– Sono Mimma, ho tredici anni e chiamo da Cosenza.
– Ciao Mimma.
– Parlo a bassa voce perché qui a casa mia stanno dormendo tutti.
– E tu che ci fai ancora sveglia?
– Non ci riesco proprio a dormire.
– Che succede?
– Ecco, non so bene come si dice. Ieri mi sono arrivate quelle cose.
– Ma pensa. Anch’io ho sempre avuto difficoltà a chiamarle per nome, chissà perché. La femminilità, le chiamo. È arrivata la femminilità, penso, quando una volta al mese mi vengono.
– La femminilità. Mi piace. Ma non basta.
– A cosa, non basta?
– A tirarmi su. Sono disperata e ho voglia di ammazzarmi.
– Mimma, ma che cosa dici? Non scherzare.
– Non sto scherzando. Quando ieri mi sono trovata le mutandine tutte piene di sangue, tutte sporche, diciamolo pure, ho pensato davvero la mia vita è finita. Tutte le mie amiche già ce l’hanno, mancavo solo io.
– E allora? Non ti senti più rassicurata, adesso?
– No. Mi sento che non ho più niente di diverso dalle altre. Anche mia madre me l’ha detto.
– Che ti ha detto?
– Sei diventata donna, mi ha detto. Sei diventata grande.
– Se è per questo non devi preoccuparti, Mimma. Mia madre a me l’ha ripetuto non sai quante volte e non mi è mai successo abbastanza.
– Sì, ma qualcosa succede per forza!
– Certo, questo è vero.
– Ecco, e io non voglio. Che devo fare? Devo mettermi le gonne? Devo giocare a Verità o Conseguenza anche se quando scelgo Conseguenza mi fanno baciare qualcuno con la lingua? Devo decidere se andare al liceo classico perché ci andrà la mia amica Teresa o allo scientifico perché vado meglio in matematica? Non mi va. Mi fanno tutte schifo queste cose.