Passavano i giorni e i mesi, l’estate, e a turno uno dei due quando veniva sera diceva direi che è arrivata l’ora di separarci, ho bisogno di un po’ di spazio tutto per me, domani prendo il treno, domani prendi il treno, domani ognuno a casa sua.

Ma il giorno dopo come se niente fosse ci svegliavamo, andavamo in paese a fare colazione, a comprare i giornali, ci facevamo un bagno al lago e aspettavamo tornasse la sera per dire domani.

E quel domani non arrivava mai.

Arrivavano tante altre cose, però. Le talpe bucavano il terreno tutt’attorno alla casa e cercavamo il modo di mandarle via senza doverle uccidere. Il nuovo libro di Lorenzo prendeva forma. Studiavamo nuovi spazi per liberare la vasca dagli scatoloni. Facevamo amicizia con il padrone del bar, con la cassiera del supermercato, con l’edicolante, venivamo a sapere che il tabaccaio era un seguace di Sai Baba. Una cistite maledetta mi costringeva a rimanere tutto il giorno a letto con le gambe aperte e Lorenzo soffiava dove mi faceva male per darmi un po’ di sollievo.

La familiarità che durante il primo periodo passato insieme io gli chiedevo tutti i giorni e lui tutti i giorni mi negava, adesso semplicemente succedeva.

E man mano che facevamo l’amore come un tempo, man mano che scoprivamo di poterlo fare anche meglio, che non usavamo più nessuna precauzione, sentivo franare in me la capacità di non fidarmi di lui, di ridere delle sue bugie, di sopportare i suoi tradimenti.

Così un giorno il treno l’ho preso per davvero. Ormai era settembre e prima o poi sarei comunque dovuta tornare a casa mia, in città, per ricominciare il programma.

Ho solo anticipato la fine delle vacanze, mi ripetevo mentre imboccavo la galleria della Stazione Tiburtina. Somigliavano a tutto quello che desidero solo per colpa di un errore classico, mi dicevo, solo perché per loro stessa natura prima o poi sarebbero finite, tutto qui.

Era successo che Lorenzo aveva ricevuto una telefonata di Barbara. E come aveva già fatto un paio di volte in quei mesi con la benedizione della mia indifferenza, si era precipitato a Roma e mi aveva chiesto di aspettarlo in campagna.

Sapevo benissimo che cosa sarebbe andato a fare.

Ancora meglio sapevo le condizioni in cui l’avrei visto tornare.

E il senso di fallimento e di umiliazione in cui sarebbe precipitato nei giorni a seguire.

Non volevo essergli complice stavolta. Non volevo esserci.

E allora sono andata via.

Era notte fonda quando ho ricevuto un suo SMS.

<Torna> mi ha scritto.

<Vieni tu> gli ho risposto.

Alle quattro del mattino il suono del citofono mi ha svegliata. Eppure pensavo non si ricordasse nemmeno dove abitavo. Era dal giorno in cui eravamo andati al luna park e ci eravamo incontrati per la prima volta che non era più tornato lì.

– Ciao.

– Ciao.

– Una che è capace di rompersi il mento per le scale è capace di tutto. Sono solo venuto a controllare che non ti eri suicidata. Non ti fare illusioni.

Rimango qui da te solo perché domani ho una riunione al giornale e in campagna dovrei svegliarmi all’alba per arrivare in tempo, rimango qui perché domani ho la prima udienza del processo, rimango qui perché stasera c’è un concerto che non voglio perdermi e se proprio ci tieni puoi venire anche tu, rimango qui perché ormai si è fatto tardi e ho i fari della macchina rotti, perché ho la seconda udienza del processo, perché ormai anche oggi si è fatto tardi.

È così che abbiamo cominciato a vivere insieme, proprio nel quartiere rosa e arancione che Lorenzo aveva sempre detestato.

Avevamo trasportato i suoi scatoloni dalla vasca della sua casa di campagna al mio garage.

– Giusto fino a quando non recupero i soldi e mi compro un’altra casa.

Non smetteva mai di ripetermi, così come non smetteva mai di raccontare alle persone con cui uscivamo quant’era duro vivere in campagna da solo adesso che era arrivato l’autunno, che sarebbe arrivato l’inverno. Quando invece in campagna andava sì e no una volta a settimana, nel weekend. E sempre insieme a me.

