Rabbrividii nella felpa col cappuccio, sferzata dal vento freddo che soffiava tra il Whitehall e il Knutti e che scuoteva i rami degli alberi. Qualche foglia gialla volteggiava in aria descrivendo spirali, per poi posarsi a terra su un tappeto già fitto.
Brittany tirò una lunga boccata dalla sigaretta e soffiò fuori il fumo lentamente. «Quindi, la prossima volta che Jimmie mi chiede di andare da lui a tarda sera e io ci vado, tu cosa fai?»
Spostai il peso del corpo da un piede all’altro. «Ti prendo a pugni là sotto?»
«Esatto!» Fece un ultimo tiro e spense la sigaretta. «Dio, perché noi ragazze siamo così stupide?»
Ripresi a camminare al suo fianco, stringendomi le braccia al corpo. «Bella domanda.»
«So benissimo che lui non vuole una relazione, che vuole solo fare sesso, e che di solito quando me lo chiede ha bevuto, eppure vado da lui lo stesso. Insomma, che problema ho?»
«Tu la vuoi, una relazione?»
Serrò le labbra e si calò sulle orecchie il berretto di lana. «Sai, non credo.»
Non capivo. «Allora perché ti dà tanto fastidio che lui non la voglia?»
«Perché dovrebbe volerla, una relazione con me! Sono una donna meravigliosa!»
La guardai, trattenendo un sorriso. «È vero, lo sei.»
Brittany sorrise. Avevo visto Jimmie con lei un paio di volte, all’università. Sembrava un ragazzo a posto, ma ero convinta che lei meritasse molto più di un uomo che la cercava solo quando aveva alzato il gomito. E glielo dissi.
Prendendomi a braccetto, rispose: «Ed è per questo che siamo amiche. Accidenti, dov’è andato l’autunno? L’inverno sembra spuntato dal nulla, e armato fino ai denti».
«Lo so.» Rabbrividii quando ci fermammo all’incrocio. «Mi dispiace per i bambini che domani sera andranno a fare dolcetto o scherzetto. Congeleranno.»
«Al diavolo i bambini», disse lei, e io sorrisi. «Mi travesto da angelo, ma un angelo sexy.»
«Ovviamente.»
«In pratica sarò in biancheria intima. I capezzoli geleranno e mi cadranno. A proposito, non pensare che non mi sia accorta di come eviti di parlare della festa.»
Non capivo come fosse passata dai capezzoli a quell’argomento.
Fuori dalla segreteria mi scoccò un’occhiata. «Devi venire con noi. Ci saranno tutti.»
Spostai lo sguardo sui poliziotti del campus: stavano sbloccando la macchina di un poveraccio che era rimasto chiuso fuori. «Non lo so, non mi piacciono le feste di Halloween.»
«Non ti piace nessuna festa. Coraggio, devi venire. Avrò bisogno di te: ci sarà anche Jimmie e dovrai prendermi a pugni là sotto.»
Risi. «Sono sicura che Jacob si presterebbe volentieri.»
«Non è la stessa cosa! Lui non capisce e dà pessimi consigli. Probabilmente mi direbbe di fare sesso con Jimmie.» Non potevo darle tutti i torti. «Devi venire per forza. Ti prego. Ti scongiuro.»
La mia risolutezza vacillò. Jacob parlava di quella festa da una settimana. La sera prima persino Cam, mentre finivamo i compiti chiedendomi continuamente di uscire insieme, aveva accennato alla festa del suo amico Jase, che aveva un anno in meno di Cam ed era a capo di una delle confraternite studentesche, non ricordavo quale. Lo avevo visto con Cam un paio di volte, ma non ci eravamo mai parlati. Non che importasse, perché la sola idea di andare a quella festa mi scatenava un principio di ulcera.
«Devo andare in segreteria a prendere quel maledetto orario per il prossimo semestre.»
Brittany aveva faticato molto per iscriversi ai corsi, mentre io ero stata fortunata e avevo trovato posto in tutti i corsi che m’interessavano. «Pensi di dirgliene quattro?»
