La via era stata chiusa, ma qualche fotografo riuscì a svicolare tra i palazzi dalle cui finestre si affacciavano i curiosi. Qualcuno iniziò a reclamare la propria auto in sosta lungo la strada e persino l’area intorno all’ambasciata algerina era stata chiusa al traffico.
L’aria greve di un pomeriggio d’inizio primavera sembrava stagnare sopra un quartiere preoccupato. La notizia dell’omicidio di un ispettore di polizia, e soprattutto le modalità, si stava diffondendo per la città, così come quella che il movente andava ricercato nel parco dove era stato ritrovato il cadavere, sotto una luce fioca a illuminare una notte fredda e maledetta. Danizzetti voleva fare in fretta, giocare d’anticipo sugli eventi, era da sempre una sua prerogativa. Perciò, una volta congedato Ippoliti, chiamò a sé Alfieri.
«Tu, mi devi delle spiegazioni» gli disse.
«Certo dottore» acconsentì l’assistente.
«Cosa sta succedendo?» chiese invece perplesso Masi.
Danizzetti ignorò la domanda del collega e proseguì con Alfieri: «Cosa hanno fatto a questa macchina?»
«La chiave e il blocchetto d’accensione» rispose Alfieri andando subito al sodo «appartengono a un’altra Volkswagen Polo. Se fossero stati in possesso della chiave originale non avrebbero praticato quel foro per aprire la portiera.»
«Tu ci capisci di furti d’auto?» chiese Danizzetti rivolgendosi a Masi.
«Non molto» rispose vago il funzionario.
Non era così anormale, pensò Alfieri, che due dirigenti di quel calibro fossero all’oscuro sulle modalità messe in campo dai ladri di veicoli. Di recente era stato chiamato come teste in un tribunale contro un tizio che aveva falsificato l’impronta della revisione della propria auto. Durante la deposizione aveva fatto più volte riferimento ai caratteri alfanumerici difformi rispetto a quelli in uso alla motorizzazione e per tutto il tempo il giudice lo aveva fissato con un’aria smarrita. Alla fine il magistrato si era lasciato andare alla domanda che aleggiava nell’aula del tribunale: «Scusi assistente, ma cos’è la revisione?»
Alfieri, nei suoi anni in polizia, aveva imparato due cose essenziali: mai dare nulla per scontato e valutare i colleghi in base alla professionalità, senza mai venire meno, però, al rispetto dei gradi.
«Vai avanti Alfieri» sollecitò Danizzetti.
«Per aprire le portiere e avviare il motore» riprese l’assistente, «si usa la stessa chiave. Se hanno dovuto praticare un foro, significa che non erano in possesso della chiave.»
«E quindi?»
«Quindi per rubarla hanno utilizzato il kit elettronico di un’altra Volkswagen Polo.»
«Che cos’è il kit elettronico?» chiese Danizzetti perplesso.
«Il kit è composto da una centralina di iniezione del carburante, una scatoletta con fusibili, un blocchetto d’accensione e la relativa chiave. Quattro componenti indivisibili che possono funzionare solamente se collegati tra loro. La chiave quadro ha all’interno un microchip con un codice digitale che invia un segnale alla centralina in grado di riconoscere la parola d’ordine. Solo se il meccanismo elettronico è integrato la centralina invia l’ordine di polverizzare il carburante nei cilindri, altrimenti il motore girerebbe a vuoto senza avviarsi.»
«Che mi venga un colpo se c’ho capito qualcosa» sorrise Danizzetti guardando Masi «stiamo diventando vecchi, collega, non ci sono più i ladri di una volta.»
«Che c’entra la centralina elettronica?» chiese Masi un po’ stizzito. Era normale che lo fosse, quello che aveva di fronte era poco più di un agente, lui il capo della mobile.
