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MANCATA ZONA ROSSA, STORIA DI UN CONTAGIO INTERCONTINENTALE: DA ALZANO LOMBARDO A CUBA, PASSANDO PER MADRID

di Francesca Nava, 31 marzo 2020

Quella che state per leggere è una storia di ordinaria follia. Una storia che si consuma tra Alzano Lombardo, L’Avana e Madrid. Una storia che inizia il 29 febbraio e si conclude il 19 marzo. «La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga il biglietto» scriveva Charles Bukowski. Il biglietto, invece, lo avevano pagato Sara e Luca (lei di Alzano Lombardo, lui di Nembro, in provincia di Bergamo) quando sono partiti per Cuba con un volo Air Europa.

Il loro viaggio inizia un sabato, il 29 febbraio. A Bergamo c’è il sole. Il sindaco Giorgio Gori invita i bergamaschi ad andare in città, a fare shopping, chiunque può viaggiare sui mezzi pubblici dell’ATB al prezzo scontato di un euro e cinquanta: il biglietto è valido per tutto il weekend. Bar, ristoranti e negozi sono aperti e il Sentierone – la via pedonale del centro, la via dello “struscio” – pullula di gente. Sono i giorni indimenticabili del «Bergamo non si ferma», degli aperitivi milanesi tra il sindaco Sala e il governatore del Lazio Nicola Zingaretti; i giorni degli spot di Confindustria, che rassicura fornitori e clienti che «il rischio di infezione in Italia è basso» e che le aziende continueranno a produrre e a lavorare come sempre. L’influenza da Covid è relegata nella zona rossa del lodigiano e nel comune veneto di Vo’ Euganeo. Eppure, già da una settimana, si è sviluppato un pericoloso focolaio in Val Seriana, che ha investito anche la città di Bergamo. All’ospedale Papa Giovanni XXIII continuano ad arrivare ambulanze cariche di pazienti in crisi respiratoria, provenienti proprio dall’ospedale di Alzano Lombardo, dove tutto è iniziato il 23 febbraio.

Il Coronavirus è già tra noi, ma la voglia di non fermarsi è più forte, e così che Sara e Luca partono tranquillamente da Alzano Lombardo per la loro vacanza d’amore. All’aeroporto di Milano Malpensa nessuno li controlla. Fanno scalo a Madrid, dove il Coronavirus è solo un titolo di giornale nella pagina degli esteri. Proseguono per L’Avana. E qui il sogno si trasforma in incubo. Luca ha la febbre. Già sul volo dalla Spagna aveva iniziato a non sentirsi bene, ma una volta arrivato a Cuba la situazione precipita. La tosse non gli dà tregua, il respiro è corto, non sente né i sapori né gli odori… i sintomi sono quelli tipici del Covid-19. Luca vuole continuare la sua vacanza a tutti i costi, così prende la tachipirina e la febbre scende. Dopo due giorni la coppia si sposta a Cayo Santa Maria, una piccola isola al largo della costa settentrionale cubana, un paradiso terrestre a sette ore di pullman dall’Avana. Su questa isoletta fuori dal mondo Luca non vuole farsi visitare da nessuno, mentre Sara insiste per tornare in Italia dove, nel frattempo, il governo ha annunciato la “chiusura” della Lombardia, diventata epicentro del contagio italiano. Anche Sara inizia ad accusare alcuni sintomi del Covid-19: smette di sentire i sapori e gli odori, ma non ha la febbre.

I due ritornano all’Avana. È domenica 8 marzo, l’Italia è sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo: la Lombardia è stata sigillata con un decreto ministeriale, un provvedimento senza precedenti. Luca è sempre più debole, ma non vuole farsi ricoverare in ospedale, ha paura di non riuscire a tornare in Italia, a casa sua, nella sua Nembro. Un turista italiano è appena morto di polmonite a Trinidad – sulla costa occidentale cubana – e sull’isola ci sono altri turisti ammalati. Da tutto il mondo arrivano le prime notizie di voli per l’Italia cancellati, Luca non si regge in piedi e l’angoscia aumenta. La parola “Coronavirus” aleggia nell’aria, ma nessuno osa pronunciarla.

Nemmeno all’aeroporto dell’Avana fanno troppe domande, hanno fretta di rimandare indietro i nostri connazionali. L’aereo per Madrid è pieno di turisti italiani. Luca respira a fatica, è debolissimo. Arrivati in Spagna i passeggeri ricevono la conferma: il volo per Milano è stato annullato. Luca ormai è su una sedia a rotelle. È mercoledì 11 marzo. Tutta Italia è in lockdown: la prima quarantena nazionale della storia italiana è iniziata e nessuno sa esattamente quando finirà.

In Spagna il virus è già arrivato, ci sono migliaia di contagi, un’ottantina di morti e moltissimi pazienti in condizioni critiche, ma il governo di Pedro Sánchez non ha ancora emanato misure di contenimento drastiche. All’aeroporto di Madrid Sara riesce a chiamare un’ambulanza, ma deve aspettare un’ora prima che arrivi e nel frattempo la polizia accompagna la coppia e due loro compagni di viaggio in una stanza del commissariato. Luca non riesce quasi più a respirare. Nessuno, però, li identifica. Nessuno controlla i loro documenti. Nessuno registra le loro generalità.

