Quella notte il sonno di Alfieri fu tranquillo. Era finalmente riuscito ad allontanare le angosce imponendosi di affrontare la vita con fatalismo, senza forzare a tutti i costi gli eventi. Non sapeva quanto sarebbe durata quella sensazione e, anche se non nutriva grandi speranze, avrebbe cercato di beneficiarne più a lungo possibile.
«Buongiorno» gli disse Parri vedendolo sveglio, «di là c’è il caffè pronto.»
«Grazie» rispose Alfieri stiracchiandosi con le braccia rivolte al soffitto.
«Alfieri» chiamò l’ispettore Ascani, «sei sicuro che la sim di questo Traccis sia attiva? Sicuro di aver controllato bene?»
Era chiaro che i giorni trascorsi senza novità facevano breccia nelle certezze, pensò Alfieri.
Lui sbadigliò e rispose.
«Ho controllato più volte i tabulati e l’Imei del cellulare.»
«Speriamo bene per te» proseguì con sarcasmo Ascani, «Danizzetti ci ha detto che se la valigia non si dovesse attivare ne avrebbe una pronta per te.»
Alfieri si mise seduto sul letto e lo guardò. Non gli piaceva il tono usato dall’ispettore, non gli piaceva la sua ironia.
«Scusa, ma che cosa significa?»
«Che finalmente ti levi dai coglioni» bisbigliò l’ispettore.
Alfieri sentì le parole. Di colpo il torpore della notte svanì insieme alla sensazione di benessere. Scese dal letto e si avvicinò minaccioso ad Ascani.
«Ripeti quello che hai detto!» esclamò.
Ascani lo allontanò con una spinta.
«Che ti devi levare dai coglioni, stronzo!» gli gridò.
Alfieri stava per colpirlo quando Parri si frappose tra i due.
«Lasciami ‘sto cazzone» proseguì Ascani spostando di lato Parri.
Nella fase concitata volarono insulti e qualche schiaffo, Parri cadde a terra, si rialzò, cercò di fermarli senza riuscirci. Si frappose ancora, fu colpito con un pugno all’altezza della nuca, imprecò. All’improvviso i due antagonisti si fermarono e si allontanarono frustrati per non aver potuto mostrare le proprie ragioni, senza essersi sfogati della rabbia repressa.
Un impulso elettronico li mise d’accordo. Il localizzatore entrò in funzione. Il silenzio fu interrotto dagli squilli del cellulare intercettato. Di corsa si avvicinarono al tavolo e infilarono la pistola nella fondina. Attesero pietrificati con il cuore in gola. Squilli taglienti come rasoiate, fino a quando qualcuno rispose.
«Pronto.»
«Sì.»
Due voci maschili dal tono distorto.
«A che punto sei?»
«Ho quasi concluso, mi manca poco.»
«Voglio sapere quanti giorni.»
«Tre, non di più.»
«Bene. La verità sarà il nostro successo.»
«È così.»
«Stiamo analizzando il materiale che ci hai fornito... è incredibile...»
«Lo so.»
«Fai presto e stai attento.»
«Non ti preoccupare.»
«Ciao.»
La telefonata si concluse. Parri guardò le coordinate sul radiogoniometro.
«È qui, davanti al commissariato!» tuonò.
«Andiamo» rispose Ascani, «tu no Alfieri, tu rimani qui.»
«Ma vaffan…» imprecò l’assistente mentre si precipitava lungo le scale.
Prima ancora che Ascani riuscisse a fermarlo, Alfieri aveva guadagnato l’uscita e stava correndo verso l’ingresso del commissariato. Ascani e Parri lo seguirono.
Una corsa affannosa che durò pochi istanti.
«È qui» disse Parri. «È da questo punto che è partita la telefonata, lo strumento non può sbagliare. Era sul marciapiede.»
«Non c’è, cazzo, non c’è. Maledetto!» Alfieri digrignò i denti con tanta rabbia che sentì scattare le ossa della mandibola. Si guardò intorno nervosamente, osservò i volti della gente, ma non riuscì a individuare alcuno che potesse avere le caratteristiche dell’uomo che cercavano.
«Non puoi essere sparito così, dove sei, dove sei?» si domandava con un filo di voce.
Scrutava gli occhi dei passanti, li interrogava, ma non riuscì a scorgere nulla. Anche Ascani e Parri camminavano guardinghi, osservando con sospetto ogni passante.
«È un poliziotto, non ci sono dubbi» disse Parri.
Alfieri annuì. Poi spostò d’impulso l’attenzione verso l’ingresso del commissariato. Guardò l’orologio, le tredici e quindici.
«Giacomo» disse Alfieri, «oramai si sarà allontanato oppure è entrato. Diamo un’occhiata.»
