A cena riferii a Cam la conversazione coi miei genitori. Temetti che scagliasse contro il muro il coltello da bistecca quando gli descrissi l’atteggiamento di mia madre.
«Davvero, non mi stupisco. È sempre stata... fredda, e con gli anni è solo peggiorata», commentai.
Cam ebbe un tic nervoso alla mascella. «Sei più comprensiva di me.»
Feci un’alzata di spalle. Non l’avrebbe pensata così se avesse potuto sentire il mio dialogo interiore. «Sono contenta di aver parlato con loro. E papà... Quella storia della danza era il suo modo per dirmi che è un po’ pentito. Almeno ha capito cosa gli ho detto, no?»
Annuì. «Allora, come ti senti adesso?»
Bella domanda. Mi appoggiai allo schienale. «Non sento niente di preciso. Insomma, sì, sono contenta, però non so. È come quando devi andare dal dentista: non vuoi andarci, ma sai che devi, e dopo sei soddisfatto perché ci sei andato.»
Si sporse sul tavolo e posò la mano sulla mia. «Vuoi ancora vedere Molly domani?»
«Sì.» Dopo aver comprato i biglietti avevo cercato una delle sue e-mail. Non era stato difficile, ce n’erano molte. Le avevo scritto un breve messaggio spiegando che sarei passata in città e che avrei voluto vederla. Un po’ mi ero sorpresa quando aveva risposto di sì dopo neanche un’ora. «Voglio ancora vederla.»
Cam distolse lo sguardo, nervoso. Non gli piaceva l’idea, ma mi sosteneva lo stesso. Era in quei momenti che capivo quanto ero fortunata ad averlo incontrato per caso in quel corridoio fuori dall’aula di astronomia. Dovevo ricordarmene più spesso.
E avevo bisogno di lui. Bisogno, davvero.
Non volevo più parlare dei miei genitori né del mio imminente incontro con Molly. Volevo mostrare a Cam quanto lo amavo. Non perché pensavo che lui se lo aspettasse da me: era ciò che volevo io.
«Pronto a rientrare?» gli chiesi, col batticuore.
Pagammo il conto e percorremmo la breve distanza fino all’albergo. Era ancora presto, ed essendo così vicini a Houston c’era molto da mostrare a Cam, ma mi sentivo avida di lui: non volevo dividerlo con niente e nessuno.
Si sedette sul bordo del letto, il cappellino girato all’indietro, e trafficò col telecomando. Le tende erano tirate e dalla grande finestra filtravano pochi raggi del sole al tramonto.
«Faccio una doccia veloce.» Presi l’occorrente e mi avviai verso il bagno.
Lui mi scoccò una lunga occhiata, aprì la bocca e poi annuì. C’era una strana luce nei suoi occhi ed ebbi un brivido. Sorrisi e filai in bagno. Mi richiusi la porta alle spalle e posai la borsa sul bancone. Non avevo portato con me un cambio d’abito, e mi chiesi se Cam lo avesse notato.
E, se sì, cosa stava pensando?
La stessa cosa che pensavo io?
Feci una rapida doccia per togliermi di dosso l’odore dell’aereo. Mi presi il tempo per schiarirmi i pensieri dalla conversazione coi miei genitori. Non ci volle molto. Avevo già il batticuore e la mia mente era concentrata su di lui.
Uscii dalla doccia, mi avvolsi in uno spesso telo di spugna e pettinai i capelli. Lo stomaco continuava a sussultarmi come se fossi sulle montagne russe. Mi lavai i denti e poi non ebbi più scuse per indugiare.
Aprii la porta e trovai Cam dove lo avevo lasciato, ma sdraiato sulla schiena con le gambe che penzolavano dal letto. Il cappellino era accanto a lui e il telecomando giaceva sulla sua pancia piatta.
Mi fermai sulla porta.
Cam girò la testa e si alzò subito a sedere. Ciocche scure gli caddero sulla fronte, sfiorando le sopracciglia. Sotto le folte ciglia i suoi occhi erano di un azzurro vivido.
Con la pelle percorsa da un formicolio, come da mille spilli, lo raggiunsi. Lui gettò la testa all’indietro, io mi avvicinai stringendo tra le dita il nodo dell’asciugamano.
Abbassò le palpebre e schiuse le labbra. «Avery.»
Gli posai una mano sulla spalla e mi misi cavalcioni sopra di lui. Le sue mani mi cinsero i fianchi coperti dall’asciugamano. «Cam?»
Sorrise e gli si formò la fossetta sulla guancia sinistra. «Cosa combini?»
«Niente», dissi, e mi accorsi di ansimare. «Tutto.»
«Sono due opposti.»