Era come se più ci avvicinassimo più dovesse allontanare dagli altri e da sé l’idea di quanto stava succedendo. Lo fa perché ha paura, mi diceva suo fratello, perché non riesce proprio a concepire di meritarsi un po’ di felicità. Lo fa perché è un egoista del cazzo, mi diceva Toni, e non sa esserci ma non sa nemmeno non esserci.

Avevano ragione tutti e due. Era vero che niente spaventava Lorenzo come la possibilità reale di un legame, era vero che quando mi avvertiva di fare attenzione e non fidarmi di lui stava avvertendo più che altro se stesso di non abbassare la guardia.

Era vero che più era felice con me, più pensava di non esserne degno e sentiva il bisogno di distruggere tutto, come in un attacco terroristico preventivo.

Ma era anche vero che a quel punto faceva sentire indegna me.

– Ho bisogno d’altro, – mi diceva all’improvviso. – Tu mi costringi a una vita che non c’entra proprio un cazzo con quello che piace a me.

– Perché che cos’è che ti piace?

Il canto dolcissimo delle sirene, lo chiamava lui. Una botta di roba o una scopata facile. Meglio ancora tutte e due insieme.

– Insomma il tuo problema è che la tana ti sta stretta ma la foresta ti sembra troppo grande.

– Proprio così. Brava.

– Non è mia, è una citazione.

– Lo dice Hillman nel saggio sul Puer Aeternus, immagino. L’Uomo Fanciullo che allude, illude e delude.

– No.

– E chi, allora?

– Britney Spears. In un’intervista.

Erano i primi giorni di novembre, la campagna era diventata tutta gialla e i sentieri che avevamo scoperto pochi mesi prima adesso sembravano salire sulla collina solo per noi.

Facevamo passeggiate lunghissime, a piedi o in bicicletta.

– Il mio medico dice che è utile spostare la tensione dal sistema simpatico a quello parasimpatico, – sosteneva Lorenzo. – Che muoversi svuota la testa, insomma.

Come nei confronti di tutte le cose, dimostrava a fasi alterne una totale diffidenza o una fiducia cieca nello psicofarmaco che prendeva e di chi glielo aveva prescritto.

L’estate aveva in qualche modo domato l’incubo che si portava dentro, che adesso però era tornato a invadergli il cervello, i pensieri, i muscoli, tutto, perfino la scrittura. Ha perso la sua magia, diceva. Non brilla più nemmeno lei.

– Ci sono cose che più pensi di dominare e più ti dominano. Secondo me riconoscere la loro potenza è il solo modo per combatterle. Magari se non ti si paralizzava la scrittura, anche se il resto della tua vita era un disastro non avresti mai deciso di curarti, vedila così.

– Che vuoi dire, che me lo auguravi, di perdere il talento? Eccerto, così non mi invitano più ai convegni e tu puoi tenermi sempre sotto controllo e non essere gelosa delle altre donne che incontro in giro.

A volte parlare con lui diventava davvero troppo faticoso. Soprattutto quando affrontavamo l’argomento della nostra relazione.

– Ci saranno altre lacrime e altri menti spaccati, per Dio. Mi mangio le mani per averti risposto, quando quest’estate mi hai cercato di nuovo.

– Veramente mi hai cercato tu.

Conversazioni che esplodevano all’improvviso, e che per fortuna bastava un niente per lasciare appese lì, da qualche parte, in mezzo alle sue paure, alle mie paure.

Bastava che il sentiero si facesse più ripido, il fiato più corto, bastava un rumore lontano, una luce diversa.

Un cucciolo di cane rosso, con la coda più lunga di lui e una specie di gonna pantalone di pelo bianco al posto delle zampe, che ci seguiva da ore.

– È tutto sbagliato, guardalo.

– È meraviglioso.

Non eravamo riusciti a liberarci di lui nemmeno quando eravamo tornati a casa. Aveva continuato a saltellarci fra le gambe per tutto il tempo. Non aveva il collare, ma sembrava abituato a stare con le persone. Non si capiva se fosse triste di essere stato abbandonato o felice di essere libero.

A me sembrava triste. Anche se libero.

– Lo teniamo con noi? – Gli ho chiesto.

– Nemmeno per sogno, – aveva risposto Lorenzo. Per poi passare tutta la serata sul divano abbracciato a lui, per parlargli fitto fitto e dirmi di correre subito, dall’altra stanza, e venire a vedere come il cagnolino muoveva la testa seguendo le immagini della televisione, come socchiudeva gli occhi per guardarla meglio, come si leccava una zampetta che chissà, forse era ferita.

– Domani bisogna che lo facciamo visitare.

