Ormai l’isola di Singapore (che, come ricorderete, sulla mappa nell’ufficio del generale Percival assomigliava alla testa e alle orecchie di un elefante) era sotto assedio. Domenica a tarda notte i primi mezzi da sbarco giapponesi avevano attraversato lo Stretto per attaccare la costa nordoccidentale. Per il generale Percival si era trattato di una spiacevole sorpresa, perché voleva dire che i giapponesi conducevano la loro offensiva sulla punta dell’orecchio destro dell’elefante. In altre parole, attaccavano quello sbagliato! Aveva atteso fiducioso che si scagliassero sull’altro, servendosi di Pulau Ubin per farsi scudo mentre si avvicinavano. Persino quando le pattuglie mandate in perlustrazione dall’altra parte dello Stretto dal generale Gordon Bennett avevano riferito di una grossa concentrazione di truppe di fronte all’orecchio destro, il generale Percival non aveva perso la speranza che potessero comunque attaccare l’altro… dove avrebbero trovato ad aspettarli i soldati della Diciottesima divisione britannica appena arrivati e ben riposati. Dopotutto quell’offensiva a nordovest poteva anche essere solo un diversivo per spingerlo a impegnare le riserve su quel fronte mentre l’attacco vero e proprio sarebbe arrivato da nordest, assestandogli un colpo sbalorditivo all’orecchio sinistro mentre guardava dall’altra parte.
Percival, cercando di strappare qualche ora di sonno nell’ufficio di Sime Road mentre aspettava notizie sui combattimenti, non si dava pace al pensiero che sarebbe stata la Ventiduesima brigata australiana di Gordon Bennett, ormai indebolita, a respingere l’offensiva principale. Le comunicazioni erano state interrotte prima dell’attacco dai pesanti bombardamenti condotti dalla terraferma e i rapporti raggiungevano Sime Road con parecchio ritardo. All’inizio pareva che le cose non andassero troppo male. Si parlava di una tenace resistenza da parte degli australiani e di mezzi da sbarco giapponesi distrutti in quantità. Ma quel tratto di costa era troppo lungo e poco difeso quindi, un po’ per volta, le speranze di Percival cominciarono a svanire. Alle prime ore del mattino fu chiaro a tutti che i giapponesi avevano concentrato l’attacco in quel punto e che al sorgere del sole l’orecchio destro sarebbe stato irrimediabilmente perduto.
Finalmente, alle otto e mezzo, Percival ordinò alla sua unica riserva, la Dodicesima brigata indiana composta dagli Argyll e dagli Hyderabad sopravvissuti al fiume Slim, di mettersi agli ordini di Gordon Bennett per difendere l’importantissimo asse nord-sud che teneva l’orecchio dell’elefante attaccato alla testa: si trattava della linea Jurong, la più breve e l’ultima dalla quale si poteva pensare di impedire ai giapponesi di conquistare la parte centrale e vitale dell’isola e le alture di Bukit Timah. Perché se fossero arrivati a Bukit Timah, non solo avrebbero occupato la parte dell’isola sulla quale si trovavano le scorte di cibo, combustibile e munizioni, ma avrebbero anche guardato dall’alto la città di Singapore. A quel punto sarebbe finita: la città sarebbe caduta in mano al nemico.
Tuttavia, anche se quell’asse nord-sud era di fatto l’ultima posizione difendibile prima della città, Percival fu costretto a ideare un piano di emergenza; in fin dei conti, anche quando la sconfitta pare inevitabile bisogna comunque fare qualcosa (altrimenti fai la figura dell’idiota). Quindi, dopo essersi recati al quartier generale di Gordon Bennett vicino al villaggio di Bukit Timah per discutere di come difendere al meglio la testa dall’orecchio ormai perduto (ossia la linea Jurong da un attacco sferrato da ovest), il generale Percival e il suo Stato maggiore si misero al lavoro sulle mappe tracciando il perimetro ultimo, al di là del quale era impossibile ritirarsi a meno di non combattere per le strade della città.
