Non avremmo potuto essere più diverse, Mrs Somerville e io, lei con la sua calma e serenità imperturbabile, e io con l’esuberanza giovanile, l’eccitabilità e le mie ansie. Sono sicura che a volte la infastidivo quando disturbavo la tranquillità di casa sua con la mia curiosità insaziabile e molesta, ma non mi scacciava mai. Durante l’estate diventammo buone amiche come lo sono una guida e il suo discepolo. La sua amicizia, come quella con Mr Babbage, mi aprì un nuovo mondo di possibilità e promesse, tanto vasto da togliere il fiato. Non mi imbarazza dire che la idolatravo.
Mrs Somerville era troppo modesta e altruista per parlare di sé, e preferiva discutere di teorie scientifiche e concetti matematici, e soprattutto delle ricerche in corso e delle scoperte recenti dei suoi conoscenti. Anche così, quando la fioritura della primavera lasciò il posto al calore dell’estate, scoprii in che modo la ragazza intelligente che aveva avuto dai genitori la proibizione di studiare era diventata la più grande matematica e astronoma del nostro tempo; sono parole mie, non sue, perché non la sentii mai vantarsi.
Quando aveva la mia età, trentacinque anni prima, anche lei era stata introdotta in società, ma a Edimburgo, non a Londra. «Mi piacque moltissimo» mi disse, «tutto quanto: le feste, i balli, andare a teatro e ai concerti, frequentare le amiche e, naturalmente, civettare in modo innocente».
«Sono convinta che una donna possa apprezzare la matematica e un ballo popolare» dichiarai, ricordando lo spartito che Mr Babbage aveva lasciato sul tavolo per indurre il duca di Wellington a ricordare la Macchina differenziale quando partecipava a un ballo. «Per me è così».
«E perché no, poi? La musica è matematica, sapete? Ho spesso considerato la musica come il matrimonio di matematica e poesia…»
La mia guida, abitualmente composta, sembrò incespicare su quella parola. Si fermò e mi osservò un attimo, come per giudicarne l’effetto su di me. Mi dissi che era una delle poche persone di mia conoscenza che non mi aveva mai fatto domande su mio padre né esaltato la sua poesia, spiegando quanto le piaceva, l’influenza che aveva avuto su di lei, l’associazione di certi versi con momenti o esperienze particolari della sua vita. Mi chiesi come mai. Forse le poesie di mio padre non le piacevano. Forse evitava di farlo per quello che le avevo detto quando ci eravamo conosciute, ossia che preferivo essere famosa per i miei successi. Forse mia madre le aveva confidato il suo desiderio di liberarmi di ogni impulso poetico a causa del pericoloso sangue Byron che mi scorreva nelle vene.
«Il matrimonio di matematica e poesia» ripetei, decisa a dimostrare che quella parola non aveva presa su di me. «Non credo di avere mai sentito una descrizione migliore della musica».
Mrs Somerville sorrise, il suo sguardo penetrante parve sollevato, e la tensione di quell’attimo scomparve.
Un’altra volta mi parlò del suo primo marito, Samuel Greig, che aveva sposato a ventiquattro anni. Era un ufficiale della Marina russa quando si erano conosciuti, ma i suoi genitori, temendo che la portasse a vivere in Russia e di non rivederla più, acconsentirono al matrimonio solo quando fu nominato console di Russia a Londra. Nel giro di due anni Mrs Somerville gli diede due figli – Woronzow era il più vecchio, il minore era morto – ma non fu la maternità a impedirle di studiare. Anche se il capitano Greig era stato consapevole dei suoi interessi intellettuali, dopo il matrimonio si era aspettato che lei abbandonasse la matematica e si dedicasse esclusivamente ai suoi doveri di moglie e madre. «Aveva un’opinione molto bassa delle doti del nostro sesso» disse con rammarico, «e non aveva nessuna conoscenza né interesse in campo scientifico».
«Non riesco a concepire che una mente brillante come la vostra sia stata ripetutamente soffocata dagli uomini» protestai risentita. «Padri e mariti sembrano una maledizione nella vita di ogni donna intelligente».
Eccetto in quella di mia madre, intuii a un tratto. Nonostante tutte le sue colpe, mio padre non si era mai aspettato che mia madre abbandonasse le sue passioni intellettuali.