«Potrei.» Mi strinse in un rapido abbraccio. «Grazie di avermi accompagnata fin qui.»
«Non c’è di che.» Non avevo altri impegni per la giornata.
Lei si avviò per le scale, poi si voltò. «Pensaci, alla festa. Per favore. Devi venirci, e non solo per me, ma perché sarà divertente. Ti potrai rilassare un po’. Okay?»
Feci un lungo respiro. «Ci penserò.»
«Davvero?» Annuii e lei disse: «Promesso?»
«Promesso.»
Brittany entrò nell’edificio e io decisi di passare in farmacia a comprare dell’Alka-Seltzer. Ne avrei avuto bisogno.
In certi momenti della mia vita sapevo di pensare la cosa sbagliata. Saperlo però non mi semplificava le cose. La prospettiva di una festa di Halloween non avrebbe dovuto rendere necessari una confezione di Alka-Seltzer e un barattolo di gelato al caramello.
Un barattolo mezzo vuoto di gelato al caramello.
Poco dopo essere uscita dall’università avevo ricevuto un messaggio da Cam a proposito della festa. Voleva che ci andassi. Brittany voleva che ci andassi. Jacob voleva che ci andassi. Io ci volevo andare, ma...
Con un gemito, rimisi il coperchio al barattolo di gelato e mi alzai. Avevo diciannove anni. Vivevo da sola. Avevo mandato al diavolo mia madre e avevo abbracciato Cam dicendogli che mi era mancato. Andare a quella festa non sarebbe stato chissà quale impresa. Dovevo trovare il coraggio. Se non lo avessi fatto quel giorno, lo avrei mai più rifatto?
Probabilmente no.
Riposi il gelato nel congelatore e presi il flacone di disinfettante sotto il lavandino. Spruzzai ogni superficie della cucina e iniziai a pulire con molta energia.
Potevo farcela.
Il cuore mi martellava in petto, lo stomaco sottosopra.
No, non ce la facevo.
Mentre sfregavo il bancone accanto al forno, la luce che si rifletteva dal bracciale d’argento attirò la mia attenzione. Mi fermai, come ipnotizzata da quell’oggetto che portavo ogni giorno. Posai il flacone e il panno e mi sfilai il bracciale. Ruotai il braccio e mi costrinsi a guardare la cicatrice. Me ne vergognavo, facevo tutto il possibile per nasconderla, ma a che pro? Per restare nel mio appartamento a fare l’asociale e la perdente? Certe cose sarebbero sempre rimaste un tabù per me, o quantomeno terribilmente imbarazzanti, ma andare a una cavolo di festa? Ero davvero rimasta così traumatizzata da quell’episodio, che dopo cinque anni non ero ancora in grado di uscire a divertirmi?
Infilai di nuovo il braccialetto e mi appoggiai al bancone.
Dovevo farlo. Avevo bisogno di farlo. O almeno di provarci. Il cuore mi sferzava le costole mentre mi dirigevo in salotto. Tirai fuori il cellulare dalla borsa e, evitando di rifletterci troppo, aprii il messaggio di Cam e risposi: OKAY.
Rispose nel giro di pochi secondi: ARRIVO.
Arrivo? Ma che...
Bussarono alla porta.
Incredula, gettai il telefonino sul divano e andai ad aprire. «Non c’era bisogno che venissi.»
Cam entrò a lunghi passi, girandosi il cappellino all’indietro.
«Be’, accomodati.»
Si fermò sulla porta della cucina e assunse un’espressione confusa. «Perché il tuo appartamento odora di candeggina?»
«Stavo pulendo.»
Inarcò un sopracciglio.
E io precisai, imbarazzata: «Tutta la cucina... Sai, potevi risparmiarti il viaggio e rispondere semplicemente al messaggio».
Mi scoccò una lunga occhiata e si sedette sul divano. «Avevo bisogno di fare un po’ di moto.»
Certo, come no.
Batté una mano sul divano accanto a sé. «Vieni qui.»
