separato dal suo specchio, io, il primo uomo, per la prima e ultima volta, di fronte al suo creatore.

«Che cosa ho fatto, che cosa ho fatto?» balbettava.

Balbettava e tremava. O forse ero io che tremavo, perché ci stavamo guardando l’uno nello specchio dell’altro, io nel suo specchio e lui nel mio specchio che si era appena separato dal suo con il quale era una cosa sola, e quindi anche da se stesso, quando mi aveva creato a sua immagine e somiglianza e io avevo dovuto lacerarmi di colpo dal suo specchio per potermi duplicare nel mondo, avevo dovuto patire il trauma di questa separazione nel momento stesso della mia creazione.

Se invece non ero lui che si era appena lacerato dal mio specchio ed era diventato a immagine e somiglianza mia per continuare a cercarla e a crearla anche nella separazione e nella distruzione.

Anche se non l’aveva ancora separata, non l’aveva ancora creata. Non l’aveva ancora creata e la stava già cercando all’incontrario nella separazione e nella distruzione, come se la separazione venisse prima, la distruzione venisse prima per poter venire anche dopo.

Oppure l’ha creata una seconda volta, l’ha creata nella distruzione come l’aveva creata nella creazione. Oppure nello stesso identico istante anche nella distruzione che si è lacerata dalla creazione per potersi guardare come una cosa sola con la distruzione nel vortice dello stesso specchio.

«Sono solo, sono solo!» sentivo la mia voce che stava gridando, perché io, a differenza del creatore, sento tutto, vedo tutto, perché non c’è nient’altro da sentire e vedere che non sia il suono e la visione della distruzione.

Io porto dentro di me, fin dall’inizio, questo terribile dono e questa prefigurazione: di avere patito il trauma della distruzione nel momento stesso della creazione, di avere patito il trauma della creazione nel momento stesso della distruzione.

Ma allora adesso chi sono? Sono il distruttore che è diventato il creatore o sono il creatore che è diventato il distruttore? Sono il primo uomo che è diventato il suo creatore o sono il creatore che è diventato il primo uomo per continuare a cercarla anche nello specchio della distruzione?

Adesso sono il primo uomo, e sono solo, sono solo!

«Perché sono così solo?» sentivo che stavo gridando in quegli spazi ancora sotto l’urto dell’invenzione e della distruzione.

E c’erano tutt’intorno a me le figure e le forme che stavano sorgendo per la prima e ultima volta nella duplicazione e nella distruzione. Mi guardavo intorno, infinitamente solo, come può esserlo il primo uomo nella distruzione creata, vedevo intorno a me tutto il mondo che si divincolava e si precisava nell’incessante tormento chimico della distruzione che si separa dalla creazione, della creazione che si separa dalla distruzione. Riuscivo persino a scorgere il punto esatto dove ogni cosa e ogni forma si separava e si duplicava strappandosi da se stessa, dove ogni specchio si lacerava. Lo scorgevo con tale infinita evidenza che mi sembrava non ci fosse nient’altro da vedere. Capivo che il cuore palpitante di ogni cosa e del mondo era quello strazio e quella separazione e quella distruzione e quella duplicazione, non il dispiegarsi delle forme e delle loro apparizioni che si riproducono e si compenetrano e si fagocitano fin nelle loro più intime fibre e nelle loro più invisibili cellule con il loro patrimonio genetico e i loro cromosomi ciechi e soli e lanciati che si guardano nel vortice dello stesso specchio, non il rigoglio della creazione creata che tende a saturare ogni cosa sulla linea dell’orizzonte del mondo, ma la crepa tellurica, la spaccatura, la faglia, la sutura genitale e genetica della distruzione creata che non si rimargina mai, che si duplica continuamente, che si fronteggia fin dall’inizio nella vita e nella morte del mondo. Tutto il mondo è lacerato, tutti gli specchi sono lacerati, tutta la creazione è dentro la lacerazione e la distruzione. I suoi esseri, le loro proiezioni e le loro apparizioni, le prime forme sono le ultime forme perché la creazione si guarda nello specchio della distruzione, perché si guardano tutte e due nel vortice dello stesso specchio che si sta separando dal vortice di un altro specchio, perché il palpito della distruzione attraversa tutta la creazione e la sua distruzione.

Lo guardavo, guardavo il mio creatore che mi guardava e che non mi vedeva, che non mi poteva vedere perché lui era ancora o credeva ancora di essere dentro lo specchio della creazione mentre io ero già dentro quello della distruzione.

«Che forma gli ho dato?» si domandava. «Da dove l’ho tratta? Ho duplicato la mia stessa forma come dentro uno specchio? Oppure l’ho tratta dalla mia mente? Ma come ho fatto a trarla dalla mia mente se non so neppure se ho una mente, se ho dovuto creare anche la mia mente per poter creare le creazioni della mia mente?»

«Che forma gli ho dato?» mi domandavo nello stesso istante anch’io, guardandolo dentro il suo specchio mentre lui si stava guardando nel mio che si era appena separato dal suo, se non era il suo che si era separato dal mio. «Ho duplicato la mia stessa forma come dentro uno specchio? Chi c’è adesso di fronte a me? È lui che ha distrutto me nella creazione o sono io che ho creato lui nella distruzione?»

«Sono solo, sono solo!» continuava a gridare, se non ero io che stavo gridando dentro il suo specchio quello che lui stava gridando nel mio.

E allora, perché era solo, ha creato la prima donna separandola dal suo specchio, se non l’ho creata io separandola dal mio che si era separato dal suo, se non l’ho creata nella distruzione mentre lui la stava creando nella creazione.

E allora l’ho creata anch’io, per poter continuare a cercarla nella distruzione mentre lui continuava a cercarla nella creazione.

Perché ero solo anch’io, perché io ero solo nella mia distruzione come lui era solo nella sua creazione.

La cercavo, la continuavo a cercare nella cruna della distruzione che attraversa fin dall’inizio la creazione.

«Dove sei? Dove sei?» mi dicevo, o forse le dicevo, perché lei era sempre nella mia mente, come se lei fosse entrata nella mia mente nello stesso istante in cui il creatore creava lo specchio della sua mente mentre io distruggevo lo specchio della sua mente.

«Sono qui! Non mi vedi?» mi ha detto, quando è apparsa per la prima e ultima volta di fronte a me.

«Certo che ti vedo!» le ho detto. «Come faccio a non vederti?»

Era grande, era bella, era profumata.

Però vedevo anche che era attraversata da parte a parte da tutta questa universale lacerazione da cui stava emergendo la creazione.

«Eppure il creatore non mi vede!»

«Io sono il distruttore e ti vedo.»

«Ma che cosa vedi?»

«Vedo quello che lui non vede.»

«Ma allora forse non vedi quello che lui vede.»

«Lui non vede niente, lui non vede che anche tu sei nella distruzione, lui non vede che non c’è nient’altro da vedere che la distruzione e la separazione e la duplicazione, lui si è separato dal mio specchio nella creazione solo perché io mi sono separato dal suo nella distruzione, io ti ho finalmente trovata nella distruzione perché non c’è nessun altro spazio e nessun altro tempo e nessun’altra dimensione dove trovarci che non sia la distruzione.»

«Ma allora perché mi cerchi?»

«Perché ti sta cercando anche lui nella creazione che è tutta dentro la distruzione.»

«Ma allora in che specchio sei? Da quale specchio ti sei separato?»

«Mi sono separato dal suo mentre lui si stava separando dal mio.»

«E io in che specchio credi che sia?»

«Sei nel suo specchio e nel mio.»

«Eppure lui mi ha creata per te, perché sei solo.»

«Anche lui è solo. Anche tu sei sola.»

Ha allungato la mano verso di me, anch’io ho allungato la mia verso di lei, nella distruzione.

Ci siamo coricati sul filo dell’orizzonte, ci siamo amati.

Ma poi... non lo so se ci siamo amati, perché come si fa ad amarci se non c’è l’amore, se anche l’amore si è dovuto separare da se stesso nello specchio della creazione ed entrare in quello della distruzione?

L’ho accarezzata, l’ho baciata, le sono andato dentro il volto con la mia bocca e col muscolo della lingua che frugava dentro la sua distruzione con la mia distruzione, le ho morsicato il volto, il collo, le spalle, il petto profumato e caldo che sussultava, l’incavo delle ascelle neonate, i fianchi morbidi, il ventre, l’interno delle cosce, la sua apertura e la sua schiuma di donna, piano, per non sbranarla, ho chiuso gli occhi e le sono andato dentro con tutto me stesso attraverso il rostro cieco del mio corpo che sprofondava nella disperata cruna del suo nella vita e nella morte del mondo.

«Non c’è l’amore, non c’è l’amore...» le dicevo e le sussurravo con la bocca ancora imbrattata dai suoi umori di donna vicino ai suoi meravigliosi occhi e al suo volto, mentre ero tutto dentro il suo corpo e gemevo, mentre anche lei gemeva sotto di me e lanciava persino delle piccola grida, perché mentre lui la stava amando nella creazione io la stavo amando nella distruzione, perché c’è solo la distruzione della creazione e la creazione della distruzione e perché anche l’amore è tutto dentro la distruzione.

“E allora perché l’ho cercata?” mi dicevo in quello stato di perdita di conoscenza e di esplosione dei confini della vita e della morte dei corpi, mentre le nostre bocche e le nostre lingue e le radici dei nostri corpi sessuati sprofondavano sempre più nel vortice dello stesso specchio. “Perché l’ho cercata così tanto nella creazione e adesso nella distruzione, se anche l’amore è tutto dentro la distruzione? Perché adesso mi sto muovendo così disperatamente dentro di lei e dentro la cruna della sua distruzione? Dove voglio andare, per spingermi così nel suo corpo nella vita e nella morte del mondo? Che cosa cerco, se sono già nella distruzione? Che cosa c’è, che cosa può esserci oltre la distruzione? E perché adesso il mio corpo sta lanciando così incontrollabilmente dentro di lei gli schizzi roventi della mia disperazione e della mia distruzione?”