«Non tutti i padri e mariti meritano questa critica» disse Mrs Somerville, come leggendomi nel pensiero. «Non dimentichiamo che fu mio zio a incoraggiarmi a studiare latino e storia, mentre mia madre era assolutamente contraria».
Annuii, concedendole quel punto, ma mi sentii un nodo allo stomaco. Avevo pensato di sposare un uomo interessato alla matematica e alla scienza semplicemente per migliorare la qualità delle nostre conversazioni: giacché saremmo stati spesso insieme, questo avrebbe tenuto a bada la noia. Non avevo mai pensato che il mio futuro marito avrebbe potuto impedirmi di studiare.
Quando Mrs Somerville mi disse che il capitano Greig era morto tre anni dopo il matrimonio, la mia prima reazione fu il sollievo, ma ricordai di farle le mie condoglianze a mezza voce. Era tornata in Scozia con i due bambini e si era inserita rapidamente nei circoli intellettuali di Edimburgo diventando amica di scienziati, scrittori e statisti. Per la prima volta in vita sua nessuno limitava i suoi studi, e perfino nel periodo di lutto il suo intelletto e la sua immaginazione fiorirono.
Cinque anni dopo, nel 1812, sposò il dottor William Somerville, suo primo cugino. «Il dottor Somerville aveva studiato e viaggiato molto come medico dell’esercito» disse, «ed era favorevole all’educazione delle donne».
«Immagino che questo cambiasse tutto».
«Sì, Miss Byron. Cambiava tutto, allora come oggi».
Annuii, cogliendo benissimo il suo avvertimento implicito. Non l’avrei dimenticato. Ero molto riconoscente di avere un patrimonio mio, e quindi la possibilità di scegliere. Non speravo di sposarmi per amore o per passione – quel sogno era svanito quando avevo perso Wills – ma aspiravo all’amicizia, alla compagnia, al rispetto reciproco. Non concepivo di sposare un uomo che chiedesse alla moglie di rinunciare a qualcosa di tanto essenziale quanto lo erano la matematica e la scienza per me, ma sarei stata una sciocca a non stare in guardia.
Questa, lo sapevo, poteva rivelarsi la lezione più importante che Mrs Somerville mi aveva insegnato.
Trascorsi molte ore felici e istruttive in sua compagnia. Chelsea era alla periferia di Londra, e a volte, se assistevamo a un concerto o a una conferenza insieme, mi invitava a trascorrere la notte da lei. Con il tempo diventai amica delle sue due figlie e di suo figlio Woronzow, che viveva nello Yorkshire ed era appena diventato avvocato.
Mrs Somerville era anche buona amica di Mr Babbage, naturalmente, e siccome mia madre non era molto incline a partecipare alle sue serate, Mrs Somerville spesso si offriva di accompagnarmi. A me le serate di Mr Babbage piacevano più di qualunque altra occasione mondana, e avevo partecipato a molti eventi sociali. Mr Babbage era spiritoso e intelligente, dotato di grande curiosità intellettuale che lo spingeva a studiare argomenti disparati nei campi più diversi. Con un sorriso compiaciuto e orgoglioso soddisfaceva le mie numerose richieste di esaminare la Macchina differenziale, sia il modello da dimostrazione esposto nella stanza speciale senza polvere in casa, sia la versione a grandezza naturale, in corso di fabbricazione, se così si poteva definire quel suo progetto che era fermo a tempo indeterminato, nel laboratorio sul retro.
Ero così affascinata dalla splendida macchina, e tanto desiderosa di carpirne i misteri, che a volte potevo essere indelicata con la mia maestra di vita, e sfruttare la sua amicizia con Mr Babbage per fargli visita tra una soirée e l’altra. In estate quasi ogni volta che vedevo Mrs Somerville non perdevo occasione per suggerire di recarci in Dorset Street a trovare il nostro amico comune. Un pomeriggio ai primi di luglio misi così a dura prova la sua pazienza che mi rimproverò, sebbene con dolcezza, perché mi comportavo come se la sua amicizia fosse per me solo un mezzo per arrivare a lui.
«Non è vero!» protestai. «Anzi, quando ho conosciuto Mr Babbage ho considerato preziosa la sua amicizia soprattutto perché speravo che mi presentasse a voi!»