Lo fissai.
«Coraggio.»
Borbottando sottovoce, scavalcai le sue gambe e mi sedetti. «Eccomi.»
Percepii il suo sguardo sulle mie labbra. Arrossii, e lui sorrise ancor di più. «Mi hai scritto un messaggio con la parola ’okay’. Ti ho chiesto due cose oggi. Sono curioso di sapere a quale delle due hai finalmente detto di sì.»
Mi tirai le gambe al petto e mi abbracciai le ginocchia. «Mi hai invitato alla festa di Halloween di domani sera.»
«Sì.» Mi strattonò un braccio finché non lasciai andare le ginocchia. «Ma ti ho chiesto anche un’altra cosa.»
Lo guardai storto.
Poi lui afferrò l’orlo dei miei jeans e mi tirò via le gambe dal petto. «Ti ho anche chiesto di uscire con me.»
«Conosci la risposta.»
Strinse gli occhi.
Le mie labbra ebbero un tic nervoso. «Stavo dicendo di sì alla festa.»
«Ottima scelta. Sarà divertente.» Quando fui seduta nella posizione che voleva, si tirò indietro. «A che ora vuoi che passi a prenderti?»
Scossi la testa. «Vengo con la mia macchina.»
«Perché? Viviamo nello stesso palazzo e andiamo nello stesso posto.»
«Grazie, ma prendo la mia macchina.»
Mi osservò per un momento. «Se non vuoi venire con me, almeno fatti dare un passaggio da Brittany.»
Mi finsi d’accordo, anche se non avevo intenzione di farlo. Se avessi preso la mia macchina avrei potuto andarmene quando volevo. Mi serviva quel salvagente.
«Ehi», disse Cam.
Lo guardai perplessa. «Ciao.»
«Esci con me.»
Sorrisi. «Sta’ zitto, Cam.»
Ero così nervosa che il telefonino mi scivolava di mano e la cintura di sicurezza mi comprimeva il petto. Sedevo in auto nel parcheggio, mezz’ora dopo il momento in cui sarei dovuta partire per andare alla festa di Halloween a casa di Jase. Mi piacerebbe poter dire che avevo previsto di arrivare in ritardo per fare colpo su tutti, ma non era quella la verità.
Ero sull’orlo di un attacco di panico.
«Allora, non sei travestita?» Sotto la voce di Brittany sentivo musica e risate smorzate. «Non è un problema, qui non sono tutti in costume.»
Be’, potevo dire addio a quella scusa. Dopo aver parlato con Cam la sera prima avevo valutato l’idea di correre in un negozio a trovare un costume, ma travestirmi era probabilmente eccessivo.
«Stai arrivando? Perché mi sento sola... Ehi!» disse Brittany.
Un istante dopo s’intromise la voce di Jacob: «Ehi, bambola, dove sei?»
Chiusi gli occhi. «Sto per partire.»
«Farai meglio a sbrigarti, perché Brittany mi dà sui nervi chiedendo in continuazione di te. Muovi il culo e vieni qui.»
«Sto arrivando. Sarò lì tra poco.»
Riattaccai e buttai il cellulare sul sedile del passeggero. Strinsi il volante. Posso farcela, continuavo a ripetermi mentre alzavo gli occhi sul mio appartamento. Avevo lasciato una luce accesa, che ora mi chiamava come un faro verso la sicurezza che faceva tutt’uno con la noia.
Mi stavo comportando da stupida, me ne rendevo conto benissimo, ma rimaneva il fatto che il cuore mi stava squassando il petto e avevo la nausea. La sensazione che provavo non era normale per nessun altro, ed era quello il punto. Non volevo che fosse normale per me.
«Cazzo.»
Dovevo farmi coraggio.
Inserii la retromarcia. Mi tremavano le braccia quando arrivai in fondo alla strada e svoltai a sinistra sulla Route 45. La casa di Jase non era molto lontana da University Heights. Pochi chilometri, in un quartiere residenziale dove avevano sede molte confraternite.
