<Eurostar. Chiacchiere e Tavernello. Due anni fa, più o meno. Ti avevo promesso che quando passavo da Roma mi sarei fatto vivo. Ecco. Riccardo.>

Quando stamattina ho ricevuto sul telefonino questo messaggio, non ho avuto nessuna esitazione nel ricordarmi del ragazzo con cui avevo viaggiato insieme da Bologna a Milano nei mesi senza Lorenzo.

Ogni tanto, ma se glielo dirò non ci crederà mai, dopo averlo incontrato mi ero ritrovata perfino a pensare a lui. Non come ho sempre pensato a Lorenzo, ma proprio per darmi una possibilità di pensare che non esistesse solo Lorenzo a cui pensare.

E poi Lorenzo è tornato.

Comunque, a modo suo, senza nemmeno saperlo Riccardo (ero quasi certa si chiamasse Roberto) mi ha fatto un po’ di compagnia quando ne avevo bisogno.

È per un misto di gratitudine e simpatia istintiva che appena ho ricevuto il suo messaggio gli ho telefonato. Mi ha detto che è a Roma e ci resterà fino a giugno per lavorare con un gruppo di ricercatori della Sapienza a cui è stato affiliato per poi partire per la Tasmania, se ho capito bene. Mi spiegherà meglio stasera.

– Perché stasera ceniamo insieme, vero? – mi ha chiesto, con una naturalezza tale da non lasciarmi nessun motivo valido per rifiutare. Tanto più che è sabato, stanotte non lavoro e rischierei di passare la serata chiusa in casa a guardare il soffitto o la televisione. Non vedo Lorenzo da più di una settimana. Pare che finalmente abbia ricominciato a lavorare seriamente sul suo libro e finché gli è possibile vuole rimanere da solo in campagna per concentrarsi. Come al solito quando è lontano rende tutto ancora più difficile del solito.

– Sono io, – gli ho telefonato poco fa, prima di uscire.

– Che c’è? – mi ha risposto lui.

– In che senso che c’è?

– Se qualcuno chiama qualcun altro è perché ha qualcosa da dirgli, no? È per questo che hanno inventato i mezzi di comunicazione.

Ho riattaccato e ho cominciato a prendere a colpi il telefono con la cornetta. I tasti dell’uno e del sette sono saltati via. Efexor dalla paura ha cominciato a guaire. Per non ascoltarlo ho cominciato a piangere più forte di lui.

Fatto sta che non ho il migliore degli aspetti e lo so, mentre raggiungo Riccardo all’entrata della Facoltà di Biologia dell’università, dove abbiamo appuntamento.

Ho gli occhi gonfi, ho addosso la stessa felpa che di solito uso per stare a casa e non mi sono nemmeno lavata i capelli.

Lo trovo già lì che mi aspetta. È più alto di come me lo ricordavo. Un filo di barba gli dà un’aria vagamente matura. Mi domando se quando l’ho incontrato sul treno mi fossi davvero accorta di quanto sia evidentemente bello. Un po’ mi vergogno, soprattutto per i capelli sporchi.

Camminiamo su e giù per il quartiere universitario. Mi chiede se mi sia sembrato strano ricevere un invito da un tipo con cui ho passato solo un paio d’ore per caso, più di un anno fa. Gli rispondo che sì, in effetti mi è sembrato strano. Mi spiega che è arrivato a Roma da qualche settimana, ma i primi giorni era talmente entusiasta del progetto a cui è stato chiamato a collaborare, da non rendersi conto nemmeno di essersi trasferito in una città in cui non conosce nessuno.

– Finché una sera mi sono ritrovato solo, nella stanza della foresteria del CNR che divido con un mio collega giapponese, che da quando è arrivato in Italia ogni fine settimana ne approfitta per andare a visitare una città d’arte. Stavolta è andato a Venezia. E io mi sono accorto di essere a Roma da settimane e non aver ancora fatto una passeggiata in centro. A quel punto mi sei venuta in mente tu.

Dice che gli era capitato spesso di pensare a quella ragazza distratta e confusa (proprio così dice) che però era riuscita a batterlo a Nomi Città Cose Animali. Dice che più volte si era ripromesso di chiamarmi.

– Ma poi, per essere onesto, mi dimenticavo sempre di farlo. O forse cercavo l’occasione giusta.

– Mi sembra più credibile la prima ipotesi.

– Francamente anche a me.

Ci viene da ridere.

– Comunque per fortuna non ho mai cancellato il tuo numero dalla rubrica del mio telefonino.

Ci allontaniamo dal quartiere universitario e continuiamo a camminare. Io gli parlo del mio programma, della casa che ho comprato e dove presto andrò a vivere e per non annoiarlo, almeno così credo, faccio solo un rapido accenno a una mia storia d’amore in corso piuttosto complicata. Lui mi parla del progetto in Tasmania, di come gli fosse diventato insopportabile lavorare chiuso in un laboratorio di Milano e di come adesso sia disposto a restare dall’altra parte del mondo anche per sempre. Parla della barriera corallina che andrà a esplorare con una specie di eccitazione fisica, come se fosse una donna di cui tutti decantano il fascino e che finalmente presto potrà conoscere personalmente anche lui. Dice che non vede l’ora di partire. Che a Milano non ha lasciato niente, se non due ragazze che ultimamente avevano scoperto ognuna l’esistenza dell’altra e nello stesso giorno gli avevano raccomandato di non farsi più vedere.