Per forza di cose tale perimetro abbracciava i margini della città di Singapore, cominciando a est presso il Tanjong Rhu Swimming Club per poi comprendere l’aerodromo di Kallang, andare a nord fino alla cruciale stazione di pompaggio di Woodleigh, poi oltre fino ai bacini idrici e ai depositi di Bukit Timah e infine di nuovo giù lungo la costa presso il villaggio di Pasir Panjang. Ovviamente era essenziale che questo perimetro d’emergenza, l’ultima spiaggia, non trapelasse lungo la catena di comando, incoraggiando ritirate al di là dell’ultima posizione dalla quale era possibile condurre azioni efficaci di difesa, ossia la linea Jurong. Percival fornì i dettagli relativi al perimetro ultimo ai generali Heath e Simmons quando andarono da lui in Sime Road quel lunedì sera, e li inviò a Gordon Bennett nelle prime ore di martedì mattina con istruzioni precise affinché fossero tenuti segreti. Bennett, però, mise subito al corrente i suoi generali di brigata svelando, sotto forma di ordini operativi, gli aspetti del piano che avrebbero potuto riguardarli. Di nuovo, e per l’ultima volta in tutta la campagna, se Percival avesse ascoltato con attenzione avrebbe sentito il ronzio discreto di una sega al lavoro sul legno.
Quel martedì, mentre Walter spaccava bottiglie di whisky a sei o sette chilometri di distanza, in Sime Road il generale Percival cercava caparbiamente di capire in quali punti della sua linea di difesa si erano aperte delle falle. Non era un compito facile: i pesanti bombardamenti sulla costa settentrionale avevano distrutto gran parte dei cavi telefonici; i dispacci via radio, quando arrivavano, erano confusi. Senza contare che in mattinata era atterrato nel porto un idrovolante che trasportava da Giava il generale Wavell, comandante supremo, quindi adesso Percival doveva affrontare il difficile compito di riorganizzare le difese con il severo occhio di vetro del comandante supremo fisso su di lui. I due andarono insieme al nuovo quartier generale di Gordon Bennett in Ulu Pandan Road, appena fuori Holland Road a sud del villaggio di Bukit Timah. Il volto di Wavell, segnato e rugoso, si fece sempre più cupo via via che Percival gli riferiva ciò che sapeva degli eventi della notte. I solchi profondi che correvano dal naso all’angolo della bocca divennero ancora più marcati, e quando il generale aggrottò la fronte l’occhio buono parve infossarsi ulteriormente nel cranio. Teneva le labbra appena socchiuse come se fosse sul punto di fare un commento stizzito sull’incompetenza del Comando della Malesia Britannica e dello stesso Percival, ma poi non disse niente.
Non si rallegrò nemmeno alla vista di Gordon Bennett, il cui spirito ottimista e battagliero lo aveva allietato durante la campagna sulla terraferma. Anzi, quando Bennett iniziò a spiegargli di essere giù di morale anche perché aveva poche informazioni sugli sviluppi nella sua area, la sua malinconia si fece ancora più profonda. Come avevano fatto i giapponesi a sfondare le fila australiane con tanta facilità? Per lui era stato un grande shock e ancora non riusciva a crederci. Ecco perché, quando i tre generali si misero a passare in rassegna la situazione, la sua consueta esuberanza risultò un po’ sottotono.
Avevano a malapena iniziato la discussione quando l’artiglieria antiaerea cominciò a sparare intorno a loro come un’orda di cani da guardia che si fosse scatenata all’improvviso. Nel giro di pochi istanti si riuscì a distinguere il fischio delle bombe. «Mettetevi al riparo!» gridò qualcuno da fuori, e i generali si tuffarono sotto la scrivania più vicina. In quell’istante la stanza venne travolta da una bufera di vetro e gesso. Le fondamenta dell’edificio tremarono per le altre bombe precipitate lì accanto. Mentre si accucciava sotto la scrivania, Percival notò qualcosa di scintillante e lucente che rotolava verso di lui. Per un attimo pensò: «Oh, mio Dio! È l’occhio di vetro di Wavell!» ma guardando meglio scoprì che era solo una biglia fuoriuscita da una scatola lasciata in un angolo!
Quando i tre uomini si rialzarono e si spolverarono le divise, si scoprì che nessuno di loro era stato ferito e che, sebbene un angolo dell’edificio fosse stato demolito da una bomba (che fortunatamente non era esplosa) e sia l’automobile di Percival sia quella di Wavell fossero andate distrutte, al quartier generale non c’erano state vittime: pareva un miracolo. I generali scossero la cartina che stavano studiando per eliminare il gesso e i vetri rotti e ripresero la loro riunione. Fu Wavell a parlare: «Queste continue ritirate non funzionano, sapete. Dovete attaccare, attaccare».
Percival e Bennett annuirono assorti, ma a cosa pensavano davvero mentre erano in quella stanza appena distrutta come su una minuscola imbarcazione sbattuta qua e là in un mare di caos che ingrossava a vista d’occhio?
