GLI SFORZA A MILANO E IL GENIO DI LEONARDO

Separatore

Uno dei dipinti più importanti del Rinascimento e della storia: alla scoperta del Cenacolo.

Scansiona il QR code o clicca qui per rivedere la puntata di Meraviglie su Rai Play.

Le meraviglie d’Italia possono essere opere della natura come dell’uomo, hanno attraversato tempi diversi, in modi diversi. Tutte però hanno qualcosa in comune: il genio nazionale, quello che il mondo ci invidia. La capacità di creare opere incomparabili ma anche di valorizzare caratteristiche geografiche uniche. Un’eredità di cui dovremmo andare fieri, che ha attraversato tutte le epoche del nostro Paese ma che ha forse trovato la sua espressione più compiuta nel Rinascimento, l’epoca che tanto profondamente ha segnato l’architettura, l’arte e la cultura italiane.

Parlando di genio italiano, prima dei mari e dei monti, o di cattedrali e palazzi, un nome viene subito in mente. Leonardo da Vinci: genio del Rinascimento ma universale, mente curiosa e talento straordinario. Uomo del suo tempo e scienziato che anticipa il futuro.

Siamo a Milano, alla corte degli Sforza, ed è il 1482 quando Leonardo si trasferisce in quella che, con i suoi centomila abitanti, è una delle poche grandi città italiane di profilo europeo. È una città vivace, solcata da canali navigabili, e ben posizionata al centro di una regione molto ricca e produttiva.

Immagine di Santa Maria delle Grazie a Milano, particolare del tamburo, 1463

Milano attraversa insomma un momento straordinario della sua lunga storia, e Leonardo è un artista di trent’anni che ha abbandonato Firenze per proseguire la sua carriera di artista in una città più grande e in un contesto in quel momento molto interessante. I suoi anni recenti a Firenze sono stati segnati anche da un’accusa di sodomia, accusa all’epoca gravissima ma per la quale per fortuna non è stato perseguito. L’incidente, però, non poteva non lasciare segni profondi nell’uomo e nell’artista, e non da ultimo ha pesato sulle sue finanze: nei suoi scritti di quel periodo sono molti i riferimenti a debiti e conti da pagare.

Citazione di Leonardo Da Vinci. O studianti, studiate le matematiche, e non edificate sanza fondamenti.

Ancora una volta, Leonardo ha scelto con intelligenza: la corte sforzesca attira infatti a Milano grandi artisti, musicisti, poeti e filosofi dell’epoca. Fra loro, l’architetto Donato Bramante e i pittori Vincenzo Foppa e Bernardo Zenale, tanto per citarne alcuni. duca della città è Ludovico il Moro, un uomo ambizioso, colto, che ha in mente di finanziare la ristrutturazione della chiesa domenicana di Santa Maria delle Grazie, fondata nel 1463, con una grande opera di ampliamento e rinnovamento. Vuole farne la sede della tomba sua e della sua sposa, Beatrice d’Este, trasformandone la tribuna, probabilmente bramantesca, nel mausoleo di famiglia e in un monumento eterno al proprio potere e al proprio mecenatismo artistico.

Nel frattempo, nel refettorio del convento annesso alla chiesa, il pittore Donato Montorfano sta concludendo una Crocifissione; sulla parete di fronte, Ludovico chiede a Leonardo di dipingere l’Ultima Cena.

Un sogno impossibile

Leonardo, in realtà, sta già lavorando per Ludovico il Moro al progetto di un monumento equestre, commissionatogli per celebrare la grandezza del padre del duca, Francesco Sforza, un regnante illuminato che ha dato il via all’opera di ammodernamento della città proseguita dal figlio.

Come spesso accade nelle opere di Leonardo, si tratta di un esperimento, un tentativo di cambiare l’arte anche nella scultura: egli immagina debba essere la statua a cavallo più alta del mondo. Ma le difficoltà sono fin dall’inizio numerose e Leonardo deve continuamente perfezionare il progetto: peso e struttura presentano il conto e l’artista deve via via adattarsi ai diversi problemi che sorgono, con continue modifiche e soluzioni alternative. In un primo momento, ha immaginato il cavallo impennato, con in sella il valoroso duca, che sta piombando su un nemico: ma la realizzazione delle forme è troppo complessa, quello che ha in testa Leonardo è un sogno impossibile che va molto oltre la tecnologia del suo tempo. Il soggetto, infatti, date le dimensioni della statua, comporta grossi problemi anche per la fusione.