Senza rendercene conto siamo arrivati fino in centro. Chissà dov’è finita la rabbia che avevo per quel mozzicone di telefonata con Lorenzo.

Andiamo a mangiare in una trattoria del Ghetto.

– Finalmente possiamo ubriacarci come si deve, – dico io.

– È vero, – dice lui, – anche se a me il Tavernello era sembrato perfino buono, quel giorno.

– Non è possibile. – Toni mi guarda stupefatto e come al solito si esprime con un’enfasi eccessiva. Il più delle volte è tutta una commedia e in realtà sono poche le cose capaci realmente di stupirlo. Questa però sembra proprio una di quelle.

– E invece è successo.

– Ma non puoi raccontarmi di aver passato una notte di sesso selvaggio con uno sconosciuto e pensare che il discorso finisca lì.

– Non ho detto selvaggio. Ho detto che è stato bello.

– I dettagli. Voglio tutti i dettagli.

– Non ce ne sono molti. Eravamo piuttosto ubriachi quando mi ha portato a vedere il residence dove abita. Ha cominciato a baciarmi in ascensore. E quando siamo entrati nella sua stanza ci eravamo già tolti quasi tutti i vestiti.

– E?

– E cosa?

– Come si è comportato?

– Toni, ma che ne so. L’unica certezza che ho è che non lo rivedrò mai più, l’ho detto anche a lui. Per il resto ancora non ci capisco niente, sono uscita da quella stanza nemmeno un’ora fa e sono venuta direttamente da te.

– Che cosa? Ma sono le tre di pomeriggio. Sei rimasta con lui tutto questo tempo? Da ieri notte?

– Sì. Ci siamo addormentati che erano le dieci di mattina. O meglio, si è addormentato lui. Io non sono riuscita a chiudere occhio. Insomma, sono due anni che per me fare l’amore significa solo fare l’amore con Lorenzo. E farlo in un certo modo. Lo sai cosa voglio dire.

– No.

– Riccardo ha passato la notte a baciarmi da tutte le parti, mi carezzava, mi guardava, sembrava avere come un’ansia di conoscere il mio corpo senza che gli dovesse sfuggire niente.

– Di uomini così non ce ne sono più molti, in circolazione.

– Sì, è vero. – M’incanto per un attimo. – Che strano, però.

– Cosa?

– Che con Lorenzo il sesso mi è sempre sembrato straordinario perfino quando all’improvviso lui si assenta e io faccio tutto da sola.

– Ma che c’entra. Lorenzo è Lorenzo.

– Che vuoi dire?

– Lidia, non immagini quanto sia felice per quello che ti è successo. Se Dio esiste, per quanto mi riguarda e per il bene che ti voglio, stanotte si è chiamato Riccardo. – Conosco Toni: dopo un’uscita come questa adesso si farà serio e mi darà un consiglio. E anche se non lo seguirò, so che comunque si rivelerà prima o poi quello giusto.

– Insomma, avevi davvero bisogno che qualcuno ti ricordasse quanto è facile desiderarti. Adesso cerca di trasferire quello che hai imparato stanotte nel tuo rapporto con Lorenzo. Lo sappiamo tutti e due che deve servire a questo, Mister Tasmania.

– Ah, sì?

– Sì. Io forse ti sono sempre sembrato il più grande nemico della tua storia con Lorenzo. Non è così. Certo, a volte ho tentato di proteggerti dall’ostinazione della passione che hai per lui. Ma in fondo ti ho sempre invidiato.

– Non ci credo.

– E invece sì. Io non sono per niente come te. Penso sempre che agli altri ci si possa al massimo prestare, e che sia giusto darsi solo a se stessi.

– E infatti sei una persona forte.

– Che con la sua forza non sa che cazzo farci, però.

Sappiamo tutti e due che adesso è il momento di cambiare discorso. È il nostro patto implicito, da sempre, quello di distrarci un istante prima di commuoverci.

– Dove vai a Pasqua?

– Io e Efexor raggiungiamo Lorenzo in campagna. Tu?

– Vado a Grosseto a conoscere un tizio che ho incontrato su MySpace.

– A Grosseto?

– Sì.

– Me lo faresti un piacere, quando sei lì?

– Certo.

– Dovresti imbucarmi una lettera.