Mentre guidavo mi sforzai di elencare più costellazioni possibili. Andromeda, Antlia, Apus, Acquario, Aquila, Ara, Ariete, Auriga... Che nomi assurdi, chi li avrà inventati? Ero arrivata alla D quando notai la fila di auto fuori da una grande casa a tre piani. C’erano macchine ovunque, lungo la strada, in giardino e sul vialetto. Feci inversione e parcheggiai a un isolato di distanza.
L’aria della sera era fredda e in giro non c’erano bambini. Il gioco del «dolcetto o scherzetto» era già finito e i marciapiedi erano costellati di caramelle.
Le luci accese dentro casa rischiaravano la veranda. C’erano alcune persone fuori, appoggiate alla ringhiera. Infilai le mani nelle tasche della felpa, evitai il garage dov’era in corso una partita di ping- pong a base di alcol, ed entrai dal portone aperto.
Accidenti...
La casa era strapiena. Gente ovunque, davanti alla televisione, in gruppi sul divano, per terra e nell’ingresso. La musica mi risuonava nel petto battendo al ritmo del mio cuore. Mi guardai intorno in cerca di un angelo. Ce n’erano molti: angeli cattivelli in rosso, angeli sexy in bianco e angeli in nero che suppongo fossero davvero malvagi.
Mmm.
Oltrepassai una ragazza travestita da Dorothy del Mago di Oz ma in versione spogliarellista. Mi sorrise, le sorrisi. Mi sentii strana. Passando davanti a un gruppo di persone sedute a un tavolino da carte riconobbi Ollie, il coinquilino di Cam. Era troppo preso dal gioco per notarmi. Mi alzai in punta di piedi. L’interno della casa era soffocante, con tutta quella gente.
Sentii uno strillo acuto e voltandomi ebbi pochi istanti per prepararmi prima che un angelo bianco mi si gettasse addosso.
«Sei qui!» strepitò Brittany, stringendomi in un abbraccio. «Merda, credevo che avresti trovato una scusa per non venire.»
«Sono qui.»
Mi abbracciò di nuovo e poi mi prese per mano. «Vieni. Jacob è fuori in garage. C’è anche Cam.»
Il mio cuore fece un altro po’ di ginnastica mentre la mia amica mi faceva girare intorno al tavolo del gioco a carte. Alcuni ragazzi alzarono gli occhi, liquidarono all’istante me e i miei jeans e si concentrarono invece sull’abitino bianco di Brittany. Uno dei ragazzi si appoggiò allo schienale e la fissò intensamente. Non potevo biasimarlo: era proprio bella.
«Fateci largo! Bip! Bip!» urlava Brittany, agitando in aria la mano libera.
In garage si respirava meglio, c’era meno luce e i muscoli del collo si rilassarono, anche se là c’erano più persone. Brittany mi condusse da un ragazzo con una bombetta nera e una giacca viola.
«Jacob, guarda chi ho trovato!» gridò.
Giacca Viola si voltò e io sorrisi di fronte agli occhiali dalla spessa montatura nera. «Bruno Mars?» chiesi.
«Sì! Hai visto, Brittany, qualcuno riconosce da chi sono vestito!» Jacob le scoccò un’occhiataccia, poi tornò a rivolgersi a me. Sembrava perplesso. «Da cosa sei vestita?»
Feci spallucce. «Da studentessa pigra?»
Jacob rise mentre la mia amica si avvicinava al fusto della birra. «Cos’hai sotto questa orribile felpa?»
«Cos’ha di male la mia felpa?»
Mi guardò impassibile. «Nulla, se ti sei appena svegliata e stai andando a lezione. Ma sei a una festa.» Tirò giù la lampo. «Toglitela o te la tolgo io.»
«Dice sul serio.» Brittany tornò con due bicchieri di plastica rossa. «Una volta mi ha tolto la camicia perché voleva provarsela e io mi sono ritrovata in reggiseno in una stanza piena di ragazzi.»
