Il cuore di pietra

Diego

Lei oggi verrà qui, e io non ci sarò. Troppo complicato intercettarla in questa zona isolata senza che se ne accorga, che nascano dei sospetti. Però sono voluto venire lo stesso, prima di lei. Non so perché… curiosità? Dio, è una cosa così stupida. Questa storia non ha veri fondamenti, si basa su una leggenda peraltro sconosciuta fino a qualche anno fa, una di quelle storielle fin troppo simili alle fiabe della buonanotte.

Si racconta che in un tempo lontano il giovane pescatore Orio catturò nella sua rete una bellissima sirena, Melusina. La liberò e i due si incontrarono diverse volte in quel braccio di mare, ma mai di sabato, su richiesta della sirena. Un giorno Orio, che aveva nostalgia di lei, decise di andare a cercarla anche se era sabato, ma al suo posto vide un orribile serpente marino. Venne così a sapere che Melusina era vittima di un maleficio che ogni sabato la costringeva a trasformarsi in quel serpente. Tutto questo però, giurò la sirena, sarebbe finito una volta abbandonata la coda per sposarlo e vivere sulla terraferma. Orio e Melusina si sposarono ed ebbero tre figli. Vissero a lungo felici, fino a quando l’ex sirena si ammalò, e di lì a poco si spense. Orio era prostrato dal dolore e temeva di non potercela fare, da solo con tre figli, ma ben presto si accorse che, quando rientrava dalla pesca, la casa era magicamente sempre in ordine, i bambini sistemati e la tavola imbandita. Le cose andarono avanti così fino al giorno in cui lui tornò a casa prima del solito a causa di una tempesta in mare e si imbatté in un enorme serpente. Preoccupato per i figli, istintivamente, lo uccise. Da quel momento la casa fu sempre nel caos: il serpente infatti altri non era che la sua Melusina e Orio, uccidendolo, l’aveva persa per sempre.

Il sotoportego dei Preti non è molto diverso da altri sotoporteghi, forse è solo un po’ più basso, perché una volta era una riva di servizio affacciata sul rio, oggi interrato. È una calle abbastanza frequentata, soprattutto d’estate, perché si trova sul tragitto alternativo e ombroso a riva degli Schiavoni, esposta al sole.

Il motivo per cui Giulia verrà qui, però, non è né la ricerca d’ombra, né una scorciatoia per andare a Castello, ma il cuore di argilla posto proprio sopra l’architrave interno del sotoportego. Il simbolo dell’amore tra Orio e Melusina, che si dice abbiano abitato proprio nella casa sopra al sotoportego.

Bisogna sapere che c’è per trovarlo, ma ormai la leggenda si è diffusa e il cuore di pietra rientra tra le curiosità della città. Ogni tanto c’è qualche coppia di studenti o di backpacker che viene a sfiorarlo. Pare infatti che toccarlo assicuri l’amore eterno.

Sciocchezze, storielle da libri di serie B. Amore eterno per me è un ossimoro, l’accostamento di due termini contraddittori. L’eternità non è uno status possibile, ancora di più se abbinata all’amore, quello vero, merce rara e fuggevole. L’amore per me è come un fiocco di neve, completo e perfetto: non fai in tempo ad acchiapparlo, a capirlo, che si è già sciolto.

Guardo il cuore di argilla, che è pure tozzo e malformato, sembra fatto col pongo da un bambino. “Perché Giulia ha deciso di venire qui? Per ricordare un amore?” mi chiedo. E all’idea mi sale in bocca un gusto amaro, molesto.

«Anche lei qui per il cuore?» mi sorprende una voce gracchiante alle spalle. Mi giro. È una donna di mezz’età, i capelli racchiusi in una crocchia protetta da una retina. Avanza appoggiandosi a un bastone.

Mi difendo: «Me ne ha parlato un’amica, ero curioso di sapere se esisteva davvero».

«Uomini!» commenta la signora. «Dite sempre così.»

«Così come?»

Si mette una mano sul fianco. «Raccontate balle! Venite tutti qui, fingete di non essere interessati e poi fate come gli altri, toccate.»

«Oh no, io no. Non credo alla leggenda. E quello è di sicuro un falso» rispondo indicando il cuore.

«Può essere.»

«Sa che c’è anche una spada nella roccia vicino a Siena? Anche quella è un falso. Come si fa a credere che la lama attraversi la roccia come il burro, per una magia, poi!»

«Vabbe’, non ha mica tanta importanza.»

«Ne avrebbe, se fosse un vero lascito della storia.»

«Ma che lascito e lascito! Non serve scomodare paroloni. La gente vive di simboli, danno fiducia, sono esempi da seguire… E questo è un bel simbolo, romantico, positivo.»

«Mica tanto, Melusina se non sbaglio ha fatto una brutta fine…»

«Ma l’amore, quello è rimasto. In fondo anche Giulietta e Romeo non hanno avuto un lieto fine, no? Ed è bello che i giovani e non solo quelli…» e mi fa l’occhiolino «vengano qui a sfiorare il cuore di pietra. Bisogna avere speranza, nella vita. E sogni.» Mi guarda dall’alto in basso, e poi mi punta addosso il bastone. «Lei sogna?»