 

 

>––––– Original Message –––––

>From: lorenzoferri@yahoo.it

>To: brianahern@hotmail.com

>Sent: Friday, April 14, 2006 7:11 PM

>Subject: USELESS MAN

>Caro Brian,

>sei davvero l’amico più caro che ho mai avuto. Ero

>certo che non mi avresti mai più risposto, dopo la mia

>ultima lettera: hai ragione, non sono stato io a

>scriverla, ma la paura che mi assilla di continuo di

>poter deludere gli altri. Cosa che in effetti succede

>quasi sempre. Ma il dono della tua protezione è troppo

>grande, e magari invece di rifiutarlo perché non lo

>merito potrei cercare di fare qualcosa per meritarmelo,

>come dici tu. E fare lo stesso anche con Lidia, che

>domani mi raggiungerà, dopo tanti giorni che non ci

>vediamo. Non voglio accoglierla come al solito,

>dicendole cose orribili perché non capisca che sono

>felice di vederla e s’illuda così che io possa diventare

>una persona migliore. Voglio essere buono con lei. In

>questi giorni da solo in campagna, grazie alle tue

>parole, ho cominciato infatti a capire tante cose

>riguardo a come vivere e, dopo la tua ultima lettera,

>perfino a come scrivere.

>Al solito infatti, mi hai lasciato stupito e letteralmente

>a bocca aperta anche per quello che dici sul mio

>nuovo libro. In verità non è che lo sto scrivendo

>in francese, ma riguarda molto la lingua francese, non

>immagini quanto. Si dovrebbe intitolare “IL CANTO

>DELLE SIRENE”, ed è in buona parte una biografia di un

>mio grande amico che ho conosciuto a Parigi e mi ha

>insegnato tante cose, soprattutto su un certo

>tipo di vita. Si chiamava Louis, faceva lo scultore e mi

>manca molto. È morto suicidandosi il giorno in cui

>avrebbe compiuto cinquant’anni, andandosi a buttare

>proprio dalla palazzina dove era nato. Era più grande

>di me, un vecchio figlio di puttana simpaticissimo

>e certe volte davvero insopportabile, ci siamo fatti un

>sacco di risate insieme. Mi diceva sempre che fino a

>quando aveva quarant’anni aveva vissuto come in

>uno stato di estasi continua, ma che poi tutto dentro e

>fuori di lui era cambiato, era diventato all’improvviso

>più triste, ordinario. Un po’ lo stesso che sta

>succedendo oggi a me. E infatti nel mio libro voglio

>mescolare il fantasma del mio amico con il

>turbamento che mi assale in questo periodo,

>e con certi miei ricordi personali di Parigi dove

>guardandomi indietro vedo le cause di tutte le cose

>belle e quelle brutte che sono andate a comporsi

>per formare la mia vita fino a questo momento.

>Lo sai bene anche tu, caro Brian, perché la musica

>è uguale: scrivere è davvero una cosa faticosissima,

>alla fine la vita è consumata da questo, io mi ci

>accanisco tutti i giorni, non mollo mai. Ma non

>ti voglio trattenere troppo sui miei fumosi progetti

>letterari, anche perché proprio grazie a te dopo un

>lungo periodo finalmente sono tornato al lavoro e

>questo mi basta. Mentre ti scrivo sto ascoltando

>un pezzo divertente dei Minty, il gruppo di Leigh

>Bowery, un genio assoluto che non conoscevo prima

>di qualche giorno fa, quando io e Lidia siamo andati a

>vedere una mostra dedicata a lui. Il pezzo mi fa molto

>ridere, si chiama USELESS MAN e non fa che ripetere

>per tutto il tempo queste due parole. UOMO INUTILE:

>come me. Ma adesso, caro Brian, perché non mi

>racconti anche tu qualcosa? Leggere le tue lettere mi

>ha fatto venire una grande curiosità sulla tua vita.

>Spero che tu stia passando giorni sereni, davvero.

>Non potrò mai ricambiare tutto quello che stai facendo

>per me se non con un affetto infinito.

>Tuo,

>Lorenzo

>––––– Original Message –––––

>From: brianahern@hotmail.com

>To: lorenzoferri@yahoo.it

>Sent: Friday, April 14, 2006 9:37 PM

>Subject: LA MERDA

>Lorenzo caro,

>mio fratelo, la Pasqua sembra a me da sempre una festa

>anche se cattolica più umana rispetto a il Natale, non

>so perfettamente perché, e quindi non ho vergogna

>nel dare a te una BUONA PASQUA per domani, insieme a

>tutti i suoi significati di rinascere.

>Io sono tornato ieri al Monastero dalla città di

>GROSSETO, che è molto vicino a Pomaia. Proprio lì

>infacti abita la sorella di Enrico, che è in Italia la mia

>familia e lì finalmente spedivo a te la MAPPA.

>Ho passato del bel tempo lì con lei, suo marito, e il loro

>filio che è proprio uguale a Enrico e commuove me

>guardare.

>Tu chiedi a me di raccontare la VITA MIA e io penso che

>è giusto tu sai tante cose. Parli a me di LEIGH, che io per

>exempio davero conoscevo come un fratelo e mai

>dimentico come la festa per il Nuovo Anno nel 1994

>diventava un incubo per tutti noi che a lui volevamo

>bene, quando venivamo a sapere la notizia tremenda

>della morte sua.