Mrs Somerville rise, e mi disse che capiva e che dovevo perdonarla per avermi rimproverata. Le assicurai subito che non c’era niente da perdonare, ma anche se ci lasciammo in ottimi termini, mentre tornavo a casa a Mayfair ebbi tempo di riflettere e di pentirmi. Mrs Somerville era sempre stata gentilissima e paziente con me, anche quando ero stata insopportabilmente entusiasta e assillante. Se si sentiva offesa, significava che l’avevo offesa, pur senza volere.
Non appena arrivai a casa mi precipitai nello studio di mia madre, presi carta e penna e le scrissi in fretta una lettera.
Martedì sera, 8 luglio 1834
Mia cara Mrs Somerville,
sono molto preoccupata, temo di avere esagerato insistendo continuamente per andare in Dorset Street quando venivo a trovarvi, e vi assicuro che non intendevo essere impudente. La colpa è tutta dell’enorme interesse che provo per la Macchina differenziale, ve lo assicuro. Ma credo che siate voi stessa tanto appassionata di quegli apparecchi da capire quanto io possa esserne rimasta affascinata. Purtroppo quando una macchina, una conferenza o un’altra opportunità mi si presentano, non tengo più in nessun conto il tempo, lo spazio né gli altri impedimenti abituali. Questa è l’unica scusa che posso offrire, e temo che non valga molto, ma vi prego di non esitare a dirmi, in futuro, se dovessi nuovamente offendere la vostra grande disponibilità.
Sempre vostra
A. Ada Byron
Trascorsi alcuni giorni ansiosi aspettando la sua risposta, e mi sentii quasi venire meno dal sollievo quando mi scrisse per invitarmi a prendere il tè, senza fare menzione dell’incidente. La nostra amicizia continuò senza interruzioni, ma per le prime settimane feci attenzione a non suggerire di andare a trovare Mr Babbage. Quando finalmente andammo a trovarlo insieme, fu lei a proporlo.
Nel frattempo, il vento politico era cambiato ancora una volta, e Lord Melbourne era diventato primo ministro.
Sapevo che mia madre aveva ricominciato a scrivere a suo cugino, e che lui le aveva sempre risposto con prontezza e cordialità. Il cuore mi batteva forte con la certezza che potesse essere la migliore speranza per Mr Babbage, e desideravo tanto essere all’origine di quel trionfo. «Mamma, ti prego, puoi parlare a Lord Melbourne di Mr Babbage?» la imploravo. «A cosa servono le relazioni familiari se non le usiamo per aiutare i nostri amici? E non penso solo a Mr Babbage. Pensa ai vantaggi per tutto quanto il paese, per il commercio, la scienza e l’industria se la sua macchina verrà finalmente completata!»
«Sono sicura che Lord Melbourne è già assillato da mille richieste senza che mi ci metta anch’io» rispose mia madre. «Te l’ho già detto, Ada, se chiedo un favore a mio cugino, sarà per te o per me, e solo perché non ho alternative».
Sapevo che non sarebbe servito insistere, quindi lasciai perdere.
Quando la Stagione si concluse, alla fine dell’estate, mia madre mi annunciò i suoi progetti: saremmo andate nel Nord dell’Inghilterra, dove avremmo visto certi suoi amici, ammirato le bellezze naturali del posto e visitato diverse fabbriche appena costruite. Mia madre voleva conoscere i progressi fatti nel campo della tecnologia industriale e le condizioni dei lavoratori, per preparare meglio gli studenti delle sue scuole industriali all’impiego futuro. La trovavo un’idea eccellente, ed ero curiosa di vedere come quelle macchine – forti, instancabili e produttive – fossero paragonabili all’elegante e ingegnosa Macchina differenziale di Mr Babbage.
Eravamo entrambe di buonumore quando partimmo per le Midlands, e decise a restarlo, perché avremmo trascorso molto tempo insieme in uno spazio ristretto, e i litigi avrebbero prodotto nella carrozza un clima irrespirabile. Mia madre aveva portato dei libri sulla teoria dell’educazione da leggere durante il viaggio, io dei testi matematici e l’ultimo numero dell’Edinburgh Review che includeva un articolo encomiastico sulla Macchina differenziale di Mr Babbage. Non ero sicura che i dettagli tecnici sarebbero risultati comprensibili a qualcuno che non avesse mai visto all’opera il modello da dimostrazione, ma speravo almeno che l’articolo avrebbe suscitato l’interesse nella comunità scientifica così da spingere il governo a versare i fondi tanto attesi.
