1.

Ada! Sola speranza del mio cuore, sola figlia della mia casa

Gennaio-aprile 1816

Forse vi chiederete come mai io, che avevo solo sette settimane quando mia madre lasciò mio padre dando vita al terribile scandalo che divenne celebre in tutta l’Inghilterra come “la Separazione”, possa affermare di avere assistito agli eventi turbolenti che provocarono tanta curiosità e molti pettegolezzi. La domanda è legittima, giacché alcuni degli episodi da me descritti si verificarono prima della mia nascita. È vero che ho sempre avuto intuizione, intelligenza e doti di sintesi straordinarie, ma nemmeno io sono in grado di vedere oltre i limiti della mia stessa vita.

Evidentemente non ho un’esperienza di prima mano degli anni precedenti la mia nascita, e non ho la presunzione di ricordare gli eventi controversi della mia prima infanzia. Questa ricostruzione di fidanzamento, matrimonio e separazione e dei miei primi anni si basa invece su fatti che ho appreso più avanti: dettagli stuzzicanti rivelati da mia madre, Lady Byron; qualche occhiata a documenti che non erano destinati ai miei occhi; pettegolezzi tra domestiche ascoltati di nascosto nei corridoi della tenuta dei miei nonni, Kirkby Mallory; e resoconti particolareggiati che Lady Byron compilò scrupolosamente per i suoi avvocati.

Questi ultimi erano numerosissimi.

Mi accuserete forse di aver preso in prestito i ricordi altrui, e non lo negherò. Capisco dove volete andare a parare e sì, lo confesso: a volte è difficile per me distinguere tra i ricordi davvero miei e le storie che mi sono state inculcate da Lady Byron, i suoi genitori e i suoi amici, che mi ronzavano perennemente intorno come uno sciame di vespe sempre pronte a giudicarmi.

Ma voi potete dire, in tutta onestà, di essere assolutamente certi dei vostri ricordi?

Anche se ne mettete in dubbio la provenienza, questi sono i miei ricordi, affidati a queste pagine per i posteri. Perché mai non dovrei scrivere la mia vita? Mio padre l’ha fatto, anche se, da quanto ne so, l’unico esemplare della sua autobiografia scritta con tanta cura è stato distrutto per ordine di mia madre. Non penso certo che la mia vita meriti di essere ricordata alla stregua della sua. In questo momento, anzi, il mio orgoglio è stato a tal punto calpestato che ritengo sia molto breve la lista di chi desidera leggere le mie memorie. Forse gli ammiratori della mia Grande Opera vorranno saperne di più a proposito della mia vita ed educazione. Oppure un giorno i miei figli, in uno slancio di benevolenza, potrebbero voler scoprire la mia giovinezza e le passioni che mi animavano. Finora hanno mostrato scarso interesse, ma in futuro, quando saranno cresciuti e impareranno di prima mano che amare i figli non significa automaticamente essere sempre perfetti nei loro confronti, forse vorranno conoscermi meglio.

Confesso di provare un brivido di paura superstiziosa nello sfidare il destino mettendomi a scrivere ora la mia storia, come se fosse quasi finita. Ho solo trentacinque anni; ne ho ancora molti, davanti a me, per realizzarmi e riflettere. La mia salute non è peggiore del solito, eppure qualcosa mi spinge a impugnare la penna adesso invece di aspettare di avere i capelli bianchi e la pelle avvizzita. Negli ultimi mesi sono stata tormentata dal sospetto che esalerò l’ultimo respiro prima di quanto non vogliano ammettere i medici, ma il futuro è ancora meno certo del passato, quindi non aggiungerò altro.

Torno invece alla mia storia, perché non è cortese lasciare la mia eroina e sua figlia in pericolo tanto a lungo.