Vennero reperite altre automobili. Wavell, impaziente di scoprire che cosa stesse accadendo nella zona della Causeway, aveva deciso di proseguire e di incontrare il generale Heath presso l’Undicesima divisione. Proprio mentre lasciavano il quartier generale australiano, Percival rimase di stucco vedendo un gruppetto di soldati indiani con le uniformi sporche che camminava strascicando i piedi, i fucili tenuti alla bell’e meglio, senza formare nemmeno una colonna. Non poté fare a meno di lanciare un’occhiata a Wavell; lo spietato occhio di vetro non tradiva emozioni, ma Percival intuì quello che doveva avere in mente: che spettacolo orribile! Uomini indisciplinati che si trascinavano in giro sotto il naso del loro GOC. Era una di quelle cose che, se la voce fosse arrivata ai piani alti, potevano influire negativamente sulle prospettive future di chiunque. Ovviamente, in confronto a tutto quello che era andato storto, era una questione da nulla. Il problema era che quella colonna di indiani non era affatto sola: oltre a loro, come una ferita che si riempie di pus, la città di Singapore ospitava sempre più sbandati e disertori; in particolare era giunta notizia che i rinforzi australiani del General Base Depot, privi di addestramento, erano ormai fuori controllo.
Per quanto esausto, Percival rimaneva stoicamente deciso a fare del proprio meglio, qualunque fossero le opportunità offerte dalla situazione bellica, ed era determinato a non mostrare segni di disfattismo davanti a Wavell. Ma fu solo quando raggiunsero il quartier generale di Heath che ricevettero i colpi più duri. Vennero infatti a sapere da quest’ultimo che la Ventisettesima brigata australiana al comando del generale Maxwell si era ritirata durante la notte. Maxwell? Non era forse lo stesso ufficiale della milizia, di professione medico, che Bennett aveva promosso, in quanto suo protetto, al comando della Ventisettesima brigata nonostante la mancanza di esperienza e anzianità? Quella ritirata aveva creato un vuoto cruciale tra la Causeway e il fiume Kranji: a quel punto la strada principale dell’isola (che iniziava presso la Causeway e puntava a sud verso la città di Singapore passando per il villaggio di Bukit Timah) era sgombra e i giapponesi avrebbero potuto fare pressione verso sud dietro la linea Jurong che Percival sperava di difendere. Era un disastro. Perché Maxwell si era ritirato da quella posizione cruciale? Sosteneva di aver avuto l’autorizzazione da Bennett. Comunque sia, il risultato era che adesso Percival vedeva la sua struttura difensiva sbriciolarsi davanti agli occhi. Ordinò subito a Maxwell di contrattaccare per recuperare il villaggio di Mandai e rioccupare la posizione precedente. Poi comandò a tre battaglioni della Diciottesima divisione di mettersi agli ordini di Bennett in Bukit Timah Road, concentrandosi all’ippodromo per fungere da riserve, cosa di cui c’era estremo bisogno. Ma quelle, e Percival lo sapeva bene, erano misure disperate.
Quando Wavell e Percival tornarono al quartier generale di Bennett erano le due e mezzo. Bennett negò di avere autorizzato la ritirata notturna di Maxwell. Ma il peggio doveva ancora venire: la Ventiduesima brigata australiana del generale Taylor, già distrutta dai combattimenti che si erano svolti durante la notte, era stata costretta a ripiegare sulla linea Jurong. E mentre Percival e Wavell erano in visita alle altre unità, Bennett aveva saputo che nel frattempo Taylor era stato messo al corrente dei piani segreti relativi al perimetro di emergenza intorno alla città, compresi i dettagli sul settore a sud di Bukit Timah Road che era stato assegnato alla sua brigata, e aveva quindi interpretato tali piani come un ordine di battere in ritirata. Conclusione? In mancanza di un contrattacco che andasse a buon fine, l’ultima posizione difendibile prima della città di Singapore era stata abbandonata senza neanche dover respingere un attacco giapponese vero e proprio. Ma vista la confusione che adesso regnava dietro le linee britanniche – le unità che avevano perso i contatti con i quartier generali, gli ingorghi, le difficoltà di comunicazione e le incognite di una resistenza organizzata con forze eterogenee in un territorio a loro sconosciuto – c’erano ben poche possibilità di contrattaccare con successo.
