I giorni passarono lenti, ma l’inquietudine di Danizzetti ristagnava come acqua nella melma. Aveva imparato a convivere con il fango, e anche Rossetti e la sua gang non contribuivano a rendergli la vita facile. Sulla sua scrivania spiccavano i fascicoli dei quattro imbecilli con il rapporto conclusivo. Lui lo guardava con aria preoccupata.
L’aveva riletto più volte. Alcuni poliziotti erano stati sentiti come testimoni, altri interrogati direttamente dal Procuratore. Gli unici a non essere stati ancora ascoltati erano proprio Rossetti, Ferri, Agovino e Mancini. E il funzionario sapeva perché. La risposta era lì, sulla scrivania. Era una richiesta al giudice di custodia in carcere per i quattro scellerati.
Il Procuratore si era impegnato nella ricostruzione della vicenda e per meglio farlo avrebbe dovuto mettere in galera Rossetti e gli altri. A tenerli liberi si rischiava l’inquinamento delle prove, dando loro la possibilità di incontrarsi per poter concordare le strategie difensive o intimidire i testimoni, com’era accaduto ad Alfieri.
E proprio sul rapporto di Alfieri si teneva in piedi la possibile carcerazione dei quattro. Quel ragazzo, pensò Danizzetti, era un kamikaze. Aveva raccontato per filo e per segno le minacce subite in un bar sulla Flaminia da parte di quei colleghi.
Danizzetti richiuse il fascicolo e si preparò all’arrivo dell’uragano.