Era stata Silvia ad avvisare Alfieri dell’omicidio di Rossetti.
Lui, da Viterbo, era salito in auto e aveva guidato fino a Roma con il cuore in gola. Era accaduto l’irreparabile, l’avevano ammazzato.
Una volta a Roma andò diritto al parco, per vedere il corpo dell’ispettore. I colleghi non lo fecero avvicinare, nessuno poteva oltrepassare l’area delimitata. Confuso tra la gente, restò per un’ora a osservare quello spettacolo tetro, che lo tormentava in un groviglio di pensieri ed emozioni contrastanti. Fino a quando non si decise a rientrare in commissariato.
Si trovava nei pressi del corpo di guardia quando Ascani lo vide.
«Alfieri» lo chiamò.
«Sì.»
«Hai qualcosa da fare?»
«No» rispose un po’ sorpreso.
«Prendi un’auto e accompagna Danizzetti in via Oriani.»
Alfieri annuì senza comprendere. Non sapeva che l’auto usata dagli assassini di Rossetti era stata abbandonata nei pressi dell’ambasciata algerina. Scese in garage e prese un’Alfa. Risalì la rampa fino all’ingresso del commissariato. Danizzetti era lì, dritto sul marciapiedi. Entrò. Alfieri tentò un saluto discreto.
«Salve, dottore.»
«Hanno preso te?»
«Per me è un piacere farle da autista. Dove vuole che l’accompagni?»
«Ah! Non lo sai? In via Oriani hanno ritrovato l’auto degli assassini di Rossetti.»
Alfieri non perse tempo, inserì la prima e partì. Durante il breve tragitto non parlarono, ognuno correva dietro ai propri pensieri.
«Alfieri fai attenzione» disse il dirigente, «l’auto dovrebbe essere dietro alla curva.»
In effetti trovarono uno sbarramento alla via. Danizzetti scese dall’auto e si diresse verso la Volkswagen Polo posteggiata vicino ai cassonetti dell’immondizia.
Tutt’intorno un nugolo di poliziotti, a un centinaio di metri l’ambasciata algerina.
Masi era nei dintorni. Gli si avvicinò.
«È una brutta faccenda, Marino.»
«Lo sapevamo. Novità?»
«Qualche capello, un paio di reperti. La scientifica lavora. Ci sono le impronte, ma saranno del proprietario dell’auto. Marino, questa è gente che la sa lunga.»
«Testimoni? Tre uomini che escono da un’auto e la lasciano aperta con i finestrini abbassati potrebbero destare curiosità.»
«I miei uomini stanno facendo il giro dei palazzi.»
«E sull’auto ci sono notizie?»
«Rubata in nottata, qui vicino, in una traversa di viale Regina Margherita. Abbiamo contattato il proprietario, dice che è rientrato verso mezzanotte e questa mattina alle sette, quando è sceso per andare al lavoro, non l’ha più trovata.»
«Hai ragione Robe’, hanno studiato ogni particolare, gente addestrata. Chi è il proprietario della Polo, cosa fa?»
«Svolge l’attività di pubblicista per il Messaggero, sembra pulito.»
Seguirono istanti di silenzio tra i due dirigenti, entrambi con gli occhi puntati sull’auto come se gli sguardi potessero materializzare i volti degli assassini. Danizzetti si avvicinò. Un particolare aveva attirato la sua attenzione.
Era un piccolo foro all’altezza della maniglia del lato guida che la scientifica aveva cerchiato con un pennarello.
«Cos’è questo foro?» chiese.
«Non lo so» rispose Masi.
«Intorno non ci sono segni di ruggine, è stato fatto di recente.»
«Visto che non ci sono altri segni di effrazione, lo avranno utilizzato per aprire la portiera. Bisognerà chiamare la polizia stradale, loro sono competenti per i furti di auto.»
Danizzetti scosse la testa: «Ai miei tempi per aprire un’auto utilizzavano spadini, cacciaviti e piede di porco. Oggi si sono evoluti, sono più sofisticati. Ci mettono meno tempo e fanno meno chiasso», si sporse nell’abitacolo. «E anche il blocco d’accensione, una volta collegavano i fili sotto il volante, adesso accendono il motore con la chiave.»
«Potrebbe avergliela fornita il proprietario dell’auto» ribatté Masi.
«Oppure oltre all’auto, gli hanno fregato pure la chiave» obiettò Danizzetti.
«Ce lo faremo dire da lui.»
«Roberto, tienimi aggiornato. Vado a mettere qualcosa sotto i denti e torno in commissariato.»
Masi annuì, mentre il dirigente si avviò verso Alfieri che, stando in disparte, aveva ascoltato la conversazione.
«Dottore» intervenne l’assistente.
«Sì.»
«Vorrei dirle qualcosa a proposito della Polo.»
«Dai andiamo, me la dirai in auto. Ho bisogno di un caffè, prima che svenga.»