>Parlo di questa mia amicizia con Leigh per spiegare

>che la mia vita è stata davero anche lei di un vecchio

>pazzo, come dici tu riguardo il protagonista del libro

>che scrivi (e che infacti vedo così bene come nuovo

>capolavoro), ma no tanto simpatico come lui. Non

>bastava mai a me niente. No il facto che ero povero e

>poi davero ricco, no tutti li uomini che avevo, no il

>grande successo, niente, niente. E moltissima droga,

>amica cara al PENSIERO IMOBILE. Non so se tu conosci

>lei, dalle visioni su te non vedo chiaro su questo punto.

>Comunque se non conosci spiego a te che la droga ha

>questo sopratuto, che tu credi di vedere melio le cose

>e infacti se la prendi poco è così. Ma se alla fine invece

>la prendi sempre, vedi solo la stessa cosa e il mondo

>diventa molto di meno, no più grande, anche se a te

>sembra di sapere sempre più rispetto ali altri: e infacti

>quando conoscevo Enrico inizialmente non capivo lui,

>con la arroganza di chi pensa che ha visto tutto

>completamente. Quando incontravo ENRICO per la

>PRIMA VOLTA ero in una prigione a Londra, dove

>avevano chiuso me dopo che era successo un facto

>troppo bruto da raccontare. Io ero ancora davero

>famoso e Enrico veniva a intervistare me perché

>corrispondeva dalla Inghilterra per una rivista italiana

>sula musica. Lui sembrava a me un semplice giovane

>(12 li anni meno rispetto a me) senza esperienza e

>invece per un certo verso aveva questa più rispetto a

>me. E infacti riconosceva me mentre io lui no. Ma ogni

>volta che lasciavo lui poi tornavo sempre perché da

>qualche parte, in qualche nervo, nella zona a me allora

>cieca per lappunto, io ero svelio e mi accorgevo, anche

>se no fino alla testa.

>Per quanto riguarda i texti sciamani, avevo cominciato

>a studiare proprio nella prigione. Infacti quando poi

>tornavo libero, Enrico diceva a me da subito di partire

>affinché conoscere i grandi maestri e un giorno

>abbiamo fatto finalmente questo lungo viaggio nel

>Tibet insieme. Il successo lasciato non mancava a me

>mai, ma il pensiero imobile tornava sempre, con le

>seductioni di altre esperienze diverse da quella che

>avevo con Enrico, e dentro me ci era la lotta. Tutti i

>giorni dicevo a me FORZA. Dicevo a me: – Brian, ormai

>conosci te atraverso la esperienza, adesso devi

>conoscere la esperienza atraverso te, altrimenti muori

>da vecchio colione! – Quello, più o meno. Così niente

>rimpianti ma possibilita di futuro nel tempo stesso.

>In Italia con Enrico venivo e passavo tanti anni bene,

>infelice come sono io nella natura, ma capace permeno

>di non distrugere, spesso sentendo me perfino leggero,

>più andavo avanti con la meditazione: chi come me

>sente da sempre tutto sopra sé, prima solitamente

>prova a liberare se da questa condictione con la

>evasione, la droga o altro, poi se è fortunato dice a se

>vediamo di fare QUALCOSA DI BUONO proprio CON

>QUESTA DANNACTIONE che ho! A servizio deli altri, la

>mia mente pesava meno a me e diventava come una

>pancia dove, perdona me, LA MERDA prima PREPARA SE

>ma poi BUTTA fuori SE in qualche maniera! Il resto lo

>sai. Della morte tropo giovane di Enrico e della scelta

>mia di venire a Pomaia, dove è il posto per me, ma

>ogni tanto sento solo perché non trovo me bene con i

>monaci buddisti, troppo seri e arancioni per i gusti

>miei. Ma fortuna che adesso ho le lettere tue come

>compagnia!

>Spero che non ho stancato te. Ma tu chiedevi e io da

>amico rispondevo.

>Ricorda te fratello mio, niente paura e fede nela zona

>cieca. Sei davero forte nel profondo, non dico per dire.

>E quando abandono me vedo sempre te e Lidia

>trecciati.

>Abbraccio caramente tutti e due,

>Brian

Prima di partire, ieri Toni è venuto a casa mia a ritirare la lettera che gli ho chiesto di spedirmi da Grosseto. Non ha capito bene perché gli abbia chiesto di scrivere sulla busta con la sua calligrafia l’indirizzo di Lorenzo, ma aveva fretta e non ha fatto troppe domande. Nemmeno quando ha visto quello che ho infilato nella busta. Un foglio stropicciato dove con l’aiuto del tappo del barattolo del caffè ho disegnato un cerchio che poi ho sezionato a caso, con dei pennarelli colorati.

– È una specie di gioco fra me e Lorenzo – Gli ho spiegato io. A lui, eccitato dall’idea del suo appuntamento al buio con il tipo conosciuto su Internet, non è servito sapere nient’altro. E ignaro di tutto ha spedito da Grosseto la mappa di Brian.