Infilai le chiavi nella tasca dei jeans e mi tolsi la felpa, posandola sullo schienale di una sedia da campeggio. «Contento?»
Jacob esaminò con le labbra arricciate il mio dolcevita attillato. «Mmm...» Tirò su l’orlo per esporre un pezzetto di pancia. Poi mi scompigliò i capelli. «Meglio. Hai un bel corpicino, ragazza, mettilo in mostra. Ora sei vestita da studentessa pigra e sexy.»
Afferrai il bicchiere che Brittany mi allungava. «Hai finito di agghindarmi come la tua Barbie personale?»
«Ehi, bellezza, se tu fossi la mia Barbie a quest’ora saresti mezza nuda.»
Risi. «Meno male che non lo sono.»
Mi posò un braccio sulla spalla. «Sono contento che tu sia qui. Dico davvero.»
«Anch’io.» E lo ero sul serio. Ero lì, ce l’avevo fatta. Era un evento epocale. Bevvi persino un sorso di birra. Eccomi lì, una festaiola.
Ripetendomi che non cercavo nessuno in particolare, mi guardai intorno nel garage. Non ci misi molto a individuare Cam: era più alto di una spanna della maggior parte degli altri ragazzi. Sorrisi vedendo che non si era travestito.
Si trovava accanto al tavolo da ping-pong, a braccia conserte. I bicipiti tendevano il tessuto della maglietta. Ero sempre affascinata dai ragazzi che stavano in maniche corte anche quando faceva freddo.
Accanto c’era Jase, che era alto come lui e altrettanto carino, coi capelli castani leggermente più lunghi. Anche lui era vestito come fossimo in estate, e dalla manica gli spuntava un tatuaggio scuro.
Brittany seguì il mio sguardo e sospirò. «Non so decidere qual è il più bello dei due.»
Per me non ce n’era: vinceva Cam. «Neanch’io.»
«Io li prenderei entrambi», commentò Jacob.
«Allo stesso tempo?» chiese Brittany in tono curioso.
Jacob sorrise. «Certo.»
«Un sandwich di Cam e Jase.» La mia amica rabbrividì. «Vorrei che fosse sul menu Tutto a un Dollaro.»
Risi. «Credo che costerebbero più di un dollaro.»
«Vero. Devo andare a letto con qualcuno», sospirò Brittany.
Jase diede di gomito a Cam e gli disse qualcosa. Un attimo dopo Cam si voltò nella nostra direzione. Sul volto bellissimo gli si dipinse un gran sorriso. Posò il bicchiere sul bordo del tavolo da ping-pong.
Guardandomi con aria complice, Jacob disse: «Ed eccone uno in arrivo. Sta per diventare un sandwich di Cam ed Avery».
«Sta’ zitto», mormorai, arrossendo.
La gente si fece da parte per lasciarlo passare. Era come Mosè che divideva un mare di studenti ubriachi. Feci un passo indietro, d’improvviso nervosa.
Cam non esitò. C’erano disinvoltura e sicurezza in ogni suo movimento. In meno di un secondo le sue braccia mi cingevano la vita e mi stringevano sollevandomi da terra. Brittany, saggiamente, mi tolse il bicchiere di mano prima che Cam iniziasse a farmi volteggiare in aria. Lo tenni stretto per le spalle mentre il garage mi vorticava intorno.
«Cazzo, non ci credo che sei davvero qui!»
Sembravano tutti convinti che avrei dato buca. Ero davvero contenta di esserci andata. «Ve lo avevo detto che sarei venuta.»
Cam mi posò a terra, ma non mi lasciò. «Quando sei arrivata?»
Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so, poco fa.»
«Perché non sei venuta a salutarmi?»
Gli fissai la fossetta. «Eri impegnato e non volevo disturbarti», ammisi, notando che in molti ci stavano guardando.
Cam chinò il capo e le sue labbra mi sfiorarono l’orecchio, mandandomi una serie di brividi giù per la schiena. «Tu non disturbi mai.»