Intanto, tutt’intorno a noi, il mondo si lacerava e si duplicava, sempre nuovi esseri erompevano nella distruzione, vita e morte create si guardavano l’un l’altra nel vortice dello stesso specchio, la faglia della distruzione lacerava da parte a parte la creazione, c’era un clangore assordante di specchi che si laceravano e si separavano e si duplicavano nella distruzione credendo di duplicarsi nella creazione.

“Che cos’è la distruzione?” mi chiedevo mentre mi separavo da lei, e uscivo con il mio corpo ancora emozionato e bagnato dalla cruna calda del suo primo corpo di donna. “E io che distruttore sono? Perché sono stato separato dalla creazione e gettato nella distruzione, se la distruzione non ha mai fine, e quindi non avviene mai, non può avvenire, perché c’è sempre qualcosa da distruggere ancora, qualcosa che viene gettato continuamente nel cratere della creazione e della distruzione? Perché non può mai finire la distruzione? Ma allora dove comincia la distruzione? E dove comincia la creazione? Comincia prima la creazione o la distruzione? C’è un momento, c’è un punto, c’è una dimensione dove la distruzione non ha più bisogno di nuova distruzione, dove può dirsi completamente separata dalla creazione e dal suo specchio, dove non sia più in preda agli spasmi della creazione?”

Ci siamo separati, io il primo uomo e lei la prima donna, ci siamo separati nello specchio della distruzione come ci eravamo separati in quello della creazione.

Io sono andato da una parte, lei dall’altra.

Ma poi... non lo so da che parte è andata, perché non so se c’è un’altra parte. Come fa a esserci un’altra parte se non c’è niente che non sia dentro lo specchio della distruzione?

Sentivo tutt’intorno a me il clangore della distruzione che si fendeva e che si irradiava come un’esplosione che faceva esplodere anche lo specchio della distruzione.

“Dove andranno, dove tracimeranno tutte quelle figure e quelle forme che erompono sempre più dal cratere della mia distruzione?” mi chiedevo. “In quale altra distruzione, in quale altro specchio? E come fa la distruzione a essere dentro lo specchio della creazione continuando a essere distruzione? Che ci sia solo questa creazione o che ce ne siano anche altre? Che ci sia solo questa distruzione o che ce ne siano anche altre? Che ci sia solo la distruzione della creazione e la creazione della distruzione? O che si sia duplicata anche la distruzione e la distruzione della creazione? Ma allora in che cosa può essersi duplicata? E, se si è duplicata in qualcosa d’altro, dov’è finita adesso la creazione, dov’è finita adesso la distruzione? Che siano ancora dentro la stessa creazione e la stessa distruzione o che siano dentro un’altra creazione e un’altra distruzione? Ma possono esserci un’altra creazione e un’altra distruzione separate dalla creazione e dalla distruzione? O che siano dentro qualcosa d’altro? Ma, se sono dentro qualcosa d’altro, allora da dove viene la creazione, da dove viene la distruzione? Che cosa viene prima: la creazione o la distruzione? O questo qualcosa d’altro? Ma, se c’è qualcosa che viene prima, allora io che distruttore sono? Che io, creando la distruzione, abbia creato anche la creazione e quello che viene prima della creazione e della sua distruzione? Ma allora io che cosa ho distrutto, che cosa sto distruggendo? C’è qualcosa che possa essere distrutto nella creazione? C’è qualcosa che possa essere creato nella distruzione?”

Ero solo, ero completamente solo. Alzavo gli occhi in piena notte, nella garza nera dell’atmosfera, verso quel flagello di luci che palpitava nell’infinito buio.

“E che siano anche quegli altri mondi dentro lo stesso specchio della creazione e della distruzione o che siano dentro qualcosa d’altro? Che siano dentro la stessa distruzione o che siano dentro un’altra distruzione? Ma allora che ci siano anche altri distruttori? Che, in ognuno dei pianeti sparsi nei miliardi di galassie dove è sorta la vita che si è lacerata e che si è duplicata, ci siano altri distruttori che in questo momento stanno guardando verso lo stesso infinito buio dell’universo? E allora chi lo sa che tutti questi distruttori non si possano cercare attraverso gli sconfinati spazi in preda al tormento della distruzione, chi lo sa che non si possano infine incontrare da qualche parte, in qualche altro mondo e in qualche altro specchio. E allora – se è così – chi lo sa che, nella mia infinita solitudine, non possa venire raggiunto anch’io dalla loro voce, chi lo sa che non possa venire convocato anch’io a uno di questi incontri? Ma da chi? Perché, se c’è un distruttore che può convocare gli altri distruttori, allora vuol dire che è lui il distruttore, che è il distruttore anche dei distruttori. ‘Vieni!’ mi dirà il mio distruttore, d’un tratto. E allora io andrò. E allora anche tutti gli altri distruttori andranno, tracimeranno. E allora tutti i distruttori si incontreranno in qualche punto o in qualche altra dimensione del mondo. E allora tutti i distruttori si raduneranno e si diranno: ‘Noi chi siamo? Se la distruzione non ha mai fine, allora noi che distruttori siamo? Dentro dove siamo? Siamo dentro la distruzione della creazione o siamo dentro qualcosa d’altro?’. E allora tutti i distruttori si guarderanno, e si vedranno, nella luce livida che arriverà ancora da qualche lontanissima stella spenta da milioni di anni, si guarderanno e si dispereranno, e poi piangeranno, e allora si sentirà solo attraverso l’infinito spazio nero del cosmo il clangore di tutti quei distruttori di mondi che si dispereranno e che piangeranno nell’infinita creazione e distruzione del mondo.”

E intanto la cercavo, non lo so perché ma la continuavo a cercare, anche se ero il distruttore ed ero tutto dentro la distruzione, anche se eravamo tutti e due nella distruzione, continuavo a cercare la mia distruzione nella sua distruzione, la sua distruzione nella mia distruzione.

Poi, all’improvviso, l’ho vista.

Mi stava venendo incontro, non so da dove, con il suo meraviglioso corpo appena creato per me nella distruzione.

Era grande, era bella, era profumata e profumava di sé tutta la distruzione.

«Ma da dove viene questo profumo?» le ho chiesto quando è stata di fronte a me.

«Da me» mi ha risposto sorridendo.

«Sì, ma da dove nasce, se c’è solo la distruzione? Sei tu che profumi la distruzione o sei il profumo stesso della distruzione?»

Non mi ha risposto, sorrideva soltanto, con la sua bella bocca, con i suoi occhi umidi e rilucenti.

Ci siamo coricati sul filo dell’orizzonte.

«Aspetto un figlio da te» mi ha annunciato.

«Da me?» le ho risposto sbalordito. «Ma se io sono il distruttore!»

«Sei il distruttore perché non sei stato ancora distrutto, perché sei ancora dentro la creazione e la sua distruzione.»

«Ma allora da chi lo aspetti? Dal distruttore oppure dal creatore?»

«Lo aspetto dal distruttore perché lo aspetto dal creatore, lo aspetto dal creatore perché lo aspetto dal distruttore.»

La guardavo, la guardavo e non so che cosa mi succedeva, non so se l’amavo, io che sono il distruttore, che sono il distruttore anche dell’amore. Ma come si fa a essere il distruttore dell’amore se non c’è più l’amore? Che spaventoso frantoio è la creazione e la distruzione!

Io non lo so che cos’è l’amore, io non lo so perché sempre nuovi esseri si gettano in questo specchio attraversato da parte a parte dalla lacerazione della creazione e della distruzione. Tutte queste creature che si cercano e che si chiamano nel vortice della distruzione creata. Tutte queste mani che si stringono, questi occhi che si guardano e che si contemplano e che si adorano, tutte queste bocche e queste lingue che si cercano e che si frugano, tutte queste dita e queste braccia che si avvinghiano, tutti questi gorghi di corpi e di genitali che si fagocitano e che si duplicano, tutti questi disperati ovuli e questi spermatozoi muniti di flagelli che si gettano disperatamente nei canali neri dei corpi in cerca di sempre nuova distruzione... Perché, perché, se c’è solo la distruzione?

Il mio corpo tremava, dentro il suo. Tutto il mondo tremava, avvertivo solo l’universale e fragoroso tremare delle figure e dei corpi e degli specchi nel momento della loro lacerazione, separazione, duplicazione e tracimazione.

Ci siamo separati anche noi. Ci siamo alzati dal filo dell’orizzonte.

Io sono andato da una parte, lei dall’altra.

“Dove sarà andata?” mi chiedevo, perché era scomparsa di nuovo e non la trovavo. “Perché non vedo più il suo specchio dentro il mio specchio, se sono tutti e due dentro lo specchio della distruzione? Che cosa sarà successo al suo specchio? Che cosa sarà successo al mio specchio? Che si sia duplicato anche lui, che si sia duplicata anche la distruzione? Ma come può essersi duplicata, se la distruzione non può che essere tutta dentro la distruzione? Dove andranno a finire tutte quelle figure e quelle forme che erompono sempre più dal cratere della distruzione? Che ci sia una distruzione anche per la distruzione? Che ci sia una morte anche per la distruzione? Ma allora io che distruttore sono, che cos’ho distrutto, se c’è una morte anche per la distruzione?”

E allora, se c’era anche questa morte, ho continuato a cercarla anche nella morte, perché l’amavo, perché dovevo continuare ad amarla per poter continuare a essere il distruttore anche dell’amore.

E allora sono morto anch’io, sono diventato il distruttore anche della morte per poter continuare a essere il distruttore anche dell’amore.