Aggiungere a quello scarabocchio delle informazioni per poterlo interpretare mi è sembrato troppo. Se sarà il caso, e gli verrà richiesto, Brian le scriverà via mail. Ma confido nel fascino irrazionale che i segni esercitano su Lorenzo. Davanti a un quadro, a lui parlano sempre le immagini e gli spunti che possono dargli, non un catalogo che spieghi il significato di quel quadro e il perché della scelta di determinati colori. È abituato a fare così. Più è lasciato da solo con un groviglio di segni, più si sente ispirato per ricavarne dei simboli.

Consegnata la mappa e finita la puntata del venerdì, finalmente posso partire anch’io.

Ormai sono due settimane che Lorenzo rimane in campagna. Il suo libro procede e si sta avviando alla conclusione.

– È come se in tutti questi mesi in cui mi maceravo per non riuscirlo a scrivere, in realtà mi si stesse scrivendo dentro da solo. E adesso vado come un treno, quasi lo stessi semplicemente battendo al computer mentre qualcuno me lo detta, – dice. E negli ultimi giorni anche con me è piuttosto affettuoso.

– Finisci di lavorare in radio e poi vieni qui, dai. Faremo delle passeggiate bellissime, ti cucino quello che vuoi e il giorno di Pasqua magari invitiamo Fabrizio con i bambini e mangiamo sul prato.

Efexor mi si è arrampicato in braccio per guardare fuori dal finestrino, sul treno che ci porta a San Liberato.

Sarà la prima volta che vedo Lorenzo dopo averlo tradito. Toni si è raccomandato di non dirgli niente, per nessun motivo al mondo. Sembra scontato ma non è così: molte donne in passato, esasperate forse quanto me dai comportamenti di Lorenzo, sono arrivate a tradirlo solo per farglielo sapere, per dimostrargli di esserne capaci anche loro. Ma è quello che le provocazioni di Lorenzo desideravano, che desiderano. Trascinare l’altro in una specie di terra di nessuno sentimentale in cui gli errori di uno diano l’autorizzazione a procedere a quelli dell’altro e così via. Ma io non ho un fisico emotivo così forte. Non so se l’ho tradito per dimostrarmi di poterlo fare, ma non credo. E soprattutto per questo, farglielo sapere non avrebbe senso. Perché la notte con Riccardo diventerebbe l’ennesima mossa fatta per Lorenzo, anche se contro di lui. E invece, dopo anni, è stata la prima mossa che ho fatto per me. Perché il vino era buono, perché Riccardo era bello, perché gli sembravo bella io, anche se quella sera non mi ci sentivo affatto. Tutto qui. Adesso devo solo infilare il segreto di quello che è successo fra le pieghe di quello che mi succede tutti i giorni, che succederà. Ho tutte le possibilità per riuscirci. Tradire una persona presa da sé come Lorenzo dovrebbe essere semplice. Ho paura che colga qualcosa in un mio sguardo o in una mia battuta, ma so bene che non succederà. Per quanto riguarda Riccardo, poi, non penso gli costi molta fatica non cercarmi più come gli ho chiesto di fare. Non ha priorità di carattere romantico, lui. Mi sembra capace di accogliere quello che capita o di rinunciarci senza grandi difficoltà.

E allora il problema rimango solo io. E mentre il treno sta per imboccare la galleria prima della stazione di Terni mi impongo di togliermi dalla testa l’immagine che mi tormenta da giorni. Riccardo che esplora e tocca e bacia punti del mio corpo che in realtà non sono miei, sono di Lorenzo, perché li ha scoperti lui, due anni fa. Anche se ogni tanto li trascura nessuno può permettersi di invaderli. E fra l’altro di saperlo fare. L’immagine a questo punto si deforma, Lorenzo e Riccardo scompaiono, e il mio corpo diventa un campo di battaglia per uno scontro fra il piacere che si dà e quello che si prende, fra la passione e il gioco, fra quello che ognuno dovrebbe meritarsi e quello che sceglie. Tutte cose che dovrebbero essere assolutamente conciliabili fra loro. E che invece dentro di me si dichiarano guerra. Si eliminano a vicenda.

Siamo arrivati a Terni. Lorenzo ci viene incontro sul binario, Efexor dalla felicità di vederlo gli schizza una pipì sulle scarpe. Io mi avvicino guardinga. Nonostante i buoni propositi di cui ha parlato a Brian nell’ultima lettera, so bene quanto sia difficile per lui rinunciare alle sue difese, quando ha avuto molti giorni a disposizione per rafforzarle senza la mia presenza. Ma comincio a pensare che lo stesso valga anche per me. E allora stavolta voglio stare attenta. È troppo tempo che non ci vediamo. Sono successe tante cose. È successo Riccardo.

Gli sorrido.

– Finalmente, Stitch.

– Finalmente, Lilo.

Ci baciamo come in pubblico di solito a lui non piace fare mai.

Non lo vedevo da così tanti giorni che quasi davo per scontato l’effetto che hanno su di me il suo odore, quegli occhi afflitti e dolcissimi, il sorriso maleducato. Tutte le immagini che mi litigavano in testa si spengono all’istante. C’è spazio solo per lui.

