Sempre più disgustata e sconvolta a mano a mano che procedevo, lessi ciò che mia madre aveva appreso sulle relazioni particolari e turpi tra mio padre e mia zia che avevano portato alla nascita di Medora nel 1814, otto mesi e mezzo prima che i miei genitori si sposassero.
Ma certo, pensavo a ogni disgustosa rivelazione, ma certo. Tanti particolari strani che mi avevano lasciata perplessa per tutta la vita ora, a un tratto, acquistavano un senso: l’ostilità profonda di mia madre per mia zia, l’antipatia dei miei nonni nei confronti di mio padre, la tenda verde e opaca con cui avevano coperto il ritratto di mio padre prima di riporlo, i «fatti assolutamente sconosciuti» che avevano causato la Separazione e reso impossibile una riconciliazione. C’erano poi i versi inquietanti che mi avevano tormentato quando mi ero immersa per la prima volta nella poesia di mio padre ad Ashley Combe. Era sbagliato pensare che tutta la poesia fosse autobiografica, ma mio padre si era sempre ispirato alla propria vita e alle proprie esperienze per comporre le sue più grandi opere. Ora certi personaggi, motivi e versi mi tornarono in mente come testimoni dell’accusa in un processo. Capivo infine perché tante delle poesie successive al 1814 alludevano allo strazio dell’amore proibito, al tormento di segreti vergognosi, all’incesto.
Incesto. La parola mi riecheggiò nella mente fino a farmi quasi perdere conoscenza, le orecchie mi ronzarono, il cuore mi martellò, mentre assimilavo la verità poco per volta pur desiderando con tutta me stessa rifuggire da essa.
Rimasi per quasi un’ora da sola nel mio studio, con la lettera in grembo, lo sguardo perso, le emozioni altalenanti: dall’indignazione al disprezzo, dalla rassegnazione alla disperazione. Sapevo di doverlo dire a William. Quella prospettiva mi spaventava, ma sapevo che aspettando l’impresa sarebbe solo diventata più difficile.
Lo trovai da solo in biblioteca, concentrato su un grosso volume di diritto di proprietà. «Da mia madre» gli dissi, dandogli la lettera e sedendomi in punta di divano mentre leggeva, sentendomi stranamente ferita ed esausta. «Non sono neanche sorpresa».
Lui sbiancò, a mano a mano che leggeva, e il suo volto si svuotò di sentimenti mentre assorbiva le rivelazioni di mia madre. «Non riesco a crederci» disse infine, scuotendo il capo, posando la lettera sulla scrivania e spingendola via come se il semplice fatto di vederla lo nauseasse. «Non l’avrei mai immaginato».
«Io sì, invece» mormorai, rendendomi conto che era la verità mentre pronunciavo quelle parole. «È precisamente quello che mi aspettavo che rivelasse, per quanto sia sconvolgente».
«Immaginavi questo?» esclamò William. «Com’è possibile?»
Scossi il capo; io stessa non sapevo spiegarlo. «Sospettavo da tempo che nella mia famiglia infelice e disastrata fosse accaduto questo, o qualcosa di molto simile. Non mi sorprende più di tanto».
Lui scrollò il capo, incredulo. «E tua madre è certa che il colonnello Leigh non abbia idea che Medora non è sua figlia?»
«Così sostiene lei» dissi, indicando la lettera. «Tendo a crederle. L’ha accettata come sua figlia per tutta la vita».
«Immagino che il fatto che non abbia ucciso Mrs Leigh costituisca una prova inconfutabile».
«In queste circostanze, l’ignoranza è una benedizione». Mi sentii le lacrime agli occhi, ma le cacciai via strizzando le palpebre. «È una storia incredibile e disgustosa, non riesco quasi a pensarci».
William venne subito a sedersi sul divano accanto a me e mi prese le mani. «La vergogna ricade su tuo padre e sua sorella e nessun altro» dichiarò con fermezza. «Tu e tua madre non siete loro complici, non avete nessuna colpa».
«Povera mamma» commentai, sentendomi venire meno. «Se penso a lei tanti anni fa, una ragazza così giovane, la purezza e l’innocenza personificate, che si è trovata nel bel mezzo di tanta depravazione e di un simile tradimento. Sottoporla a un orrore del genere è quasi peggio del peccato stesso!»
«Che coraggio ha avuto a sopportare in silenzio e con dignità il peso di quel segreto per tanti anni».
