Sonia Corsi non prese l’ascensore, non le serviva.
Scese di corsa le scale e rimase in ascolto.
Aveva il volto violaceo, i nervi del collo tirati come una molla, gli occhi contratti e accesi dalla follia. I pensieri come onde nella tempesta e senza una terra su cui approdare. Nella mente si susseguivano vortici paurosi e un fuoco di rabbia le avvampava il volto.
Si sentiva abbandonata e rifiutata, derisa e tradita. Sentiva di dover fare giustizia, riacquistare la dignità e ribellarsi al condominio che la voleva schiava dei pettegolezzi.
Era stufa delle chiacchiere che le arrivavano, viveva in un ambiente corrotto da donne perverse dedite al libertinaggio.
Con questi pensieri si era alzata quella mattina. Edoardo non era rientrato e lei era convinta che l’avrebbe trovato tra le gambe di qualche prostituta del palazzo.
Faceva caldo, ma lei non lo sentiva. Sopra il pigiama, aveva messo una vestaglia di lana, e calzato pantofole foderate di pelo. Con i capelli ancora arruffati era uscita dall’appartamento.
Si guardò intorno attenta al minimo rumore, guardinga come una cacciatrice in attesa della preda. Scese da un piano all’altro fino a quando non sentì un rumore famigliare. Era lo scatto di una serratura. Sussultò.
Si sporse dalla tromba delle scale e guardò in basso, verso il settimo piano. Qualcuno stava uscendo. Corse sulle scale, affrontò i gradini due a due e in un minuto arrivò al pianerottolo. Sull’uscio di un appartamento, una donna stava per chiudere la porta.
Prima che questa potesse capire, sentì sul volto un pugno che la scagliò contro il muro. Sonia prese a colpirla con schiaffi e calci. La donna, sopraffatta, cadde a terra, ma riuscì a urlare, grida isteriche in parte strozzate.
Urla che la salvarono, perché Sonia venne afferrata alle spalle e scaraventata lontano dalla sua vittima. Altre voci, altre persone all’improvviso affollarono il pianerottolo, Sonia scappò, mentre qualcuno, chinandosi sulla donna ferita, la chiamava.
«Angela! Mi senti? Sono Giulia, mi senti? Sono la poliziotta.»
La donna con il volto tumefatto guardò negli occhi Giulia Mariani, la sbirra del sesto piano. Lei aiutò Angela a rialzarsi e a rientrare in casa.
Nello stesso momento afferrò il cellulare e compose un numero.
«Pronto, ciao Laurenti, sono Giulia Mariani. C’è stata un’aggressione a una ragazza nel mio palazzo. Mi serve un’autoambulanza e una volante… sì, sono in via Duse… grazie.»
Chiuse la conversazione e guardò Angela. Perdeva sangue dal naso.
«Perché mi ha aggredito?» domandò, «cosa le ho fatto?»
Giulia conosceva Sonia e le sue bizzarrie, tutti nel palazzo la conoscevano, ma non credeva che potesse rivelarsi così pericolosa.
«Ce la fai a ricordare cosa è accaduto?» domandò a sua volta.
«Non so...» rispose esitante la donna. «Uscivo da casa… l’ho vista correre per le scale... mi è saltata addosso e ha iniziato a picchiarmi, a insultarmi, a dirmi delle cose... aveva gli occhi...»
«Cerca di farti forza. Sarà anche pazza, ma quello che è accaduto oggi non dovrà ripetersi.»
Giulia si ripropose di parlare con il signor Corsi, da troppo tempo sua moglie andava in giro per il palazzo a inveire contro i condomini. Li ricopriva di epiteti, ma un conto erano le aggressioni verbali, un altro quelle fisiche.
Stava ancora pensando al da farsi, quando due infermieri con una barella apparvero sulla porta dell’appartamento.
«Venite» disse, «vi ho chiamati io.»