In una torrida sera di giugno, tre auto della polizia correvano sulla corsia interna del raccordo anulare, direzione Tor Bella Monaca.
Alfieri, alla guida della solita Alfa, ascoltava in silenzio Danizzetti e Masi scambiarsi opinioni.
«Abbiamo personale a sufficienza per chiudere le vie di fuga del palazzo» asseriva il capo della mobile, «è tutto organizzato, ma dobbiamo fermarci due minuti alla prossima area di servizio per prendere accordi con il dirigente del commissariato Casilino. È già lì che ci aspetta.»
«Chi è questo tipo, è una persona fidata?» domandò Danizzetti.
«Lo è. Si chiama Mario Casella e conosce Valter Leoni. Lo ha arrestato un paio di volte.»
«Perfetto.»
Alfieri, su indicazione di Masi, si immise sulla corsia di decelerazione dell’area di servizio, in un angolo poco illuminato. Due uomini erano in attesa fuori da un’auto.
Solo Danizzetti e Masi scesero dall’Alfa, gli altri rimasero a bordo.
Casella si avvicinò.
«Dottor Masi, a sua disposizione» disse porgendogli la mano.
«Mario, ti presento il dottor Danizzetti» rispose Masi.
«Piacere, è un onore conoscerla.»
Pochi convenevoli, era importante fare in fretta. Si erano dati appuntamento lì per organizzare una perquisizione dai risvolti indefiniti, ma che poteva essere vitale. Dovevano smascherare gli assassini di Rossetti.
Casella disse che due pattuglie in abiti civili stavano già monitorando la zona. Erano poliziotti smaliziati che conoscevano Leoni e tutti gli altri pregiudicati del posto.
«Poco fa ho sentito i miei uomini» proseguì Casella, «Leoni non è in casa, o almeno non lo hanno visto arrivare.»
«Chi è questo tizio?» domandò Danizzetti appoggiandosi al montante dell’auto.
«Tratta auto rubate» rispose Casella. «Lavora con un paio di balordi, rifanno i telai e rivendono le auto ripulite a concessionarie compiacenti. Oppure le vendono con annunci su Porta Portese o in Internet. Si è separato da poco e non ha figli.»
«Un personaggio di basso calibro che potrebbe aver deciso di alzare il tiro» proseguì Danizzetti assorto in mille pensieri.
«Può darsi dottore. Potrebbe esserci un problema, però.»
«Quale?»
«Non sappiamo se Leoni abita ancora in quella casa. Lì ha ancora la residenza, ma da qualche mese si è separato» proseguì Casella.
«Potremmo fare un buco nell’acqua.»
Casella annuì.
Danizzetti guardò Masi che percepì al volo alcune perplessità. «Marino» disse, «andiamo lo stesso, non possiamo fare altro.»
Risalirono in auto e ripartirono. Davanti a loro sulla destra, sopra una collina, spuntarono i palazzoni di Tor Bella Monaca.
Il quartiere si trovava a sud di Roma, in una delle borgate più disagiate della città. Danizzetti lo conosceva bene. In passato ne aveva testato il degrado, un decadimento che veniva da lontano, dagli anni Venti, nel periodo in cui centinaia di famiglie erano state coartate dal centro verso la periferia.
Danizzetti, dal finestrino dell’auto, osservava le strade dove bande giovanili ciondolavano insieme a tossici e barboni. Abitazioni fatiscenti costruite con il tufo, dall’aspetto desolato. Ovunque residui d’intonaco. Di fronte a una di queste, le tre auto della polizia si fermarono. Danizzetti, Masi, Casella e altri tre poliziotti, compreso Alfieri scesero e si posizionarono secondo un protocollo già collaudato.
Entrarono nella palazzina.
«È qui» disse Casella indicando il portone.
Prima di bussare, Danizzetti lanciò un’occhiata di intesa ai colleghi che si disposero in sicurezza ai lati del portone, ognuno con la Beretta impugnata.
A quel punto il dirigente bussò.
Nessuna risposta.
Bussò ancora. Niente.
«Non c’è nessuno» disse.
«Aprite, polizia» incalzò Masi.
All’improvviso l’uscio si spalancò e una donna magra, con il volto scavato, apparve sull’uscio.
«Stavolta siete venuti in pompa magna» disse sprezzante.
«Buonasera Adriana» salutò Casella, «dobbiamo perquisire la casa.»
La moglie di Leoni annuì con l’aria remissiva. Anche lei, come il marito, proveniva da una borgata di Roma.
«Sono separata da Valter.»
«Sì, lo sappiamo. Dov’è?»
«Non lo so e non lo voglio sapere. Sono stanca di pagare per le sue cazzate» proseguì Adriana con l’aria rassegnata. Non si era mai aspettata molto dalla vita e non aveva mai sognato, nemmeno quando aveva l’età per farlo.
Non aveva mai potuto permettersi il lusso di sognare, con un padre che faceva avanti e indietro da Regina Coeli e una madre con cinque figli da crescere. Da subito si era abituata a vedere persone in divisa. Uomini che entravano in casa, buttavano tutto all’aria e portavano via suo padre.