A volte io e mia madre, a turno, leggevamo ad alta voce dei romanzi o il giornale, ma più spesso ci appisolavamo o ammiravamo il paesaggio mutevole dai finestrini. Un mattino, mentre ci dirigevamo da Bakewell a Buxton, raggiungemmo un uomo che camminava davanti a noi. Anche da lontano mi sembrava familiare, e quando lo superammo mia madre sussultò. «Cielo, ma è Sir John Hobhouse».
Mi voltai per guardarlo in volto, e vidi che aveva ragione. «Chissà cosa fa da queste parti» mi chiesi vedendolo avanzare col bastone da passeggio.
«Chissà» ripeté mia madre, chiaramente intenzionata a chiudere il discorso. «Niente di buono, questo è certo».
Mi accigliai, pensando alle parole gentili di Lady Byron che mi incoraggiava a pensare con la mia testa. «Dobbiamo offrirgli un passaggio?»
«Assolutamente no». Dovetti avere un’aria sorpresa, e lei non avrebbe mai voluto apparire poco generosa, perché aggiunse: «È troppo lontano, ormai, e sarebbe scomodo per il cocchiere fermarsi qui. E poi probabilmente sta passeggiando per sua scelta. Può permettersi una carrozza, se ne vuole una».
Sconcertata, la guardai rimettersi comoda, e sbirciai di nuovo fuori dal finestrino verso la figura sempre più piccola alle nostre spalle. Soffocai un sospiro, sapendo che non sarebbe servito a nulla discutere.
Poco dopo la strada attraversò il bosco di una bellissima proprietà, e rimasi affascinata dai giochi di luce del sole tra le foglie, il luccichio di un ruscello lungo la strada, un gruppo di cervi che attraversavano con grazia una radura. «Che posto magnifico!» esclamai. «Conosciamo le persone che vi abitano?»
«Certo» rispose mia madre, con lo sguardo fisso sul panorama. «Siamo a Halnaby, dove vivono i baronetti di Milbanke. Tuo nonno era il sesto baronetto, e suo nipote, Sir John Peniston Milbanke, è diventato il settimo dopo la morte del nonno».
«Questa proprietà era nostra?»
«Non nostra. Di mio padre». Un’ombra malinconica le passò sul viso. «Vedi quella strada sulla sinistra? Tante volte, non ricordo quante, vi passai in groppa al mio pony quando ero bambina». Fece una pausa. «Io e tuo padre vi trascorremmo la luna di miele».
«Davvero?» Non c’era da stupirsi che non me ne avesse mai parlato.
«Sì, per tre settimane nel gennaio 1815. Era tutto diverso perché allora era inverno, ma era molto bello, coperto di neve bianchissima e brillante di ghiaccio».
Aspettai ma non aggiunse altro, e quando premette le labbra e inspirò bruscamente, seppi che non avrebbe amato domande da una figlia curiosa. Non ci fermammo a salutare i parenti Milbanke, e rimasi con i miei dubbi.
Gli altri luoghi che attraversammo non suscitarono ricordi importanti in mia madre, salvo quando trascorremmo la notte a casa di certi suoi amici, ma in quel caso gli episodi allegri delle avventure di giovinezza non includevano mio padre. Riprendemmo il viaggio, e quando ci avvicinammo a destinazione i miei pensieri si spostarono dal passato al futuro che sembrava venirci incontro a grande velocità.
Niente di ciò che avevo visto fino a quel momento, a parte, forse, la locomotiva a vapore, indicava che il futuro sarebbe stato veloce, stimolante e promettente quanto le fabbriche che io e mia madre visitammo quell’estate. Osservammo dei nastri fabbricati a velocità spettacolare a Coventry e delle aste tagliate ad Ashby-de-la-Zouch. A Derby osservammo dei vasai chini sulle loro ruote, donne e ragazze che dipingevano porcellane. Mentre ammiravo i macchinari e mi stupivo per la velocità con cui venivano prodotti gli oggetti, mia madre parlava ai lavoratori e ai padroni, informandosi su condizioni di lavoro, salari, orari, e chiedeva agli operai se venivano trattati con rispetto e cortesia dai supervisori.