“Che mondo è questo? Che città sono queste?” mi dicevo aggirandomi nelle sterminate città buie dei morti in preda alla distruzione e alla tracimazione e tormentate dal sisma di vita e morte create. “Sono stato io a dare inizio a tutta questa distruzione e a questa tracimazione, quando mi sono lacerato dallo specchio della creazione, o mi trovo dentro qualcosa che distrugge anche la mia distruzione? Ma, se anche la distruzione può essere distrutta, allora che distruzione è? Ma allora che cosa resta della distruzione e della sua creazione, che cosa resta della creazione e della sua distruzione?”

Città che sorgevano e che crollavano sotto l’urto del sisma di vita e morte, donne e uomini che si cercavano e che si incernieravano, schiere di vivi che tracimavano continuamente dentro la morte e di morti dentro la vita, fiumi e città seminali pieni di disperati gameti carpiti in volo da grandi becchi lanciati nel vapore delle cascate, bandiere e vessilli fradici di pioggia dispiegati nel buio da eserciti di tracimati...

Mi muovevo in quel mondo e non sapevo chi ero, in che specchio ero, se ero io che avevo dato inizio a tutta quella distruzione separandomi dallo specchio della creazione o se era stata la creazione a essersi separata da me per poter continuare a creare la sua distruzione.

Poi, all’improvviso, lei è apparsa di nuovo di fronte a me.

Com’era bella anche nella morte!

«Come sei bella!» le ho detto, io che sono il distruttore, che sono il distruttore anche della bellezza.

Mi ha circondato con le sue braccia.

Ci siamo incernierati, ci siamo amati anche nella morte.

«Qui è in atto un movimento sismico di tracimazione e di resurrezione» mi ha detto lei all’improvviso, alla fine, quando siamo stati uno di fronte all’altra coricati sul filo dell’orizzonte, e le radici dei nostri corpi si erano appena separate e lacerate dal vortice dello stesso specchio. «Qui ci sono delle schiere sempre più sterminate di morti che si stanno gettando nel movimento sismico della resurrezione e che stanno risorgendo...»

«Allora risorgerò anch’io!» l’ho interrotta con esultanza. «E tu risorgerai con me!»

«No, io non risorgerò. Io rimarrò qui ad aspettare il mio creatore.»

«Ma il tuo creatore sono io, che ti ho creato nella distruzione mentre lui ti creava o credeva di crearti nella creazione!»

Non mi ha risposto. Ma sorrideva.

Sono rimasto a guardarla, a contemplarla, con il volto vicino al suo volto, sul filo dell’orizzonte della vita e della morte del mondo.

«E poi dove risorgerai?» mi ha chiesto lei dopo un po’, continuando a sorridere e allungando la sua piccola e bella mano verso di me per accarezzarmi il volto, la bocca.

«Nella vita.»

«Ma la vita non è dentro la morte? Ma la creazione non è dentro la distruzione?»

«Allora io farò risorgere anche la distruzione!»

Mi ha accarezzato la fronte, gli occhi, e allora io, non so perché, mi sono messo improvvisamente a piangere.

Mi ha continuato ad accarezzare gli occhi che piangevano per la prima e ultima volta nella vita e nella morte del mondo, ha avvicinato ancora di più il volto e io sentivo che stava baciando e suggendo con le sue belle e morbide labbra le lacrime che sgorgavano dagli occhi del suo distruttore.

Non lo so per quanto tempo siamo rimasti così, non lo so neppure perché piangevo, non lo so se stavo piangendo sulla distruzione o se stavo piangendo sulla creazione, non lo so se stavo piangendo perché non poteva esserci la distruzione senza la creazione, la creazione senza la distruzione, perché non poteva esserci né la creazione né la distruzione.

«E nostro figlio dov’è?» le ho chiesto improvvisamente, quando ho smesso di piangere.

«Nostro figlio è nato, nostro figlio è morto» mi ha risposto, staccando dai miei occhi le sue labbra morbide e calde.

«Ma allora adesso dov’è? È risorto?»

«No, lui non ha voluto risorgere, non risorgerà.»

Mi sono alzato in piedi, sulla linea dell’orizzonte che aveva ripreso a tremare forte per il sisma di vita e morte.

«Bene, allora vorrà dire che risorgerò io!» ho detto all’improvviso, asciugandomi le ultime lacrime col dorso della mano. «Allora vorrà dire che mi metterò io alla testa di questo movimento di resurrezione e di distruzione, vorrà dire che farò risorgere anche la distruzione!»

E allora sono risorto, in quel mondo morto che aspettava solo il sisma della resurrezione.

Anche lei si è alzata, ha cominciato ad allontanarsi in silenzio, sul filo spezzato dell’orizzonte.

«Bene!» le ho detto ancora, gridando, per cercare di farmi sentire da lei che si allontanava verso non so dove. «Adesso io andrò da lui e lo farò risorgere, lo farò risorgere nella distruzione e farò risorgere con lui la distruzione, perché io sono il distruttore e allora sono il resurrettore, sono quello che farà risorgere la distruzione dalla creazione, la creazione dalla distruzione.»

E allora sono andato, e allora l’ho cercato, e allora l’ho trovato.

Sono entrato nel suo sepolcro, e si sentiva il profumo di aloe e di mirra di cui erano impregnate le bende in cui era avvolto mischiato al fetore della decomposizione, mentre il suo corpo che si era separato dal mio corpo e dal mio specchio e che si era duplicato era già in preda all’autodigestione delle cellule che non controllavano più gli enzimi, e il liquido erompeva dalla struttura delle cellule divorate, e i batteri si ingozzavano delle scolature che uscivano dalle cellule massacrate.

“È questa la distruzione?” mi dicevo muovendomi verso di lui nel buio di quel sepolcro. “Oppure tutto questo è proprio ciò che pone fine alla distruzione e che bisogna far risorgere perché possa esserci ancora la distruzione, la distruzione e la creazione?”

Mi sono avvicinato al suo corpo avvolto dalle bende di cui indovinavo il bagliore nel buio.

Mi sono seduto vicino, sulla stessa pietra dove lui era coricato.

«Sono qui» gli ho detto soltanto.

Non mi ha risposto.

Venivano da fuori, da molto lontano, voci e suoni di figure e di specchi che si laceravano, di parole che si separavano e si duplicavano nella vita e nella morte del mondo.

Che silenzio invece, là dentro!

«Non mi dici niente?» gli ho sussurrato d’un tratto, nel buio.

Non mi ha risposto, però sentivo, da piccoli suoni e gemiti interni che provenivano dal bozzolo della sua testa bendata, che stava cercando di impedirsi di piangere, mentre la sua bocca immobilizzata dalla fascia stava tentando di muoversi per riuscire a parlare.

«Tu chi sei?» è riuscito a dirmi all’improvviso, nel buio.

«Io sono il distruttore.»

«Perché sei venuto?»

«Per resuscitarti.»

«Perché?»

«Perché anch’io sono risorto e adesso sono il resurrettore, perché tu ti sei separato dal mio specchio nella distruzione e allora te ne separerai anche nella resurrezione, perché sono venuto a far risorgere in te anche la mia distruzione.»

È rimasto in silenzio. Però si sentivano ancora quei gemiti e quei piccoli suoni nella vastità di quella caverna buia.

“Sta piangendo...” mi sono detto “adesso sta piangendo lui perché non vuole farsi trascinare nella resurrezione, mentre prima piangevo io perché sapevo che se volevo perpetuare la distruzione e la creazione dovevo entrare nella catastrofe della resurrezione.”

Eravamo soli, eravamo completamente soli, là dentro.

«Tu chi sei?» mi ha domandato di nuovo, dopo un po’, anche se me lo aveva già chiesto e io gli avevo già risposto.

«Non lo so» ho sentito che questa volta gli stavo dicendo all’improvviso, nel buio.

E poi sono rimasto in silenzio anch’io, per un po’ o per molto, non saprei dire, perché ero rimasto sconvolto dalle parole che mi erano uscite di bocca.

Che incredibile situazione... il primo distruttore creato che non sapeva più neppure chi era, immobile e muto dentro una caverna verticale buia dove era sepolto il proprio figlio che si era separato dal suo stesso specchio ma che non voleva risorgere nella distruzione!

Scorgevo, in quell’infinito buio, il bagliore fosforescente del suo corpo e della sua testa imprigionati dalle bende.

Poi, all’improvviso, le parole mi sono sgorgate di bocca come un fiume che non potevo più fermare, e allora ho cominciato incontrollabilmente a parlare, vicino a lui che non so neppure se mi sentiva e se mi ascoltava.

