La lezione di economia divenne molto più interessante quando impiegai il tempo a ricordare tutto ciò che io e Cam avevamo fatto la sera prima, dopo che i suoi amici erano tornati a casa e Ollie era andato a letto.
Cam mi aveva portata in camera sua e aveva chiuso piano la porta. Un’energia nervosa mi si era accumulata nello stomaco mentre lui mi si avvicinava e mi prendeva il viso tra le mani. Dopo quella notte sul mio divano ci eravamo baciati e toccati spesso, ma in camera sua sembrava diverso, più intimo, più ricco di possibilità.
Cercavo di non pensare al sesso vero e proprio, perché non ero sicura di poterlo fare davvero. Non sapevo se lo avrei trovato divertente o se mi avrebbe ricordato quello che era accaduto. Immaginavo che mi avrebbe fatto un po’ male, perché ero ancora vergine, ma il dolore sarebbe stato solo fisico?
Quella sera lui non aveva voluto di più, e mi chiesi se in qualche modo, chissà come, conoscesse la verità.
Mi aveva sfilato il maglione senza togliermi il reggiseno né i jeans. La sua camicia era finita sopra il mucchio dei miei vestiti, e quando mi aveva baciata le sue mani erano affondate nei miei capelli. Ci eravamo sdraiati sul suo letto e lui aveva appoggiato una gamba tra le mie. Mentre i suoi baci mi scorrevano giù per il collo e atterravano sul mio seno avvolto nel pizzo, le sue mani mi avevano afferrato i fianchi invitandomi a muovermi contro di lui. Aveva preso in bocca il mio capezzolo eretto mentre io mi strusciavo su di lui, la testa all’indietro e la bocca serrata per non gemere. Mi aveva regalato un orgasmo così, senza neppure toccarmi, attraverso i jeans e le mutandine. E quando gli avevo infilato le mani sotto i pantaloni della tuta e avevo stretto la sua erezione, lui si era spinto contro la mia mano, proprio come immaginavo che avrebbe fatto dentro di me.
Ero rimasta accoccolata accanto a lui per un po’. Avevamo parlato di tutto e di niente, fino a tarda notte. Me n’ero andata quando lui aveva iniziato ad appisolarsi, anche se era ancora abbastanza lucido da cercare di farmi tornare a letto. Però si era alzato e mi aveva accompagnata fino alla porta del mio appartamento. Mi aveva dato la buonanotte con un bacio dolcissimo.
C’erano buone possibilità che fossi innamorata.
Okay, probabilmente ero innamorata da mesi, ma ora sembrava più reale, più concreto e... Dio, ora sapevo davvero che sensazione dava l’amore: un calore ribollente, spumeggiante. Quando ero con lui o pensavo a lui mi sembrava di sentire le bollicine dello champagne, che cercano sempre di risalire in superficie. Ma che razza di metafore mi venivano in mente?
Sorrisi come un’idiota.
Brittany mi guardò, perplessa.
Arrossii e decisi di ascoltare gli ultimi dieci minuti della lezione. Il professore stava parlando dei gasdotti nei primi anni ’80, qualcosa a proposito del rapporto tra offerta e domanda. Avrei proprio dovuto leggere quel capitolo.
Mentre uscivamo dal Whitehall, Brittany mi disse: «Dio, sei messa proprio male. Ce lo hai scritto in faccia».
«È vero.» Sorrisi.
Mi prese a braccetto e uscimmo dal portone. Una densa coltre di nubi lasciava cadere qualche fiocco di neve. «Sono contenta che voi due vi siate chiariti. Siete così carini insieme... siete quasi disgustosi.»
«Lui è...» Scossi la testa. «Sono fortunata.»
«È lui quello fortunato.» Mi diede una leggera gomitata mentre ci avviavamo per la salita. «Allora, cosa gli regali per San Valentino?»
«San Valentino?» Mi fermai di scatto, e le persone dietro di noi furono costrette a girarci intorno. «Oh, merda, è la prossima settimana.» La guardai con gli occhi sbarrati. «Non ne ho idea.»
Brittany ridacchiò e mi tirò per un braccio. Ripresi a camminare. «Dovresti vedere la tua faccia. È come se ti fossi appena resa conto che la prossima settimana verrà la fine del mondo, invece di una stupida festa.»
