Lo sapevo fin dall’inizio, che prima o poi sarebbe arrivato il giorno della partenza di Riccardo per la Tasmania.
Sono venuta ad accompagnarlo in aeroporto. Negli ultimi due mesi abbiamo passato insieme molte notti, perché Lorenzo è voluto restare quasi sempre in campagna da solo per finire il suo libro.
L’intimità fisica che abbiamo raggiunto ci ha permesso di costruire in poco tempo un’amicizia profonda. Il più delle volte, abbracciati e nudi a letto, ci siamo ritrovati a parlare proprio della mia storia con Lorenzo.
– Ma come si fa? Da dove si comincia? – mi ha domandato di continuo Riccardo, che dice di non aver mai permesso a un sentimento di condizionare la sua vita e i suoi pensieri come quello che provo per Lorenzo fa con i miei. Non lo so come si fa e tantomeno da dove si comincia, capita e basta, gli ho risposto io. E quando te ne accorgi è già troppo tardi. Riccardo non ha mai bisogno di troppe parole, è abituato ai fondali, mette in conto il mistero.
Così di me forse non ha capito niente. Ma c’è stato. C’era quando sono tornata dalla campagna dove avevo trascorso il weekend cercando di far alzare dal letto Lorenzo, che da più di un anno non vedevo ridotto in quello stato. C’era quando ho scelto la tinta per le pareti della mia camera da letto e per il bagno. Quando ho scoperto che il nuovo libro di Lorenzo non sarebbe stato dedicato a me, quando la radio è stata infestata dai topi e sono dovuta andare in onda lo stesso, quando in televisione una notte davano Harold e Maude e io avevo voglia di vederlo per l’ennesima volta, quando avevo bisogno di ridere, di venire, di ascoltare delle storie, raccontare le mie. Ha portato nella mia vita qualcosa di buono senza avere la voglia o sentire il bisogno di spostare niente. Senza nemmeno rendersene conto, forse.
Penso che in qualche modo mi mancherà.
– Magari torno fra un mese.
– Chissà.
– Comunque possiamo scriverci via mail.
– E un giorno posso venirti a trovare io.
– Certo.
Viene un po’ da piangere e un po’ da ridere a tutti e due. I suoi colleghi si avviano all’imbarco.
– Non fare troppo casino, – mi dice lui.
– Nemmeno tu.
Ci abbracciamo e rimango a guardarlo passare sotto il metal detector e scambiare qualche battuta con la vigilanza. Si gira, mi sorride. Non fare troppo casino, mi ripete. E le scale mobili se lo portano via.
Non saprà mai di essere il padre di mio figlio.
>––––– Original Message –––––
>From: brianahern@hotmail.com
>To: lorenzoferri@yahoo.it
>Sent: Saturday, July 21, 2007 9:23 AM
>Subject: NELLA PARTENSA
>Caro Lorenzo,
>mio fratelo, tu chiedevi scusa a me per rispondere
>tardi e anche io adesso faccio questo. Chiedo scusa.
>Ma aspettavo a lungo prima di scrivere a te per
>trovare parole che non facevano male, perché male
>quello che ho da dire a te non deve fare, male a me
>non fa.
>Sono vecchio e tu sai questa cosa. Naturale che nel
>prima o nel poi dovevo malare me. Fortuna che i
>doctori dicono che non devo sofrire nel lungo
>periodo. E dunque andare via presto. Ragiungere
>Enrico, piace pensare a me.
>Della morte mia non ho paura. Per noi sciamani anzi
>è come il viaggio che per fare prepariamo noi tutta la
>vita. La zona più cieca che ci è e dove tutavia melio si
>vede. Così non avere paura nemmeno tu. E considera
>che anche dove va, questo vecchio frocio del tuo
>amico Brian protegge e guarda te sempre, non lascia!
>No no! Continua nel rompere a te i colioni
>spiando!!!!
>Lorenzo, amico. Raccomando a te la lotta contro il
>pensiero imobile. Raccomando nel non dire sono un
>verme per poi davero diventare verme e così non
>andare verso ma strisiare sotto quello che capita a te.
>Ho la testa che pesa e non vedo più niente con la
>precisione. Ma vedo per te un futuro di luce, questo
>posso dire. Basta che concentri SOLO SU TE la
>attentione, su NESSUNO DI ALTRO. E così non fugghi
>via sempre dallo incontro con una persona che a me
>ha dato tanto di prezioso: quella persona SEI propio TU.
>Abbraccio te, già nella partensa per quel posto che
>tutti pensano lontano e invece avvicina,
>Tuo,
>Brian