«Sì, io non so chi sono, non so più chi sono. Io credevo di saperlo ma adesso non lo so più. Ma se il distruttore non sa più chi è allora che distruttore è? O forse il distruttore non può che essere quello che non sa chi è, perché si è separato dallo specchio del creatore che non sa, non può sapere chi è, se no non sarebbe il creatore, se lo sapesse sarebbe dentro la sua creazione e dentro il ricordo della sua creazione, sarebbe dentro la sua distruzione e il ricordo della sua distruzione prima ancora che la distruzione si sia separata dallo specchio della sua creazione. Ma allora, se non so chi sono, che cosa dirò quando mi incontrerò con gli altri distruttori e con il mio distruttore in un altro pianeta o in un altro mondo o in un’altra dimensione? “Io sono risorto” dirò, tremando per la disperazione e per l’emozione, in quegli spazi mai visti prima, in quello spaventoso silenzio, in mezzo a tutti gli altri distruttori che si guarderanno l’un l’altro in quella luce livida che arriverà da una lontana stella morta da milioni di anni. “Io mi sono separato dallo specchio della creazione con la distruzione, io mi sono separato dallo specchio della distruzione e della creazione entrando nello specchio della resurrezione della distruzione e della creazione. Ma allora che distruttore sono, che resurrettore sono se non posso che far risorgere la distruzione dentro la creazione e la creazione dentro la distruzione?” E poi mi fermerò, con il cuore in gola, mi guarderò attorno con gli occhi sbarrati, in quella luce morta arrivata dopo uno sconfinato viaggio da un punto dove non c’è più la luce. E gli altri distruttori che cosa diranno? E il mio distruttore che cosa dirà, quando avrò finito di parlare e anche di tremare, e ci continueremo a guardare tutti nel vortice dello stesso specchio, nel tremendo silenzio che si sarà creato dopo le mie parole? Forse diranno: “Che ne sarà di noi se risorgeremo, che ne sarà di noi se non risorgeremo? Che ne sarà di questi mondi se risorgeranno? Continueranno a vagare attraverso lo spazio nella distruzione mentre altri mondi continueranno a vagare nella creazione oppure risorgeranno insieme a loro nella creazione per poter continuare a risorgere nella distruzione?”. E forse il mio distruttore dirà: “Che distruttore sono, che cosa ho distrutto se adesso mi arriva fin qui attraverso questi infiniti spazi neri, annidato tra le schiere degli altri distruttori che si sono separati dal mio specchio mentre io mi stavo separando dai loro, un altro distruttore che vuole farmi risorgere e farci risorgere nella distruzione? Perché posso continuare a essere il distruttore e anche il distruttore dei distruttori solo se rimango dentro lo specchio della creazione e della distruzione e della resurrezione, solo se accetto di non venire distrutto e addirittura di risorgere dalla distruzione? Chi mi ha condannato a una solitudine simile? Qualcuno mi ha condannato o mi ci sono votato? Perché mi sono separato dallo specchio della creazione e addirittura da quello della distruzione, separando da me altri distruttori che si stavano separando a loro volta da me, per essere così solo nel vortice della distruzione e della resurrezione? Perché sono così solo, perché devo stare nella solitudine della distruzione per poter stare nella solitudine della creazione? Perché devo stare nella solitudine della resurrezione per poter stare nella solitudine della creazione e della distruzione?”. E allora io, che sono condannato a vedere tutto, forse all’improvviso non vedrò più niente, perché proprio in quel preciso momento la luce smetterà di arrivare da quella lontana stella morta da milioni di anni, tutta la luce morta sarà già arrivata e sarà già passata oltre e non ci sarà più altra luce nel mondo. Tutti i distruttori resteranno immobili, senza vedersi, nell’infinito buio, nei loro specchi neri...»

Mi sono arrestato, perché non riuscivo più a parlare per la disperazione.

«Non soffrire così...» ho sentito che all’improvviso la sua voce mi stava sussurrando nel buio, scaturita dal bozzolo fosforescente delle sue bende, con dolcezza, in un soffio.

Mi sono girato verso di lui, ho allungato la mano verso quel leggero bagliore, ho accarezzato alla cieca il suo volto serrato dalla fascia.

«E adesso che cosa succederà?» ho ripreso a dire dopo un po’, in quella caverna buia, senza riuscire a fermarmi. «In che cosa risorgerò? Se la creazione è tracimata nella distruzione e la distruzione è tracimata nella resurrezione, allora io in che cosa risorgerò, in che cosa tracimerò? Nella vita? Ma in quale vita? La vita non doveva essere un tutt’uno con la creazione? Ma allora adesso che vita è, se si è separata dalla creazione? E perché la creazione si è separata da se stessa ed è diventata la distruzione? Perché la vita si è separata da se stessa ed è diventata la morte? E allora adesso la morte in che cosa tracimerà? Nella vita? E la vita allora in che cosa tracimerà? Ma se la vita si è separata dalla creazione e anche la morte si è separata dalla distruzione, allora che cos’è la creazione, che cos’è la distruzione? E l’amore cos’è? È la creazione o è la distruzione? È la vita o è la morte? Ma che creazione è, che distruzione è, che vita è, che morte è, se la vita si è separata dalla creazione e la morte dalla distruzione? Forse, nell’immensità degli spazi bui dove ci sono pianeti morti in cui si danno convegno le schiere dei distruttori, ci saranno anche altri pianeti morti dove si danno convegno le distruttrici, e anche loro accorreranno da tutto l’universo in quel punto, si incontreranno e si guarderanno in quella luce morta che le starà oltrepassando, e poi nell’infinito buio del mondo. “Dove siamo? Chi siamo?” diranno. “Perché siamo state separate non solo dalla creazione ma anche dalla distruzione e dai distruttori mentre ci stavamo guardando nel vortice dello stesso specchio? Perché è stato creato l’amore se anche l’amore si è separato da se stesso e dalla sua creazione e dalla sua distruzione? Perché adesso anche i distruttori e le distruttrici si devono chiamare e si devono cercare attraverso questi spazi neri con le loro voci nude e i loro impulsi elettromagnetici e i loro raggi morti e le loro grandi e disperate astronavi illuminate nell’infinito buio del mondo?” E si guarderanno in faccia, e si dispereranno e poi piangeranno, in quella luce morta che starà viaggiando sopra le loro teste e le starà già oltrepassando...»

Mi sono interrotto all’improvviso, perché sentivo un leggero rumore venire dal bozzolo fosforescente della sua testa, un rumorino.

«Non disperarti, non piangere...» la sua voce mi stava sussurrando nel buio. «Adesso piangerò io per te. Adesso c’è qualcuno che piangerà per te.»

L’ascoltavo con gli occhi chiusi, in quella caverna verticale, nel buio.

«E allora il mondo in che cosa tracimerà?» ho ripreso a dire mentre lui cominciava a piangere per me in questo infinito buio. «Che cosa diventerà? Sarà sempre e solo questa universale tracimazione di specchi a cui io ho dato inizio separandomi da quello del creatore mentre lui si separava dal mio o sarà qualcos’altro? Ma allora che ne sarà di tutti quegli specchi e quelle narrazioni e quei miti, quelli della creazione e quelli della distruzione, che ne sarà delle loro genesi e delle loro apocalissi? Delle loro allucinazioni, delle loro visioni, delle loro narrazioni? Delle loro nuove città che sorgeranno e che tracimeranno, nella vita e nella morte del mondo? O che sia possibile, ancora, la creazione, la creazione e la distruzione? E allora nuove città sorgeranno, crolleranno, tracimeranno, nuovi miti e nuove narrazioni sorgeranno, tracimeranno, nuove genesi e nuove apocalissi, sempre nuovi creatori e sempre nuovi distruttori e sempre nuove creatrici e sempre nuove distruttrici che si cercheranno e si chiameranno, sempre nuove guerre e sempre nuove universali tracimazioni, sempre nuovi specchi che si lacereranno, esploderanno. E allora anch’io che cosa diventerò? Diventerò anch’io un narratore, un cantore? Lo sto già diventando, lo sono già diventato? Io ho portato la creazione perché ho portato la distruzione, io ho portato la distruzione perché ho portato la creazione. Io sono il culmine di tutta la vita umana, in questo passaggio d’era della riproducibilità della materia – anche di quella in pensiero –, della clonazione e della fine del mondo degli uomini umani, dei loro miti e delle loro visioni e allucinazioni. Io sono il distruttore che sta tenendo aperta la possibilità della creazione per spingersi verso qualcosa d’altro che non c’è ancora, che non ci sarà. Anche la mia opera non c’è mai stata, non ci sarà, perché io sono il distruttore anche di ciò che non ci sarà. Ma allora dove sono, in che mondo sono, in che mondo siamo? Dove siamo stati finora, dove saremo adesso? Siamo in quel luogo, in quella dimensione che era stata chiamata un tempo il purgatorio? Siamo gli spiriti del purgatorio, gli unici che possono apparire, come diceva Gregorio Magno? No, non c’è purgatorio, non c’è inferno, non c’è paradiso, ci sono solo la creazione e la distruzione che si guardano nel vortice dello stesso specchio. Quest’opera è finita, non è mai cominciata, perché io sono il distruttore e sono il suo distruttore, perché ho portato il codice genetico della mia distruzione fin dentro le sue cellule più segrete, i suoi tessuti, i suoi nervi, i suoi visceri luminosi e i suoi genitali, il suo disperato cuore e il suo cervello seminale sprofondato sotto la linea dell’orizzonte del mondo, le sue apparizioni balenanti e le sue figure, perché io ho sconvolto ogni cosa col vento dell’ispirazione, dell’invenzione, della distruzione e della creazione...»

Sentivo piangere, incontrollabilmente, da qualche parte, nel buio.

