Quando il pane e le bevande vennero posati sul lucido tavolo quadrato tra di noi, avevo riacquistato in parte il controllo dei polmoni. Il nervosismo era tornato durante il tragitto in pick-up verso il ristorante, anche se Cam non aveva dato segno di notarlo ed era completamente a suo agio.
Passai troppo tempo a esaminare il menu, resistendo alla tentazione di mangiucchiarmi le unghie laccate.
Cam mi diede un colpetto col piede sotto il tavolo e io alzai lo sguardo. «Che c’è?»
Accennò col capo alla mia sinistra: il cameriere mi stava sorridendo. «Oh, ehm, prendo...» Scelsi la prima cosa su cui mi caddero gli occhi. «Il pollo al marsala?»
Il cameriere prese l’ordinazione, poi Cam ordinò una bistecca, cottura media, con contorno d’insalata e una patata al forno. Dopo che il cameriere si fu allontanato, Cam agguantò un panino. «Ne vuoi un pezzo?»
«Certo.» Sperai di non strozzarmi. Lo osservai tagliare il panino a metà e spalmarlo di burro. «Grazie.»
Inarcò un sopracciglio, ma rimase in silenzio mentre io sbocconcellavo. Cercai qualcosa da dire. Non doveva neppure essere qualcosa d’interessante: dovevo solo parlare. Mi tornò in mente, non so perché, la sua conversazione con Ollie: e mi ci aggrappai. «Pratichi qualche sport?»
Cam batté le palpebre come se lo avessi colto alla sprovvista.
Arrossii. «Scusa. È una domanda a caso.»
«Non fa niente.» Masticò lentamente il pane. «In passato sì.»
Grata che stesse al gioco, mi rilassai un po’.
«Quale sport?»
Tagliò un’altra fetta di pane. «Giocavo a calcio.»
«Davvero?» Perché i calciatori erano tutti belli? Era una legge universale del calcio? «In che posizione?»
Probabilmente sospettava che non sapevo niente di calcio, tuttavia non lo diede a vedere. «Ero un trequartista, cioè un attaccante che gioca da centrocampo.»
«Oh!» Annuii come se capissi.
Gli spuntò la fossetta. «Vuol dire che facevo un sacco di gol.»
«Insomma, eri bravo?»
«Ero accettabile. Si correva molto, quindi dovevo tenermi allenato.»
Era più o meno tutto ciò che sapevo sul calcio: che si correva molto. «Giocavi al liceo?»
«Liceo, campionato dilettanti e il primo anno di college.»
Azzardai un altro morso di pane. Fin lì tutto bene. «Perché hai smesso?»
Cam aprì la bocca e la richiuse. Fissò un punto dietro la mia spalla per vari istanti e poi fece spallucce. «Non mi andava più.»
Ero la regina delle risposte evasive, quindi le riconoscevo al volo. E perciò volevo scavare più a fondo, ma avevo dato la stessa risposta vaga quando lui mi aveva chiesto della danza. Quindi non ero esattamente nella posizione d’insistere.
I suoi occhi chiari si posarono su di me e nella penombra mi sentii arrossire. Santo cielo, dovevo smetterla di arrossire ogni cinque minuti.
Lui sghignazzò e mi venne voglia di lanciargli il pane in faccia. «Avery...»
«Cam?»
Si sporse sul tavolo e la piccola candela al centro gli gettò ombre danzanti sul viso. «Non devi essere così nervosa.»
«Non lo sono.»
Mi guardò con sufficienza.
Sospirai. «Va bene, lo sono. Scusa.»
«Perché domandi scusa? Non devi. Questo è il tuo primo appuntamento.»
«Grazie di avermelo ricordato», borbottai.
Le sue labbra vibrarono come se si sforzasse di non sorridere. «Non è una brutta cosa. È normale che tu sia nervosa.»
«Tu non lo sei.»
«Perché io sono fantastico.»
Alzai gli occhi al cielo.
Rise, di una risata piena e profonda. «Non devi essere nervosa. Sono felice di essere qui con te, Avery. Non devi preoccuparti di fare buona impressione o di piacermi. Lo hai già fatto.»