Il giorno dopo l’abbiamo portato dal veterinario, lo abbiamo fatto vaccinare e lavare, gli abbiamo comprato un collare, un guinzaglio, un osso e una pallina di gomma.

E mentre stavamo tornando a casa, e lui ci seguiva sbattendo la coda di felicità, incrociamo un ragazzino che si accuccia per carezzarlo.

– Ciao Bobby, – gli dice.

– Lo conosci? – Gli chiediamo noi.

– È dei miei vicini, – fa lui. E ci indica dov’è casa sua. E dov’è quella del nostro cane.

– Non è nostro, è loro, – continuava a ripetermi Lorenzo, – dobbiamo riportarlo ai suoi legittimi proprietari.

– Ma non l’hanno cercato: vuol dire che non ci tengono più di tanto.

– E tu che ne sai? E poi, anche se così fosse, non possiamo prenderci noi la responsabilità di decidere se i suoi padroni sono buoni o cattivi.

– Perché no?

– Perché sarebbe un furto. E San Liberato è piccola, prima o poi si verrebbe a sapere chi è stato a rubare Bobby.

– Si verrebbe a sapere con chi ha scelto di stare, è diverso.

Alla fine avevamo riportato il cagnolino da dove era venuto. O fuggito, ma a quel punto era lo stesso.

Ci era venuta ad aprire una donna enorme, dal fare svogliato.

– Abbiamo riportato Bobby. L’abbiamo trovato per strada, ci hanno detto che è vostro.

– Ah, Bobby, – aveva risposto lei, – sì. Mio figlio se n’era accorto, che mancava un cane. Ne abbiamo una decina, è facile perdere il conto. Comunque grazie.

– Si figuri.

E lei aveva fatto per chiudere il cancello e noi per andarcene. Ma Bobby voleva seguirci. Mi si era infilato fra i piedi. Non aveva nessuna intenzione di rimanere lì.

– Adesso basta, – gli aveva urlato quella donna, e l’aveva trascinato in casa per il collare. Quello che gli avevamo comprato noi.

Il cancello si era chiuso una volta per tutte. Con noi fuori di lì e Bobby dentro.

Mi era venuta una gran voglia di piangere. Che a Lorenzo faceva un po’ ridere.

– Non ce la farò mai a liberarmi di te, – mi ha detto, quel giorno. E mi ha abbracciata forte.

Qualche notte dopo sono tornata a casa dalla radio, ho aperto la porta e mi è venuto incontro uno splendido incrocio biondo fra un bassotto e un setter irlandese. E dietro di lui Lorenzo.

– Al canile dicono che sa volare. Nel senso che quando è felice fa salti altissimi.

– È il regalo più bello che abbia mai ricevuto. Grazie.

– L’ho chiamato Efexor. Come lo psicofarmaco che prendevo.

– Efexor. Mi piace.

– Piace anche a lui. Vero Efexor?

– Amore, scusa.

– Non mi piace che mi chiami amore. Ma dimmi, che c’è?

– Hai detto prendevo.

– Ah, già. Ho deciso di smettere con quella porcheria. Tanto non mi faceva nessun effetto.

Nel bel mezzo di una cena in un buon ristorante, di un viaggio in macchina o appena avevamo fatto l’amore, quando meno me l’aspettavo mi chiedeva di mettermi una mano sulla coscienza. Di capire che non era mai stato fatto per una storia come quella che era diventata la nostra mentre lui non se n’era accorto. Che comunque non era pronto. Aveva già fatto tante rinunce, per me. Non toccava più droghe da tempo. Aveva smesso di frequentare Barbara, era disposto anche a restarmi fedele di lì in poi se ci tenevo così tanto, ma io dovevo dargli una tregua.

– Che significa tregua?

– Significa che magari da domani mi affitto una camera da qualche altra parte e noi ci vediamo un paio di volte alla settimana.

– Va bene. Fallo.

E non lo faceva mai.

– Perché tu mi dici “fallo” con quel tono lì che vuol dire che se lo faccio poi magari ti perdo.

– E allora?

– E allora io non voglio mica perderti. Voglio stare vicino a te per tutta la vita, ma non come un uomo che deve prendersi le sue responsabilità, voglio stare vicino a te come una sveglia rotta, ecco, che però tu continui a tenere sul tuo comodino e non riesci a buttare perché te l’ha regalata una persona cara.

– Tutti si stanno vicini in quel modo.

– Non è vero. Creano rapporti in cui c’è sempre il presupposto di qualche sofferenza. La possibilità di tradire o venire traditi, di deludere o venire delusi. Io sogno un rapporto senza controindicazioni.

