Per Alfieri non fu difficile capire cosa avrebbe dovuto fare durante la vigilanza all’ambasciata algerina. Era sufficiente rimanere sei ore, un po’ seduti e un po’ in piedi, con indosso il giubbotto antiproiettile e un mitra a tracolla.
Sei ore di fronte a una villa a osservare chi entrava e chi usciva, o chi posteggiava vicino all’obiettivo.
Ma la cosa più difficile era trovare gli argomenti giusti con il collega per rendere meno noiose le ore di servizio.
Alfieri, nei primi giorni, aveva tentato di tenere alta la soglia dell’attenzione, ma dopo un paio di turni si era allineato all’andamento lagnoso dei colleghi.
Ogni tanto dialogava con gli autisti dell’ambasciata, oppure si metteva a leggere qualche romanzo di fantascienza, Asimov il suo preferito.
Quel giorno era in servizio con il collega Maruzza, uno avvezzo al piagnisteo.
«Cosa stai leggendo?» gli chiese Alfieri vedendolo sfogliare una rivista.
«Boh!» rispose Maruzza scoglionato, «guardo le figure» alla frase fece seguire un lungo sbadiglio.
«Quanto tempo è che fai i posti fissi?»
«Nove anni.»
«Nove anni! Come hai fatto a resistere?»
«Non me ne frega un cazzo dell’ambasciata, mi faccio i cazzi miei».
«E non ti interessa cambiare?»
«Sai cosa ti dico? Non me ne frega niente, né della polizia né dell’ambasciata, penso solo a me.»
Concluse con un tono che non lasciava spazio alla conversazione, del resto non c’era altro da dire.
Alcuni poliziotti ovviavano alle frustrazioni del lavoro con la vita privata. Vivevano il servizio come fossero sott’acqua, in apnea, per poi riemergere e respirare alla fine del turno.
Alfieri prese dal cruscotto dell’auto il registro delle consegne sul quale venivano annotati i cambi turno e le novità. Quali novità, si domandò. La compilazione di quel registro era la cosa più impegnativa del turno. Bisognava aprirlo alla prima pagina bianca e riportare i nomi dei poliziotti montanti scrivendo: “Si prende in consegna l’autovettura con tutto il materiale in essa contenuto”.
E il materiale era costituito da due giubbotti antiproiettile, un mitra completo di caricatore e uno sfollagente.
Alla fine del turno, poi, di seguito veniva annotato:
“Nessuna novità.”
Tutto questo per giorni, mesi e anni.
Era lì che avrebbe dovuto lavorare per i prossimi anni.
Sorrise.
Un algerino uscì dall’ambasciata.
«Ciao ragazzi» disse loro, «volete un caffè? L’ho appena fatto.»
«Ciao, Amedeo. Per me va bene» rispose Maruzza.
«Sì, anche per me, senza zucchero grazie» si accodò Alfieri.
Amedeo non era il vero nome dell’algerino, ma un nomignolo con cui lo chiamavano i poliziotti. Era un tipo bizzarro, dall’aspetto allampanato ma cordiale e disponibile.
«Che ore sono?» chiese Maruzza.
«Quasi le dodici» rispose Alfieri.
«Ancora un’ora... umh...»
«Sì, un’ora» ribadì Alfieri, «appena finiamo passo in ufficio e chiedo un paio di giorni di ferie.»
«Fai bene, è meglio se vai via.»
«Scusa, in che senso faccio bene?» chiese Alfieri non comprendendo fino in fondo la frase del collega.
«Te lo devo dire io? Che non lo vedi?»
«No, non lo vedo» rispose stizzito.
«Li hai letti i quotidiani negli ultimi giorni? Dicono che siamo alla deriva, ci descrivono come elementi fuori di testa. Ieri non l’hai letto il giornale, vero?»
«No.»
«Tieni» aggiunse Maruzza prendendo il quotidiano da sotto il sedile «leggi in questo punto e poi dimmi se non è meglio che per un po’ sparisci.»
Alfieri iniziò a leggere, sottovoce: «...una squadriglia sbandata di poliziotti che, per disaccordo sulle modalità operative, si divide in due schieramenti arrivando al punto di mostrare le armi per sanare le divergenze emerse...»
«Cosa vi aspettavate, un premio per quello che avete fatto?» chiese sarcastico Maruzza.
«Un po’ di solidarietà da parte dei colleghi.»
«Ma come la puoi pretendere? Bell’affare chiamare il 118, tu e gli altri con il vostro rapporto avete messo in croce Rossetti e gli altri della squadra.»
«Se me ne vado» proseguì Alfieri, «le cose non cambieranno, la procura farà la sua indagine e io non ho nulla di cui vergognarmi.»
«Ti ho dato un consiglio, tu fai come vuoi. Molti colleghi ti vedono come il fumo negli occhi.»
Maruzza aveva un’espressione arcigna e Alfieri ebbe la sensazione che lui fosse uno di quelli.
«Volevo chiedere un paio di giorni, ma tu mi hai fatto cambiare idea» concluse Alfieri.