«E che cosa ne sarà di tutti quei tracimatori e quei tracimati, e di quei vessilli fatti sventolare nel buio e di quei peana, di tutti quelli che crederanno di portare la rivoluzione nella vita e nella morte del mondo, di tutti quelli che tremeranno per l’esaltazione e che piangeranno e che sogneranno nei loro specchi neri in qualche punto del mondo, di tutte quelle torce accese qua e là nell’infinito buio, che continuano a tenere accesa la possibilità della distruzione, della distruzione e della creazione, come sto facendo anch’io, che ne sarà di tutti quegli uomini soli e quelle donne sole che hanno raccontato e cantato la distruzione cantando la creazione, che hanno cantato la creazione cantando la distruzione, di tutti quelli che hanno suscitato i suoni della distruzione lacerandoli da quelli della creazione e i suoni della creazione lacerandoli da quelli della distruzione nella tracimazione musicale del mondo, di tutti quelli che hanno fatto balenare figure e forme attraverso i loro disperati pigmenti, come quel mio fratello povero e solo, bevitore di assenzio, frequentatore di bordelli per zuavi, che ci sarà da qualche parte nella tracimazione universale dei mondi, quello che ha alzato gli occhi verso i cieli gremiti di fasci disperati di luci provenienti da stelle morte, verso i mondi morti dove si radunano i creatori e i distruttori e le creatrici e le distruttrici che si cercano e che si chiamano nell’infinito buio, quello che ha mostrato il mondo nel momento in cui lo specchio della distruzione si separa da quello della creazione, che ha mostrato la luce che comincia a distruggere e a divorare le forme e i contorni e le linee di contenimento del mondo, la luce della distruzione, l’unica luce, la mia luce! E che ne sarà di quella piccola fiammiferaia ai bordi di una strada di una città tracimata dove nessuno la vede, tutta sola, al buio e al freddo, con i piedini nudi, che accende un fiammifero dopo l’altro per strappare là dentro, nella luce della sua piccola torcia che crea e distrugge le forme, la visione della sua vita e della sua morte nel mondo... Io sono solo come quella disperata bambina, io accendo uno dopo l’altro i miei fiammiferi e illumino per un istante un tratto della mia vita e della mia morte in tutto questo infinito buio che mi circonda. Che cosa ho fatto da quando mi sono separato dallo specchio della creazione per entrare in quello della distruzione? Che cosa ho fatto da quando mi sono seduto per la prima e ultima volta al buio e ho cominciato non so perché a raccontare e a cantare, e tutt’intorno a me era nero e freddo, ed era notte, e io mi trovavo nel gabinetto di un monolocale dove portavo un tavolino e una sedia facendoli passare a stento dalla piccola porta per non tenere la luce accesa e svegliare chi stava dormendo nell’unica stanza, con la moquette strappata e annerita per il piscio di tutti quelli che erano passati prima di me in quella camera d’affitto ai bordi di una grande città tracimata, e non mi arrivava niente dal mondo, per mesi, per anni, come se non ci fosse il mondo, non mi arrivava niente dalla vita e dalla morte del mondo, la cassetta delle lettere era sempre vuota, solo bollette della luce, del gas, al massimo un minuscolo tubetto pubblicitario di maionese in offerta lancio che divoravo con le lacrime agli occhi come un affamato e un neonato, tutto solo nella mia stanza, un’altra volta un insetto secco, stecchito, che era finito là dentro e non era più riuscito a uscire ed era morto. Giravo di notte con una lattina di birra in mano, nelle strade buie di quelle periferie tracimate, e ogni tanto non ci vedevo più, il mondo scompariva di fronte ai miei occhi, coglievo con i batteri della visione l’istante esatto in cui si lacerava dallo specchio della creazione ed entrava in quello della distruzione. Perché continuavo ad accendere i miei fiammiferi, le mie piccole torce che nessuno vedeva in tutto quell’infinito buio? Perché piangevo da solo vedendo scorrere nel video in bianco e nero di un piccolo televisore portatile appoggiato sul nudo pavimento sbrecciato le immagini ricostruite dell’antica città di Ninive tracimata? Giardini pensili, tori alati, lunghe barche con la prua e la poppa rialzate che scivolavano sulle acque del Tigri, le tavolette d’argilla del re Assurbanipal che narravano l’epopea dell’eroe sumerico GilgameŠ, per due terzi creatore e per un terzo distruttore, che ebbe l’ardire di chiamare puttana Ishtar, la dea dell’amore, che abbatté il toro celeste e che poi tracimò nella morte e poi nella vita e incontrò infine Utnapishtim che il settimo giorno aprì un piccolo boccaporto e vide un po’ di luce cadere sul suo volto, mentre tutta la razza umana era tracimata dentro la morte... Perché piangevo vedendo duplicata come in uno specchio nelle striature e nelle muffe di una fetta di formaggio la battaglia tra Ciro e Artaserse, la traiettoria del giavellotto che colpiva il re, i segni filanti delle criniere dei cavalli in corsa e dei vessilli dispiegati e dei ciuffi di peli in cima alle lance e alla sommità degli elmi? Perché, se c’è solo la distruzione? Perché, se c’è solo la distruzione nella creazione e la creazione nella distruzione? O piangevo perché c’è anche qualcosa d’altro? Qualcosa che era lì, in cui io stesso ero dentro, ma che non vedevo, non potevo vedere. Perché non potevo vederla? Ma cosa può esserci al di fuori del vortice dello specchio della creazione e della distruzione? E io dove sono? Chi sono?»

Mi sono fermato, perché sentivo piangere forte vicino a me, sconsolatamente, nel buio.

Mi sono girato verso il corpo avvolto nelle bende, ho allungato una mano verso il bozzolo fosforescente della sua testa.

L’ho accarezzato.

Sentivo sotto le mie dita le bende tutte fradice per le lacrime.

«Non disperarti, non piangere...» gli ho detto io, questa volta. «Adesso non ti tormento più, me ne vado. Risorgerò nella vita, anche se non so più che cos’è la vita.»

E allora mi sono alzato, e allora ho attraversato lo spazio buio di quel sepolcro verticale e sono uscito dall’altra parte facendo rotolare la pietra circolare che lo chiudeva.

E allora ho mosso i miei primi passi nella vita che si era separata dalla creazione, come li avevo mossi nella morte che si era separata dalla distruzione.

Tutto il mondo tremava, tutta la vita tremava, per le scosse della tracimazione e del sisma che salivano dal profondo.

Sentivo cantare, sentivo piangere.

“Perché canteranno?” mi chiedevo. “Perché piangeranno? Perché io devo sempre sentire cantare e piangere?”

Tutto il mondo era attraversato da eserciti di tracimati che cantavano tremando per l’esaltazione nel buio e che piangevano e che si assalivano. Tutta la terra vibrava sotto i passi degli eserciti di tracimati e sotto i tonfi delle bombe che scavavano crateri nella linea dell’orizzonte, tutto il cielo era solcato da traiettorie di missili che portavano ovunque la distruzione e la creazione.

“Sì, sì!” mi dicevo. “Sono io che ho portato la distruzione! Io sono quello più vicino alla creazione perché sono quello più vicino alla distruzione, sono quello più vicino alla distruzione perché sono quello più vicino alla creazione, alla creazione e alla distruzione e alla resurrezione!”

Tutto il mondo era in tracimazione e in fiamme. Gli uomini morti e gli uomini vivi stavano forgiando le loro nuove armi genetiche guardandosi per la prima e ultima volta nel vortice dello stesso specchio.

La cercavo, la cercavo nella vita, come l’avevo cercata nella creazione, come l’avevo cercata nella distruzione, come l’avevo cercata nella morte.

“Come farò a trovarla in mezzo a tutta questa distruzione?” mi disperavo. “Che volto avrà? Avrà ancora il volto che aveva nella creazione, avrà il volto che aveva nella distruzione o sarà stato distrutto anche quello nella distruzione della creazione e della distruzione? La riconoscerò? Quando mi verrà incontro con tutto il suo corpo profumato e con il bagliore dei suoi occhi che si sono lacerati e si sono separati dai miei nello specchio della creazione e poi in quello della distruzione... Quando la vedrò di fronte a me con tutto il turgore del suo giovane corpo nella vita e nella morte del mondo, con le sue spalle erette e i suoi fianchi e il suo petto e il suo ventre e la sua cruna di donna... e io non potrò che amarla perché io sono il distruttore anche dell’amore e allora come farò a distruggere l’amore se non ci sarà più l’amore?”

Sentivo ancora cantare, sentivo esultare.

«Vieni! Vieni!» mi gridavano da tutte le parti, non so chi, non so perché, non so dove, mentre entravo in una grande città in fiamme.

«Ma voi chi siete?» domandavo, gridavo.

«Siamo i tracimati.»

«Ma da cosa?»

«Dalla morte.»

«Dalla vita.»

«Vieni con noi!» mi gridavano altre voci, che non si sentivano.

«E voi chi siete?»

«Siamo gli immortali» mi rispondevano le loro voci che non si sentivano, dall’alto dei loro camion e dei loro carri.

«Ma perché non si sentono le vostre voci?»

«Perché stiamo parlando e cantando nell’immortalità, perché abbiamo forgiato le nuove armi genetiche dell’immortalità. Vieni anche tu nell’immortalità!»

«Ma io sono il distruttore, io sono il risorto! Che distruttore sarei, che risorto sarei se entrassi anch’io nello specchio dell’immortalità?»

«Solo se entri nello specchio dell’immortalità potrai continuare a essere il distruttore e il resurrettore nell’eternità e nell’immortalità!»

Ma io, il distruttore, avevo paura della distruzione e dell’immortalità e dell’eternità della distruzione, perché forse allora non avrei potuto trovare il mio amore per poter continuare a distruggere anche l’amore, non avrei potuto distruggere il mio amore per poter continuare a trovare il mio amore.

«Come farò a trovarla, se sarò nell’immortalità?» ho gridato ancora, verso l’onda dei carri degli immortali che facevano tremare la strada sbriciolando l’asfalto con i loro cingoli.

«Forse è anche lei nell’immortalità» mi hanno risposto con le loro voci che non si sentono, e intanto ridono, cantano.

“Io, immortale?” mi dicevo. “Il distruttore immortale? Ma che distruttore sono se sono nell’immortalità e allora non posso distruggere l’immortalità? O forse, forse... solo se sono nell’immortalità potrò continuare a portare la distruzione nell’immortalità e distruggere anche l’immortalità. Forse solo se entro nello specchio dell’immortalità potrò cercare e potrò distruggere il mio amore per l’eternità.”

Così sono entrato anch’io nello specchio dell’immortalità, per continuare a cercare e a distruggere anche l’eternità e il mio amore nell’immortalità.

“E adesso dove la cercherò, dove la troverò?” mi dicevo. “In mezzo a tutti questi corpi e a questi volti che si fronteggiano e che si separano, a tutti questi specchi della creazione e della distruzione e della resurrezione della vita e della morte del mondo e dell’immortalità della loro resurrezione, in questa prima e ultima guerra e universale tracimazione? E io come posso essere ancora il distruttore se non riesco più a percepirmi separato da questa universale distruzione e dall’immortalità di questa distruzione e separazione, adesso che sono entrato anch’io nell’immortalità della creazione e della distruzione e della resurrezione?”