Quando arriva l’ambulanza, gli agenti dicono a Sara e agli altri due italiani che devono andarsene: è vietato l’ingresso in ospedale con il compagno di viaggio ammalato. Sara chiama un taxi e segue l’ambulanza che trasporta il suo Luca all’ospedale La Paz. Arrivata in pronto soccorso le ripetono che è vietato l’accesso. Quella è l’ultima volta che Sara vede Luca. La donna, in preda al panico, sola e senza parlare una parola di spagnolo, rimane ore ad aspettare nella sala d’attesa, fino a quando riesce a comunicare con una dottoressa che parla italiano: Luca ha una polmonite bilaterale e, dopo quasi dieci giorni di tachipirina, ha i reni compromessi. Lo stanno ventilando con l’ossigeno. Sara va in albergo a dormire, ne ha prenotato uno vicino all’aeroporto. Il giorno dopo decide di cambiare hotel e di avvicinarsi all’ospedale. Torna da Luca, ma nessuno sa dirle niente. Non riesce a parlare con i medici. C’è una confusione totale. Un andirivieni di ambulanze, lettighe, pazienti e familiari spaesati.

Passano tre giorni, è domenica 15 marzo e il governo spagnolo, dopo aver chiuso le scuole, vieta gli spostamenti e chiude tutte le attività commerciali, eccetto quelle essenziali. Come in Italia. Anche la moglie del premier Sánchez, Begoña Gómez, è positiva al test. Quella domenica, il direttore dell’hotel nel quale Sara soggiorna le comunica che la struttura deve chiudere per via del decreto, e lei viene trasferita in un bilocale. Siamo al terzo cambio di albergo in meno di una settimana. Sara riesce a comunicare con la Farnesina e con l’ambasciata italiana in Spagna che le consiglia di non riferire a nessuno il motivo per cui si trova a Madrid, altrimenti l’avrebbero lasciata per strada e non avrebbe trovato più un alloggio.

È così arriviamo a martedì 17 marzo. Finalmente Sara riesce a comunicare di nuovo con la dottoressa che parla italiano: Luca è stato intubato, ma gli organi non rispondono. È gravissimo. Mercoledì 18 marzo Luca muore. Giovedì 19 marzo la Farnesina organizza un volo per recuperare i moltissimi italiani bloccati in Spagna e in transito da diversi Paesi del mondo. Sara decide di prendere quel volo Alitalia diretto a Roma, è disperata, ha capito che non potrà mai più vedere il suo Luca e che la salma rientrerà solo quando l’incubo sarà finito. L’aereo è pieno, hanno tutti la mascherina. Sara ha finito le lacrime e continua a non sentire i sapori e gli odori. Sa bene di aver contratto il virus, ma nessuno la sottoporrà mai al tampone. È sotto shock.

Arrivata a Fiumicino le controllano la temperatura: regolare. «Vada pure» le dicono. Lei vuole solo ritornare a casa sua, ad Alzano Lombardo. Prende un’auto a noleggio con conducente (NCC), percorre il lungo tragitto senza dire una parola, 850 euro e arrivederci. Ora Sara è in quarantena a casa sua, in Val Seriana. Molti suoi amici e conoscenti hanno perso la vita a causa del Coronavirus nelle ultime settimane. Altri si sono ammalati. Da quando è partita, a fine febbraio, il mondo è cambiato. Una generazione di anziani è stata spazzata via, in modo impietoso. Eppure il 29 febbraio la gente passeggiava tranquillamente per le strade…

Il medico consiglia a Sara di non vedere nessuno, ma il tampone non glielo fanno. In tre settimane, lei e il suo compagno hanno preso quattro voli, attraversato tre aeroporti internazionali, visitato due Paesi, Spagna e Cuba, soggiornato in sei alberghi, frequentato bar, ristoranti e locali pubblici, sono saliti su autobus, taxi e NCC, hanno incontrato centinaia di persone. Fino a quando Luca è morto, in un Paese straniero, senza nessuno accanto, senza vedere i figli, senza una carezza.

E io mi domando: quanti bergamaschi, quanti lombardi come loro hanno viaggiato in totale incoscienza, senza essere tracciati, isolati e diagnosticati? Migliaia. Quando noi giornalisti chiediamo con insistenza alle autorità perché non siano intervenute tempestivamente per creare una zona rossa ad Alzano Lombardo e a Nembro – nonostante le schiaccianti evidenze scientifiche – non lo facciamo per “amore di polemica”, come spesso ci viene rinfacciato, ma perché qualcuno deve rispondere non solo delle morti che potevano essere evitate, ma anche delle migliaia di persone contagiate – in Italia e nel mondo – a causa di un mancato e tempestivo isolamento del focolaio lombardo, in particolare ad Alzano e Nembro. A causa della disastrosa sottovalutazione sanitaria che ha lasciato i cittadini all’oscuro della gravità della situazione.