«È che...» Scossi la testa ignorando il nodo in gola. Lo fissai. «Sei così... Non lo so. Sai sempre cosa dire a...»
«A...?»
Mi ravviai i capelli e lasciai ricadere la mano in grembo. Mi tremava. «Dici sempre la cosa giusta.»
«È perché sono...»
«Fantastico. Questo lo so.»
Si appoggiò allo schienale. «Non intendevo questo, ma sono contento che tu ti sia accorta di quanto sia meraviglioso.»
«Allora cosa stavi per dire?»
«Che l’ho detto perché è vero e perché lo voglio.»
Sbottai: «Perché io?» Poi chiusi gli occhi per un istante. «Okay, non rispondere.»
I nostri piatti arrivarono proprio in quel momento, e grazie al cielo la conversazione s’interruppe... per circa due minuti. «Risponderò a quella domanda», disse Cam scrutandomi da sotto le ciglia.
Avrei voluto tuffare la faccia nel pollo ripieno. «Non sei tenuto.»
«Invece sì.»
Strinsi forte le posate e feci un lungo respiro. «So che è una domanda stupida, ma tu sei bellissimo, Cam. Sei simpatico e gentile. Sei intelligente. Ti ho detto di no per due mesi. Potevi uscire con chiunque, invece sei qui con me.»
«Sì, sono qui.»
«Con la ragazza che non è mai uscita con nessuno.» Lo guardai dritto negli occhi. «Non mi sembra vero.»
«Okay.» Tagliò un pezzo di bistecca. «Sono qui con te perché voglio esserci. Perché mi piaci. Ehi, lasciami finire! Te l’ho già detto, tu sei diversa... In senso buono, quindi togliti quell’espressione dalla faccia.»
Ridussi gli occhi a due fessure.
Lui sorrise. «E ammetto che alcune delle volte che ti ho chiesto di uscire sapevo che non avresti accettato. E forse, anche se non sempre te lo chiedevo sul serio, ho sempre voluto uscire con te. Questo lo hai capito?»
Ehm, non proprio, ma annuii.
«E mi piace passare il tempo con te.» S’infilò in bocca un pezzo di bistecca. «E poi, ehi, penso di essere un buon partito per il tuo primo appuntamento.»
«Oh, mio Dio.» Risi. «Non riesco a credere che tu ti sia appena definito ’un buon partito’.»
Scrollò le spalle. «Lo sono. Ora mangia il tuo pollo, se no lo faccio io.»
Sorrisi e iniziai a tagliare il pollo, partendo dal ripieno. A parte la mia domanda stupida, il primo appuntamento stava andando bene. Cam iniziò a farmi domande e io non mi chiusi a riccio. Ma ogni tanto i nostri sguardi s’incrociavano e io dimenticavo cosa stavo facendo e smettevo di ascoltarlo. Però mi stavo divertendo, mi piaceva stare lì. E la cosa più bella era che non pensavo al domani. Ero concentrata sul momento presente, ed era un bel momento.
Verso la fine della cena Cam mi chiese: «Allora, cosa fai per il Ringraziamento? Torni in Texas?»
Sbuffai. «No.»
Lui aggrottò la fronte. «Non torni a casa?»
Finii il pollo e scossi la testa. «Resto qui. Tu vai a casa?»
«Sì, ma non so bene quando.» Prese il bicchiere. «Seriamente non torni a casa? È quasi una settimana... cinque giorni. Avresti tutto il tempo.»
«I miei genitori... sono in viaggio.» Non era una gran bugia: in quel periodo dell’anno, tra il Ringraziamento e Natale, i miei facevano crociere o settimane bianche. «I tuoi genitori organizzano una cena in grande stile per il Ringraziamento?»
«Sì», mormorò, fissando il piatto vuoto.
La conversazione languì un po’ da lì in poi, e quando arrivò il conto Cam non sembrò volersi attardare.
L’aria della sera era molto fredda e i nostri respiri formavano nuvolette bianche. Si alzò un vento fortissimo che mi scompigliò i capelli. Rabbrividii e mi strinsi nel cappotto.
