A Marco piaceva il contatto fisico con Silvia, gli dava una sensazione di possesso, d’intimità. Gli piaceva tenerla per mano, incrociare le dita e stringerla a sé, come e quando poteva. Per lui, anche solo sfiorarla era come avere una guida in un mondo senza luce.
Erano sensazioni nuove, necessarie per relegare Nicole in un angolo del cuore e dare respiro all’animo.
Di tutte le cose che stavano accadendo una, in particolare, lo aveva colpito, e cioè la capacità di essere compreso anche negli sguardi. Lei aveva il dono di elaborare i concetti che, a volte, Marco esprimeva in modo superficiale e di cogliere persino negli atteggiamenti un pensiero non espresso.
In una notte d’estate a Trastevere, il rione pulsante di Roma, erano questi i pensieri di Alfieri, mentre tra i sampietrini e le piazze passeggiava con lei, in silenzio. Tra quelle vie, dov’era palpabile il cuore e l’orgoglio di una Roma antica e indomita, Marco e Silvia avevano fondato la culla del loro sentimento.
Senza quasi accorgersene imboccarono un vicolo stretto fatto di mattoni, poco illuminato e dove a malapena riusciva a entrare un’autovettura. C’era un palazzo con un portone di legno massello, antico e ferrato con nottole e chiavistelli tipici dell’Ottocento. All’interno un chiostro.
«Marco, è bellissimo...»
«Ssshhh!» le rispose lui portandosi l’indice al naso. Era come se qualsiasi parola potesse disturbare i loro momenti fatti di silenzio.
Alfieri gettò uno sguardo dentro il chiostro, ma non si riusciva a vederne il fondo per l’assenza d’illuminazione. Le fece un cenno e lei non si lasciò pregare. Entrarono e si misero in un angolo. Si strinsero forte, come se volessero fondersi, mentre le loro labbra si unirono con vigore.
La baciò con tutta la passione che poté e con il tormento di aver dimenticato l’impetuosità di un bacio. Stettero così per qualche minuto. Il desiderio salì. L’accarezzava lungo il corpo sinuoso, lei lo teneva stretto a sé.
Non staccarono le loro labbra nemmeno per un istante, neppure per riprendere fiato. Le mani presero a correre ovunque. Le labbra sulla pelle, i sospiri nei sensi.
Poi, lui la prese per i fianchi e la spinse su un piccolo muretto. Il vestito di Silvia non era così lungo e gli slip non avrebbero rappresentato una barriera. Esitò. Non sapeva cosa fare. Era tentato, ma si trovavano in un chiostro, un luogo pubblico e loro erano poliziotti. Fu lei a togliere ogni dubbio e lo fece slacciandogli i pantaloni.
Stravolto nei sensi ruppe l’ultimo indugio. Senza staccarsi dalle sue labbra entrò dentro di lei.
Silvia sussultò, mentre lui non si mosse.
Rimase immobile, teso ad ascoltare ogni fremito che saliva dai loro corpi avvinghiati. Osservava il suo volto, gli occhi socchiusi, il respiro che lo penetrava.
Una tempesta di piacere.
Alfieri si sentì libero e riuscì a volare al di sopra di tutti i mali, più in alto del tormento, più della malinconia, così in alto che divenne impossibile percepire la sofferenza.
Quella sera di un’estate qualunque, Marco e Silvia si amarono, ma la natura è sprezzante verso le sue creature, le illude facendole sentire in una congiunzione semplice e all’apparenza banale. In quella notte sotto le stelle, in un chiostro al buio, due poliziotti si sentirono al sicuro e non più soli.
Non immaginavano, però, che quello fosse solo un istante isolato di felicità.