«Proviamo.»
Al corpo di guardia era in servizio l’agente Giuliano Natali che rimase colpito dalla veemenza con la quale i tre poliziotti varcarono l’ingresso.
«Natali» disse Parri «è entrato qualcuno pochi istanti fa?»
«No, ispettore» rispose l’agente con evidente sorpresa. «Forse una signora, nessun’altro.»
«E chi è uscito?»
«Non saprei, qualche collega del turno smontante.»
«Chi?» domandò Parri, ma prima che Natali potesse rispondere aggiunse «lascia stare, risolvo in altri modi.»
Aveva visto Alfieri che, nel frattempo, si era appropriato dell’ordine di servizio giornaliero. Parri gli si avvicinò e con la coda dell’occhio guardò i nomi che mano a mano Alfieri indicava con l’indice. Pagano, sottufficiale di turno, Giusti corpo di guardia, Giani, Blini e Marinetti volante di zona, Mattevi e Mariani a disposizione dell’ufficio servizi, Zorzi all’Urp e così via.
Il cerchio si stava stringendo.
Ascani intanto stava al telefono. Quando ebbe finito disse.
«Torniamo nell’appartamento, Danizzetti ci raggiungerà lì.»
Parri e Alfieri annuirono. In silenzio fecero la strada a ritroso. Una volta rientrati Parri si mise subito al localizzatore per estrapolare la conversazione telefonica.
Finì nell’istante in cui il dirigente mise piede nella stanza.
«Dottore, ci siamo!» esclamò Ascani.
«Cosa è successo?» domandò Danizzetti, «Masi mi sta uccidendo di telefonate, vuole sapere. Anche in procura hanno sentito la conversazione.»
«È una telefonata tra due uomini» proseguì Ascani frenetico. «Era davanti al commissariato, capisce dottore. Siamo scesi di corsa ma c’è sfuggito per un attimo. È un poliziotto, non ci sono dubbi.»
«I dubbi non li avevo nemmeno prima» rispose Danizzetti chinando la testa. «Voglio sentire la telefonata. Dal timbro della voce si capisce chi è?»
«No» rispose Parri, «la conversazione è alterata da un cambia voce telefonico, gliela faccio sentire.»
Pochi istanti e la voce gracchiante di due uomini uscì dall’altoparlante.
«Pronto.»
«Sì.»
«A che punto sei?»
«Ho quasi concluso, mi manca poco.»
«Voglio sapere quanti giorni.»
«Tre, non di più.»
«Bene. La verità sarà il nostro successo.»
«È così.»
«Stiamo analizzando il materiale che ci hai fornito... è incredibile...»
«Lo so.»
«Fai presto e stai attento.»
«Non ti preoccupare.»
«Ciao.»
Alla fine nella stanza scese un silenzio glaciale. I tre guardarono il volto di Danizzetti e attesero. Lui non parlò. Fu Parri, allora, a rompere quel silenzio che sembrava eterno.
«Utilizzano un distorsore vocale per camuffare le voci» disse, «è un prodotto che si trova facilmente in commercio, anche su siti internet. È tanto piccolo che può essere tenuto in tasca e, collegato al cellulare al momento opportuno, emette impulsi per distorcere la voce.»
«Se mandiamo la registrazione alla Scientifica la possiamo decriptare?» domandò Danizzetti con un volto scuro.
«È impossibile» rispose Parri.
«Vado in procura» proseguì Danizzetti, «voglio chiedere al pubblico ministero alcune cose. È tempo di agire, non possiamo più aspettare. Prima di tre giorni non avranno altri colloqui. Tre giorni per risolvere il caso.»
Se ne andò lasciando Ascani, Parri e Alfieri senza direttive da seguire. Dovevano solo aspettare. Aspettare, come sempre.
Alfieri si sentiva in fibrillazione e frastornato.
Danizzetti aveva reagito con estrema naturalezza, come se nulla fosse accaduto. Nessun commento sulla conversazione, nessun accenno su cosa intendessero dire i due autori della telefonata.
Cos’era il materiale che stavano analizzando?
E che tipo di materiale poteva fornire un poliziotto?
Alfieri era concentrato su mille domande, quell’episodio aveva dato contezza ai suoi pensieri.
Oramai era certo che Danizzetti nascondesse qualcosa. Ma cosa?
Riflessioni che scorrevano come un fiume in piena. Doveva trovare il cardine su cui poggiare tutti gli elementi acquisiti. Questa era l’incognita su cui focalizzare l’attenzione e questo si ripromise di fare nel pomeriggio.
Chiese di poter uscire dall’appartamento, permesso che gli fu subito accordato.
Ascani avrebbe fatto di tutto pur di levarselo di torno.