Ne convenni, ma dubitavo che avesse davvero mantenuto il silenzio. I miei nonni e l’avvocato di mia madre sicuramente lo avevano saputo. Chi altri? Mia zia Augusta, ovviamente. Mia cugina – mia sorella – Medora, probabilmente. Le amiche più fedeli di mia madre senz’altro lo sapevano, e il loro odio feroce nei confronti di mio padre assumeva ora una nuova connotazione che prima mi era sfuggita. Non c’era da stupirsi che mi avessero considerata con sospetto e diffidenza per tutta la vita, aspettandosi che anch’io precipitassi nell’abisso del peccato. Avevo in me il pessimo sangue Byron. La mia corruzione era inevitabile.
Avevo dimostrato che avevano torto, tutte loro. Ero più Milbanke che Byron. Dovevo esserlo. L’alternativa era impensabile.
Mi serviva un giorno per riflettere prima di rispondere, ma sapevo che mia madre stava aspettando ansiosamente; alla fine mi chiusi nello studio, presi la penna e lasciai scorrere i miei pensieri sul foglio.
Carissima mamma,
non sono per niente stupita. Anzi, hai solo confermato quello che per anni era già quasi una certezza, sebbene non trovassi opportuno parlarti dei miei sospetti.
Vengo quindi a sapere dell’accaduto senza sorpresa. Avevo sempre immaginato di scoprire qualcosa del genere un giorno o l’altro, e ora più che mai ritengo che la mente delle due persone che hanno concepito una tale mostruosità sia qualcosa di agghiacciante.
Voglio credere che lui, padre infelice e sventurato, sia ora libero dalla sua sconvolgente e, mi auguro, deliberata ribellione alla legge, alla natura, alla ragione e all’istinto. Dall’idea che mi sono fatta di lui, credo che perfino i suoi crimini più orrendi siano nati più per sfida che per amore del male, secondo cioè un principio giusto, l’uso del libero arbitrio portato però all’eccesso. Ne sono convinta, e mi pare leggermente meglio della depravazione assoluta, che consiste nell’amare il male in sé.
Quando rifletto sul mio naturale atteggiamento di sfida nei confronti della legge, di tutto ciò che mi viene imposto, talvolta tremo. Ma se non fosse per il mio ottimo discernimento (per il quale devo ringraziare il cielo e te, per averlo saggiamente coltivato), non sarei certo migliore o più felice del mio sciagurato genitore. Forse non avrei commesso esattamente gli stessi misfatti, ma sarei stata altrettanto esecrabile, in un modo o nell’altro. È normale che tremi, quando penso a tutto quello che avrei potuto ereditare!
Mentre scrivevo mi apparve evidente che assomigliavo a mio padre sotto aspetti del tutto nuovi per me. Quella spaventosa verità mi turbò al punto che fui costretta a posare la penna e a trarre respiri profondi per non scoppiare in singhiozzi sconsolati. Se mia madre non mi avesse abituata a usare la logica e la ragione, non mi avesse costretta a imbrigliare l’immaginazione, avrei potuto commettere peccati gravi come quelli di mio padre. Ci ero andata molto vicina, con William Turner.
«Se il mio povero padre avesse posseduto un poco del mio atteggiamento filosofico!» mi lamentai con mia madre continuando la lettera. «Nient’altro, credimi, è in grado di tenere sotto controllo un carattere del genere. Né le circostanze, né la coscienza, né gli impulsi». Eppure, turbata com’ero, continuavo a sperare che io – e Medora, anche – avremmo potuto sormontare gli elementi sinistri ereditati da nostro padre per condurre vite buone e utili. «Credimi, mia cara mamma, sono il tuo Uccellino pieno di speranza» scrissi. «Sì, devo sperare in bene anche per Mrs L, che trovo sia ancora più scellerata di mio padre».
Ora capivo perché mia madre aveva voluto tenere lontano da me mia zia Augusta. Medora e Georgiana non erano certo prosperate grazie alla sua influenza, e rabbrividisco pensando a come avrebbe potuto corrompermi.