«Freddo?»
«Non è il Texas», ammisi.
Cam ridacchiò e mi posò un braccio sulle spalle. Il calore del suo corpo si trasmise immediatamente al mio e dovetti concentrarmi per non inciampare. «Va meglio?» chiese.
Riuscii solo ad annuire.
Quando fummo al riparo dal vento sul pick-up mi allacciai la cintura di sicurezza. Cam salì a bordo, avviò il motore e poi batté le mani e le sfregò. Mi guardò. «Ti è piaciuta la cena?»
«Sì. E grazie per il cibo. Voglio dire, per la cena. Grazie.» Balbettavo. Chiusi gli occhi. «Grazie.»
«Prego. E grazie di avermi finalmente permesso di portarti fuori», rispose, divertito.
Accese la radio, non così forte da non poter parlare, ma ero troppo concentrata sulle cose importanti. Da qualche parte tra Hagerstown e University Heights avevo preso una decisione cruciale.
Se Cam mi avesse baciata, non avrei dato di matto.
No. No. No.
Mi sarei comportata come una normale diciannovenne con un minimo di esperienza. D’altronde, non era detto che lui mi baciasse. A un certo punto della serata avrebbe potuto anche preferire tornare nel suo appartamento con Ollie e Raffaello. E, in tal caso, me ne sarei fatta una ragione. Non mi sarei lamentata.
Ma, quando arrivammo al quinto piano del nostro palazzo, mi accorsi che non volevo terminare così la serata. Ci fermammo davanti alla mia porta e mi voltai a guardarlo, stringendo la tracolla della borsa.
Lui piegò le labbra di lato. «Quindi...»
«Vuoi entrare? Bere qualcosa? Ho caffè e cioccolata calda.» Cioccolata calda? Ma sul serio? Avevo dodici anni, per caso? Razza d’idiota. «Non ho birra, né niente di più forte...»
«Una cioccolata calda andrebbe benissimo. Solo se hai quella coi marshmallow.»
Le mie labbra si schiusero in un sorriso, e non m’importava quanto fosse sguaiato o goffo. «Ce l’ho.»
«Allora fa’ strada, tesoro.»
Col cuore a mille lo feci entrare nell’appartamento e accesi la lampada vicino al divano. Mi tolsi il cappotto e andai in cucina. Cam si sedette sul divano mentre io preparavo la cioccolata calda. Nel frattempo mi tolsi le scarpe, poi portai in salotto due tazze fumanti.
«Grazie.» Ne prese una. «Ho una domanda per te.»
«Okay.» Mi sedetti di fronte a lui ripiegando le gambe sotto il corpo.
Bevve un sorso. «Allora, sulla base della tua prima esperienza di appuntamento, ne accetteresti un secondo?»
Una sensazione piacevole mi scaldò il petto. «Un secondo, così, in generale?»
«In generale.»
Feci un’alzata di spalle e sorseggiai la cioccolata. «Be’, è stato un bel primo appuntamento. Se il secondo appuntamento fosse così, allora probabilmente accetterei.»
«Mmm. Con una persona a caso o...?»
Abbassai gli occhi. «Non con chiunque.»
«Quindi dovrebbe essere una persona in particolare?»
La sensazione piacevole si propagò alle braccia e alle gambe. «Credo di sì.»
«Interessante», mormorò lui, bevendo un altro sorso. Quando mi guardò gli brillavano gli occhi: ero ufficialmente nei guai. «Questo qualcuno in particolare dovrà aspettare altri due mesi, se ti chiede di uscire?»
Non seppi trattenere il sorriso, quindi bevvi un altro sorso. «Dipende.»
«Da?»
«Dal mio umore.»
Ridacchiò. «Preparati.»
«Okay.»
«Ti chiederò ancora di uscire: ma non a cena, perché mi piace variare un po’. La prossima volta andremo al cinema.»
Finsi di pensarci su, ma conoscevo già la risposta. Volevo uscire di nuovo con lui, anche per vedere un film stupido o noioso. «Al cinema?»
Annuì. «Ma un drive in, uno degli ultimi rimasti.»