Immagine del Codice Atlantico di Leonardo Da Vinci, f. 70 recto, disegno di un’ala meccanica, 1478-1518, Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana

Quando, pur se alle prese con un’impresa titanica, gli viene offerto un altro lavoro – un altro incarico molto impegnativo – Leonardo si vota con entusiasmo a realizzare la migliore Ultima Cena possibile. Si muove però con cautela, con prudenza, centinaia di schizzi e disegni preparatori sono lì a testimoniare l’importanza che conferisce a quest’opera. Ludovico il Moro tiene moltissimo a che venga qualcosa di straordinario. E perché Leonardo possa concedersi di tanto in tanto delle pause in un lavoro faticosissimo, gli regala una vigna, proprio di fronte a Santa Maria delle Grazie, tuttora esistente e tuttora visitabile: un angolo di meraviglia nel pieno centro di Milano.

Il racconto di Alberto. Titolo: L’emozione di un grande attore. Il testimone di una delle nostre “Meraviglie”, il Cenacolo di Leonardo, è stato Philippe Leroy. Nel 1971 aveva vestito i panni del grande genio del Rinascimento per lo sceneggiato di Renato Castellani e quando ha rivisto il Cenacolo durante le registrazioni del programma è stato letteralmente travolto dall’emozione. Un’emozione che la camera di Gabriele Cipollitti ha catturato, travolgendo anche noi. “Non so se sono riuscito a interpretare bene Leonardo, ma so che una parte di lui è ancora dentro me” ci ha raccontato. Leroy è un uomo eccezionale, un attore di grande levatura, una persona semplice che sul set si è comportato come se fosse uno di noi. Un detto afferma che una persona è grande quando fa sentire grande gli altri. Leroy è proprio così.

La “fotografia” di un istante fatale

Il Cenacolo è probabilmente il dipinto più importante del Rinascimento italiano e, in assoluto, uno dei più importanti della storia. Un’opera che conosciamo tutti, o che perlomeno siamo convinti di conoscere nonostante siano molti gli aspetti poco noti di questo capolavoro. A cominciare dal motivo per cui oggi si trova in condizioni così difficili di conservazione, sempre a rischio di deterioramento. Per capirlo, bisogna tornare alla fine del Quattrocento, quando Leonardo decide di rinunciare alla tecnica dell’affresco, che obbliga l’artista a dipingere su intonaco fresco e a stendere i colori prima che l’intonaco asciughi e li “imprigioni”. A questa tecnica, che esige grande rapidità di esecuzione, Leonardo ne preferisce una a lui più familiare, simile alla pittura su tavola, che gli dia più tempo per riflettere sulla composizione e definire i dettagli della sua opera.

Immagine dell'Ultima Cena di Leonardo da Vinci, 1495-1497, Milano, refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie

Questo metodo di lavoro lento, però, non tarderà a creargli problemi con il suo committente. Ludovico il Moro infatti ha fretta, è ansioso di vedere l’opera finita, ma Leonardo è un artista e da vero artista un giorno si presenta all’alba e non scende dai ponteggi fino a notte inoltrata, dipingendo continuamente senza nemmeno mangiare, un altro giorno rimane per ore immobile, a guardare la parete, tra lo stupore dei presenti. Il tempo è un ingrediente fondamentale dell’arte. E non per niente, una delle magie dell’Ultima Cena è il senso del tempo, dell’attimo che cambia la storia, che Leonardo è riuscito a immortalare su quella parete.

Citazione di Leonardo da Vinci. Una volta che abbiate conosciuto il volo, camminerete sulla terra guardando il cielo, perché là siete stati e là desidererete tornare.

Il Cenacolo è come una fotografia, rappresenta un momento preciso. Un attimo che conosciamo tutti, quello in cui Gesù pronuncia la famosa frase “In verità vi dico: uno di voi mi tradirà”.

Leonardo, con un’abilità incredibile, riesce a fissare quel preciso momento, così drammatico. La frase di Gesù scende sulla tavolata come un fulmine a ciel sereno e trova impreparati gli astanti che reagiscono ognuno in un modo diverso. Per questo qualcuno ha detto che non di una foto si tratterebbe, ma di una vera e propria rappresentazione teatrale, una sceneggiatura: perché pur se immobili, i personaggi hanno ciascuno un proprio slancio, un proprio moto interiore riflesso nella posizione e nell’espressione.