Dopo che mia madre mi ebbe portata via dalla casa di mio padre, al 13 di Piccadilly Terrace, quel freddo mattino d’inverno, ci fermammo per cambiare i cavalli a Woborn e proseguimmo fino al Leicestershire; arrivammo a Kirkby Mallory di sera tardi. I servitori, che non ci avevano mai viste, rimasero forse confusi dall’ora tarda o dalla stanchezza di Lady Byron, perché la condussero in cucina invece che in salotto, come avrebbe richiesto il suo ceto. L’errore venne rapidamente rettificato, Lord e Lady Noel furono svegliati e vi fu, immagino, una riunione commossa in salotto. I miei nonni rimasero sconvolti, ne sono certa, dalla magrezza e dai tratti tirati della loro graziosa figlia. Conoscendo mia nonna come ho imparato a fare più tardi, sono sicura che inizialmente pianse, poi si asciugò gli occhi, si fece forza e cominciò a chiedersi come guarire la sua adorata figlia e come punire il genero crudele.

Fino ad allora, Lady Byron era riuscita a nascondere la sua sofferenza ai genitori, ma quando si fu trasferita a casa loro la verità emerse in tutto il suo orrore. Furono devastati, scandalizzati, giustamente indignati, e siccome strangolare mio padre non era possibile, Lady Noel contattò immediatamente il suo avvocato. Mentre mia madre continuava la sua corrispondenza con i medici e organizzava a distanza un esame medico completo per mio padre, i miei nonni consultavano il colonnello Francis Doyle, un avvocato conosciuto come mediatore in questioni coniugali, per predisporre una separazione legale, se Byron avesse potuto essere persuaso ad acconsentirvi.

Naturalmente io non ne sapevo nulla. Sapevo solo che le scene sgradevoli di urla e pianti che avevano costituito il sottofondo dei miei primi giorni di vita erano finite, ed erano state sostituite da affettuose risate e teneri vezzeggiativi. Scoprii che il latte di mia madre era più dolce, nutriente e abbondante che mai, e a mano a mano che lei recuperava le forze, anch’io prosperavo. Ogni giorno sentivo di essere al caldo, al sicuro e amata.

Con il passare dei mesi continuavo a ignorare bellamente tutto ciò che accadeva dietro le quinte, gli incontri con gli avvocati, i dettagli delle misure prese per arrivare a un accordo equo e per evitare che il conflitto giungesse in tribunale. Non avrei potuto capire che ero diventata il pomo della discordia nei negoziati, perché mia madre voleva ottenere l’affidamento esclusivo e mio padre rifiutava di rinunciare ai suoi diritti.

Mentre mia madre andava avanti e indietro da Londra per incontrare i suoi consulenti legali, o in vari centri termali in cerca di cure per i suoi continui malanni, il colonnello Doyle scriveva ai miei nonni avvertendoli del fatto che Byron o i suoi uomini avrebbero potuto cercare di rapirmi. «È della massima importanza che Lord e Lady Noel non perdano mai d’occhio la nipote» sottolineò. «Dovete sorvegliarla con la massima vigilanza possibile».

Allarmata, Lady Noel acquistò due pistole a scopo difensivo e informò i guardiani del parco che avrebbero dovuto proteggermi, perlustrando la proprietà in cerca di eventuali intrusi mentre svolgevano le loro normali mansioni. I suoi ordini crearono un brivido di entusiasmo tra il personale, perché la minaccia del rapimento portò un pizzico di eccitazione nella vita monotona al servizio dei due vecchi nobili.

Ho affermato di non serbare il ricordo di quegli eventi, invece un’impressione di quelle circostanze mi è rimasta. Quando ero molto piccola avvertivo spesso una vaga ma costante paura, come se fossi osservata da un essere malevolo. Quando ero un po’ più grande, e camminavo, parlavo e facevo mille domande, ero quasi certa che da un momento all’altro quel malvagio di mio padre sarebbe apparso a Kirkby Mallory e mi avrebbe stretta in un abbraccio brutale per portarmi in un luogo ignoto, lontano da tutto ciò che conoscevo e da tutti coloro che amavo. Ora, col senno di poi, capisco che, sebbene mio padre volesse vedermi, non aveva intenzione di farsi carico di una bambina piccola e di infrangere al contempo la legge. Eppure l’insinuazione che potesse farlo e le misure per impedirglielo lasciarono sicuramente una traccia nella mia fertile immaginazione.