– In macchina ti aspetta una sorpresa. Anzi, vi aspetta. E non so Efexor come la prenderà.

Ci avviamo verso il parcheggio della stazione e dal finestrino della macchina di Lorenzo vedo spuntare una macchia scura che si muove. Apro la portiera e un cane sporchissimo, dai colori incomprensibili tanto è il fango che gli si è appiccicato addosso, con un’orecchia sola, la coda spelacchiata e mozzata da quello che sembra il morso di un cane più grande o di un cavallo, mi fa festa in una maniera straziante, come fossi la sua padrona che non vede da chissà quanto tempo. È pieno di pulci e puzza da sentirsi male. A Efexor però sembra simpatico. Si annusano e cominciano a rincorrersi per il parcheggio.

– Chi è?

– Non te lo ricordi?

Gli faccio un fischio, torna subito da me, cosa che Efexor non imparerà a fare mai. Lo guardo negli occhi e comincio a riconoscerlo, anche se non ha più niente di quel cucciolo rosso con una gonna pantalone di pelo bianco al posto delle zampe.

– È quel cagnolino che avevamo dovuto riportare ai suoi padroni! Quello che io volevo tenere a tutti i costi.

– L’ho trovato ieri, accucciato davanti alla porta di casa. Era come se aspettasse qualcuno.

– Noi? Dopo tutto questo tempo?

– Magari è capitato lì per caso. Ma eri tu a dire che era stato lui, quel giorno, a decidere di seguirci.

– Come ha fatto a ridursi così?

– Tu dicevi anche che i suoi padroni non l’avrebbero mai trattato bene come l’avremmo potuto trattare noi.

– È vero. E allora tu avevi risposto che portarcelo a Roma sarebbe stato un furto. E che io non avevo nessun diritto di decidere quale fosse il destino migliore per Bobby. Si chiama così mi pare, no?

– Non mi ricordo. So che da ieri si chiama Brian. E che se Efexor è d’accordo, potrebbe venire a stare con noi.

– Davvero?

– Compriamo subito del disinfettante, dai. Altrimenti la coda gli va in cancrena.

La casa di campagna è ridotta uno schifo. In due settimane Lorenzo non ha mai aperto le imposte, ha lasciato che i sacchetti dell’immondizia si accumulassero in cucina, che l’erbaccia del prato crescesse indisturbata.

– È più forte di me, Lilo, porto il mio senso di morte da tutte le parti, lo so, – dice. E si butta sul divano, fra vestiti sparsi e giornali vecchi. – Io sono proprio un uomo inutile. – Sospira, e si stringe le tempie con le mani, come per non farsi sfuggire la testa, e comincia a piangere.

– Come comitato d’accoglienza non è male, – provo a scherzare io. Ma in realtà questo crollo di Lorenzo mi prende alla sprovvista. Fino a un attimo fa, in macchina, con i due cani nei sedili di dietro, mi parlava del suo libro e mi carezzava i capelli e mi diceva certo che noi quattro adesso siamo proprio una famiglia al completo, non ti pare?

– Scusami.

– Non dicevo sul serio. E poi è sempre meglio essere accolta così che da una sconosciuta nel tuo letto, no?

– Perché io non so fare altro, è vero. Sono a fasi alterne stronzo o depresso. Ma che ci posso fare?

– Per esempio piangerti addosso un po’ meno.

– Ma questo è il periodo più brutto della mia vita. Ho perso tutto.

Non è lui che parla, è il suo pensiero immobile. Non devo ascoltarlo.

– Passerà.

– Ero abituato a standard di felicità altissimi, io, fino a qualche anno fa. La conoscevo bene, capito? Conoscevo la felicità.

Non devo ascoltarlo, non devo ascoltarlo, non devo ascoltarlo.

– Sei fortunato. Vuol dire che quando tornerà la saprai riconoscere.

– Forse hai ragione.

– E poi datti tempo. Adesso stai giocandoci in un modo tutto nuovo, con ’sta cazzo di felicità. Hai smesso da poco con la roba, tanto per fare un esempio.

– Ma questo che c’entra? Non mi sono mai drogato tanto come ti ho fatto credere. Volevo darti un’immagine di me molto peggiore di quello che sono in realtà per non farti appiccicare.

– Fatica sprecata, – dico io. E gli sorrido. Dentro di me sento l’insolito sollievo di essermi tenuta al riparo in pochi minuti dalla possibilità di diversi attentati.

Facciamo lunghe passeggiate, leggiamo insieme il suo libro fin dove è arrivato a scriverlo, rimaniamo a guardare per ore i cigni nel lago, facciamo l’amore. Ogni tanto Lorenzo scivola via e raggiunge la sua postazione interiore da cui poter rovinare tutto, ma riusciamo a passare giornate intime e segrete, di cui avevamo bisogno tutti e due.

Io per dimenticare la notte con Riccardo, lui per ricordarsi di me.