Per me la tappa più interessante del viaggio fu una fabbrica di filatura del cotone sulla sponda occidentale del fiume Derwent a Matlock Bath, nel Derbyshire. Era alimentata dal fiume, non dal vapore, e in questo senso era antiquata, ma era dotata di un telaio Jacquard che, benché fosse stato usato per la prima volta in Francia trent’anni prima, era ancora considerato una novità tecnologica rivoluzionaria. Con grande rapidità e accuratezza, questi telai meccanici potevano riprodurre modelli anche molto complessi, creando tessuti di broccato, damasco e matelassé. Quelli più elaborati, di solito di seta pregiata, erano quasi indistinguibili da un dipinto.
Non so dire quanto rimasi a osservare i telai all’opera, affascinata, da un’angolatura e poi da un’altra, avvicinandomi fin dove la nostra guida me lo consentì. Appresi che i modelli erano creati variando la posizione dei fili dell’ordito, quelli disposti per primi, nel senso della lunghezza, nel telaio. Per una tessitura normale, si faceva passare il filo di trama sopra e sotto i fili dell’ordito, alternando, in base alla larghezza desiderata. I tessuti più complessi si creavano variando l’alternanza dei fili dell’ordito, ma per i disegni più elaborati era necessaria una maggiore attenzione da parte dei tessitori. Le sete con i disegni più complicati, le immagini più ricche di dettagli come le nature morte, i paesaggi e perfino i ritratti, erano molto popolari, ma costosissime.
A rendere particolarmente ingegnoso il telaio Jacquard era che il sollevarsi e abbassarsi dei fili dell’ordito non era controllato da tessitori abili e attenti, ma da una serie di schede perforate. Ogni scheda corrispondeva a una riga del disegno, con dei fori che indicavano a un sistema di cordicelle e contrappesi se l’ordito in quel punto andava alzato o abbassato, e quale colore bisognava usare. Disegni complicatissimi si potevano riprodurre in una frazione del tempo che serviva a tessitori umani. Lavorando su un telaio Jacquard, ci venne detto, un solo tessitore poteva creare dei tessuti con immagini ventiquattro volte più velocemente di due tessitori con un telaio tradizionale, creando circa sessanta centimetri di tessuto al giorno.
Le schede perforate, di semplice cartoncino, erano il segreto del telaio Jacquard. Mia madre rimase tanto colpita che ne disegnò una nel suo diario, mentre io spostai lo sguardo dalla sequenza sulle schede, al filo che scorreva a grande velocità, al tessuto finito che scendeva dal telaio. Le istruzioni per la tessitura erano fornite dalla perforazione dei cartoncini, e il telaio poteva eseguirle senza l’intervento umano.
Se le tessere forate potevano controllare un telaio, perché non un altro strumento meccanico, come una macchina calcolatrice?
Da quel momento in poi non riuscii a pensare al telaio Jacquard senza chiedermi cos’avrebbe potuto fare un sistema simile di cartoncini perforati per la Macchina differenziale di Mr Babbage. Quando intuii il potenziale che aveva quell’invenzione per l’esecuzione di calcoli matematici straordinari – e calcoli logici di ogni tipo – la mia immaginazione decollò.
Mia madre aveva chiamato, erroneamente, la Macchina differenziale “macchina pensante”, ma questo nuovo apparecchio che immaginai, capace di trascendere i semplici calcoli matematici utilizzando un sistema di schede perforate, sarebbe forse stato capace di pensiero razionale, o qualcosa di simile.
Ammesso che lo si potesse progettare, e costruire.
La nostra visita alle Midlands fu una rivelazione per me, e non vedevo l’ora di ritornare a Londra per discutere delle mie idee con Mr Babbage e Mrs Somerville. Ma prima ci fermammo a Buxton nel Derbyshire per andare a trovare l’amica di mia madre, Lady Gosford, che era venuta nella città termale con le sue due figlie per fare le cure. Mia madre decise che anche la sua salute avrebbe tratto beneficio dalle sorgenti geotermali di Saint Ann’s Well, quindi ci trovò un alloggio e disse che saremmo potute restare due settimane o più, a seconda di come avremmo reagito alla cura.
