NOTO, PERLA DEL BAROCCO SICILIANO

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Tanto genio in poco spazio: è il miracolo di un paese siciliano divenuto una piccola capitale dell’arte.

Lo spirito del Seicento mostra una delle più espressioni più compiute in Sicilia, a poco più di cento chilometri dalla Valle dei Templi di Agrigento, che abbiamo conosciuto come uno maggiori complessi archeologici del Mediterraneo. Siamo nel Val di Noto: “il” Val di Noto perché non di valle, ma di vallo si tratta; diverse sono le etimologie proposte per l’uso di questo termine ma – data la lunga dominazione araba in Sicilia – si tende a far risalire “vallo” alla parola araba che significa “distretto”, “territorio”.

Lo stile barocco ha trovato qui, nelle città di Catania, Palazzolo, Militello val di Catania, Scicli, Caltagirone, Modica, Ragusa e Noto quello che l’Unesco ha definito come l’apice della fioritura finale dell’arte barocca in Europa. Ognuna di queste città meriterebbe una visita, noi ci inoltreremo tra le strade di quella che un grande storico dell’arte, Cesare Brandi, ha definito la città barocca ideale, un giardino di pietra in cui i fiori sono campanili e cupole: Noto.

La prima cosa che ci colpisce di Noto, che si trova nei pressi di Siracusa, è la materia di cui è fatta, una pietra calcarea, tratta dai vicini monti Iblei, capace di assumere sfumature di colore diverse secondo la luce del giorno. E poi i numerosi conventi, le chiese, i palazzi nobiliari: camminare nel suo centro storico significa posare a ogni passo lo sguardo su architetture di rara bellezza e grazia.

Foto di Alberto Angela della cattedrale di San Nicolò a Noto, inizio del XVIII secolo
Citazione di Giovan Battista Marino. È del poeta il fin la meraviglia… chi non sa far stupir vada alla striglia.

Partiamo dalla piazza centrale, in cui la grande cattedrale si contrappone alla leggera loggetta del Palazzo Ducezio, sede del Comune. Da lì, basta un breve cammino per incontrare due capolavori del grande architetto Rosario Gagliardi: l’intima bellezza della chiesa di Santa Chiara, con il suo zampillare di decorazioni delicate in un interno vestito da preziosi stucchi, frutto di un alto artigianato, e la chiesa di San Domenico che mostra una tra le più belle facciate di tutta la cultura architettonica tardo barocca.

Molti poi sono i palazzi che, magari per anni abbandonati a causa dei costi proibitivi della loro ristrutturazione, sono stati di recente restituiti a nuova vita. È il caso di Palazzo Nicolaci, residenza nobiliare urbana della famiglia omonima, risalente ai primi decenni del Settecento che, con i suoi novanta ambienti, è stato acquistato dal Comune di Noto.

Il racconto di Alberto. Titolo: “Il vero Montalbano sarei io”. Durante le riprese, in tutte le località, il set è un luogo affollato. Regista, autori, direttore della fotografia, assistenti alla regia, cameramen, tecnici delle luci. E poi di volta in volta, esperti, consulenti, personale legato ai posti che stiamo raccontando. Durante le riprese nel Val di Noto, tra gli splendori del barocco siciliano, spesso riconoscevamo le location del Commissario Montalbano. Molti di noi sono fan della serie di Camilleri e talvolta nel programma ne abbiamo parlato. Un giorno, durante una pausa, mentre prendevano un caffè, l’argomento Montalbano venne tirato fuori davanti a un commissario di pubblica sicurezza. Dopo aver sentito parlare del suo illustre collega, commentò con una battuta memorabile: “Comunque, vorrei ricordarvi che Montalbano è uno straordinario personaggio di finzione, qui il vero Montalbano sarei io”.

Ancora una volta opera dell’architetto Gagliardi, Palazzo Nicolaci comincia a stupirci fin dall’esterno dove, sotto i balconi della facciata, domina una fila di mensole, sulle quali una serie di figure, scolpite in pietra, racconta, come in un grande spettacolo, storie con protagonisti fantastici o grotteschi come sirene, leoni, sfingi, ippogrifi, cavalli alati e angeli. Un vero racconto di avventura, immobile nei secoli eppure pieno di vita. Ancora più affascinante è il salone delle feste: se alziamo lo sguardo al soffitto, totalmente affrescato, possiamo “leggere” l’allegoria del carro di Apollo che insegue l’Aurora, una copia dell’originale del pittore e incisore italiano seicentesco Guido Reni.

Ma perché tanta arte in così poco spazio? Di certo, c’è il desiderio di rinascita di una città, anzi di un’intera zona che sembrava in ginocchio: il devastante terremoto del 1693, infatti, rase al suolo circa sessanta centri urbani del sud-est siciliano provocando oltre cinquantamila vittime. Una tragedia cui seguì però una reazione altrettanto potente: le popolazioni colpite, abbandonate le vecchie strutture medievali, puntarono sul nuovo, sul moderno. E in quegli anni, il nuovo era proprio il barocco. Così, in Sicilia, passato e futuro si incontrano, si compenetrano, si danno a vicenda forza e magia.

Foto di Alberto Angela di Palazzo Nicolaci a Noto, 1720-1765, sala del Tè.
Immagine di Palazzo Nicolaci a Noto, soffitto del salone, 1720-1765
Immagine della fontana di Diana e Atteone, opera di Paolo Persico, Angelo Brunelli, Tommaso e Pietro Solari, 1773, reggia di Caserta.