«All’aperto?»
«Sì.» Il sorriso gli si accentuò. «Non preoccuparti, ti terrei al caldo.»
Non sapevo se ridere o dirgli che quell’ultima frase era decisamente sdolcinata. «Okay.»
Inarcò le sopracciglia. «Okay per il cinema?»
Mi morsi il labbro e annuii.
«Sul serio non mi ci vorranno altri due mesi?»
Scossi la testa.
Cam rise. «Va bene, che ne dici di mercoledì?»
«Mercoledì questo?»
«No.»
Posai la cioccolata sul tavolino. «Il prossimo?»
«Sì.»
Contai i giorni e restai perplessa. «Aspetta, è la vigilia del Ringraziamento.»
«Sì.»
Lo fissai. «Cam, non torni a casa?»
«Sì.»
«Quando? Dopo il cinema, in piena notte, o la mattina del Ringraziamento?»
Scosse la testa. «Vedi, il drive in è appena fuori dalla mia città. Una quindicina di chilometri.»
Mi appoggiai allo schienale del divano, confusa. «Non capisco.»
Cam finì la cioccolata calda e si girò verso di me. Scivolò sul divano finché tra noi non restarono che pochi centimetri. «Se esci con me anche stavolta, dovrai venire a casa mia.»
«Cosa?! Andare a casa tua?» strillai, tirandomi su a sedere.
Serrò le labbra e annuì.
«Dici sul serio?»
«Serio come il timpano che mi hai appena rotto. Vieni a casa con me, ci divertiremo.»
«A casa tua... cioè a casa dei tuoi genitori? In pratica per il Ringraziamento?» Quando lui annuì ancora, lo schiaffeggiai su un braccio. «Non fare lo stupido, Cam.»
«Non faccio lo stupido. Dico sul serio. Ai miei genitori non dispiacerà.» S’interruppe e arricciò il naso. «Anzi probabilmente saranno contenti di vedere qualcuno che non sia io. E mia madre ha il vizio di cucinare troppa roba. Più bocche da sfamare ci sono, meglio è.»
Non avevo parole.
«Possiamo partire quando vuoi, ma ovviamente entro mercoledì pomeriggio. Finisci quella cioccolata?» Scossi la testa e lui prese la mia tazza. «E possiamo tornare qui quando vuoi.»
«Non posso partire con te.»
Mi guardò perplesso. «Perché no?»
«Per un centinaio di buoni motivi, Cam. I tuoi genitori penseranno...»
«Non penseranno niente.»
Gli scoccai un’occhiataccia.
Sospirò. «Va bene. Vedila così: è meglio che startene cinque giorni a casa da sola. Cosa pensavi di fare? Leggere? E sentire la mia mancanza, perché, lo sai, la sentiresti. E io dovrei passare tutto il tempo a scriverti SMS e a dispiacermi sapendoti tutta sola, e che non puoi neanche andare a mangiare da McDonald’s perché il giorno del Ringraziamento è chiuso.»
«Non voglio che tu ti dispiaccia per me. Non è un problema per me restare qui.»
«Non voglio che tu resti qui sola soletta, e sei tu a farne un problema. Sono un amico che chiede a un’amica di passare insieme le vacanze del Ringraziamento.»
«Sei un amico che è appena uscito con un’amica per un appuntamento!»
«Ah, questo è vero», fece lui, posando la mia tazza.
Scossi la testa e mi strinsi un cuscino al petto. «Non posso. È davvero troppo...»
«... prematuro?»
«Sì. Prematuro.»
«Be’, allora meno male che non ci frequentiamo, perché, sì, in quel caso sarebbe prematuro.»
«Ma cosa... Eh?»
Mi strappò il cuscino dalle mani e lo gettò dietro di sé. «Io e te siamo due amici che sono usciti insieme una volta sola. Forse due, se vieni con me. Non ci frequentiamo. Siamo solo amici che si sono dati un appuntamento. Quindi andremo a casa mia come amici.»
Mi girava la testa. «Non ha nessun senso.»
«Ha perfettamente senso. Non ci siamo neppure baciati, Avery. Siamo solo amici.»