Quando tornarono al quartier generale del Comando erano le quattro del pomeriggio. Percival venne accolto dal generale di Brigata Torrance, preoccupatissimo: era giunta notizia che i giapponesi si stavano avvicinando al villaggio di Bukit Timah. A parte le implicazioni generali allarmanti, ciò significava anche che le abbondanti scorte di benzina situate a est del villaggio rischiavano di cadere nelle mani dei nemici. Percival ne ordinò l’immediata distruzione e alle sei vennero incendiate. Nel frattempo Wavell si fece accompagnare in automobile a Government House per incontrare Sir Shenton Thomas. Dopo quella lunga giornata di incontri e riunioni era stanco, figuriamoci Percival e gli altri, che non avevano avuto tregua per giorni o settimane. Varcando i cancelli di Government House gli cadde l’occhio su un grande cesto di orchidee ornate da nastri colorati abbandonato sull’erba a pochi metri dalla recinzione: evidentemente era stato scagliato dall’altra parte da un sostenitore troppo timido per offrirlo di persona. Molto probabilmente, pensò, era segno che i britannici erano ancora benvoluti dalla popolazione locale, nonostante i rovesci in campo militare. Quando l’automobile si fermò e gli aprirono la portiera, sospirò. Doveva convincere a tutti i costi Lady Thomas, che era malata, a tornare con lui a Giava sull’idrovolante Catalina.
Alle nove di sera, prima di lasciare Singapore, Wavell andò a Flagstaff House per salutare Percival. Quella giornata, iniziata con qualche carta ancora in mano ai difensori, si era conclusa con le difese a brandelli. Prima di andarsene, però, ordinò a Ian Graham, uno dei suoi ADC, di battere a macchina un’esortazione finale che Percival avrebbe dovuto diffondere fra le truppe; si ispirava a una comunicazione ricevuta poche ore prima da Churchill, nella quale la resistenza britannica usciva perdente dal paragone con quella russa e americana in altri luoghi, e si istruivano le truppe inglesi a combattere fino alla fine. Poi, dopo aver ordinato che l’ultimo squadrone di Hurricane rimasto lasciasse l’isola, strinse la mano a Percival e si avviò per le strade buie che portavano al mare sulla seconda di due automobili, accompagnato dal conte Mackay, membro del suo Stato maggiore a Giava, e dal vicemaresciallo dell’aria Pulford. Mentre si allontanavano sentirono qualche sparo: i saccheggiatori, intuendo che la città sarebbe presto crollata, avevano già iniziato a derubare i negozi e i magazzini delle zone meno frequentate.
Il Catalina era ormeggiato in mezzo al porto. L’automobile si fermò nell’oscurità accanto all’argine marino e Pulford scese a cercare un motoscafo per portare Wavell e il suo gruppetto fino all’idrovolante. Rimase via talmente a lungo che Wavell, frustrato, aprì di colpo la portiera alla sua sinistra, sul lato di quell’occhio di vetro vuoto che per tutta la giornata aveva raccolto i riflessi della disfatta britannica. Balzò fuori ma… l’auto era parcheggiata talmente vicina all’argine che da quella parte c’era solo il vuoto. Wavell precipitò nel buio per più di un metro, fino a planare sugli scogli. Rimase lì in silenzio per un po’, senza fiato per lo shock e la paura, a pensare: «Singapore è perduta», finché non riuscì a gridare e i suoi ADC, cercandolo ansiosamente a tentoni, lo localizzarono e lo portarono al motoscafo. Venne sistemato sul fondo della barca, dopodiché partirono sulle acque nere, rischiarate qua e là dagli incendi che bruciavano ovunque sulla riva. Quando finalmente raggiunsero l’idrovolante scoprirono che era impossibile sollevare Wavell per farvelo salire senza sbarcare la mitragliatrice che era stata applicata sul portellone. L’equipaggio olandese dell’idrovolante, che non aveva idea di come fosse stata montata, si mise subito al lavoro. Alla fine riuscì a rimuoverla e Wavell venne issato dalla barca instabile. Ma anche quando fu al sicuro a bordo, ebbe ricevuto un po’ di whisky e di aspirine per attenuare il dolore e i sacchi di documenti governativi che Sir Shenton Thomas gli aveva affidato perché li portasse in salvo furono stipati accanto a lui, l’idrovolante non poté comunque partire. Il pilota riferì che le piccole imbarcazioni in fuga da Singapore con il favore delle tenebre erano talmente tante che non riusciva a trovare una striscia di mare sgombro abbastanza lunga. Solo allo spuntare del giorno riuscirono a partire per Batavia, lasciando che il caos e la distruzione di Singapore si riducessero a una minuscola sbavatura all’orizzonte, insignificante in confronto al vasto mare scintillante sotto di loro.