Scorgevo un lontano bagliore, da qualche parte, come se ci fossero delle luci, delle piccole luci, anche se lì era tutto luce, ero dentro un braciere di esplosioni e di luce. Ma come facevano a esserci ancora delle luci che non fossero indistinguibili dalla luce e dall’immortalità della luce che continua a divorare la luce?

“Che cosa saranno tutte quelle piccole luci che stanno venendo avanti?” mi dicevo col cuore in gola. “Che poi non so se sono piccole o grandi, forse mi sembrano piccole solo perché le sto vedendo da molto lontano, e continuano a ingigantire impercettibilmente di fronte ai miei occhi, non si capisce se sono tante luci che si sono fuse in un’unica luce o se è un’unica luce che sta esplodendo in una miriade di luci.”

Continuavo a camminare lungo un viale arato dalle esplosioni, con le rotaie del tram sollevate e stortate, costeggiando grandi palazzi neri dalle finestre sfondate imprigionati da un intrico di rampicanti carbonizzati.

Ero sempre più vicino a quella galassia di luci, cominciavo già a distinguere all’interno del suo bagliore le prime cuspidi che bucavano qua e là la sua pelle di luce.

“Che cos’è questa cosa?” mi chiedevo continuando ad avanzare. “È una galassia di luce che mi sta aspettando nella distruzione come mi ha aspettato nella creazione o sarà un’immagine riflessa sulla retina dei miei occhi dai batteri della visione che si stanno separando dallo specchio della creazione e della distruzione?”

Sempre nuovi punti di luce erompevano da quella garza fosforescente che si srotolava attraverso la città in fiamme nella vita e nella morte del mondo, laceravano la sua pelle e venivano avanti filando verso di me.

“Mi stanno aspettando! Mi stanno aspettando!” mi dicevo col cuore in gola, anche se non sapevo chi mi stava aspettando.

Tutto il fronte si sgranava allargandosi come un’acqua seminale fatta palpitare da una miriade di gameti divorati da un mare di luce.

“In che specchio starò vedendo tutta questa luce crivellata di punti di luce?” pensavo mentre mi gettavo anch’io in avanti verso quella galassia. “Com’è che adesso mi sembra di non vedere più niente, tanta è la luce che sta invadendo i miei occhi, proprio io, che vedevo tutto?”

«Vieni! Vieni!» mi stavano gridando molte voci. «Hai trovato anche tu la tua luce!»

E io correvo, correvo, in quella città in fiamme, verso quel mare seminale di luce.

«Voi chi siete?» domandavo, gridavo.

Scaturivano da tutta quella luce delle voci, delle vocine.

«Siamo le piccole fiammiferaie!» sentivo che mi stavano dicendo e gridando quelle vocine in fiamme.

E io le guardavo, guardavo tutte quelle piccole torce che si sgranavano e si separavano di fronte ai miei occhi in quella sterminata garza di luce.

“Chi saranno tutte quelle piccole fiammiferaie?” mi chiedevo mentre ero sempre più vicino a loro, e stavo già entrando in quel mare di luce che si apriva per me e poi si richiudeva alle mie spalle e che mi accoglieva. “E perché saranno tutte qui ad aspettarmi?”

Mi guardavo attorno, anche se non riuscivo a vedere niente.

«Voi chi siete?» ho chiesto ancora, anche se l’avevo già chiesto, e loro mi avevano già risposto, perché non riuscivo a dire nient’altro, a pensare nient’altro.

«Noi siamo quelle che si sono lanciate in fiamme dalle torri gemelle di New York che crollavano» sentivo che molte vocine mi stavano dicendo mentre passavo vicino a loro sprofondando in quella galassia di luci, «che si sono gettate in quel cielo seminale in fiamme che fasciava i nostri piccoli corpi che venivano giù dai piani più alti dei grattacieli come stelle cadenti, in mezzo a quella matassa palpitante di gameti che stridevano e ardevano come pixel contro i nostri piccoli volti dagli occhi sigillati in quella matassa di luce...»

«Noi siamo quelle che sono state divorate dal fuoco atomico a Hiroshima e a Nagasaki» mi stavano gridando altre voci, altre vocine in fiamme, «che hanno sentito ardere i propri piccoli volti in una garza di luce che non si staccava, che si sono messe a correre con gli occhi che si liquefacevano in quell’enorme braciere iniettato nell’atmosfera...»

«Noi siamo quelle che sono state divorate dalla gelatina di fosforo delle bombe al napalm che venivano giù silenziosamente dal cielo e che poi esplodevano come grandi fiori ciechi nel buio, che sono state bruciate nelle loro case e nelle loro città incendiate dagli eserciti dei tracimati, che hanno continuato a bruciare e a illuminare il residuo della materia del mondo con la loro piccola luce nell’infinito buio. Noi siamo quelle che sono state arse vive sui roghi, che sono state incendiate crocefisse e che hanno illuminato con i loro corpi le strade nere del mondo, mentre altri corpi passavano sui loro cavalli e sui loro carri e si giravano per un istante a guardarle in quell’infinito buio, con gli occhi resi lucidi dalle fiamme e i lineamenti trasfigurati dei volti su cui passava come una carezza il bagliore del fuoco che si stava separando dal fuoco e dallo specchio del fuoco...»

«Ma allora che cos’è la luce?» ho provato a domandare, mentre sprofondavo sempre più in quel mare di disperata e morbida luce. «Ma allora che cosa c’è tra la luce e la luce?»

«Io sono quella di cui gli uomini vivi dentro la morte credevano di ascoltare la voce e invece stavano ascoltando il fuoco...» ho sentito che un’altra voce si è messa improvvisamente a dire, senza rispondermi, senza sentirmi, mentre passavo vicino a lei e le altre torce tutt’intorno tacevano, si sentiva solo il crepitare della loro luce e del loro fuoco nel mondo. «Io cantavo, bruciavo, con la mia voce sdoppiata da bambina violentata e sgozzata piena di strappi forsennati e di tremenda dolcezza e di improvvisi suoni gutturali che scaturivano chissà da dove, da qualche punto infinitamente profondo del mio corpo e della mia testa avvolti dal fuoco nella vita e nella morte del mondo...»

«Sì, sì...» le ho risposto, passandole così vicino che ho sentito sopra il mio volto la carezza della sua voce e del suo fuoco «e io ascoltavo la tua voce che scaturiva chissà da dove e che mi faceva tremare e piangere, la tua voce e il tuo fuoco, mentre dal resto di quella grande casa buia continuavano a venire quegli urli spaventosi e quei colpi e quei rumori insostenibili di percosse e quei tonfi del suo corpo scaraventato per terra e massacrato con i pugni, con la spranga di ferro della porta, con il tagliere di legno impugnato come un randello, con un bottiglione spezzato, col calcio del fucile, con le suole insanguinate degli scarponi, e intanto la tua lacerante voce che si era appena separata dallo specchio della tua voce continuava a cantare e a cantare e a bruciare e a salire, per forza che doveva salire, saliva sempre più e intanto anche i rumori delle percosse forsennate e dei colpi e le disperate grida salivano sempre più nell’oscurità di quella grande casa che tremava sotto l’urto del suo corpo ripetutamente scaraventato a terra e del sisma, e la tua voce saliva, saliva ancora di più e li sovrastava e li travolgeva, e allora anche quei rumori di colpi e di tonfi e quelle disperate grida da animale scannato dovevano per forza salire, salire, per poter duettare da pari a pari col turbine della tua voce che saliva e li fronteggiava e li oltrepassava, e intanto io piangevo, piangevo... Ma allora io chi sono? Da cosa sono nato? Dalla creazione o dalla distruzione? Ma, se sono nato dalla distruzione, allora perché non ho distrutto la creazione? E, se sono nato dalla creazione, allora perché non ho distrutto la distruzione?»

«Io sono la bambina violentata che si affacciava in piena notte alla sua finestrella in camicia da notte e con la mantellina per difendersi dal freddo, e vedeva di fronte a sé il cielo diventare bianco, sempre più bianco, per tutte quelle lucine che si accendevano e palpitavano nell’infinito buio del mondo...» mi sta dicendo un’altra voce da dentro quel mare di piccole luci che si apre continuamente di fronte a me, sottile, così sottile che è quasi indistinguibile dal crepitare di quella miriade di piccole torce «e io le guardavo, le guardavo, nella mia piccola stanza di bambina profanata dove vivevo prigioniera e sola, non staccavo gli occhi da tutto quel mare di piccole luci che facevano palpitare i contorni del mondo anche se non sapevo ancora cos’erano, credevo che fossero delle spore vegetali vaganti nell’aria che un uomo solo come me che camminava nella notte incendiava con la piccola fiamma del suo accendino per avvolgermi nella carezza amniotica di quella luce, e io avrei voluto starci dentro come in un altro corpo più luminoso e più caldo e più trasparente e più grande con tutta la mia piccola persona dimenticata e la mia piccola faccia e la bocca fasciate dalla carezza delle lacrime che mi scendevano senza freno lungo le guance, bianche, trasparenti, venute chissà da dove, da qualche scrigno pieno di luce che neanch’io sapevo che esistesse dentro di me, e io restavo con gli occhi chiusi e non pensavo a niente, non respiravo, mi scioglievo e scomparivo tutta dentro quell’abbraccio, e non tremavo più, non piangevo più, rimanevo per sempre là dentro, in piena luce, intatta... Io credevo di essere là dentro allora, invece ci sono adesso, sono riuscita a congiungermi e a diventare un tutt’uno con questo mare palpitante di piccole luci perché anch’io adesso mi sono accesa, sono anch’io adesso una piccola luce...»