«Come dicevo» rispose Alfieri stando attento a non urtare le suscettibilità, «è un dispositivo che governa la funzione vitale dell’auto: dall’iniezione del carburante nei cilindri alla corretta fase della scintilla nella camera di scoppio. È persino in grado di rilevare le condizioni d’esercizio del motore. Per analogia con il passato, si potrebbe dire che la centralina svolge contemporaneamente i compiti del carburatore e dello spinterogeno.»
«Quindi, se non ho capito male» aggiunse Masi, «non avendo la chiave originale, per poter avviare il motore i ladri hanno dovuto cambiare tutte le parti a esso collegato.»
«Esatto dottore. La chiave che aveva Ippoliti non è più riuscita a far partire l’auto perché sulla sua vettura è montato un altro sistema elettronico che funge d’antifurto. Le autovetture moderne» proseguì Alfieri, «hanno un sistema di antifurto collegato all’accensione. Ogni quadro riconosce solo la chiave connessa al kit, senza la quale il veicolo non può mettersi in moto. Questo antifurto si chiama immobilizer, ma i ladri professionisti hanno trovato il modo di aggirarlo.»
«È incredibile!» esclamò Danizzetti «ne hanno fatta di strada dai fili collegati sotto il volante.»
«È il loro mestiere, dottore.»
«Tutto questo come ci può essere utile?» chiese Masi con il solito piglio.
«La centralina si trova quasi sempre nel vano motore. Chi ha ucciso Rossetti ha acquistato il kit elettronico di cui parlavamo. Se così fosse avremmo una traccia importante da seguire.»
«Alfieri, mi stai facendo scoppiare la testa» Danizzetti si portò la mano sulla nuca. «Fammi vedere questa dannata centralina.»
Alfieri fece un cenno, si avvicinò all’auto e alzò il cofano. Cercò una chiave spaccata che utilizzò per svitare i dadi, staccò alcuni fili ed estrasse dall’alloggio un oggetto in metallo lucido, inscatolato, lungo una ventina di centimetri e spesso tre.
«È questa, dottore» disse alla fine.
«Bella! Ma che cosa ci facciamo?»
«Se la portiamo alla Volkswagen, attraverso la loro banca dati potremmo riuscire a estrapolare il numero di telaio a cui la centralina era originariamente assemblata, sempre che...» Alfieri si soffermò per un istante.
«Sempre che…?»
«Non l’abbiano rigenerata attraverso la cancellazione dei dati, ma è difficile.»
Masi guardò truce Alfieri.
«Se ho ben capito questa scatoletta si può anche rigenerare e utilizzare per più vetture, è così?»
«Sì, dottor Masi, è così. La cancellazione dei dati avviene sottoponendo la memoria a sola lettura a un’emissione di raggi ultravioletti di una specifica lunghezza d’onda per un determinato periodo di tempo, mentre la riprogrammazione viene effettuata con un particolare dispositivo. Non è un’operazione difficile, però servono dei tecnici che non sempre sono collusi con la malavita. Cerchiamo di accantonare questa eventualità e pensiamo positivo.»
«Se Alfieri ha ragione» considerò Masi, «con un po’ di fortuna, potremmo trovarci di fronte a un numero di telaio, una targa e un nome su cui indagare.»
«Che cosa aspettiamo, allora? Andiamo alla Volkswagen.»
«Un’ultima cosa, Alfieri» s’intromise ancora Masi. «Questi ladri dove prendono i kit elettronici?»
«Da auto incorse in gravi incidenti stradali che a causa dei danni subiti sono destinate alla demolizione.»
«Vuoi dire che acquistano dei rottami?»
«Sì. Li smontano e rivendono le parti che possono essere riutilizzate e si servono dei kit per rubare veicoli della stessa marca e modello…»
«Dove hai imparato queste cose?» domandò serio Danizzetti.
«Se mi consente, dottore, le spiegherò tutto un’altra volta. Suggerirei di andare alla Volkswagen prima che gli uffici chiudano.»