I Sacri Monti con i loro percorsi devozionali avvicinavano il popolo ai misteri della fede.
Il Cinquecento italiano, secolo ricco di bellezza, non è fatto solo di glorie militari, sontuosi palazzi e tragici amori. Gli anni che precedono la frattura della Riforma protestante e quelli immediatamente successivi vedono sorgere nella penisola luoghi di spiritualità unici, capolavori d’arte sacra edificati a scopo devozionale.
Nel 2003, l’Unesco ha indicato sei Sacri Monti del Piemonte e due della Lombardia come Patrimonio dell’Umanità in quanto rappresentano “la riuscita integrazione tra architettura e belle arti in un paesaggio di notevole bellezza, realizzati per ragioni religiose in un periodo critico della storia della Chiesa cattolica”.
Il periodo cui si fa riferimento è quello compreso fra il XV e il XVI secolo quando, in conseguenza della rapida espansione della cultura musulmana anche in Europa, accedere ai luoghi della fede in Terra Santa diventa sempre più difficile per i cristiani. Vengono allora costruiti i cosiddetti Sacri Monti, luoghi devozionali posti solitamente su un’altura che richiamasse in qualche modo quella del Golgota, nei quali l’arte si fa ambasciatrice del messaggio cristiano. O, come sostiene lo storico Franco Cardini, si realizza la “teatralizzazione della Passione”, con il chiaro intento di avvicinare i credenti alla figura di Cristo.
Il primo Sacro Monte, quello di Varallo, viene costruito nell’ultima decade del XV secolo su un dirupo roccioso che domina l’omonima cittadina. Successivamente, in Italia ne sorgeranno circa una ventina, tutti concentrati nelle regioni settentrionali.
Il progetto del Sacro Monte di San Francesco a Orta nasce a partire da due valutazioni: l’esigenza di realizzare architetture che dialoghino con un paesaggio da favola e l’impegno a comunicare il messaggio cristiano nel modo più semplice e accessibile per le masse, all’epoca quasi completamente analfabete.
La posa della prima pietra risale al 1591 quando, su progetto di un frate cappuccino, vengono coinvolti numerosi artisti per creare un’opera monumentale e corale. Il percorso devozionale si compone infatti di venti cappelle decorate da pitture murali e statue a grandezza naturale in terracotta, che illustrano alcuni episodi chiave della vita di san Francesco.
Nella prima cappella è rappresentata, dallo scultore Cristoforo Prestinari, la nascita di san Francesco in una stalla, facendo chiaramente riferimento a quella che sarà la vita del Francesco uomo, umile e cristiano nel vero senso della parola, in contraddizione con la ricchezza nella quale cresce. Nella seconda cappella, sempre il Prestinari raffigura Francesco mentre conversa con il crocefisso. Per rendere la storia narrata più gradevole e reale, l’artista, realizzare le statue, si ispira a volti di persone vere, gente dei paesi limitrofi, attorno al lago, che trasforma in protagonisti dell’epopea di Francesco.
L’opera è grandiosa tanto che, proseguendo nell’ascesa del Sacro Monte e fermandoci alla tredicesima edicola, notiamo che è stata conclusa un secolo dopo rispetto alla seconda. L’episodio qui è quello in cui “San Francesco, per umiltà, si fa condurre nudo per le strade di Assisi”: come sarà anche per la ventesima edicola, quella che abbiamo di fronte è una scena di massa, è come un kolossal, che coinvolge ben sessantuno statue, realizzate da Giuseppe Rusnati e Bernardo Falconi.
Infine, nell’ultima, la ventesima appunto, assistiamo alla beatificazione di Francesco: ci troviamo di fronte a una scenografia quasi teatrale in cui, disposti a semicerchio, vari personaggi, fra cui principalmente nobili, ambasciatori e cardinali, assistono alla consegna, da parte del papa, della bolla con cui la Chiesa approva ufficialmente l’Ordine francescano.
Ci lasciamo alle spalle il Sacro Monte, guardiamo in basso il lago e non fatichiamo a immaginarci l’emozione che i fedeli potessero provare nel seguire questo pellegrinaggio “domestico”. Ai piedi delle Alpi, ciascuno, per quanto povero, poteva contemplare una sua piccola Gerusalemme.