La ignorai. «Non ho idea di cosa regalargli.»
«Cos’hai regalato ai tuoi ex?»
«Niente», risposi, troppo agitata per curarmi di ciò che ammettevo. «Non ho mai avuto un ragazzo prima di lui.»
Ora fu il turno della mia amica di fermarsi e bloccare il traffico pedonale. «Cosa? Mai? Cazzo, sapevo che eri un po’... ehm... innocente, ma insomma! I ragazzi Amish hanno più esperienza di te.»
Le scoccai un’occhiataccia. «Non mi stai aiutando, e sono davvero nel panico.»
«Va bene, va bene. Ti prenderò in giro più tardi. Ho capito.» Arricciò il naso. «Dopo la lezione andiamo a fare shopping.»
Quel pomeriggio nevicava ancora, ma le strade erano sgombre e riuscimmo ad arrivare in macchina a Martinsburg. Mi aggirai per il centro commerciale a corto d’idee, e fissai i cuoricini rossi appesi al soffitto. Brittany mi mostrò un paio di boxer di raso nero a cuori rossi. «Be’...»
«No», tagliai corto. A parte il fatto che era il regalo più sdolcinato che avessi mai visto, Cam non portava sempre la biancheria intima.
Lei strinse le labbra. «Be’, c’è sempre il regalo classico. Una colonia, un portafogli, una cravatta o una camicia.»
«Che orrore.»
«Non ho detto che erano buone idee.»
Feci il broncio ed entrammo in un altro negozio. Il giro di shopping fu inutile, a parte il fatto che Brittany si provò una quantità infinita di crema per il corpo. Quando ce ne andammo profumava come se lavorasse in una fabbrica di cosmetici.
Tornata nel mio appartamento, cercai un regalo su Internet. Volevo che fosse speciale, perché con Cam mi sentivo come se mi stessi risvegliando: vedevo le cose in modo nuovo, con più chiarezza. Non sapevo bene se fosse merito suo, o di come mi comportavo con lui, o se stessi finalmente cambiando. In ogni caso, Cam aveva svolto un ruolo in quella mia trasformazione e ora volevo fargli un regalo importante.
Dopo un’ora stabilii che scegliere regali per gli uomini era un gran casino.
Mi spremetti le meningi. Se gli avessi regalato una fornitura a vita di uova, sarebbe stato contento.
Con un gemito d’irritazione, mi alzai e andai alla finestra. Nevicava forte, il terreno e le macchine erano coperti. Al telegiornale avevano detto che la neve si sarebbe accumulata, ma dubitavo che avrebbero chiuso il campus.
Mi feci una coda di cavallo e mi avviai in cucina, e in quell’istante mi venne in mente una cosa che Cam mi aveva detto.
Che gli sarebbe piaciuto assistere a una partita del D.C. United.
Tornai squittendo al computer e visitai il loro sito. Cliccai sul calendario degli incontri e ordinai due biglietti per una partita a inizio aprile, pensando che per allora il tempo sarebbe migliorato.
Chiusi il portatile, soddisfatta dell’acquisto. Poteva andarci con me, o con un amico se preferiva. Era lo stesso, purché si divertisse.
Meno di un’ora dopo Cam si presentò alla mia porta, bagnato di neve. «Serata pizza?»
«Ottimo.» Lo baciai sulla guancia e presi i cartoni con le pizze. «Come sono le strade?»
«Uno schifo.» Recuperò dal frigo due bibite. «Il che mi conduce alla brillante idea che ho avuto.»
Sorrisi. «Le tue idee possono essere un po’ inquietanti.»
«Le mie idee non sono mai inquietanti, né cattive.»
«Be’...»
«Fammi un esempio», mi sfidò.
Non dovetti pensarci molto. «Che ne dici di quando hai legato uno spago intorno al guscio di Raffaello come fosse un guinzaglio?»
«Era un’idea innovativa!»
«Il poveretto è rimasto lì impalato e ha tirato dentro la testa.»
Cam sbuffò. «Non è che gli altri giorni si comporti diversamente.»
Risi. «Vero.»