Quando ricevetti la risposta di mia madre pochi giorni dopo, fui sorpresa e delusa vedendo che la sua maggiore preoccupazione non era consolarmi dopo le sue rivelazioni devastanti, ma insistere sul fatto che, qualunque fossero i miei sospetti su mio padre e mia zia, lei non aveva fatto assolutamente niente per far nascere il dubbio in me. «Non so, carissima Ada, cosa ti posso aver detto per suggerirti l’idea del vizio in Mrs Leigh» scrisse. «Ti ho descritto la sua mancanza di sincerità e la sua scaltrezza. Quando mi hai parlato vagamente di poesie con un’allusione remota a quel fatto, ho sempre cambiato discorso. Però questa è un’ulteriore prova, che si aggiunge alle altre in mio possesso, secondo cui la verità finisce sempre per mostrarsi alle persone dotate di un certo tipo di intelletto, sebbene con mezzi né tangibili né immaginabili». Aggiunse che aveva sempre cercato di restare «sufficientemente vaga» parlando delle «aberrazioni» di mio padre per permettermi di evocarne il ricordo con rispetto e serenità. I suoi amici avevano considerato il rifiuto di condannarlo ai miei occhi come una debolezza, puntualizzò, ma lei non aveva rimpianti. Ora che mi aveva rivelato ogni cosa, «spero che la carità autentica destinata a sostituire un sentimento immaginario ti giovi e, se lui riesce a coglierla, gli sia più accettabile nella sua nuova condizione di spirito».
Rilessi le sue parole interdetta. Anche se non aveva mai detto esplicitamente che disprezzava quel perverso di mio padre, me l’aveva fatto presente in mille modi impliciti, e non ne avevo mai dubitato. Per quanto riguardava il momento in cui avevo cominciato a sospettare una relazione illecita tra mio padre e mia zia, non ricordavo a quando risalisse né le circostanze esatte in cui era stata suggerita, anche se quell’impressione era stata confermata e rafforzata negli anni successivi. Spiegai tutto questo a mia madre nella mia risposta, aggiungendo: «Devo però aggiungere che non sospettavo che da tale relazione fosse nata una figlia».
Io e William ne avevamo parlato dopo esserci accordati il tempo di digerire la notizia per poter considerare i fatti più razionalmente. Mia zia Augusta era sposata al momento del concepimento di Medora, quindi come faceva a sapere con certezza quale dei due uomini era il padre della bambina? Mia madre sembrava assolutamente certa che Medora fosse la mia sorellastra, ma io e William eravamo d’accordo che non si potesse dimostrare, e che al colonnello Leigh, violento e collerico, non si dovesse dare motivo di dubitarne.
Posi con tatto la questione dell’incertezza della paternità a mia madre, insieme a un’altra, che mi lasciava perplessa fin dall’inizio. «Mi piacerebbe sapere come sei giunta a sospettare qualcosa di tanto mostruoso» scrissi. «L’intimità e familiarità naturali di un fratello e una sorella potrebbero suggerirlo solo a una mente molto depravata e viziosa, e la tua certamente non lo è. Non riesco a smettere di pensare che deve avere fatto lui stesso allusioni pesanti. Gli piaceva tormentarti parlandoti dei suoi crimini».
«Per tutta la vita ho voluto dei fratelli» dissi avvilita a William mentre chiudevo la lettera, «e ora mia madre mi accuserà di voler negare che ho una sorella».
«In queste circostanze sarebbe perfettamente comprensibile» tagliò corto William. Il rispetto e la venerazione che provava per mia madre raggiungevano quasi lo stadio dell’adorazione, ma recentemente aveva cominciato a chiedersi ad alta voce perché lei avesse deciso di rivelare dei segreti tanto orribili che non giovavano a nessuno, e perché proprio ora.
Potevo solo azzardare delle ipotesi, e nessuna delle risposte che trovavo la metteva in buona luce.
Indipendentemente da ciò che pensavamo di mia madre, delle sue ragioni e della donna tormentata che, a suo dire, era la mia sorellastra, fummo costretti a incontrare Medora. I nostri progetti di andare a Parigi la prima settimana di aprile non mutarono, ma a fine marzo William si ammalò di influenza. Entro il primo di aprile fu dichiarato fuori pericolo, ma apparve evidente che non sarebbe guarito in tempo per compiere il viaggio.
«Detesto l’idea di andarci senza di te» gli dissi mentre sedevo sul bordo del suo letto, applicandogli un panno freddo sulla fronte per abbassargli la febbre.
«Non andarci, allora» replicò lui con voce roca, interrotto da un attacco di tosse. «Non capisco come incontrarla ti possa fare del bene».