Mentre le nostre madri si occupavano di ritrovare la salute e la vitalità, io passavo il tempo con le figlie di Lady Gosford, Annabella, che era stata chiamata come mia madre, e Olivia. Avevano rispettivamente cinque e quattro anni più di me, ma io, che avevo l’indole di mia madre, presi rapidamente la testa del terzetto. Erano ragazze amabili e intelligenti ma piuttosto indolenti, e quando parlarono con ammirazione del mio amore per lo studio, proposi di dar loro lezioni di matematica. Speravo che almeno una di loro si appassionasse a quella materia come me. La candidata più probabile sembrava essere Annabella; Olivia preferiva la musica, ma questo non ridusse la stima che provavo per lei, perché l’amavo anch’io.
Mi piaceva insegnare, e le mie amiche erano desiderose di imparare, e quando mia madre decise che era ora di ripartire stabilimmo di continuare le lezioni per posta.
Rimasi sorpresa quando mia madre mi annunciò che la nostra destinazione successiva sarebbe stata Doncaster, perché potessi vedere le corse. Proprio come mi aveva mandato ad assistere a un’opera per scoprire com’era, voleva che visitassi la famosa pista «per farmi un’idea». «Detesto le scommesse» disse, «e sono indifferente ai cavalli purché sappiano tirare la mia carrozza, ma voglio che veda con i tuoi occhi come si comportano male le persone che frequentano quel luogo. Se ti proibissi di andare alle corse saresti ancora più curiosa e finiresti per andarci lo stesso. Quando vedrai come si svolgono, non ti incuriosiranno più».
Non mi avevano mai incuriosito fino a quando mia madre non me le aveva descritte in termini tanto allettanti, ma adoravo i cavalli e la mia curiosità fu stuzzicata, così non mi dispiacque rimandare ancora un po’ il nostro ritorno a Londra. Doncaster si rivelò un posto diverso da tutti quelli che avevo visitato fino a quel momento. I frequentatori dell’ippodromo erano ubriaconi turbolenti, e fui infastidita dalle imprecazioni e dal vociare quando una scommessa sicura sfumava nell’ultimo tratto del rettilineo, ma la trovai un’esperienza nuova ed eccitante, e non fui per niente disgustata. I cavalli erano belli, magnifici, e non mi stancavo di guardarli correre, e quando un signore seduto accanto a noi vinse cinquanta sterline, per l’eccitazione ebbi voglia di chiedere a mia madre se potevo puntare dei soldi anch’io. Per fortuna mi controllai, e finsi di essere scandalizzata e imbarazzata dalle pagliacciate chiassose dei giocatori, ma sapevo che il piano di mia madre di farmi detestare le corse era miseramente fallito.
Da Doncaster tornammo a Fordhook, e durante gli ultimi chilometri scrissi mentalmente una lettera a Mr Babbage, chiedendogli se potevo andarlo a trovare non appena fossi giunta a Londra, perché il mio viaggio nelle Midlands industriali mi aveva fatto venire un’idea per un impiego della sua Macchina differenziale.
Finalmente arrivammo a casa: infatti, avevo cominciato a considerare Fordhook casa mia. Intendevo cominciare subito a buttar giù la lettera, ma mia madre insistette perché disfacessi per prima cosa i bagagli, e poi volli vedere Puff e i cavalli. Quando tornai dentro, mia madre aveva scorso la posta arrivata in nostra assenza, e mi consegnò una lettera.
27 settembre 1834
Royal Hospital Chelsea
Mia cara Miss Byron,
con enorme tristezza vi scrivo per informarvi di una tragedia che ha colpito il nostro caro amico Mr Babbage. Ieri pomeriggio sua figlia Georgiana è morta dopo una malattia improvvisa. Non ci sono parole, è il dolore più grande che possa capitare a un genitore, e so che avrà bisogno dell’appoggio degli amici per sopportarlo.
Mi dispiace che questa lettera vi arrivi al vostro ritorno dopo un lungo viaggio. Vi prego di accettare le mie scuse per avere rovinato la gioia del vostro rientro a casa, e trasmettete le mie scuse anche alla vostra eccellentissima madre.
La vostra amica
Mary Somerville