Lo guardai a bocca aperta.
Scrollò una spalla. «Vieni a casa con me, Avery. Ti prometto che non ti sentirai a disagio. I miei genitori saranno felici. Ti divertirai e sarà meglio di quello che faresti qui. E nessuno si aspetterà niente, assolutamente niente da te. Okay?»
La parola «no» mi si formò sulla lingua, ma per qualche motivo non mi uscì. I pensieri mi si affastellavano in testa, dalla vaga idea di accettare all’intenzione di dirgli chiaro e tondo che era completamente fuori di testa. Andare a casa dei suoi? Sempre meglio che passare il Ringraziamento da sola. Era già brutto quando abitavo coi miei e loro partivano senza di me, ma almeno la cameriera mi preparava il tacchino arrosto. Mrs Gibson... Erano tre anni che mi preparava lei il tacchino. E davvero McDonald’s era chiuso? Accidenti, che tristezza. Ma andare a casa di Cam era una pazzia. Il suo ragionamento non aveva nessuna logica. Era un nonsense, o qualcosa del genere. Era una follia come non ne avrei mai fatte.
Come non ne avrei mai fatte.
Incrociai i suoi occhi di un blu irreale. Davvero ci stavo pensando su? Ebbi un tuffo al cuore. Deglutii. «Davvero ai tuoi genitori non dispiacerebbe?»
Una scintilla gli balenò negli occhi. «Non sei la prima persona che porto a casa.»
«Ragazze?»
Scosse la testa.
Be’, quello era... interessante. «E i tuoi penseranno davvero che siamo solo amici?»
«Perché dovrei dire loro che stiamo insieme se non è vero? Se dico che siamo amici, penseranno che siamo amici.»
La parte razionale di me mi scongiurava di non farlo. «Okay. Verrò a casa tua.» Ormai lo avevo detto e non potevo più rimangiarmelo. «È un’idea folle.»
«È un’idea perfetta.» Un lento sorriso gli si disegnò sulle labbra. «Suggelliamo l’accordo con un abbraccio.»
«Cosa?»
«Un abbraccio.» La scintilla nei suoi occhi si fece ancor più luminosa. «Dopo l’abbraccio non puoi più tirarti indietro.»
«Oddio, dici sul serio?»
«Sono serissimo.»
Alzai gli occhi al cielo, borbottai, mi misi in ginocchio e allargai le braccia. «E va bene, abbracciamoci per suggellare l’accordo prima che io cambi...» La frase finì in uno squittio perché Cam mi prese per la vita e mi tirò a sé. Mi ritrovai seduta accanto a lui, praticamente sopra di lui, con la gamba sinistra incastrata fra le sue ginocchia.
Mi abbracciò. Non era un abbraccio stretto, non come se fossimo stati in piedi, ma stare così vicini mi fece un effetto molto forte. «L’accordo è siglato, tesoro. Ringraziamento dagli Hamilton.»
Balbettai qualcosa e, mentre mi tiravo un po’ indietro, i nostri visi si ritrovarono perfettamente allineati. E all’improvviso capii la scintilla nei suoi occhi. «Tu...»
Ridacchiò, e mi si strinse lo stomaco. «Bella mossa, eh? Sono riuscito a farmi abbracciare. Mi sarebbe bastata la tua parola.»
Faticai a trattenere un sorriso. «Non sai quanto ti sbagli.»
«Io non sbaglio mai, ma devo ammettere una cosa.» Riguadagnò la breve distanza che avevo interposto tra noi. Mi sfiorò la guancia con le labbra. «Prima ti ho mentito.»
«Su cosa?»
Le sue mani scesero lungo la mia schiena. «Quando ti ho detto che stavi bene vestita così. Non ero del tutto sincero.»
Non era quel che mi aspettavo. Voltai leggermente la testa e restai di stucco. Le nostre bocche erano separate da pochissimi centimetri e ripensai a Brittany, che era certa che lui mi avrebbe baciata. Mi costrinsi a parlare: «Non pensi che io stia bene?»