«Forse incontrare me gioverà a lei» dissi, sapendo che avrei fatto il viaggio nonostante i miei timori. Nessuna scusa, salvo una malattia mortale, sarebbe stata considerata accettabile da mia madre, e confesso che anch’io ero ormai curiosa di conoscere Medora, come si è talvolta curiosi di premere un pollice su un livido per vedere quanto male fa.
La traversata della Manica fu piacevole, e avrei voluto che durasse di più, per prolungare il tempo trascorso in mare e per ritardare il mio arrivo a Parigi. Quando infine giunsi alla porta del 22 di place Vendôme ero stanca del viaggio e un po’ apprensiva, il che contribuisce a spiegare la confusione che avvertii quando mia madre mi accolse a braccia aperte, con due baci sulle guance, e un sorriso tanto radioso che quasi non la riconobbi. A stupirmi ancora di più fu l’assenza di Medora e Marie, che da quanto avevo capito vivevano con lei. Quando mi informai, mia madre mi spiegò che le aveva sistemate in un appartamento in un’ala diversa della casa, in modo da non darsi fastidio a vicenda, e che Medora non incontrasse i visitatori di mia madre a meno che non fosse stata espressamente invitata.
«Vorresti incontrarla?» chiese mia madre, osservandomi attentamente.
L’unica risposta possibile era sì, quindi annuii, e mia madre mandò una domestica a chiamare Medora e Marie. Nel frattempo mi condusse in un salotto al secondo piano che si affacciava sulla strada, elegantemente arredato in damasco oro e bianco con acquerelli di paesaggi francesi alle pareti e vasi di fiori freschi sparsi dappertutto. Ci sedemmo e un attimo dopo una donna alta, magra, con i capelli scuri entrò tenendo per mano una bambina che sembrava avere sei anni, con occhi castani seri e i capelli bruni stretti da un nastro bianco che rivelavano un dolce volto a cuore. Mi fissò con aria solenne e staccò la mano da quella della madre, che non fece nessun tentativo di riprenderla.
«Venite qui, mie care» disse mia madre. Marie corse da lei e le salì in braccio, mentre Medora la seguì senza fretta e si sedette sulla poltrona più vicina a me. Mia madre ci presentò e scambiammo i soliti convenevoli, mentre ci fissavamo con curiosità appena velata. Medora era molto graziosa, con lineamenti marcati e una pelle da nobile spagnola, e anche se mia madre aveva insistito nel dire che era malata, sembrava pronta di spirito e forte come una qualunque donna nel fiore degli anni, sebbene un po’ troppo magra.
Medora chiese educatamente notizie di William e dei bambini, e dopo che lei e mia madre si dichiararono dispiaciute per la sua influenza ed ebbero commentato le ultime prodezze dei miei figli, la conversazione spaziò sul mio viaggio, le mie prime impressioni di Parigi, i monumenti che non vedevano l’ora di mostrarmi, gli abiti che avevo portato e quelli che contavo di farmi confezionare sul posto. Marie cantò una canzoncina per noi in francese, e quando le feci i complimenti per l’ottimo accento Medora arrossì e ammise che la figlia parlava un francese perfetto ma neanche una parola di inglese.
Mia madre e Medora dovevano avere convenuto un segnale discreto, perché poco dopo quest’ultima mi pregò di scusarle e lei e Marie se ne andarono, ufficialmente per riposare prima di cena.
Quando restammo sole mia madre si rivolse a me, con gli occhi ancora lucidi. «Allora? Come ti sembra?»
«Molto graziosa» dissi, senza sbilanciarmi. «Sono contenta di vedere che sta bene. Credevo avessi detto che era malata».
«Lei soffre… di consunzione, penso, ma è molto migliorata da quando l’ho portata via da quel tugurio a Tours». Mia madre strinse le labbra al solo ricordo. «Ma non hai visto come somiglia a tuo padre? Anche se non avessi saputo la verità, credo che l’avresti indovinato vedendola».
Mi chiesi per un istante se fosse stato quello uno dei motivi per cui mia madre non aveva voluto che ci vedessimo per tutti quegli anni. «Mi pare che assomigli di più al colonnello Leigh» dissi cauta, sapendo che, qualunque cosa avessi detto, avrebbe interpretato le mie parole come più le garbava. «Ha senz’altro la sua altezza. Penso che non assomigli a mio padre più di quanto qualunque nipote assomigli a uno zio».