«Quest’idea è fantastica.» Trasferì le fette di pizza sui piatti di plastica e mi fece l’occhiolino. «Dicono che nevicherà fino a domattina.»
Non sapevo se esserne felice o infastidita. La neve era bellissima, andare all’università col ghiaccio sulle strade lo era di meno.
Mentre ci trasferivamo in salotto, continuò: «E dubito seriamente che domani cancelleranno qualche lezione. Ma molti studenti non verranno, e gli insegnanti se l’aspettano».
«Okay.» Mi sedetti sul divano e mi feci da parte per lasciargli spazio.
«Quindi pensavo che domani potremmo saltare le lezioni, restare qui e guardare brutti film per tutto il giorno.»
In un primo momento avrei voluto rispondergli che non potevo saltare un giorno intero, ma di fronte al suo sguardo impertinente mi dissi: Al diavolo! «È una bellissima idea.»
«Vero?» Si picchiettò una tempia. «Sono strapieno di grandi idee. Traboccante. Rigonfio.»
«Sì, proprio un pallone gonfiato.» Ridacchiai e addentai la pizza. Cam ne mangiò metà, e quando Ollie passò da noi finì gli avanzi. Mi sorprendeva che quei due riuscissero a mangiare così tanto e rimanere allo stesso tempo in forma. Io mangiavo due fette e ingrassavo all’istante di un chilo.
Seduta tra i due ragazzi, mi appisolai mentre loro guardavano una minimaratona di un reality sulla distillazione clandestina del whisky. Quando mi svegliai Ollie se n’era andato e io ero appoggiata a Cam, che aveva i muscoli stranamente tesi.
Mi alzai a sedere sbadigliando e mi scostai i capelli dal viso. «Scusa, non volevo addormentarmi sopra di te.»
Mi guardò con un’espressione imperscrutabile. Il disagio mi strinse lo stomaco come un nodo di vipere. Aveva la mandibola così contratta che temetti si stesse per spezzare un molare.
«Tutto a posto?» domandai.
Cam espirò lentamente e guardò il tavolino davanti al divano. «Mentre dormivi hai ricevuto un messaggio.»
Il mio sguardo seguì il suo e si posò sul mio cellulare. All’inizio non capii quale fosse il problema, ma poi l’ansia mi serrò la gola. Ormai sveglia, scattai in avanti e agguantai il telefonino. Quando premetti il display, il cuore mi sussultò in petto.
SEI UNA PUTTANA BUGIARDA. COME FAI A VIVERE CON TE STESSA?
Inspirai, ma il fiato mi restò in gola. Fissai il messaggio e desiderai che svanisse.
«È apparso sullo schermo quand’è arrivato», disse lui.
Mi tremavano le mani. Cancellai il messaggio e posai il cellulare. Il dolore e una rabbia irrazionale mi fremevano in corpo. Quelle due emozioni erano comunque preferibili al panico che minacciava di spazzarle via. «L’hai letto?»
«Non l’ho letto apposta.» Si piegò in avanti, posando le mani sulle ginocchia. «Era lì, sullo schermo.»
«Ma non dovevi guardare per forza!» lo accusai, arretrando sul divano.
Socchiuse gli occhi. «Avery, non stavo spiando nella tua roba. Quel cazzo di messaggio è arrivato, e l’ho letto prima di potermi fermare. Forse ho sbagliato.»
«Hai sbagliato!»
«Okay, ho sbagliato, mi dispiace.» Fece un profondo respiro. «Ma non cambia il fatto che l’ho letto.»
Ero paralizzata nel bel mezzo del salotto. Si era quasi avverata la mia paura peggiore. La mia seconda paura – la prima era che lui scoprisse cosa mi era successo – ma altrettanto terrificante.
«Avery», disse lui a voce bassa, in tono guardingo. In quel momento capii che non era arrabbiato con me. Neppure un po’, e neanche dopo che gli avevo gridato contro per aver letto l’SMS. Anche se non so spiegare il perché, avrei preferito che si fosse infuriato. «Perché ricevi messaggi come quello?»
Il cuore mi martellò dolorosamente contro le costole. «Non lo so.»
Il dubbio gli passò sul volto.