Nonostante tutti i loro sforzi, mia madre e i nonni non riuscirono a impedire alla stampa di impadronirsi dello scandalo, soprattutto dopo che mio padre ebbe pubblicato due poesie sulla Separazione, Addio del poeta a sua moglie e Saggio satirico. Le pubblicò privatamente, con l’intenzione di farle circolare solo tra gli amici intimi, ma lo stampatore fece arrivare una copia al direttore di un giornale, e una mattina mia madre ebbe la brutta sorpresa di trovarle entrambe sotto il titolo “Le poesie di Lord Byron sulle sue circostanze familiari”.

Ricorderete forse che poco dopo la mia nascita mio padre mi aveva definito uno strumento di tortura, e in questo si rivelò preveggente, perché mi usò contro mia madre per farsi compatire. Addio del poeta a sua moglie conteneva i tipici spunti romantici che facevano svenire le donne, perché anche se mio padre si lamentava della separazione da mia madre, ricordava a lei e al resto del mondo il loro legame eterno, che avrebbe resistito al di là di qualunque sofferenza. Io facevo il mio debutto poetico alla nona strofa, quando implorava mia madre di riconciliarsi con lui per amor mio:

E quando cercherai qualche consolazione,

quando udrai i primi accenti della nostra bambina,

le insegnerai tu a proferire il nome di padre,

sebbene gli affetti di lui le siano impediti?

La compassione che avrebbe potuto suscitare nel pubblico con quelle parole dolci veniva però vanificata dal secondo componimento. Con versi crudeli e ironici, Saggio satirico prendeva di mira Mrs Clermont, la ex governante di mia madre e la sua servitrice fedele, incolpandola del fatto che mia madre gli si fosse rivoltata contro. La poesia era feroce e brillante, ma rappresentava un attacco gratuito contro una donna incapace di difendersi, e un gentiluomo non poteva trattare in quel modo un membro leale della servitù. La chiamava «ammaliatrice nefanda»! La poesia includeva anche un ritratto poco lusinghiero di mia madre, dipingendola come una macchina pura, pia, fredda, implacabile e insensibile, un’invenzione, devo ammettere, che purtroppo ha creato un’impressione duratura nel pubblico, nonostante le sue molte iniziative lodevoli e caritatevoli compiute da allora.

La pubblicazione delle poesie fu comunque utile a Lady Byron, perché svelavano la crudeltà e l’ipocrisia di mio padre, meritevole della dura condanna che non tardò a colpirlo. La stampa lo denigrò, e quando lo scandalo crebbe e si gonfiò, lui ricevette la punizione peggiore che la società londinese poteva infliggere a un uomo: la messa al bando.

Avvenne all’inizio di aprile a casa di Sarah Villiers, contessa di Jersey, una delle poche nobildonne che avevano dimostrato solidarietà a Byron in quel frangente difficile. Forse per il fatto che le sue relazioni extraconiugali – discrete, e tollerate dal marito – erano numerose, aveva invitato l’amico in difficoltà al ballo, un atto coraggioso di gentilezza e lealtà. Lady Jersey non poteva costringere i suoi ospiti ad accettarlo, però, e quando mio padre entrò accompagnato da mia zia Augusta, furono accolti da occhiate gelide e da un silenzio ostile. Alcuni gentiluomini che Byron conosceva bene risposero ai suoi saluti con sguardi freddi e muti e gli voltarono le spalle; le dame che una volta gli rivolgevano sorrisi o svenivano al suo cospetto lo fissarono per fargli capire di averlo visto, poi voltarono la testa e finsero di non conoscerlo; delle coppie rispettabili lasciarono la stanza quando i due fratelli entrarono, come se i problemi coniugali di Byron fossero contagiosi. Perfino Lady Jersey, che trattò Byron con grande cortesia fino al momento in cui il turbamento di sua sorella lo costrinse ad accompagnarla a casa prima del previsto, in seguito fece visita a mia madre per assicurarle che la presenza di mio padre alla serata era stata «del tutto inaspettata».

Allora come oggi, fissare una persona senza salutarla aveva uno scopo ben preciso: annunciava che tutti i legami di amicizia tra le due parti erano irrevocabilmente spezzati. Lord Byron non era più il benvenuto nella società londinese.