Sprofondavo sempre più in quel mare sconfinato di luce che si espandeva di fronte a me.

“Dove sto andando?” mi dicevo. “Perché tutto questo indistinguibile mare di fuoco e di luce si sta aprendo così di fronte ai miei passi per accogliermi o per inghiottirmi? Perché si sta liberando di fronte a me un sentiero di luce che mi sta portando chissà dove in questo spazio di combustione e di distruzione e di resurrezione della vita e della morte nel mondo?”

«Io sono la bambina impiccata» ho sentito che all’improvviso mi ha cominciato a dire un’altra voce in quel mare verticale di morbida luce e di fuoco, «io sono la bambina che si è impiccata di fronte ai tuoi occhi nello specchio della distruzione per poter essere di fronte ai tuoi occhi adesso, che si è impiccata nella morte e che si è impiccata nella vita e che si è impiccata nella creazione e che si è impiccata nella distruzione. Io ti vengo incontro in questo mare genitale di luce e di fuoco, in questa città e in questo mondo in preda alla tracimazione universale e alla sua prima e ultima guerra e all’immortalità della creazione e della distruzione, io ti sto parlando con la mia voce che non si sente da questo scollamento che si è aperto nello specchio soffice della vita e della morte del mondo. Non lo so neanch’io come faccio a essere qui, perché sono qui, se sono venuta da qualche parte o se non sono venuta da nessuna parte, non lo so perché adesso sono in questo mare di fuoco e perché anch’io sono in fiamme. So solo che sono la tua piccola sposa, che ti porterò l’amore.»

“Che cosa mi sta succedendo?” mi dicevo, mentre stavo con la testa vicino a quella della mia piccola sposa indistinguibile in quell’oceano di luce e di fuoco. “Perché mi sembra che tutta la mia persona e il mio volto siano adesso avvolti da una carezza in cui non ero mai stato prima nella vita e nella morte del mondo? Che carezza è questa? Che stia bruciando anch’io? Che abbia preso fuoco anch’io, mentre stavo con la testa vicino a tutte queste piccole fiammiferaie e a tutte queste teste e a queste torce in fiamme e a quella della mia piccola sposa che mi porterà l’amore? Che la sua luce e il suo fuoco abbiano acceso improvvisamente anche me?”

«Guardami, sono qui!» ho sentito che mi stava dicendo con dolcezza una voce, in mezzo a tutta quella luce e a quel fuoco.

E io ho guardato, ma non vedevo niente.

«Non ti vedo» ho detto, anche se non sapevo chi non vedevo.

«Eppure sono qui...» mi stava sussurrando la voce.

«E allora perché non ti vedo?»

«Non mi vedi perché anch’io non ti vedo, perché siamo avvolti tutti e due nella stessa fiamma e nella stessa luce che non si vede.»

«Ma come fai a sapere che non mi vedi, se non sai neanche tu che cosa non vedi?»

«Guardami, proprio perché non mi vedi» mi ha detto ancora quella voce, in un soffio, nella luce, nel fuoco.

E allora l’ho guardata, anche se non la vedevo, proprio perché non la vedevo, mentre stava di fronte a me al centro di quel mare di fiamme col suo abito da sposa avvolto dalla luce e dal fuoco.

«Non mi stavi cercando?»

«Sì, ma adesso che cosa sei?»

Mi sorrideva, come può sorridere la luce, come può sorridere il fuoco.

«Io non lo so se sei la stessa cosa che stavo cercando e che stavo chiamando.»

«Allora tu lo sai che cos’ero?» sentivo che la sua voce mi stava domandando senza smettere di sorridere nella luce e nel fuoco. «E allora dimmelo, perché possa saperlo anch’io!»

«No, non lo so, non l’ho mai saputo» sentivo appena che la mia voce, una voce che doveva essere la mia voce, le stava rispondendo da qualche parte di quel mare di luce.

E intanto mi dicevo: “Che questa sia la mia voce? Ma come faccio a sapere se è ancora la mia voce in questa combustione universale di luce e di fuoco e di mondi e di specchi? Come faccio a sapere se anche la mia voce non si è separata dalla mia voce e non è adesso nel vortice di questo specchio di voci e di luce? Come faccio a sapere da quale corpo o da quale fuoco sta scaturendo in questo indistinguibile mare di luce e di fuoco? Come faccio a sapere, proprio io che sono il distruttore, se non ho dovuto distruggere anche la mia voce per poter venire distrutto dalla mia voce, se la mia voce non ha dovuto distruggere anche chi emetteva la voce per poter continuare a essere la voce della distruzione, per poter continuare a portare la distruzione anche nella distruzione?”.

Stavamo tutti in silenzio, si sentiva solo il crepitare della luce nel silenzio della luce e del fuoco.

«Io non lo so chi sei» ho cominciato incontrollabilmente a dire. «Io credevo che tu ti fossi separata da me nello specchio della creazione mentre anch’io mi separavo dallo stesso specchio per entrare in quello della distruzione, per poterti guardare nello specchio della distruzione perché ci eravamo guardati in quello della creazione, perché anche tu potessi guardarmi nel vortice dello specchio della creazione e della distruzione. Io adesso sono entrato nello specchio dell’immortalità della creazione e della distruzione per poter continuare a guardarti come ti ho vista per la prima e ultima volta quando mi sei venuta incontro nella distruzione che si era separata dalla creazione e poi nella vita e nella morte create, per poter entrare insieme a te nello specchio dell’immortalità...»

Mi sono dovuto fermare per un istante, perché non riuscivo più a parlare, perché sentivo che una mano stava prendendo dolcemente la mia mano in tutta quella luce e quel fuoco.

«Io non sono immortale» ho sentito che mi stava dicendo o sussurrando la sua voce. «Io non diventerò immortale.»

Tremavo, in quella luce e in quel fuoco dove ogni cosa tremava.

«Ma come farò allora a essere il primo uomo immortale, se tu non sarai la prima donna immortale?» sono riuscito ancora a dire. «Come faremo a essere il primo uomo e la prima donna nella creazione e nella distruzione se non lo saremo nell’immortalità della creazione e della distruzione? Io credevo che tu fossi la prima donna, e io il primo uomo, il primo distruttore e il primo creatore che si stava guardando e che poteva venire guardato dalla creazione e dalla distruzione nel vortice dello stesso specchio, che ci potevamo continuare a cercare e a chiamare attraverso lo spazio buio e i suoi mondi, muovendo con le nostre disperate astronavi dai pianeti infinitamente lontani dei maschi e da quelli delle femmine, dai pianeti dei creatori e da quelli dei distruttori, da quelli dei distruttori e da quelli delle distruttrici, mentre la prima e ultima luce proveniente da una stella morta da milioni di anni passava sopra di noi e andava a illuminare, a scovare e a suscitare con la sua lingua luminosa morta altri mondi abitati da creatori e da creatrici e da distruttori e da distruttrici che si potevano incontrare per la prima e ultima volta nell’immortalità della sua luce morta...»

Mi sono fermato ancora, per l’emozione e la combustione, ma anche perché sentivo che lei mi stava accarezzando e stringendo la mano con la sua mano, in quel bozzolo di luce e di fuoco.

«Vieni!» mi ha detto la sua voce, d’un tratto.

E poi si è mossa, almeno così mi è parso, perché non si capisce se ci si muove o se si sta fermi quando si è in un mare di luce e di fuoco.

E allora anche tutto quel mare si è mosso tutt’intorno a noi, dietro di noi, davanti a noi, non saprei dire, perché non si capisce che cosa siamo noi e cos’è il resto, cos’è il dietro e il davanti, quando si è in un mare di luce e di fuoco che riprende il suo movimento nella creazione e nella distruzione del mondo.

Tutto quel bagliore ha cominciato impercettibilmente a scollarsi e a svellersi da se stesso e a risagomarsi, come una galassia sottomarina di infusori che palpitano trasfigurati muovendosi nelle acque nere che ci sono nel profondo di tutto quel buio liquido che ricopre il mondo.

Ci stavamo già muovendo in quella città in preda alla prima e ultima guerra tra la vita e la morte e l’immortalità, sentivo tutt’intorno a noi la pressione soffice della luce che si rimetteva in movimento e che debordava, e non si capiva se era il fuoco che ci trascinava e ci dislocava o se eravamo noi due che stavamo trascinando e dislocando tutto quel mare di fuoco e di luce.

“Dove stiamo andando?” pensavo mentre camminavo vicino a lei che mi teneva per mano in quel corridoio di luce e di fuoco che si era aperto, mentre dietro di noi e intorno a noi crepitava tutto quell’oceano di piccole fiammiferaie che si erano incontrate per la prima e ultima volta nella vita e nella morte del mondo. “Dove stiamo andando se non stiamo andando nell’immortalità?”

Si sentiva il clangore soffice della combustione di questo mondo e di questo universo in fiamme.

«Dove mi stai portando?» le ho chiesto, perché non sapevo dove andavo, chi ero.

La sua mano si è mossa improvvisamente attorno alla mia, o dentro la mia, non saprei dire.

«Nella reggia» mi ha risposto girando verso di me i suoi grandi occhi che rilucevano nel bagliore del fuoco e la sua bocca e il suo meraviglioso volto in fiamme.

«Quale reggia? Quella degli immortali?»

Non ho sentito se mi ha risposto, perché il mare in cui eravamo immersi ardeva sempre di più e dilagava e scricchiolava forte man mano che andavo avanti verso chissà dove.

«E cosa succederà nella reggia?» le ho chiesto ancora, non so perché, all’improvviso. «Dovrò sostenere una prova?»

Mi guardava, mi guardava, dietro il velo di luce e di fuoco che ci conteneva.

«L’hai già sostenuta, l’hai già superata» mi ha risposto sorridendo. «Non c’è nessuna prova da sostenere e quella prova tu l’hai già superata.»