«Non lo so», ripetei, aggrappandomi a quella bugia con tutte le mie forze. «Ogni tanto ricevo messaggi così. Credo che sbaglino numero.»
Cam mi fissò. «Non sai da chi proviene?»
«No.» E quella era la verità. «Dice ’numero sconosciuto’. Lo hai visto anche tu.»
A quella notizia si mise a sedere diritto e si strinse le ginocchia con le mani. Passarono vari secondi, e il cuore continuava a rimbombarmi nel petto.
«Mi dispiace di essermi arrabbiata. È solo che mi hai colta alla sprovvista. Dormivo, poi mi sono svegliata e mi sono accorta che qualcosa non andava. Allora ho pensato... non so cos’ho pensato, ma mi dispiace.»
«Smettila di scusarti, Avery.» Scivolò sul bordo del divano. «Non ho bisogno di sentire che ti dispiace. Voglio che tu sia sincera con me, tesoro. Non voglio altro. Se ricevi messaggi come quello, devo saperlo.»
«Perché?»
Le sue sopracciglia scure si aggrottarono. «Perché sono il tuo ragazzo, e m’interessa se qualcuno ti dà della puttana.»
Rabbrividii.
Cam distolse lo sguardo e inspirò a fondo. «Devo dirti la verità? Mi fa incazzare, anche se è un messaggio arrivato per sbaglio. Nessuno dovrebbe mandarti merda simile.» Tornò a fissarmi dritto negli occhi. Tra di noi si distendeva un’eternità. «Sai che puoi dirmi qualunque cosa, vero? Non ti giudicherò e non mi arrabbierò.»
«Lo so.» La mia voce suonava troppo tenue alle mie stesse orecchie e la cosa m’irritava. Ripetei più forte: «Lo so».
«E ti fidi di me, vero?»
«Sì. Certo che mi fido», non esitai.
Ci fu un’altra pausa carica di tensione, e temetti il peggio. «Merda», ringhiò lui, e io mi sentii cadere le braccia. Sapeva? Cosa stava pensando? La verità – tutta quanta – mi risalì fino alla punta della lingua, e poi lui chiuse gli occhi. «Non sono stato completamente sincero con te.»
«Cosa?» Era l’ultima cosa che mi aspettassi di sentirgli dire.
Si stropicciò il mento. «Ti dico che devi fidarti di me e che puoi dirmi tutto, ma non sto facendo lo stesso con te. E prima o poi lo scopriresti da sola.»
Accidenti. Al diavolo l’SMS, al diavolo le confessioni. Cosa stava succedendo? Frastornata, girai intorno al tavolino e mi sedetti sul divano a una certa distanza da lui. «Di cosa parli, Cam?»
Lui alzò la testa e mi rivolse uno sguardo così sofferente che ebbi una fitta al petto. «Ricordi quando ti ho detto che tutti abbiamo fatto cose di cui non andiamo fieri?»
«Sì.»
«Lo dico per esperienza diretta. Pochissime persone ne sono a conoscenza.» All’improvviso ripensai al giorno in cui si era arrabbiato con Ollie, e poi alla festa, quando aveva aggredito quel ragazzo. Mi era parso che Jase gli avesse ricordato qualcosa per farlo calmare. «Ed è l’ultima cosa che vorrei dirti.»
«Puoi dirmelo», lo rassicurai e, sì, mi sentivo un’idiota considerando tutto ciò che non gli rivelavo io. Spinsi via quei pensieri e mi concentrai su Cam. «Sul serio, puoi parlarmi. Ti prego.»
Esitò. «Avrei dovuto laurearmi quest’anno, insieme con Ollie.»
«Ricordo che mi hai detto che avevi dovuto interrompere gli studi per un periodo.»
Annuì. «Al secondo anno. Non ero stato molto a casa durante l’estate, perché allenavo una squadra di calcio nel Maryland, ma ogni volta che tornavo mia sorella... si comportava in modo strano. Non avrei saputo dire esattamente cosa fosse, però era nervosissima e stava sempre chiusa in camera sua. Questo quand’era a casa, perché a sentire i miei genitori era sempre in giro.»
Mi si strinse il cuore. Non sapevo dove volesse andare a parare, e sperai di sbagliarmi.