Gesù si trova al centro. Non solo, tutto letteralmente converge verso di lui: gli sguardi e le espressioni degli apostoli, le linee di fuga della prospettiva che si concentrano sulla sua tempia destra. Lui è al centro di ogni cosa, ma nessuno lo tocca: uno splendido isolamento che irradia importanza, presenza, centralità, ma che è anche dolorosissimo: se nella sua natura divina è consapevole della propria eccezionalità e pronto al sacrificio, l’uomo in carne e ossa soffre della propria solitudine e avverte il peso di un terribile tradimento.

Accanto a lui, i dodici apostoli sono suddivisi in gruppi ordinati di tre. Alcuni sono stupefatti, altri hanno paura, molti quasi non si capacitano delle parole di Gesù. Come è riuscito Leonardo a rappresentare queste varie emozioni? Lui stesso, nel suo libro di pittura, diceva che un bravo artista doveva essere in grado di rappresentare non solo l’espressione esterna di un soggetto, ma anche l’emozione interna. Per ottenere questo effetto quali sono state le sue strategie, quali i suoi segreti?

Immagine dell'Ultima Cena di Leonardo da Vinci, 1495-1497, particolare con Matteo, Giuda Taddeo e Simone Zelota, Milano, refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie

Perché L’Ultima Cena ci parla ancora

Leonardo, come uno sceneggiatore moderno, trascorre molto tempo per le strade, che siano di Milano, di Firenze o di qualche borgo. A differenza di certi sceneggiatori che spesso sostengono di prendere appunti su frasi o espressioni di gente comune da inserire nei dialoghi dei loro film, però, Leonardo studia non le parole ma i volti. Osserva e cerca di afferrare la realtà dei soggetti che animeranno le sue opere. Tiene sempre con sé un taccuino su cui annotare, con parole, frasi o schizzi, le caratteristiche strane, interessanti, curiose dell’umanità che lo circonda. Non solo: per fare più in fretta, suddivide i vari tipi di nasi con dei numeri per associarvi determinate caratteristiche. Pare ne avesse catalogati ventuno e che usasse queste collezioni di dettagli come oggi fa la polizia per costruire identikit criminali.

Citazione di Herman Hesse. In Leonardo come in Goethe è l’amore il mistero che sta alla base dell’universalità.

Le espressioni così “parlanti” degli apostoli nell’Ultima Cena sono anche il frutto di questi studi dal vero, per le strade della Milano di allora.

E se il tempo, nonostante i restauri, è destinato a oscurare in parte la reale espressività di questi volti, Leonardo sa che le emozioni non si manifestano solo attraverso i visi ma anche con i movimenti, la posizione del corpo e le mani. Proprio così: le mani di Leonardo parlano, sono la voce di questi apostoli. E si sono conservate perfettamente. L’ennesimo tocco di un genio in grado di realizzare “effetti speciali”.

Ma a fare del Cenacolo un capolavoro assoluto è forse, prima di ogni cosa, la prospettiva.

Leonardo, tenendo come punto di vista quello degli osservatori, crea infatti un ambiente alle spalle di Cristo e degli Apostoli che è l’esatto prolungamento dello spazio del refettorio reale.

L’idea è che la sua opera continui nel mondo reale e viceversa, che il refettorio prosegua nel suo capolavoro. Una scelta stilistica che si intuisce anche solo soffermandosi sul fatto che la parete di sinistra sia più scura e quella di destra molto più illuminata. Perché? Perché proprio sul lato sinistro del refettorio c’erano dei finestroni. Leonardo ha inserito la luce fisica della sala nella luce pittorica dell’opera dipinta, aggiungendola all’altro punto di luce, quello dato dalle finestre alle spalle di Gesù, mentre il secondo, frontale, proviene dalla sinistra di chi guarda, cioè esattamente dal luogo in cui si trovano davvero le finestre del refettorio. A questo si aggiungono centinaia di dettagli, particolari, giochi di luce: sui piatti, sugli oggetti, perfino sui gancetti di metallo che reggono gli arazzi sullo sfondo.

Risultato? C’è un’unica grande cena, in cui si trovano uniti gli uomini di Palestina e i monaci seduti nel convento. In cui convergono il tempo di Gesù, il tempo di Leonardo e il nostro. L’Ultima Cena è un’opera pensata per trascendere lo spazio fisico, arrivata fino a noi con un fascino immutato, che anzi si fa ogni giorno più intenso.

Immagine di un dipinto di Giulio Romano, Zeus fulmina i giganti, 1532-1535, particolare, Mantova, Palazzo Te