28

Non lo avevo mai notato, ma in Cam c’era sempre stata una tensione sommersa: il peso di un segreto che minacciava di distruggere qualcosa che gli era molto caro. Non capivo perché non me ne fossi mai accorta.

Ora andava meglio... un po’.

Una parte di me sospettava che me lo avesse finalmente confessato perché non credeva a ciò che gli avevo detto a proposito del messaggio. Forse sperava che, se si fosse confidato con me, io avrei fatto lo stesso con lui.

Avrei voluto che fosse così, ma il mio segreto avrebbe distrutto ciò cui tenevo di più.

Noi.

Siccome era San Valentino, mi rifiutai di pensarci. Stavo passando una giornata perfetta e non intendevo rovinarla.

Cam si era presentato alla mia porta quel venerdì mattina con una rosa rossa, e poi un’altra a ogni mia lezione. Nel pomeriggio ne avevo ormai mezza dozzina, che diventarono due dozzine quando quella sera lui venne a casa mia. Non sapevo bene quali fossero i nostri progetti per la serata, quindi fui sollevata quando si presentò in jeans e maglione. Era tardi, le nove passate.

Lo ringraziai per le rose e le portai in cucina per metterle nel vaso con le altre. Lui restò accanto alla porta. «Cosa fai?» gli chiesi.

Mi rivolse un sorriso scaltro. «Resta dove sei e chiudi gli occhi.»

«Devo chiudere gli occhi?»

«Già.»

Cercai di nascondere l’entusiasmo. «Quindi è una sorpresa?»

«Certo che sì. Perciò chiudi gli occhi.»

«Le tue sorprese sono spaventose quanto le tue idee», ironizzai.

«Le mie idee sono brillanti quanto le mie sorprese.»

«Ricordi quando eri convinto che fosse una buona idea...»

«Chiudi gli occhi, Avery.»

Sorrisi e li chiusi. Lo sentii allontanarsi e pochi istanti dopo rientrò nel mio appartamento. «Non guardare.»

Era come mettermi davanti una fetta di torta, con una forchetta, e vietarmi di mangiarla. Ero nervosa. «Cam...»

«Altri due secondi.» In casa rotolò qualcosa di pesante.

Ma che...? Faticavo a non aprire gli occhi. Non avevo davvero idea di cosa fosse, e con Cam tutto era possibile.

La sua mano strinse la mia. «Tieni gli occhi chiusi, okay?»

«Sono chiusi.»

Cam mi condusse fuori dalla cucina e in salotto. Mi lasciò la mano e mi cinse in vita da dietro, premendomi la guancia sulla testa. Mesi prima detestavo avvertire la presenza di una persona alle mie spalle, ma adesso mi piaceva quand’era lui a farlo. La forza del suo abbraccio, l’intimità che rivelava.

«Ora puoi aprire gli occhi.» Le sue labbra mi sfiorarono la guancia, dandomi un brivido. «Oppure puoi restare lì con gli occhi chiusi. Mi piaci anche così.»

Risi, portai le mani all’altezza del ventre sopra le sue, e aprii gli occhi. Restai a bocca spalancata. «Oddio, Cam...»

Davanti a me, all’interno di un terrario da duecento litri montato su un piedistallo e arredato di tutto punto con sabbia e sassi, foglie verdi e una tana, c’era una tartaruga grande quasi quanto la mia mano.

Cam sghignazzò. «Ti piace?»

«Se mi piace?» Annuii inebetita mentre lui mi faceva posare la mano sul vetro. L’animaletto si rifugiò nel guscio. «La... la adoro.»

«Bene.» Tornò da me. «Pensavo che a Raffaello avrebbe fatto piacere un amichetto.»

Risi di nuovo, ricacciando indietro le lacrime. «Non avresti dovuto, Cam. È... troppo.»

«Non è poi chissà cosa, e tutti abbiamo bisogno di una tartaruga da compagnia.» Si chinò a baciarmi sulla guancia. «Buon San Valentino.»

Mi girai, gli gettai le braccia al collo e lo baciai come se non ci fosse un domani. Quando mi tirai indietro, i suoi occhi erano pozze di fuoco blu. «Grazie.»

Mi baciò ancora, con grande dolcezza. «Prego.»

Lo abbracciai e mi appoggiai al suo petto. «È un maschio o una femmina?»

«Sai che non lo so? Credo si capisca dalla forma del guscio, ma non me ne intendo.»

Sorrisi. «Be’, maschio o femmina che sia, lo chiamerò Michelangelo.»

Gettò la testa all’indietro e rise. «Perfetto.»

«Ora ce ne mancano solo due.»

«Esatto.»

Mi divincolai e gli sorrisi. «Torno subito.» Corsi in camera e presi il cartoncino d’auguri in cui avevo infilato i due biglietti. Quando fui di nuovo in salotto, Cam stava sistemando la lampada termica nel terrario. Si voltò sorridente. «Buon San Valentino», gli dissi, allungandogli il cartoncino. Arrossii. «Non è bello come il tuo regalo, ma spero ti piaccia.»