«Che sciocchezza!» esclamò mia madre esterrefatta. «Somiglia a tuo padre più di te».
«Lo pensi davvero?» domandai, sporgendomi e posando il mio mento, inconfondibilmente Byron, sulla mano.
«Forse non tanto nel volto quanto nei movimenti e nel modo di fare. Medora ha il suo portamento, il suo sguardo penetrante, il suo modo di girare la testa quando sente un rumore improvviso».
«Non saprei».
«Be’, certo». Lo sguardo di mia madre indugiò sulla porta dietro alla quale erano scomparse Medora e Marie, con un sorriso lieve sulle labbra. Svanì quando si girò verso di me. «Mi hai chiesto come ho fatto a scoprire della relazione di tuo padre con sua sorella. Mrs Leigh in persona mi confessò la verità, ma accadde molto più tardi. Avrei potuto cogliere tutti gli indizi fin dal primo momento in cui conobbi tuo padre, ma ero troppo innocente, troppo ingenua, troppo innamorata per interpretarli correttamente».
Poi, con una voce regolare che solo di rado tradiva un tremito di emozione, mia madre mi parlò del loro corteggiamento e del matrimonio, degli strani scoppi d’ira e del comportamento imprevedibile di mio padre, delle allusioni preoccupanti che io stessa avevo scoperto nelle sue poesie; quasi tutta la storia inquietante che ho presentato nelle prime pagine.
Erano troppe informazioni da incamerare tutte insieme, e dopo che mia madre ebbe finito, rimasi immobile e silenziosa, con i pensieri che si accavallavano, la testa dolorante e il cuore in subbuglio. Anche se avessi dubitato delle prove di mia madre – che erano indiziarie, anche se emotivamente incriminanti – avevo la certezza che mio padre si fosse macchiato d’incesto, poiché mia zia in persona l’aveva ammesso. Ma questo non dimostrava che Medora fosse figlia di mio padre.
Nei giorni seguenti apparve evidente che mia madre voleva che considerassi Medora come mia sorella, anche in assenza di prove, e decisi che sarebbe stato meschino da parte mia non tentare nemmeno. Quando conobbi meglio la sua storia tragica, provai compassione per lei, e passando più tempo insieme iniziai ad affezionarmi. C’erano però in lei un’avidità, una scaltrezza che trovavo sgradevoli, e anche se ci provavo non riuscivo a considerarla niente più che una cugina. Hester per me era una sorella, ma Medora no. Forse, a mia insaputa, gli ingranaggi del mio cervello si erano messi in moto, calcolando l’abisso tra loro per il modo in cui Medora aveva tradito Georgiana, e avevo deciso che non era il tipo di sorella che volevo.
Ero più contenta quando io e mia madre eravamo da sole, con Medora il più possibile lontana dagli occhi e lontana dal cuore. Mia madre mi portava a teatro o a fare lunghe, piacevoli passeggiate lungo gli Champs-Élysées; forse i segreti condivisi ci avevano avvicinate. Mi comprò nuovi abiti bellissimi alla moda di Parigi, e dopo che William fu guarito dalla sua malattia e ci ebbe raggiunte, fece in modo di presentarci alla corte francese. William fu educato e gentile con Medora nelle poche occasioni in cui ci ritrovammo tutti insieme a casa di mia madre, ma una sera, mentre ci spogliavamo per coricarci dopo una lunga giornata, mi ricordò che non avremmo mai potuto riceverla a casa nostra, non per la sua parentela, ma per il suo comportamento riprovevole.
«Non dobbiamo preoccuparci di questo» ribattei stupita. «Medora capirà senz’altro che non può tornare in Inghilterra. Qui in Francia può vivere mantenendo un certo tenore di vita, lussuoso e rispettabile, nei panni della vedova Aubin. In Inghilterra è conosciuta, e lo scandalo sarebbe insostenibile. Sarebbe evitata da tutti, e chi la accoglierebbe verrebbe rovinato come lei».
«Speriamo che tua madre se lo ricordi» ribatté lui.
Lo studiai per un istante prima che spegnesse la luce e l’oscurità ci avvolgesse. Fui tentata di chiedergli se rimpiangeva di avere sposato la figlia del grande poeta Lord Byron, l’unico legame che lo univa a quel groviglio di conflitti e rapporti sconvenienti, ma avevo paura della risposta.