Anche Valter era uno spiantato di borgata, ma le aveva parlato d’amore, di una famiglia, di normalità, cose che lei non aveva mai avuto. E invece, si era ritrovata a dover affrontare altri uomini in divisa, altre perquisizioni, arresti, avvocati e processi, una fotografia nemmeno troppo sbiadita dell’infanzia. Adriana guardò con distacco quei soliti volti sul pianerottolo.
Diede loro la schiena e li fece entrare. L’appartamento era in disordine e fatiscente. Panni ammucchiati un po’ ovunque, piatti accatastati nel lavello e un tappeto liso ricopriva il pavimento, spaccato in varie parti.
I poliziotti guardarono in ogni stanza, Adriana era sola in casa.
«Vuole avvisare un avvocato per farsi assistere nella perquisizione?» chiese Danizzetti.
«Ne posso fare a meno» rispose lei sedendosi.
Il dirigente con un cenno diede il via alla perquisizione. La fecero come il manuale prevedeva, dal generale al particolare, dall’alto verso il basso, facendo attenzione a nomi, numeri telefonici, agende e a ogni altro dettaglio. Sotto un comodino trovarono una decina di copie di carte di circolazione. Alcune tedesche. Danizzetti le osservò con attenzione, ma nessuna di esse riportava il numero di telaio della Polo importata dalla Germania. La copia della carta di circolazione con la serie alfanumerica identica a quella dettata da Heineman fu trovata sopra al comò, di fianco al portone d’ingresso. Leoni non si era preoccupato di nascondere un documento così importante, non lo aveva ritenuto fondamentale.
Trovare Leoni divenne ancora più importante.
«Dov’è suo marito?» domandò Danizzetti con un piglio deciso.
«Non lo so» rispose Adriana.
«Guardi, non le conviene assumere questo atteggiamento. Non le chiedo molto, solo di conoscere i luoghi che frequenta e dove abita. Avrà un tetto.»
«Le ho detto che non so dove sta.»
Danizzetti guardò Casella.
«La porti in Commissariato» disse, «la signora Moscini è in arresto per favoreggiamento.»
«Arrestarmi! Perché?»
«E mi consegni il suo cellulare. Per il momento non può fare né ricevere telefonate.»
«Vigliacco.»
«Portatela via!» ribatté Danizzetti mentre gli uomini di Casella trascinavano fuori la donna.
Fecero salire Adriana in auto, mentre Danizzetti e Masi si erano fermati sulla strada a parlottare.
«Roberto, dobbiamo trovare Leoni e dobbiamo trovarlo in fretta.»
«Temi che qualcun altro lo trovi prima di noi?»
«Esatto.»
«Che ne pensi della moglie?»
«Forse non sa dove si trova suo marito, ma non possiamo rischiare che lo avverta. Dobbiamo trattenerla il più possibile. L’accusa di favoreggiamento non tiene, se chiama l’avvocato in un attimo è fuori.»
«Vado in commissariato a fare due chiacchiere con lei, magari riesco a farle sciogliere la lingua».
Danizzetti annuì.
Alfieri per tutto il tempo era rimasto in disparte. Aveva partecipato alla perquisizione, seguito con attenzione l’evolversi dei fatti, ma lo aveva fatto in silenzio, laterale, come conviene a un assistente di polizia. Danizzetti aspettò che Masi si allontanasse e lo chiamò.
«Non credo che tu stia simpatico a Roberto» gli disse.
«Ho fatto qualcosa che non avrei dovuto fare?» domandò Alfieri.
«Lui è il capo della squadra mobile, tu un pivello saputello. C’è da capirlo.»
«Avrei fatto meglio a farmi gli affari miei, sia oggi con la Polo sia al parco con gli Algerini.»
«Non ne sei capace. Allora, saputello, non è andata benissimo.»
«Neanche male, dottore. Abbiamo la carta di circolazione. Una prova.»
Danizzetti scosse la testa.
«Abbiamo poco e a quest’ora Leoni sarà già stato avvisato della perquisizione.»
«Come facciamo a trovarlo?»
«Con i soliti metodi» Danizzetti sbandierò il cellulare di Adriana, «attiveremo l’intercettazione dei due numeri di Leoni. Adriana ha salvato due numeri con il nome del marito. È un lavoro che lasceremo fare a Masi e ai suoi uomini. Io farò alla vecchia maniera. Domani mattina alle otto vieni nel mio ufficio, mi farai da autista.»
«Il sovrintendente Artini non sarà molto contento. Dovrà trovare un altro collega da mandare al mio posto all’ambasciata algerina.»
«Artini è un buon poliziotto e saprà trovare la soluzione. Ora vai a riposare, ci vedremo domattina in ufficio.»
Alfieri non sapeva ciò che Danizzetti aveva in mente. Sentiva in cuor suo, però, di avere la possibilità di riscattarsi, di dimostrare di non essere un piantagrane come lo avevano etichettato. Eppure, in quella notte stellata, mentre rientrava in commissariato percorrendo i chilometri del raccordo anulare, i suoi pensieri volarono di volto in volto, fino ad approdare sul viso di Silvia. Su di lei lasciò fluire le ansie di quell’assurda giornata.