«Mi piacerà di sicuro.» Con un mezzo sorriso aprì lentamente la busta e tirò fuori il cartoncino. Non ci avevo scritto molto, perché non sapevo cosa scrivere. Mi ero limitata a un breve messaggio e al mio nome.

Trattenni il respiro mentre lui apriva il cartoncino. Il mezzo sorriso divenne un sorriso intero quando si ritrovò in mano i biglietti. Mi scrutò da sotto le ciglia. «Questo è un regalo fantastico, tesoro.»

«Davvero?» Battei le mani, soddisfatta. «Speravo che ti piacesse. Insomma, so che non giocare più a calcio ti pesa, e spero che non ti rattristi andare alla partita, e non devi portarci me per forza...»

Mi baciò con avidità. Con trasporto, con ancora più passione del solito. «Certo che ti ci porto. Il regalo è perfetto», disse, mordicchiandomi il labbro inferiore. Una vampata di calore mi s’irradiò in tutto il corpo, lasciandomi traboccante di desiderio. «Tu sei perfetta.»

Una voce insidiosa si fece strada in me: Se solo sapesse quanto sono lontana dalla perfezione. Scacciai quel pensiero e mi abbandonai al suo bacio. Non fu difficile. Si aggrappava alla mia bocca come un assetato in cerca d’acqua.

Mi prese per i fianchi e mi tirò a sé. Sentii la sua erezione sulla pancia. Cam era... un uomo passionale, quindi non mi stupiva che fosse già duro, ma mi sorprendeva sempre che non mi facesse pressioni, pur volendomi così tanto, e pur sapendo che io sarei stata più che pronta a cedergli.

Mi strinse più forte e gli buttai le braccia al collo. Sembrava esserci un accordo tacito tra di noi: mi tirò su mentre io gli avvolgevo le gambe intorno alla vita. Mugolai quando si spinse contro di me e la sua lingua toccò la mia.

Iniziò a camminare e il sangue mi ruggì nelle vene. Sapevo dov’era diretto, e l’eccitazione e il nervosismo lottavano dentro di me. Mi fece sdraiare al centro del letto. Si tolse il maglione e posò le mani ai due lati della mia testa. La forza dei suoi muscoli, la potenza del suo corpo erano travolgenti.

Passai un dito sulle fiamme che circondavano il sole tatuato sul lato sinistro del petto. «Mi piace questo tatuaggio. Perché lo hai fatto?»

Accennò un sorriso. «Vuoi saperlo davvero?»

«Sì.»

«È una storia banale.»

Seguii i contorni del sole sui pettorali. «Questo lo giudicherò io.»

«L’ho fatto dopo la rissa.» Si mosse, le sue ginocchia mi toccarono le cosce e le sue mani s’infilarono sotto la mia camicia. Mi alzai per aiutarlo a sfilarmela. La gettò chissà dove, alle sue spalle. «Ero demoralizzato: non potevo tornare a scuola, stavo rinchiuso in casa ed era tutta colpa mia. Temevo di avere una malattia, che qualcosa nel cervello mi avesse spinto a reagire in quel modo.»

Le mani mi ricaddero sui fianchi, mentre lui mi posava un palmo sulla pancia nuda. I polpastrelli raggiunsero il ferretto del mio reggiseno e la chiusura anteriore.

«Ero depresso», ammise. I capelli gli caddero in avanti sulla fronte mentre con l’altra mano mi accarezzava la testa. «Ero incazzato con me stesso, col mondo e stronzate del genere.» S’interruppe e mi fece scorrere una mano sulla pancia e poi verso l’alto, facendomi rabbrividire. Gli tornò quel mezzo sorriso. «Penso di essermi scolato tutti i liquori che mio padre aveva in casa nel giro di un paio di settimane. Sapevo che i miei genitori erano preoccupati, ma...» Non finì la frase e si chinò a baciarmi l’incavo tra i seni. Trattenni il respiro e lui mi baciò ancora. «Jase veniva a trovarmi spesso, e anche Ollie. Probabilmente senza di loro sarei uscito di zucca. Posso?» Mi guardò negli occhi con le dita sul gancetto del reggiseno.

Mi balzò il cuore in gola. Era la prima volta. Con la bocca asciutta, annuii.

«Grazie», disse lui, e mi sembrò una cosa strana per la quale essere grati. I suoi occhi si abbassarono e io restai di nuovo senza fiato. Slacciò il gancetto ma non separò le coppe. «È una cosa che mi ha detto Jase mentre ero ubriaco fradicio.»

Inspirai a fatica mentre lui faceva scorrere un dito al centro del mio petto. «Cosa... cos’ha detto?»

«Ha detto qualcosa del tipo: ’La situazione non può essere così disperata, se splende ancora il sole’. Be’, mi è rimasto impresso. Forse perché è la verità. Finché splende il sole, le cose non possono andare male più di tanto. Per questo mi sono fatto tatuare un sole. Per ricordarmelo.»

«Non è banale», dissi.

«Mmm...» Spinse delicatamente di lato il bordo del reggiseno e poi fece lo stesso con l’altra coppa. L’aria fresca stuzzicò i miei capezzoli già duri. Ero nuda di fronte a lui dalla vita in su. «Dio, Avery, sei bellissima.»