Il giorno di Pasqua viene a trovarci il suo amico Fabrizio, con sua moglie e i loro tre bambini – uno figlio del primo matrimonio di lui, uno del primo matrimonio di lei e il più piccolo, di pochi mesi, avuto insieme. Ci sono poche persone capaci di far bene a Lorenzo come lui. Lo conosce dai tempi del liceo, sono cresciuti insieme. Riesce sempre a metterlo di buonumore. Perfino la serenità familiare che Fabrizio ha raggiunto gli sembra possibile. Dice che si fida di quell’equilibrio perché non ha bisogno di affermarsi come valore, a differenza di quella della maggior parte delle persone.

Pranziamo sul prato tutti insieme. I bambini giocano con i cani, noi mangiamo fino a sentirci male. C’è una specie di pace. Fabrizio insegna matematica in un liceo e ci racconta che quando la bella del quinto anno ha lasciato il fidanzato, quello per vendetta ha sfondato con un camion i cancelli della scuola. Cose così.

Lorenzo parla a tutti di Brian.

Continua a farlo anche quando rimaniamo soli.

– Sai che Brian era amico di quel genio di Leigh Bowery?

– Sai che Brian e il suo grande amore Enrico avevano esattamente la nostra stessa differenza d’età?

– Vieni qui, dai. Abbracciami. Stiamo un po’ trecciati, come dice Brian.

Mentre torniamo a Roma, in macchina, sento che è uno di quei momenti magici in cui mi è possibile parlare e venire ascoltata.

– Sai, vorrei andare dalla mia ginecologa un giorno di questi. Mi sono messa in testa di essere sterile, – dico.

– Tu sei tutta pazza, – dice lui, ma senza aggressività.

– Ormai è davvero troppo tempo che non usiamo nessuna precauzione.

– E allora? Meglio così, no?

– Voglio sapere se c’è qualcosa che non va in me.

– Se questo ti fa stare più tranquilla allora fallo.

– Tanto so che cosa mi dirà la ginecologa. Le ho già chieso mesi fa di poter fare quelle analisi.

– Non mi avevi detto niente.

– Perché lei mi ha impedito di farle. Dice che sono analisi invasive, a cui la donna si può sottoporre solo se prima è stato accertato che non è l’uomo a essere sterile.

– E allora niente da fare. Lilo, non mi vorrai costringere mica a fare quella roba lì, com’è che si chiama?

– Spermografia.

– Ecco. Mi ci vedi a me, a farmi una sega e a sparare quello che viene fuori in un contenitore e poi portare a farlo studiare a qualcuno? Che squallore. Chiedimi tutto ma questo no.

Mi prende la mano. Non mi sbagliavo, non ha nessuna voglia di litigare stasera.

– Davvero posso chiederti tutto?

– Sì.

– La settimana prossima firmerò il contratto per l’acquisto della casa. Mi piacerebbe ci fossi anche tu.

– Ci sarò. Se ci vengo a vivere dovrò pure vederlo, prima o poi, questo posto.

Rimaniamo per tutto il viaggio in un silenzio raro per noi, per niente ostile.

– Ti dispiace se prima di tornare a casa passiamo da Trastevere? – fa lui, quando arriviamo a Roma, – sono due settimane che non vado a ritirare la posta.

 

 

Lorenzo Toni

 

 

>––––– Original Message –––––

>From: lorenzoferri@yahoo.it

>To: brianahern@hotmail.com

>Sent: Thursday, April 20, 2006 12:46 AM

>Subject: GRAZIE

>Carissimo Brian,

>qualche giorno fa sono tornato a Roma e ho

>finalmente trovato la mappa che mi hai spedito

>GRAZIE

>GRAZIE

>GRAZIE.

>Tra l’altro, perdona l’estetismo, ma è davvero bella!

>Non la riesco a decodificare, ma sento che, come le

>tue parole, mi dice la verità e mi protegge. E questo

>già è un gran regalo.

>Come va la vita lì a Pomaia? Sai che Lidia e io

>abbiamo adottato un nuovo cane (ne avevamo già

>uno) e lo abbiamo chiamato come te? Lo avevamo già

>incontrato qualche anno fa, ma quando ero solo in

>campagna la settimana scorsa me lo sono trovato

>davanti proprio mentre stavo pensando a te. È

>spuntato dal nulla, come gli angeli musulmani, e

>allora, in tuo onore, abbiamo deciso di chiamarlo

>Brian. È veramente un cane speciale, e porta su di sé

>le ferite di tagli e morsi misteriosi che in qualche

>modo, non so bene perché, mi ricordano quelli che

>sento di avere dentro io, tanto che ho pensato che

>davvero quest’animaletto venisse da parte tua per

>portare qualche messaggio...

>Infatti questi sono di nuovo giorni difficili per me, di

>enorme dolore e senso di panico. Eppure in

>campagna con Lidia, il fine settimana di Pasqua, ero

>stato un po’ meglio, e il merito è solo tuo: quello che

>mi hai scritto è vero, sto iniziando ad accettare che

>nella mia vita c’è l’amore e ho pensato molto a quello

>che mi hai scritto su te ed Enrico.

