Danizzetti rientrò in commissariato. Prima ancora di mettersi a sedere nel suo studio, prese il telefono e chiamò Ascani.
«Sì dottore, mi dica, qui c’è un casino. La cercano tutti.»
«Lo immagino, ma per il momento non dire a nessuno dove sono. Prima di sorbirmi tutte le domande devi trovarmi Silvia Grandi.»
«Un attimo fa era qui. La rintraccio e gliela porto.»
Danizzetti riagganciò e si mise seduto. Appoggiò i gomiti sulla scrivania e cercò di pensare. Doveva farlo in fretta, erano già le dieci. La notte calava minacciosa come un rasoio sulla città, il traffico frenetico di Roma non conosceva sosta e le auto avevano ripreso a circolare sull’asfalto ancora intriso del sangue di Rocco.
Qualcuno suonò alla sua porta. Schiacciò il solito pulsante e la Grandi entrò.
«Mi ha mandato a chiamare?»
«Sì, entri» rispose gelido il funzionario notando una tumefazione sulla fronte della donna. «Senta» aggiunse senza invitarla a sedere, «io non amo i convenevoli e sono abituato ad andare subito al sodo. Le farò alcune domande ed esigo delle risposte chiare.»
«Mi dica dottore… non capisco cosa...»
«Lei sa chi ha investito il sovrintendente Artini?»
«No, no, non lo so» balbettò Silvia.
«Non ha visto nulla?»
«È accaduto così in fretta, non ho avuto il tempo di vedere.»
«Lei conosce i coniugi Edoardo e Sonia Corsi?» domandò Danizzetti senza esitare.
Silvia fece un attimo di pausa, raccolse alcuni pensieri e rispose.
«Non di persona. Li conosco tramite la collega Giulia Mariani, ne abbiamo parlato in seguito a un’aggressione…»
«Aggressione?»
«Giulia mi disse che la signora che lei ha nominato aveva procurato delle lesioni a una sua vicina di casa.»
«Edoardo Corsi lo ha mai incontrato?» continuò il funzionario.
«No, mai… perché queste domande? Non capisco…»
«Lei è fidanzata con Alfieri?»
«Stiamo insieme da qualche mese, ma che cosa c’entra con la morte di Rocco?» domandò Silvia confusa.
Danizzetti ignorò la sua richiesta.
«Ha mai ricevuto minacce di morte?»
«No, no, cioè... forse... qualcosa...» sussurrò Silvia.
«Si spieghi meglio.»
«Da un paio di settimane ricevo delle strane telefonate sul cellulare» spiegò la poliziotta con il volto rigato da lacrime. Era forte il dolore per la morte di Rocco, ma non voleva mostrarsi debole, non di fronte al dirigente. «Chiamate alle quali nessuno risponde. Da qualche giorno le telefonate si sono fatte più insistenti. Ho chiesto alla persona di parlare, se ne avesse avuto il coraggio.»
«E quindi?»
«Una strana voce femminile... gutturale, ha preso a canticchiare una strana filastrocca. Non riuscivo a comprendere chi fosse e cosa volesse, credevo fosse uno scherzo di cattivo gusto.»
«Poi?»
«Poi le telefonate sono aumentate nell’ordine di quattro, cinque al giorno. Ho detto che ero una poliziotta e che avrei potuto farle passare dei guai.»
«Come ha reagito?» domandò Danizzetti.
«Con arroganza. Mi ha risposto che mi avrebbe rintracciato per farmela pagare.»
«Le ha detto dove l’avrebbe potuta trovare?»
«Sì. Se voleva avrebbe potuto trovarmi questa sera in commiss…» Silvia non finì la frase. Si portò la mano alla bocca, gli occhi atterriti da un presentimento divenuto all’improvviso realtà. «Quella donna voleva uccidere me e Rocco è morto a causa mia…»
«Quando è stata l’ultima telefonata che ha ricevuto?»
Silvia cercò di ricomporsi, ma era stravolta.
«Questa mattina…»
«Quando la chiamava, sul suo cellulare appariva il numero?»
«No mai, sempre privato.»
Danizzetti, dopo un istante di silenzio, la fissò.
«Mi spiace Grandi, ma questo non è un buon periodo per il commissariato. Troppi morti, troppe disgrazie e tutti noi ne siamo un po’ responsabili. Per la sua incolumità fisica e per quella di altri, chiederò che venga sospesa dal servizio» la congedò il dirigente.