Ci stavamo spostando in quella città di confine tra non so più che cosa, in un anfiteatro di case e di palazzi dalle finestre divorate dalla luce e dal fuoco a cui si affacciavano forme immobili e in fiamme.

I contorni di qualcosa come una villa si stavano stagliando sempre più di fronte a noi che andavamo avanti in una valanga di combustione e di luce.

Le linee della sua facciata e dei tetti, le sue cancellate, i suoi giardini, le sue grandi finestre spalancate, le galassie dei lampadari che pendevano dai soffitti erano disegnati e come radiografati da una luce che ci aspettava al di là della luce.

Adesso eravamo fermi di fronte alla reggia, sulla sua ghiaia in fiamme.

Ho alzato improvvisamente la testa.

Un signore elegantemente vestito stava scendendo dalla scalinata ricoperta da una passatoia rossa, ci stava venendo incontro quasi correndo, con le sue scarpe di vernice lucenti, tra due file di grandi vasi di fiori in fiamme, ci stava facendo cenno cerimoniosamente di salire.

Eravamo ai piedi della scalinata.

«Chi è quell’uomo?» ho provato a domandare alla mia sposa. «Perché mi sembra di averlo già visto, anche se non l’ho mai visto?»

Dietro di noi solo il fragore morbido della luce e del fuoco che stavano ardendo per la prima e ultima volta nella vita e nella morte del mondo.

«Finalmente siete arrivati!» ci stava dicendo il signore elegantemente vestito, con esultanza, continuando a scendere quasi di corsa lungo quell’interminabile scalinata, e intanto a farci dei cenni di accoglienza con tutte e due le mani disegnate dalla luce e dal fuoco. «Adesso finalmente può avere inizio la festa, perché siete voi l’anima della festa, perché non ci sarebbe nessuna festa se voi non foste arrivati. Perché gli invitati sono tutti fermi là, ad aspettarvi, nelle grandi sale di questa reggia, sotto le corolle dei suoi lampadari che si espandono a macchia d’olio, stanno aspettando il vostro arrivo alla testa di quella valanga di luce e di fuoco.»

«Che reggia è questa? Che festa è questa?» ho provato a domandare alla mia sposa, che continuava a tenermi per mano in questa garza di combustione e di luce.

«Vieni!» mi ha risposto soltanto, girando verso di me la sua meravigliosa testa e i suoi occhi, con la sua voce indistinguibile dalla luce e dal fuoco.

E allora abbiamo cominciato a salire, uno vicino all’altra, tenendoci per mano, alla testa di questa galassia di luce che si srotolava e che si allungava alle nostre spalle imboccando la scalinata dietro di noi, e il signore elegantemente vestito si era adesso girato, ci stava facendo strada verso il portone spalancato che c’era in cima, e io vedevo solo di fronte a me, sulla striscia rossa della passatoia su cui anche noi stavamo posando i piedi, sempre più in alto, la schiena luccicante del suo vestito da sera, le sue scarpe di vernice che scintillavano a ogni passo nel bagliore della vita e della morte del mondo.

“Com’è lunga questa scalinata!” mi dicevo continuando a salire. “E dove mi starà portando? Cosa ci sarà lassù, ad aspettarmi? In quale regno sto entrando? Che ci sia un altro regno anche per me, che sono il distruttore, che ci sia più in là un altro regno e un altro mondo che io possa distruggere credendo di crearlo, che io possa creare credendo di distruggerlo? O che sia un regno che non si può creare e non si può distruggere? Ma, se c’è un regno simile, che regno sarà, in che specchio sarà? Sarà in uno specchio o sarà dove non ci sono ancora gli specchi, non ci sono più gli specchi? Ma, se c’è un luogo in cui non ci sono più e non ci sono ancora gli specchi, allora che regno sarà? E io come ci entrerò? Come potrò portare persino là dentro la mia distruzione e la mia creazione?”

Continuavamo a salire, a salire, trascinando dietro di noi tutto quello smisurato manto di luce e di fuoco che scricchiolava e si srotolava e si dispiegava alle nostre spalle come uno strascico.

Siamo arrivati in cima.

C’era una ragazza in abito da sera che ci stava aspettando a fianco dell’alto portone a vetri spalancato, su cui si rifletteva il bagliore di quel fiume di fuoco che stava salendo dietro di noi.

Si è girata, per farci strada lungo i corridoi, verso le sale gremite di invitati che si indovinavano in fondo, e io vedevo trasalire di fronte a me i muscoli vellutati della sua bella schiena nuda e dei suoi fianchi che emergevano dalla scollatura posteriore del suo vestito da sera.

Abbiamo attraversato una sala, poi un’altra. Siamo arrivati nella sala grande che c’era in fondo.

Ci siamo fermati al centro.

Era tutto luce, era tutto fuoco.

«Dove siamo?» ho provato a dire alla mia sposa.

Non mi ha risposto, però mi ha preso anche l’altra mano, e allora siamo rimasti per alcuni istanti così, uno di fronte all’altra, al centro di quell’anello di invitati anche loro in fiamme.

«Che festa è questa?» le ho domandato ancora, senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi occhi.

Non mi ha risposto, però si è avvicinata a me fino a toccarmi frontalmente con il suo corpo, e allora io ho preso all’improvviso tra le mie braccia la nuvola in fiamme del suo vestito da sposa.

«Che ballo è questo?» le ho chiesto mentre stavamo già vorticando sul perno dei nostri corpi in fiamme, al centro di quella sala su cui si espandevano le galassie dei lampadari.

«Degli increati» mi ha risposto, con la bocca contro il mio volto.

«E allora adesso che cosa succederà?» le ho domandato ancora, anch’io con la bocca contro la sua fronte e i suoi occhi chiusi.

Ha aspettato un po’ prima di rispondermi.

«Adesso ti incontrerai finalmente con il creatore, con il tuo creatore» mi ha detto all’improvviso, staccando il suo meraviglioso volto da me, per guardarmi.

«Ma non mi ero incontrato all’inizio? Non mi ero già separato dal suo specchio all’inizio?»

«Lui adesso salirà lungo quella scalinata» ha continuato a dire, come se non avesse neppure sentito la mia domanda, «salirà alla testa di quel fiume di fuoco e di luce, tenendo per mano me nella creazione come tu mi hai tenuto per mano nella distruzione, anche se io non sono dentro la creazione e non sono dentro la distruzione, per portarvi fin qui attraverso la creazione, fino a questa festa e a questo ballo degli increati, solo per porvi uno di fronte all’altro per la prima e ultima volta nell’immortalità della vita e della morte del mondo...»

«Sì, sì...» non so perché mi sono messo incontrollabilmente a dire. «E allora lui entrerà in questa sala tenendoti per mano, da quell’alta porta a vetri fatta palpitare dal fuoco, trascinando dietro di sé tutto quello strascico di combustione e di luce, e poi verrà verso di me, verso di noi, che stiamo vorticando al centro di questo anello in fiamme, si metterà a vorticare anche lui insieme a te nella creazione mentre tu stai vorticando insieme a me nella distruzione, anche se non sei né nella creazione né nella distruzione, e poi, all’improvviso, si staccherà e si lacererà dalle tue braccia come io mi staccherò e mi lacererò dalle tue, e allora io e lui usciremo uno vicino all’altro, in silenzio, da questa sala, e imboccheremo grandi corridoi, e attraverseremo altre sale tutte piene di invitati in fiamme, e saliremo altre scalinate, altre scale, prima grandi, poi sempre più strette, poi una piccola scala a pioli di ferro, uno dietro l’altro, nel buio, scoperchieremo un lucernario, usciremo sui tetti, rimarremo a guardare per un po’ senza riuscire a parlare tutto l’anfiteatro del mondo divorato dalla luce e dal fuoco. E allora gli dirò: “Io non ce l’ho fatta, io sono stato annientato dalla distruzione”. E allora lui mi dirà: “Anch’io non ce l’ho fatta, sono stato annientato dalla creazione. Siamo stati annientati tutti e due dall’immortalità della creazione e della distruzione”. E allora io non lo annienterò più, non lo tenterò più, e allora ci abbracceremo irresistibilmente, sul tetto di questa reggia, al centro di questo sterminato anello di luce e di fuoco. E allora io tremerò, e anche lui tremerà. E allora io piangerò, e allora anche lui piangerà, e allora sentiremo tutti e due i nostri volti accostati avvolti dallo stesso velo di lacrime e fuoco. E allora lui accarezzerà la mia testa immortale, e io accarezzerò la sua testa immortale. “Come farò adesso a separarmi per la prima e ultima volta da te?” gli dirò. “Che ne sarà di questo mutante, di noi due?”»

«Sì, sì...» ha ripreso a dire la voce di lei, a sussurrare «ma intanto noi continueremo a ballare, e ci accarezzeremo, e ci baceremo, e tu mi terrai stretta tra le tue braccia, stringerai in un solo abbraccio il mio corpo morbido e profumato e la nuvola del mio vestito da sposa in fiamme. E tu non saprai più chi sei, perché sarai arrivato al termine della creazione e della sua distruzione, perché l’immortalità della creazione e l’immortalità della distruzione non potranno più guardarsi nel vortice dello stesso specchio creato. E allora tu mi domanderai, come hai continuato a domandarmi per la prima e ultima volta fin dall’inizio, nella vita e nella morte del mondo: “Tu chi sei?”. E allora io te lo dirò. E allora tu non saprai chi abbraccerai, ma mi abbraccerai, e mi accarezzerai, e mi bacerai, e allora non tremerai più, non soffrirai più, rimarrai irradiante e intatto tra le mie braccia, o forse sarò io a rimanere così tra le tue, e allora anch’io ti accarezzerò, e ti bacerò...»

Non so dove sono, chi sono, ma l’accarezzo, la bacio.

Il distruttore non c’è più, non resta che l’increatore.