«Vorrei che mi desse cinque minuti, adesso.»
Danizzetti si fermò e lo guardò fisso negli occhi. Era una sua caratteristica quella di squadrare l’interlocutore quando suscitava interesse o dubbi.
«Che cosa c’è?» chiese con un po’ d’indolenza.
«Potrebbe esserci una traccia importante, dottore.»
Un lieve sorriso, ironico, apparve sul volto di Danizzetti.
«Alfieri, anche questa volta abbiamo confuso l’eroina con il bicarbonato?»
«Forse» sorrise Alfieri allo scherno del dirigente.
«Cosa vuoi dire?»
«Che il commando che ha ucciso Rossetti, è specializzato anche nel furto di auto.»
«Cioè?»
«Hanno rubato la Polo poche ore prima di commettere l’omicidio e l’hanno prelevata nelle vicinanze dell’obiettivo. È evidente che sono attrezzati e conoscono l’elettronica delle moderne autovetture.»
«Come fai a dirlo?» domandò perplesso Danizzetti.
«Poco fa lei ha rilevato quel piccolo foro vicino alla maniglia.»
«Sì.»
«Da lì, il ladro, inserisce lo spadino per aprire la portiera.»
«Lo so, l’abbiamo già detto con il capo della mobile» rispose Danizzetti, curioso di capire dove volesse arrivare l’assistente.
«Dottore, sono sicuro che se lei facesse venire qui il proprietario della Polo e gli chiedesse di mettere in moto l’auto con la sua chiave questa non partirebbe più.»
«Non riesco a comprenderti» lo incalzò il funzionario. «Alfieri, non fare troppi giri di parole, vai al sodo.»
L’assistente stava per rispondere, ma fu preceduto da Masi.
«Marino» chiamò il capo della mobile, «è arrivato il proprietario della Polo. Sta facendo un po’ di storie, vieni sentiamo cosa vuole.»
Danizzetti annuì. Poi si rivolse ad Alfieri e gli intimò di seguirlo con un cenno della testa.
L’uomo si chiamava Luigi Ippoliti, un tizio di mezz’età, piccolo di statura e magro.
«Salve, sono il dirigente Danizzetti e lui è il dirigente Masi, della squadra mobile.»
«E io sono il padrone dell’auto. Quando posso riaverla, visto che me la sequestrate?» chiese con stizza.
«Per ora non possiamo restituirgliela. La sua auto è stata utilizzata per commettere un omicidio. Siamo obbligati a sequestrarla fino a quando l’autorità giudiziaria non deciderà di restituirgliela. Mi dispiace.»
«Voi non potete! Come faccio senza?» domandò allarmato l’uomo.
Danizzetti lo rassicurò: «Si calmi e cerchi di ragionare. Le prometto che seguirò personalmente la faccenda e nel giro di pochi giorni le farò riavere la sua Polo. Va bene?»
Ippoliti parve calmarsi, abbassò la testa e si mise le mani sul volto.
«Grazie, mi scusi» si giustificò l’uomo, «per la mia famiglia è un brutto periodo. Mia moglie ha avuto un incidente stradale e io sto per perdere il posto di lavoro. Ci mancava pure questa.»
«Non si preoccupi, solo qualche giorno e la riavrà. Quando si è accorto del furto?»
«Stamani, prima di andare al lavoro. Non era più dove l’avevo parcheggiata.»
«Ha notato qualcosa di sospetto, magari qualcuno che la pedinava?»
«Niente» Ippoliti rispose con una smorfia, «cosa vuole che noti. In questo periodo non vedrei nemmeno un elefante. Ho la testa confusa, pesante.»
«Capisco. Un’ultima cosa, signor Ippoliti. Lei ha con sé la chiave della Polo?»
«Sì» rispose l’uomo mostrandola «l’ho portata con la speranza di riprendermi l’auto.»
Ippoliti gli porse la chiave. Danizzetti scambiò due parole con il personale della scientifica, così da essere certo di non inquinare alcuna prova, e si sistemò sul sedile lato guida. Dal quadro estrasse la chiave che gli uomini del commando avevano lasciato inserita e infilò quella fornita da Ippoliti. Fece alcuni tentativi, ma il motore non si avviò. Era come se dal quadro non arrivasse alcun impulso al sistema elettronico, come se quella chiave non appartenesse a quell’auto.
«Ippoliti, è sicuro che sia la chiave giusta?» chiese alla fine Danizzetti.
«Certo che sono sicuro, è quella che utilizzo abitualmente» rispose infastidito l’uomo.
Il dirigente tolse la chiave che gli aveva fornito Ippoliti e reinserì quella lasciata dal comando. Mezzo giro e l’auto partì. Tolse di nuovo la chiave e la mostrò a Ippoliti.
«Questa chiave è la sua?» domandò.
«No, mai vista.»
«È sicuro?»
«Sicuro come il fatto che oggi non mi restituirà la Polo» concluse Ippoliti.