Ma che vuole questa da me? «Poco» rispondo malvolentieri.

«Allora si dovrà sforzare di farlo di più. Su, tocchi il cuore, io mi volto.»

«Ma non ci penso proprio!» le rispondo e mi allontano in fretta dal sotoportego, per farle capire che per me è davvero una cazzata.

Luisa e Giorgio, i miei fratelli perfetti, sono quelli dell’amore romantico, quelli che fingono di crederci, almeno. Sono di sicuro venuti qui e hanno fatto il loro rito scaramantico. E poi? Poi si sono trovati con mille responsabilità, di fronte a una cosa che gli è scoppiata tra le mani ed è diventata… famiglia. Termine complesso e difficile. Senza contare che amore e famiglia sono un altro ossimoro.

Ritorno all’ombra del sotoportego. La donna col bastone è scomparsa. L’aria ora ristagna, e si percepisce un leggero sentore di urina. Guardo il cuore, e il cuore guarda me. Sembra sfidarmi, con quelle sue forme ridicole.

«Non ti credo» gli dico. Appoggio il dito indice contro la sua superficie rugosa. «Io non ti credo.»

Giulia

Mio padre sapeva un sacco di storie su Venezia. Quando ero piccola, quando eravamo ancora una famiglia felice, mi portava in giro e me le raccontava. Fantasmi, bare che scivolano sul ghiaccio, intrighi a Palazzo Ducale, avidi assassini… Aveva una predilezione per le leggende cruente o misteriose. La mia preferita era quella di Orio e di Melusina, i due amanti sfortunati. Mi piaceva l’idea che Melusina si trasformasse in un serpente spaventoso e, in quelle vesti, riuscisse comunque a badare alla famiglia. Mi immaginavo i bambini, che non fanno mai caso alle differenze, comportarsi con lei in versione squame e lingua biforcuta come facevano sempre con la madre nelle sembianze normali, con naturalezza. E il serpente muoversi per la cucina, magari con un bel grembiulino sulle spire… Amavo venire qui al sotoportego con mio padre, riascoltare la storia – a cui lui aggiungeva ogni volta qualche nuovo dettaglio per alimentare la mia curiosità –, toccare il cuore, fare visita alla vicina chiesa di San Giovanni in Bragora – anche se la reliquia del santo, il cranio sorridente, la mano scheletrica che teneva la croce, mi faceva un po’ paura – e poi mangiare un cannolo alla crema nella pasticceria qui accanto.

Dopo che mia madre è morta e lui ha cominciato a bere non mi ci ha più portato, e io non ci sono tornata neppure con Stefano, non sarebbe stata cosa per lui. Non ho più rivisto il cuore da allora.

Lo sfioro, e mi sembra di risentire la voce di mio padre.

«Vorresti un marito come Orio, un pescatore?»

«Nooo.»

«Spero almeno che sarà uno più intelligente di lui, che ha ucciso la donna che amava. Di’ la verità, c’è già qualcuno nel tuo cuore, principessa…»

Sorrido, compiaciuta: «Certo che c’è».

«E chi è?»

«Non te lo dico. È un segreto.»

«Ma se ti offro un cannolo me lo dici?»

«Me lo offri lo stesso, un cannolo, lo prendiamo sempre.»

«Magari oggi no.»

«No? Ok, pazienza.»

«Dài, dimmi solo se è biondo o moro.»

«Non è nessuno dei due.»

«Castano? Rosso?»

«Forse.»

«Alto, basso? Magro? O ciccione come Alvise, il figlio del fornaio…»

«Non te lo dico.»

«Dài, almeno dimmi il nome. Tanto non conosco i tuoi amici.»

«Gian Maria.»

«Te lo sei inventato!»

«Non lo saprai mai.»

Andavamo avanti così per ore, lui a cercare di carpire i miei segreti, io a depistarlo. La mamma sapeva chi mi piaceva, e sicuramente l’aveva detto anche a lui, ma mio padre si divertiva a stuzzicarmi. Lele, il prescelto, un bambino alto e con le ciglia lunghissime, non sapeva che avevo una cotta per lui, anche se gli prestavo ogni giorno il temperino – ero piuttosto gelosa delle mie cose –, e mi vestivo sempre dei colori che piacevano a lui: il rosso e il blu, i colori del suo supereroe preferito. Era di sicuro più intelligente di Orio, perché era il primo della classe.

C’è stato un momento in cui ho pensato che il cuore di pietra avesse funzionato. Un giorno, io e Lele ci eravamo scambiati la sua gomma da masticare. Una cosa un po’ schifosa a ripensarci, in effetti, ma lo avevamo fatto quasi con un bacio. O almeno io avevo pensato a lungo che lo fosse. Forse Lele no.

Esco dal sotoportego e mi incammino verso casa. Ripenso alla Giulia bambina, cocciuta, spensierata, le mani sempre sporche di colore. Ai suoi sogni, che comprendevano un principe azzurro intelligente e un futuro lontano dalle solitudini del mondo.