«Lo so.» Mi abbassai sul suo grembo e rabbrividii sentendo l’erezione attraverso i jeans. «Vuoi baciarmi?»
Non aspettai la sua risposta. Chinai la testa e sfiorai le sue labbra, una volta e poi un’altra e un’altra, passando la punta della lingua sul suo labbro inferiore e poi infilandola dentro. Lui mi strinse più forte, ma ero io ad avere in mano la situazione, e lo baciai più intensamente. Le sue labbra assecondavano docili i movimenti delle mie. Mi sentivo sciogliere.
«Toccami.» Gli sfiorai le labbra. «Ti prego.»
Esaudì il mio desiderio.
Infilò le mani sotto l’orlo del telo di spugna e le fece scorrere lentamente su e giù per le cosce. Ogni passaggio portava le sue dita più vicine a dove le volevo disperatamente. Una mano si fermò sul retro della coscia mentre l’altra si avvicinò pericolosamente al mio punto più torrido.
«Adesso», dissi, alzando la testa.
Cam ridacchiò e le sue dita percorsero qualche altro centimetro. Le nocche mi sfiorarono dov’ero bagnata e poi fecero retromarcia. Mi sfuggì un lamento. «Cosa vuoi?» mi chiese, con gli occhi bassi.
«Voglio che tu mi tocchi.»
Un altro passaggio ravvicinato delle nocche, e poi la sua mano scivolò giù per la coscia. «Ti sto toccando, tesoro.»
«Sai cosa voglio dire.»
«No.»
«Ti prego.» Appoggiai la fronte sulla sua. «Ti prego, Cam, toccami.»
Tirò indietro la testa, i nostri nasi si sfiorarono e poi le labbra. «Be’, adesso ho capito cosa intendi.»
«Finalmente», gemetti.
Rise di nuovo e poi mi baciò sul mento mentre si faceva strada sull’interno della mia coscia. Sobbalzai quando la sua mano si distese sul mio pube. «Così?»
«Sì.»
Mi posò le labbra al centro della gola e fece scorrere un dito dentro di me. «E così?»
Chiusi gli occhi e inarcai la schiena. «Mmm.»
Cam spostò la mano e il suo pollice mi premette sul punto più sensibile. Ansimai quando infilò un altro dito e il suo corpo s’irrigidì sotto il mio. «E così?»
I miei fianchi gli andarono incontro, mugolai. «Oh, sì, proprio così.»
«Proprio così», mormorò lui, senza smettere di muovere le dita.
Mi sfuggì un altro mugolio, ma volevo di più. Volevo sentirlo dentro di me, ne avevo bisogno. Un desiderio incontenibile, che nasceva da un impulso sessuale ma anche da qualcosa di molto, molto più forte. Aprii gli occhi e lo guardai. Lentamente sciolsi il nodo dell’asciugamano e lo lasciai cadere a terra. La mano di Cam si fermò e il suo respiro accelerò. Con la mano libera mi prese un seno. «Cazzo, Avery...»
Posai la mano sulla sua, avevo il batticuore. «Non fermarti.»
Il suo pollice mi passò sul capezzolo eretto e lui ringhiò: «Non pensavo di fermarmi».
«Non è questo che intendevo», sussurrai. Con l’altra mano trovai la lampo dei suoi jeans. «Ti voglio, Cam.»
Gemette. «Mi hai già. Puoi crederci.»
Sorrise quando lo presi per un polso. Con uno spirito d’iniziativa che non sapevo di avere gli tirai via la mano che teneva tra le mie cosce. «Ti voglio davvero.» Aprii il bottone dei suoi jeans e tirai giù la lampo. Le mie dita sfiorarono la sua erezione e lui rabbrividì. «Non mi vuoi?»
«Più di quanto immagini», disse, chiudendo gli occhi mentre lo prendevo in mano. Mugolò. «Avery...»
Lo lasciai andare per il tempo necessario a sfilargli la camicia. Era tutto pelle dorata e muscoli guizzanti. «Lo voglio, Cam.»
Mi prese per i fianchi e inspirò con forza. «Ne sei sicura? Perché non dobbiamo...»
Lo zittii con un bacio e gli accarezzai il petto. «Sono sicura.»
Le sue mani mi strinsero i fianchi e poi, con un movimento deciso, mi fece sdraiare sulla schiena e si spostò sopra di me, guardandomi con intensità. Si abbassò d’un colpo a conquistarmi le labbra in un bacio appassionato. Poi si alzò, continuando a fissarmi con uno sguardo capace di sciogliermi, e si tolse i jeans. Gli guardai il petto, il tatuaggio, i magnifici addominali e poi scesi più in basso. Era davvero enorme, e una parte molto ingenua di me si chiese come potessimo farcela.