Sussultai, mi sembrava di essere sulle montagne russe. Voltai leggermente la testa e i nostri occhi s’incrociarono. Non riuscii più a pensare, e quando le mani di Cam si strinsero sulle mie braccia mi ritrovai a precipitare dalla cima delle montagne russe. Per un attimo i rumori della festa svanirono. Le sue pupille erano dilatate, in deciso contrasto con l’azzurro delle iridi.
«Ehi, Cam, tocca a te!» gridò Jase.
Il momento era rovinato, e io espirai: non mi ero resa conto di trattenere il fiato. Lui sorrise. «Non allontanarti troppo.»
Annuii. «Okay.»
Cam tornò da Jase e prese una pallina da ping-pong.
«Ehi, è stato...» ansimò Brittany ridandomi il bicchiere.
Jacob finì la frase in sospeso: «... molto sexy. Pensavo che vi sareste strappati i vestiti e avreste fatto un bambino proprio qui sul pavimento sporco di birra. Avrei dovuto far pagare un biglietto d’ingresso».
Gli lanciai un’occhiataccia. «Penso che tu stia lievemente esagerando.»
La mia amica si fece aria con le mani. «Abbiamo avuto quest’impressione. Quanto ancora hai intenzione di farlo soffrire?»
M’incupii. «Non lo sto facendo soffrire.»
Lei mi guardò strano, ma non disse niente. Per fortuna cambiammo argomento quando Jimmie si avvicinò e iniziò a giocherellare con le ali di Brittany. Da tre diventammo quattro, e prima che me ne rendessi conto avevamo una festa nella festa. Anche se mi sentivo totalmente fuori dal mio elemento, cercai di partecipare alla conversazione. Mentre sorseggiavo la birra sapevo che mi stavano bollando come la ragazzina timida della situazione, ma era comunque meglio dell’ultima etichetta che mi era stata affibbiata durante una festa.
Fuori era arrivata altra gente, la musica si era alzata di volume e qualcuno iniziava a ballare. Non so come, ma tra tutti quei rumori sentii una risata rauca e profonda e mi voltai.
Stavano entrando nel garage due ragazze che sembravano appena scese dalla passerella di Victoria’s Secret. Una era vestita da diavoletto, ovvero con un baby-doll rosso, una coda appuntita e un paio di corna. E un sacco di tette. L’altra era una versione molto sexy di Cappuccetto Rosso. Mentre le ragazze incedevano nel locale su tacchi altissimi, accaddero diverse cose in contemporanea.
Alcuni dei ragazzi s’immobilizzarono letteralmente, lasciando la frase a metà e voltandosi ad ammirarle. Jimmie aveva la bocca spalancata. Anche Jacob le fissava come se stesse per cambiare orientamento sessuale. Mi si contrasse lo stomaco di fronte al costume da Cappuccetto Rosso e cercai di non pensare che all’altra festa di Halloween, anni prima, avevo indossato un travestimento molto simile. E poi al momento non sembrava quello il problema più grave, il che la diceva lunga.
Cappuccetto Rosso era anche nota come Stephanie Keith.
Era così bella cha avrebbe fatto sentire sciatta e vestita male qualsiasi altra ragazza. L’orlo dell’abitino di paillettes rosse arrivava poco sotto il sedere, lasciando scoperte le gambe perfette. La mise era completata da labbra rosse, occhi bistrati di nero e due codini.
Era stupenda.
E andava dritta da Cam.
Gli gettò le braccia al collo, e il vestito le si alzò rivelando mutandine nere coi volant e con la scritta SCULACCIAMI sul sedere. Cam non si divincolò, anzi le rivolse quel suo maledetto sorriso sghembo. Lei gli rubò la pallina da ping-pong e indietreggiò ridacchiando mentre la sua amica si tuffava su Jase.
Qualcosa di orribile mi si agitò nella pancia, come un’erbaccia velenosa. Perché Cam la inseguiva intorno al tavolo invece di allontanarsi da lei?
Era una domanda stupida.
Quale uomo si sarebbe allontanato da Stephanie?