«Mia sorella è sempre stata una sentimentale, sai. Adottava animaletti randagi, e anche persone randagie, soprattutto ragazzi. Anche da piccola faceva sempre amicizia coi bambini più emarginati della classe.» Piegò gli angoli delle labbra. «Poi ha conosciuto questo ragazzo. Aveva un anno o due più di lei e penso che la relazione fosse seria, per quanto avesse sedici anni. L’ho incontrato una volta e non mi è piaciuto. E non perché voleva stare con la mia sorellina. C’era qualcosa di strano in lui.»
Si passò le mani sulle guance e poi le appoggiò tra le ginocchia. «Ero a casa per le vacanze del Ringraziamento e mi trovavo in cucina. C’era anche Teresa, e stavamo scherzando tra noi. Lei mi ha dato uno spintone e io le ho dato un colpetto sul braccio. Neppure tanto forte, eppure lei ha cacciato un urlo come se le avessi fatto male davvero. All’inizio ho pensato che mi prendesse in giro, ma aveva le lacrime agli occhi. Ha cercato di far finta di niente e per quella sera non ci ho più pensato. Poi la mattina del giorno del Ringraziamento la mamma è entrata in camera sua mentre lei era seminuda e ha visto.»
Trattenni il respiro.
«Mia sorella... era piena di lividi. Sulle braccia, sulle gambe.» Strinse i pugni. «Ha detto di esserseli fatti ballando, ma sapevamo tutti che la danza non provoca lividi del genere. C’è voluta quasi tutta la mattina per tirarle fuori la verità.»
«Era stato il suo ragazzo?» Ricordai la conversazione a tavola, e l’improvviso e insistente interesse di Cam per l’interlocutore di sua sorella cominciò ad avere senso.
Lui annuì con uno spasmo nervoso della mandibola. «Quello stronzo la picchiava. Era furbo, lo faceva in zone del corpo facili da coprire. Teresa è rimasta con lui. All’inizio non capivo perché. Poi ho scoperto che aveva troppa paura di lui per lasciarlo.» Si alzò all’improvviso e lo seguii con lo sguardo. Andò alla finestra e aprì le tende. «Chissà per quanto tempo avrebbe continuato, se la mamma non l’avesse vista per sbaglio. Lo avrebbe detto a qualcuno, prima o poi? Oppure quel bastardo avrebbe continuato a picchiarla, e una sera l’avrebbe uccisa?»
L’emozione mi serrava la gola. Mi morsi il labbro.
«Dio, Avery, quanto ero incazzato. Volevo ammazzarlo. Picchiava mia sorella! Mio padre voleva chiamare la polizia, ma cosa potevano fare? Erano entrambi minorenni. Lui si sarebbe preso una ramanzina e lo avrebbero mandato da uno psicologo o qualche stronzata del genere. E a me non stava bene. La sera del Ringraziamento sono andato a cercarlo e l’ho trovato. Non ci ho messo molto, la città in cui viviamo è un buco. Ho bussato alla sua porta e lui ha aperto subito. Gli ho intimato di stare alla larga da mia sorella, e sai cos’ha fatto lo stronzo?»
«Cosa?» bisbigliai.
«Mi si è avvicinato gonfiando il petto come un tacchino. Mi ha detto che lui faceva quel che cazzo voleva.» Scoppiò in una risata secca, amara. «Non ci ho visto più. ’Arrabbiato’ non è neppure la parola giusta. Ero una furia. L’ho preso a botte e non mi sono più fermato.» Si voltò, senza guardarmi. «Non ho smesso di picchiarlo neppure quando sono usciti i suoi genitori né quando sua madre ha iniziato a gridare. Ci sono voluti due poliziotti per separarmi da lui.»
Non sapevo cosa dire. Mentre lo osservavo sedersi sulla poltroncina non riuscivo a immaginarlo picchiare qualcuno e non fermarsi più. Neppure dopo aver visto quant’era arrabbiato col tizio alla festa di Jase.
Si strofinò di nuovo le guance. «Io sono stato arrestato e lui è finito in coma.»
Restai a bocca aperta.