>Ma tu che sai tante cose, mi sai dire DOVE ANDIAMO

>quando stiamo così male? siamo rapiti in un altro

>mondo? Io ho passato tanti giorni della mia vita così,

>caro Brian, lontano da tutto e da tutti, e non saprei

>dire dove, né che cosa ho fatto. So solo che presto

>rimarrò solo e nessuno mi sopporterà più, ma non ci

>posso fare niente. Sono un fallito, lo so.

>Tantissimi baci, torno a studiare la mappa,

>Ti voglio bene,

>Lorenzo

Comincio a rendermi conto che il fatto che Lorenzo dia a Brian tutto il merito dei bei momenti che riesce a vivere, in parte continua a relegare me in quella condizione di impotenza che mi mortifica da sempre. Vocette, nomignoli, termini infantili: la misteriosa libertà espressiva dell’intimità, giustificata dal non avere niente di cui giustificarsi, lui non se l’è mai concessa con nessuno, tantomeno con me. Con Brian da subito.

L’importante è che Lorenzo possa stare meglio, lo so. Ma ci vorrei essere anch’io, quando questo succederà. Tutto qui, penso, mentre non riesco a dormire, mi rigiro nel letto e lo ascolto russare dal salotto. Non mi sono mai chiesta se l’idea di Brian fosse più o meno corretta. Adesso però mi chiedo se sia utile. Se serva davvero a qualcosa. Se i movimenti che crea siano reali o solo apparenti.

Chissà.

Comunque mi alzo. E accendo il computer.

>––––– Original Message –––––

>From: brianahern@hotmail.com

>To: lorenzoferri@yahoo.it

>Sent: Tuesday, April 25, 2006 2:23 AM

>Subject: QUESTO CHE TU CHIAMI NERO

>Caro Lorenzo,

>mio fratelo, sono contento che la mappa è arrivata e

>piaciuta a te. Se in questi giorni sei riuscito a

>interpretare lei, spero che non turba te quello che lì è

>scritto riguardo al futuro. Puoi vedere la visione di un

>filio e di un grande successo, dopo la parte verde

>della mappa che sarebbe il presente. Se conosco te un

>poco oramai, forze spaventano te più queste cose

>belle rispetto alla possibilita di cose brutte! Ma

>niente paura! Come vedi infacti sempre nella mappa,

>a un certo punto del cerchio una linea spezata ci è:

>quella succede PROPIO ORA e vuol dire MORTE, che

>credo tu sai noi sciamani intendiamo come UN BENE,

>come interructione di un certo stato, mentale o altro,

>assolutamente no come morte fisica. Non tutti infacti

>iniziano quando nascono, anzi. Importante è tutavia

>fare questo nel prima o nel poi, altrimenti la fatica di

>essere qui davero non vale nella pena. Nella mia vita

>senza più grandi emozioni dopo che Enrico è andato,

>è una emozione conoscere te proprio in questo

>passaggio e per quello io dico grazie a te, non tu a me!

>Fai me poi molto felice quando scrivi che cominci per

>accettare l’amore nella vita tua e quando parli a me

>poi di cose simpatiche come il piccolo cane che tanto

>gentilmente tu e Lidia avete chiamato Brian. Dispiace

>invece quando scrivi del umore nero, ma so bene che

>questo che tu chiami NERO lo vedi così solo perché ha

>un colore che non è familiare e preso dalla paura

>chiudi li occhi della comprentione: e buio ci è. Non

>so se spiego me. Anche nella mappa, ripeto, si vede

>che sei alla fine di uno di quelli sentieri che capitano

>noi due o tre volte nella vita: sembravano a noi

>scorciatoie e scopriamo diventare la strada nostra

>principale!

>Al proposito chiedi a me dove andiamo quando

>stiamo male. La verità è che NON ANDIAMO da

>nessuna parte, anzi. Sono le forze del PENSIERO

>IMOBILE che invadono noi e paralisiano. Sembra a noi

>di andare via perché quando ci sono quelle forze

>spazio per noi non ci è e invece quando noi ci siamo

>non ci è spazio per loro. O noi o loro, senza scampo

>alcuno.

>Io proteggo te, dala zona cieca spio (ma con amore di

>fratelo, sai!) e non preoccupo me. Però quando dici

>che nessuno sopporta più te e niente ci puoi fare,

>dico a te attento. Non mettere nella bocca deli altri

>parole come FALLITO, che li altri non pensano ma che

>a te fanno comodo. IL MONDO NON È TUTTO UNA

>OPINIONE TUA, ESISTE! Anche fuori dalla tua testa!

>Senti te da me sempre protetto e non chiamare nero

>quello che tu non riconosci: quando il bruco pensa

>oddio è finita, ci è la farfalla. È questo un pochino da

>frocio da dire, ma i froci non sono tutta roba che

>bisogna buttare via, non credi questo anche tu?

>Abbraccio te e Lidia tua trecciati,

>Brian