– Come il tuo matrimonio?

– Un evento negativo non incide su una teoria esatta. Il crollo di Wall Street del Ventinove non significa mica che il concetto di finanza sia sbagliato.

– Le tue teorie sentimentali hanno avuto sul mondo l’effetto che ha avuto la finanza?

– Ma si può sapere tu che vuoi da me?

– Niente che non voglia anche tu.

– E se ti chiedessi di essere un po’ più concreta?

– Ti direi andiamo in Vietnam e in Cambogia per le vacanze di Natale.

– Natale? Vietnam? Cambogia? E soprattutto, andiamo? Tu sei pazza.

– Fa niente, era solo un’idea.

– Odio queste cose borghesi che fanno le coppie.

– Basta così, ho capito.

– Però se tu accettassi di considerarlo uno spostamento con un anaffettivo anziché il viaggio romantico di una coppia innamorata se ne potrebbe parlare.

Era cominciata con delle fitte all’addome, sull’aereo di ritorno da Saigon.

Una volta sbarcati a Fiumicino ero completamente piegata dal dolore e scottavo molto.

A casa avevo scoperto di avere più di quaranta di febbre. Lorenzo aveva chiamato la guardia medica, era arrivato un dottore che aveva detto si tratta di appendicite.

O magari in Vietnam ti sei presa l’influenza aviaria. Insomma, meglio che vai subito al pronto soccorso.

Un’ambulanza mi aveva portato in ospedale, e poi da un ospedale mi avevano spedito a un altro, specializzato in malattie infettive, dove mi avevano ricoverato d’urgenza.

La diagnosi precisa tardava ad arrivare.

Poteva trattarsi di appendicite, o magari davvero di aviaria, poteva essere malaria o una febbre qualunque, anche se molto alta.

I miei genitori si erano precipitati a Roma e si davano il turno per venirmi a trovare tutti i giorni, facendo attenzione a non correre il rischio d’incontrarsi troppo spesso, nell’unica ora in cui mi era possibile ricevere visite.

Mia madre non si capacitava di quanto avesse potuto farmi soffrire in passato una persona tanto gentile e affettuosa come le sembrava Lorenzo, che si dava un gran da fare ad andarla a prendere in albergo e accompagnarla in ospedale.

In effetti non era mai stato tanto premuroso. Mi telefonava in continuazione, si occupava di Efexor e della casa, un giorno mi portava in regalo un piccolo televisore portatile, un altro della frutta secca, un altro ancora l’ultimo numero del fumetto di Julia.

Nonostante la situazione, la sua completa disponibilità mi sembrava quasi sospetta.

– Il tuo fidanzato è spaventato quanto te da questa cosa, – mi aveva detto il primario del reparto in cui ero ricoverata. – Come saprai abbiamo sottoposto a degli esami anche lui.

Non lo sapevo, ma non ho detto niente per farlo andare avanti.

– Per quanto mi riguarda sono praticamente certo che il tuo sia un caso di malaria, ma sai, in attesa dei risultati delle analisi dobbiamo prendere in considerazione tutte le eventualità, compresa quella di una malattia venerea. Ma con un fidanzato come il tuo mi sentirei di stare tranquilli. Ci ha assicurato di avere rapporti solo con te.

E Barbara? E tutte le altre donne che frequentava quando aveva ricominciato a frequentare me? Di solito in questi casi, messi alle strette, si viene a scoprire che magari il proprio compagno ama mascherarsi da donna e prostituirsi, mentre io avevo scoperto che in realtà Lorenzo mi era sempre stato fedele.

Incredibile.

Alla fine risultò evidente che si trattasse di malaria.

Dopo un altro paio di settimane in ospedale ero stata finalmente dimessa.

– Adesso posso confidarti che con la vita che faccio, quando si è cominciato a parlare di una malattia virale ho avuto una paura fottuta anche per me. – Mi disse Lorenzo, mentre mi riportava a casa.

– Guarda che so tutto.

– Che cosa?

– Che non mi hai mai tradito. Me l’ha detto il dottore.

– Lui mi ha fatto domande solo riguardo l’ultimo anno.

– Ma è da sette mesi che noi abbiamo ricominciato a stare insieme.

– E allora?

– E allora quando mi dicevi che avevi tutte quelle altre donne non era vero.

– O forse non è vero quello che ho detto al dottore.

Era completamente inoffensivo o era un mostro?

Non l’avrei scoperto mai.