Lui chinò il capo. «Non era la prima volta che prendevo a botte qualcuno, ma mai così. Mi ero spaccato le nocche e non me n’ero neppure accorto.» Scosse la testa. «Mio padre... ha brigato un po’. Sarei dovuto restare in prigione per un bel pezzo, invece no. Per fortuna il tizio si è risvegliato qualche giorno dopo.»
A ogni secondo che passava, i muscoli mi s’irrigidivano l’uno dopo l’altro.
«L’ho passata liscia, in prigione non ci ho passato neanche una notte.» Sorrise, senza calore. «Ma non sono potuto uscire di casa per vari mesi. Alla fine mi hanno condannato a un anno di lavoro socialmente utile nel centro di aggregazione della zona, e poi un altro anno di terapia per la gestione della rabbia. È lì che vado ogni venerdì. L’ultima seduta sarà in autunno. La mia famiglia ha dovuto pagare un risarcimento, ed è meglio se non ti dico quant’è costato. Ho dovuto smettere di giocare a calcio per via del lavoro socialmente utile e... come ho detto, l’ho passata liscia.»
L’aveva passata liscia.
Proprio come Blaine.
No. Mi fermai lì. Erano due situazioni diverse: Blaine era uno stupratore e Cam aveva picchiato l’uomo che aveva maltrattato sua sorella. Aveva sbagliato, perché non bisognerebbe mai rispondere alla violenza con altra violenza, ma quel ragazzo aveva fatto del male a sua sorella.
«Capisco.» Sebbene le due vicende avessero qualche punto in comune, erano profondamente diverse. Rimasi scioccata. La vecchia me stessa avrebbe pensato che entrambi ne erano usciti indenni per via di chi erano, del loro cognome e dei soldi di famiglia. Tuttavia non ero più la vecchia me stessa. E sapevo che a volte le persone buone fanno cose cattive.
Si voltò verso di me. «Cosa?»
«Capisco perché lo hai fatto.»
Si alzò. «Avery...»
«Stavi difendendo tua sorella. La violenza non è mai la risposta giusta, ma lei è tua sorella e...» E se io avessi avuto un fratello, e se avesse reagito in quel modo dopo quello che mi era successo? Be’, sarebbe stato il mio eroe, per quanto sia brutto da ammettere a voce alta. «Alcune persone meritano di essere prese a calci.»
Mi fissò.
Scavallai le gambe. «E probabilmente alcune persone non meritano di respirare. È una cosa orribile da dire, però è la verità. Quel tipo avrebbe potuto uccidere tua sorella. O un’altra ragazza.»
Cam continuò a fissarmi come se mi fosse spuntato un secondo naso. «Dovrei essere in prigione, Avery. L’ho quasi ucciso.»
«Ma non l’hai fatto.»
Non aggiunse altro.
«Ti faccio una domanda. Lo rifaresti?»
Passarono vari secondi, e poi lui rispose: «Andrei ancora a casa sua e lo picchierei. Forse non così forte, ma sinceramente non penso che cambierebbe niente. Quel bastardo ha maltrattato mia sorella».
Feci un lungo respiro. «Non ti biasimo.»
«Tu sei...»
Feci spallucce. «Contorta?»
«No.» Un sorriso sincero spezzò la tensione sul suo viso. «Sei straordinaria.»
«Non esagerare.»
«Dico sul serio.» Si sedette accanto a me sul divano. «Pensavo che avresti provato disgusto per me o che ti saresti arrabbiata.»
Scossi la testa.
Cam appoggiò la fronte alla mia e mi prese delicatamente il volto tra le mani. I suoi occhi scrutarono i miei. «È bello essermi tolto questo peso. Non voglio che ci siano segreti tra di noi.»
Sorrisi mentre lui si chinava a baciarmi l’angolo della bocca. Poi mi strinse al suo petto. Lo abbracciai, col gelo nelle ossa. Aveva condiviso con me quel grande segreto, anche temendo che lo giudicassi male, e io ero rimasta in silenzio, avevo serbato gelosamente i miei segreti. Non era giusto, e non riuscivo a scrollarmi di dosso l’orribile presentimento che in qualche modo l’avrei pagata cara.
COME FAI A VIVERE CON TE STESSA?
Cam mi baciò sulla testa e mi si mozzò il respiro.
Non sapevo come ci riuscissi.