Il suo sguardo rovente esplorò la mia pelle nuda. Il cuore mi batteva all’impazzata, il ventre vibrava per l’impazienza. «Potrei stare a guardarti tutta la vita, senza mai stancarmi.»
«Anche quando sarò vecchia?»
«Anche allora.»
Poi si chinò e mi passò le labbra sulle gambe e sulla pancia. Raggiunse il seno, lo succhiò e lo mordicchiò finché non fu pesante e rigonfio. Procedeva con calma, muovendosi lentamente sopra di me, leccandomi ogni centimetro di pelle come se cercasse di memorizzare il mio corpo o di rivendicarne il possesso. Poteva continuare per l’eternità e non ne avrei mai avuto abbastanza. Un calore intenso m’invase il ventre e si propagò verso il basso, trasformandosi in una sofferenza dolcissima. Per la prima volta non ebbi paura: non ero spiazzata da quel risveglio del desiderio. Volevo esplorarlo. Volevo che Cam lo esplorasse.
Il mio corpo s’inarcò per andargli incontro, teso e fremente. Lo volevo disperatamente. Non mi ero mai sentita in quel modo.
Cam riportò le labbra sulle mie, reggendosi su un braccio, e continuò a baciarmi mentre muoveva un dito dentro di me e poi due. Ben presto iniziai a dimenarmi sotto di lui. Poi alzò la testa, e nel suo sguardo c’era qualcosa di magnetico, di selvaggio. Esattamente ciò che provavo io. Mi portò fin quasi al limite e poi sfilò lentamente le dita.
Piagnucolai. «Cam.»
Sorrise divertito, e poi scivolò verso il basso lungo il mio corpo e la sua bocca fu su di me: la sua lingua fu su di me, e io persi ogni controllo dei movimenti. I fianchi si muovevano con abbandono, non sapevo più cosa provavo, ero travolta dal desiderio, e quando lui fece ruotare le dita sul mio punto più sensibile venni, gridando il suo nome.
Si alzò subito, continuando a guardarmi mentre il mio corpo tremava. Mi allargò le gambe e fui assalita da una fitta di disagio, di freddo e di buio, ma non ci badai. Ero pronta. La sua erezione si posò su di me e poi entrò di un paio di centimetri.
«Ti amo», disse piano, una mano sulla mia guancia. «Ti amo tantissimo.»
Lo cinsi con un braccio. «Ti amo.»
Mi baciò profondamente e mi accarezzò il fianco, e poi le sue anche spinsero contro le mie. Provai una fitta di dolore. Lacrime di sorpresa mi bagnarono gli occhi e fui travolta da quella sensazione incredibile di pienezza, di pressione.
«Va tutto bene?» bisbigliò lui, fermandosi.
Annuii. «Sì.»
I suoi occhi non si staccarono dai miei mentre il suo braccio tremava intorno al mio. Restò dentro di me e mi baciò lentamente, con dolcezza, e con tanta intensità che gli occhi mi si bagnarono di un tipo diverso di lacrime. Il mio petto traboccava d’amore. E poi, finalmente, quel dolore sordo svanì e la pressione dentro di me iniziò a essere piacevole. Provai a sollevare i fianchi.
Lui mugolò. «Av...»
Lo feci di nuovo, strofinandomi contro di lui. Lui mi prese per i fianchi e spinse in avanti, strappandomi un grido di piacere. Gli afferrai le spalle e gli avvolsi le gambe intorno alla vita, facendolo entrare più a fondo. Si mosse sopra di me, dentro di me, con un ritmo febbrile. Mi girava la testa per la gioia. Lui si mosse più in fretta e mi sembrò che mi toccasse ovunque. La sua bocca sul seno mi faceva impazzire. Senza smettere di muovere i fianchi infilò una mano tra di noi, e fu l’ultima goccia. Gettai la testa all’indietro e tremai intorno a lui. Fu un momento incredibile. Gli spasmi mi attraversavano tutto il corpo come ondate di un’intensità mai provata prima.
«Avery.» Grugnì il mio nome e mi affondò la testa sulla spalla. Due rapide spinte e venne anche lui, mentre gli ultimi tremiti mi scuotevano ancora.
I nostri cuori batterono all’unisono, la nostra pelle era madida di sudore. Passarono minuti, forse ore. Non lo so. Quando uscì da me lentamente, con cautela, mi baciò come credo non avesse mai baciato nessuna.
«È stato... non ci sono parole.» Scosse la testa, gli occhi lucidi. «Stai bene?»
«Benissimo.» Allargai le mani sulle sue guance. «Sei stato perfetto.»
Mi baciò. «Solo perché ero con te.»