«No», disse lui, serissimo, seguendo con una mano il contorno della mia spina dorsale e fermandosi appena sotto l’attaccatura dei capelli. Chinò il capo premendo la tempia sulla mia. «Non stai bene: stai benissimo.»
Mi si mozzò il respiro. «Grazie.»
Non aggiunse altro, ma le sue labbra seguirono il contorno della mia guancia e io m’irrigidii tra le sue braccia. Il cuore mi martellava in petto per l’eccitazione, ma anche per un’emozione diversa. Era paura quella che sentivo in fondo alla gola? Era uscita dal nulla, selvaggia e violenta. L’insieme di quei due impulsi, il bisogno di restare dov’ero e quello di tirarmi indietro, era divorante.
Le labbra di Cam si spostarono sulla guancia e poi il suo naso sfiorò il mio. Il suo respiro era caldo e profumava di cioccolata. Avrebbe avuto lo stesso sapore? Sempre più curiosa, gli posai le mani sui bicipiti.
«Avery?»
Chiusi gli occhi. «Che c’è?»
«Non sei mai stata baciata, vero?»
Il cuore mi martellò nelle orecchie. «No.»
«Per la cronaca, questo non è un bacio.»
Aprii la bocca e un istante dopo le sue labbra furono sulle mie. Le sfiorarono soltanto, con delicatezza e per un secondo appena, ma riuscirono lo stesso a lasciarmi senza fiato.
«Mi hai baciata», ansimai, affondandogli le dita nel maglione.
«Non era un bacio», ripeté sfiorandomi le labbra con le sue. Una serie di brividi mi corse giù per la schiena. «Ricordi? Se ci fossimo baciati, allora venire a casa mia potrebbe significare qualcosa di più serio.»
«Oh. Okay.»
«Neanche questo è un bacio.»
La seconda volta, la pressione delle sue labbra mi consumò, mi risvegliò. Non riuscivo a pensare ad altro che alla sua bocca, non volevo pensare ad altro. Un meraviglioso tepore mi s’irradiò giù per il collo, nel petto, e poi più in basso, tra le cosce. Mi baciò delicatamente, tracciando il contorno delle mie labbra con le sue. Qualcosa dentro di me si stava destando, si apriva, e doleva. Mi aggrappai a lui mentre si muoveva e mi ritrovai sdraiata sulla schiena.
Cam indugiava sopra di me, i muscoli delle sue braccia si flettevano sotto le mie dita. La sua bocca era ancora sulla mia. Nessun’altra parte dei nostri corpi si toccava, e non ero sicura se sentirmi sollevata o delusa. Ma le sue labbra... Oddio, le sue labbra si strofinavano sulle mie. Iniziai a baciarlo anch’io, più lenta e goffa mentre lui era sicuro, esperto. Temevo di sbagliare, ma poi lui emise un verso gutturale, quasi un ringhio, e istintivamente capii che esprimeva piacere. Un brivido mi attraversò il corpo. Il fremito si stava diffondendo, intensificando, ed era paralizzante.
Mi baciò con più passione, spronando le mie labbra a schiudersi alle sue. I sensi mi travolsero quando la sua lingua incontrò la mia. Ansimai, e la sua lingua andò più a fondo. Mi abbandonai al bacio, stringendo le dita e arcuando il collo. Sapeva di cioccolata e di uomo. Il desiderio si faceva strada nel mio profondo, seguito da un’ondata montante di panico. Ma il panico fu spazzato via quando la sua lingua passò lungo il palato. Cam rialzò la testa e mi mordicchiò il labbro inferiore, e mi sfuggì un gemito di piacere. Adesso ansimavamo entrambi.
«Non è ancora un bacio?» chiesi.
Cam si tirò indietro a sedere, trascinandomi con sé. I suoi occhi erano di quel blu intenso, cocente. Avevo caldo. Boccheggiavo. Le mie mani erano ancora sulle sue braccia. Lui mi passò un dito sul contorno del labbro e poi si chinò di nuovo su di me.
«No, non era un bacio.» Le sue labbra mi sfiorarono allettanti, piene di promesse. «Era la buonanotte.»