Dieci giorni dopo l’umiliazione pubblica mio padre, che fino ad allora si era sempre opposto strenuamente alle richieste di separazione legale da parte di mia madre, finì per accettare. Non rinunciò ai suoi diritti di padre, ma chiese, e ottenne, una clausola secondo la quale mia madre non poteva portarmi all’estero, per paura che ci stabilissimo in un paese straniero dove i padri assenti fossero privati dei diritti legali. Scrisse ad Augusta per chiederle di fare da intermediario tra lui e la ex moglie, di seguire i miei progressi e di scrivergli spesso descrivendogli il mio stato di salute, il mio aspetto e le mie abitudini, ma di non nominargli mai mia madre né di alludervi «in nessun modo né occasione, a meno che non fosse indispensabile». Poi scrisse un’ultima lettera a mia madre, chiedendole di essere gentile con sua sorella e di permetterle di farmi visita, e incluse un piccolo anello di smeraldo, cimelio di famiglia, che le pregava di darmi. Lei obbedì, ma solo molti anni dopo, quando ebbi un’età in cui me lo poteva affidare senza rischi. L’anello divenne uno dei miei tesori più cari, e alla mia morte intendo lasciarlo a mia figlia.

Una volta terminate le violente dispute legali della Separazione, mio padre decise di andare all’estero, ma anche se i creditori non gli davano pace e la società lo aveva ostracizzato, era deciso a lasciare l’Inghilterra con un ultimo gesto memorabile, che i suoi nemici non avrebbero mai dimenticato. Ordinò una carrozza nuova e stravagante, copia di quella di Napoleone Bonaparte, che l’anno precedente era sfuggito all’esilio sull’isola d’Elba ed era stato accolto dalla folla entusiasta a Parigi, solo per subire la sconfitta nella battaglia di Waterloo tre mesi dopo. Immagino che se si dovesse andare in esilio come un imperatore deposto, tanto varrebbe farlo in stile imperiale. Possiamo solo immaginare quali eventuali paralleli mio padre volesse suggerire agli osservatori tra la sua caduta e quella dell’ex imperatore francese.

A bordo di quella spettacolare carrozza Byron caricò i suoi amati terranova, il pavone, il medico personale, gli amici Hobhouse e Scrope Davies e gli indumenti e beni personali che era riuscito a infilare nei bauli prima che gli avidi ufficiali giudiziari e i creditori calassero sul 13 di Piccadilly Terrace. Il 23 aprile, di mattina presto, lui e i suoi amici partirono per Dover, dove la carrozza fu immediatamente caricata sulla nave per paura che gli ufficiali giudiziari cercassero di sequestrare anche quella.

I venti capricciosi e il maltempo trattennero mio padre sul suolo inglese per altri due giorni, ma il 25 aprile disse addio a Hobhouse sul molo, salì a bordo dell’imbarcazione e partì per Ostenda, in Belgio, una traversata di settantacinque miglia che di solito richiedeva otto ore circa. Invece il mare grosso la trasformò in un calvario di sedici ore, ma mio padre si distrasse dal mal di mare lavorando al terzo canto del Pellegrinaggio di Childe-Harold. So che allora mi aveva in mente, che soffriva ad allontanarsi da me, perché affidò i suoi pensieri a versi eterni, sperando che un giorno li leggessi.

Somiglierai tu a tua madre, o mia tenera Ada!

sola speranza del mio cuore, sola figlia della mia casa?

L’ultima volta ch’io vidi l’azzurro de’ tuoi occhi celesti,

io ricevei il tuo dolce sorriso, e ti dissi addio…

Io mi allontano ancora da te, ma adesso è senza speranza.

– Fremendo mi sveglio;

intorno a me saltellano le onde,

al disopra i venti muovono la loro voce. –

Io parto; dove vada, l’ignoro,

ma il tempo non è più in cui la vista delle rive d’Albione,

diminuentisi dinanzi ai miei occhi,

commuovevano il mio cuore con dolore o con gioja.

Mio padre non fece più ritorno in Inghilterra.