Non so bene cosa risposi, forse un «grazie». Lui mi accarezzò il seno e io inarcai la schiena. Disse qualcosa che non capii mentre mi passava il pollice sul capezzolo. Accanto alla mia testa il suo braccio si piegò.

Mi guardò mentre spostava la mano sul bottone dei miei jeans. C’era una domanda nei suoi occhi, e io annuii, anche se avevo un po’ paura.

Mi sfilò i jeans e poi i calzini. Fece un commento sul disegno di teschi e tibie, ma le pulsazioni che mi attraversavano il corpo rendevano difficile prestare attenzione. Poi finì di togliermi il reggiseno e rimasi in mutandine: mi squadrò lentamente, e il suo sguardo ribolliva sulla pelle come il sole cocente d’agosto in Texas.

Si sdraiò su un fianco continuando a baciarmi, con baci lenti e appassionati, e intanto mi accarezzava il seno. Il suo tocco era esperto, e i suoi baci mi scendevano sul mento e sul collo. Mi irrigidii nell’attimo prima che la sua bocca calda si chiudesse intorno al mio capezzolo. Lo aveva già fatto attraverso il reggiseno, ma nulla era paragonabile alla sensazione di un contatto diretto. Sentii il sangue liquefarsi come lava e i miei fianchi non smettevano di descrivere piccoli cerchi. Mentre succhiava con forza infilò una mano nelle mie mutandine.

Arricciai le dita dei piedi, scossa da sensazioni nuove e più forti. La testa mi ricadde all’indietro mentre lui con la punta delle dita seguiva la curva del mio bacino.

Alzò la testa e mi fissò negli occhi quando m’infilò dentro la punta di un dito. Ansimai, gli affondai le dita nelle braccia.

«Va bene così?» chiese, con voce profonda e limpida come whisky invecchiato.

Inspirai e annuii. «Sì.»

Un accenno di sorriso gli piegò le labbra e le sue dita si mossero con più decisione, in modo ritmico. Il mio corpo era in fiamme. Tremavo dalla testa ai piedi.

«Sei così stretta», mormorò, e poi il suo bacio mi consumò.

Sollevai i fianchi per andargli incontro e lui premette sul punto più sensibile. Il suo petto nudo che si strofinava sul mio, la sua mano nelle mie mutandine, il suo dito dentro di me... era troppo. Contrassi i muscoli delle cosce e interruppi il bacio, gridando il suo nome mentre una scarica di energia mi attraversava il corpo.

Cam emise un verso gutturale e mi baciò sul collo. «Adoro il modo in cui dici il mio nome.»

Riuscivo a malapena a respirare, e tantomeno a parlare, mentre lui continuava a muoversi dentro di me, raccogliendo gli ultimi spasmi. Quando infine smisi di tremare, lui tolse la mano e io rimasi con le guance rosse e la testa leggera. Volevo dargli di più. Nervosa ed eccitata, gli premetti le mani sul petto e lui si rotolò sulla schiena. Presi fiato e gli montai a cavalcioni, e prima di perdere il coraggio scivolai verso il basso e gli sbottonai i jeans tirandoli giù sulle gambe.

Cam indovinò le mie intenzioni solo quando presi in mano la sua erezione e il mio fiato caldo gli soffiò sulla punta. Strinse immediatamente i pugni.

«Oh, merda», ringhiò.

Sorrisi, prima di prenderlo in bocca. Tutto il suo corpo si scosse e la schiena s’inarcò. Non sapevo assolutamente cosa fare, ma non poteva essere così complicato.

Infatti non lo era.

Cam mi prese per mano e posò l’altra sulla mia nuca con una leggera pressione, per guidare i miei movimenti un po’ incerti. Non ero imbarazzata, non temevo di sbagliare. A giudicare dalle reazioni del suo corpo e dai versi che emetteva, gli piaceva.

Prima dell’orgasmo uscì dalla mia bocca e mi baciò mentre veniva. Adoravo il modo in cui il suo corpo tremava, ma soprattutto ero felice di sentirmi abbastanza al sicuro da fare una cosa del genere. Stanchi e appagati, ci sdraiammo entrambi. «Cazzo, è stato il miglior San Valentino di sempre.»

Mi sfuggì una risata roca. «Sono d’accordo.»

La sua mano trovò la mia tra i nostri corpi e la strinse. «Hai fame?»

«No.» Soffocai uno sbadiglio. «Tu?»

«Non ancora.»

Non avevo idea di che ore fossero, ma ero distrutta e non avevo intenzione di alzarmi dal letto. Tranne che per la cioccolata. Di una cosa però ero certa: non volevo che lui se ne andasse. Trovai il coraggio di domandarglielo: «Resti con me stanotte?»

Mi accarezzò la spalla nuda. «Non devi chiedermelo due volte.» Poi la baciò. «Arrivo subito.»

Mi rotolai su un fianco e tirai su le coperte. Sentii scorrere l’acqua in bagno, poi lui tornò e si sdraiò dietro di me. Stretta nel suo abbraccio, assonnata, sorrisi e pensai al sole.

Era tutto perfetto.