Qualcuno mi sbatté su un fianco, borbottando scuse, ma ero troppo concentrata su Stephanie, che si teneva la pallina sopra il seno con un sorriso eloquente, e su Cam che la rincorreva.
Brittany mi sfilò il bicchiere e mi prese per mano. «Balliamo.»
La fissai e puntai i piedi. «Io non ballo.»
«Invece balleremo.» Si guardò alle spalle. Cam era riuscito a riprendersi la pallina. «Perché, se non balliamo, tu te ne starai lì a fissarli come una fidanzata gelosa.»
Merda, aveva ragione. Mi lasciai trascinare verso un gruppo di ragazze che ballavano, fortunatamente vicino al tavolo da ping-pong. La mia amica mi tenne per mano mentre ballava canticchiando la canzone. Ci misi qualche istante a trovare il coraggio di ballare, un’altra cosa che non facevo da anni, e mi pentii di non aver finito la birra.
Chiusi gli occhi e mi abbandonai alla musica. I miei fianchi si mossero da soli, e sorrisi. Riaprii gli occhi e continuai a tenere Brittany per mano mentre ballavamo insieme. Il gruppo intorno a noi s’infoltì e dietro la spalla di Brittany vidi Cam.
Non guardava più Stephanie.
Guardava noi... Guardava me.
Brittany era un genio.
Lanciò un’occhiata alle sue spalle e poi si voltò verso di me, mordendosi il labbro. «Che se ne vadano a ’fanculo.»
Gettai la testa all’indietro e risi. «’Fanculo.»
«Così mi piaci.»
Jimmie ci raggiunse e cinse Brittany per la vita da dietro. La guardai perplessa e lei fece spallucce, che in codice voleva dire che non ero tenuta a prenderla a pugni là sotto. Avevo i capelli umidi sulle tempie e il dolcevita mi era risalito sulla pancia. Jacob si unì al nostro gruppetto ballando in modo scomposto. Ero così impegnata a ridere di lui che quando due mani mi si posarono sui fianchi trasalii.
Brittany sgranò gli occhi.
Voltandomi, mi trovai di fronte un volto poco familiare. Un ragazzo con le guance rosse e gli occhi un po’ lucidi, che ancheggiava al ritmo della musica.
«Ciao», bofonchiò sorridendo.
«Ciao.» Feci una smorfia a Brittany avanzando di un passo. Le mani del ragazzo ubriaco mi strinsero più forte.
«Dove vai? Stiamo ballando», mi disse.
Mi girai di fianco e lui mi seguì, standomi addosso. Uno strano brivido mi fece accapponare la pelle. In un istante ero tornata indietro di alcuni anni e non riuscivo più a muovermi. Brittany, Jacob, la festa... tutto svanì. Lo sentii tirarmi a sé, le sue mani sulla pelle nuda del mio ventre. Senza preavviso, la realtà sembrò trasformarsi.
Non ero più lì.
Ero tornata laggiù, con le sue mani sotto la gonna, e non riuscivo a respirare né a vedere: la stoffa del divano era ruvida sotto la mia guancia.
«Piccola, balla con me», mi canticchiò all’orecchio il ragazzo.
«Piccola», aveva detto Blaine, ansimandomi nell’orecchio. «Non puoi dire che non lo vuoi.»
Il garage si trasformò in un seminterrato e poi tornò a essere un garage. Cercai di divincolarmi. Il cuore mi batteva così forte che mi veniva da vomitare. «Lasciami andare.»
«Ma dai, stiamo solo ballando.» La sua mano era sulla mia pancia, sotto il maglione. «Tu...»
«Lasciami andare.» Smisi di respirare mentre mi dimenavo. «Lasciami andare!»
A un grido di sorpresa seguì un verso stridulo. All’improvviso fui strattonata via dal tizio ubriaco. Barcollai all’indietro e andai a sbattere contro qualcuno. Col cuore a mille, mi scostai i capelli dal viso e sollevai la testa.
Oddio.
Cam aveva scaraventato il ragazzo contro la parete.